A world of love

Nel febbraio 1921, a Berlino, il reverendo Otto Strohschein, tedesco di nascita e statunitense d'adozione, e suo figlio Gotthard fondano un Klan chiamandolo "Knights of the fiery Cross" (Cavalieri della Croce in fiamme). Ai due membri originario se ne aggiunse un terzo, Donald B. Gray, anch'egli statunitense di nascita e residente a Berlino. .
La "sezione distaccata" del Ku Klux Klan fa ben presto proseliti, aprendo tre logge nel Paese: "Viking", "Germania" e "Heimdal" (dal nome di una divinità pagana scandinava). Tra Berlino e provincia il Klan tedesco arriva a contare un migliaio di aderenti.
Col tempo gli adepti tedeschi della congregazione degli incappucciati iniziano a lamentarsi della troppa "americanità" del Klan, riuscendo ad allontanare i tre fondatori originali.
La direzione dei "Cavalieri della Croce in fiamme" viene presa da Richard Brant, ex dirigente della Siemens, che prendendo a prestito il nome di una divinità si autoproclamò "Wotan".
Il nuovo governatore del Klan organizza la congregazione scrivendo anche un particolare giuramento che l'adepto doveva recitare, che si concludeva grossomodo così: ""Se, tuttavia, denuncio pubblicamente gli obiettivi di questo sacro ordine, diverrò vittima della vendetta del Klan. Tutte le mie ossa saranno rotte, i miei occhi saranno cavati e il mio corpo scomposto e gettato".
La scenografia utilizzata nelle adunate comprendeva una bandiera imperiale tedesca e uno stiletto (pugnale corto) appoggiati su di un grezzo altare e una fonte d'acqua dove gli adepti si bagnavano il capo. Le cerimonie di iniziazione sono tenute nelle foreste o su colline lontane dalle città.
Il Ku Klux Klan tedesco non fece atti di particolare rilevanza criminale ed ebbe brevissima vita, rimanendo attivo sino all'inizio degli anni Trenta quando il governo nazista, appena arrivato al governo, proscrive tutte le organizzazioni non direttamente create dal Partito.
 

Allegati

  • br_mfng7sU7yB1s1voiio1_1280.jpg
    br_mfng7sU7yB1s1voiio1_1280.jpg
    98,1 KB · Visite: 489
In America Evans concepì il suo disegno napoleonico: avrebbe trasformato la rete commercial-patriottica in un partito, in grado di esercitare pressioni sul sistema e di penetrare nei suoi gangli.
Una volta che membri del Kkk fossero entrati al Congresso, si sarebbe spianata la sua strada verso la Casa Bianca.
Il farneticante tentativo non andò in porto. Più che alla dottrina estrema e alle violenze del Klan (nel solo anno 1921 nella città di New York furono denunciate oltre 150 aggressioni di klansmen), l'insuccesso di Evans è da attribuire alla condotta dei dirigenti dell'organizzazione, coinvolti in ogni tipo di reato, dalla ricettazione allo stupro.

Per i soci di un'organizzazione che si proponeva come grande moralizzatrice questi comportamenti erano intollerabili. Dopo milioni di adesioni, arrivarono milioni di defezioni. Così, dalla metà degli anni venti il Klan iniziò una lunga fase di declino.
Il colpo definitivo all'organizzazione arrivò però nel 1944. James Colescott, che era succeduto a Evans nel 1939, si vide recapitare una multa di 685 mila dollari per le tasse non pagate dall'Impero invisibile negli anni venti. I pochi klansmen rimasti non disponevano della somma, per cui, in una mesta seduta ad Atlanta il 28 aprile 1944, il Klan si sciolse.
 

Allegati

  • KKK%20MT%20OLIVET.jpg
    KKK%20MT%20OLIVET.jpg
    154,5 KB · Visite: 322
Nel 1944 il Klan subisce un grave accertamento fiscale che lo costringe a sciogliersi, almeno ufficialmente, ma nel corso degli anni non smetterà l'attività.

1946: lo scrittore William Stetson Kennedy rivela i rituali segreti del Klan

1949: catena di attentati dinamitardi del Klan a Birmingham contro le famiglie nere trasferitesi in quartieri bianchi

1951: il Klan fa saltare in Florida la sede dell’Associazione nazionale per l’avanzamento delle persone di colore, uccidendo due attivisti

1958: scontro a fuoco in North Carolina fra membri del Klan e membri della tribù indiana Lumbee, che ha la meglio

1963: una bomba attribuita al Klan esplode in una chiesa di Birmingham, in Alabama, uccidendo quattro bambine di colore

1964: il Klan giustizia tre attivisti per i diritti civili in Mississippi

1971: il Klan fa saltare dieci scuolabus (vuoti) nel Michigan per protestare contro l’integrazione scolastica e le borse di studio riservate alle minoranze

1979: in North Carolina il Klan e il Partito nazista americano attaccano il Partito comunista dei lavoratori locale, uccidendo cinque persone

1980: il Klan giustizia quattro donne di colore in Tennessee

1987: un Tribunale dell’Alabama condanna il Klan a pagare sette milioni di dollari agli eredi di un ragazzo di colore linciato

1997: a Dallas l’FBI arresta vari membri del Klan per terrorismo

2012: il Klan rivendica l’omicidio di una ragazza di colore in Louisiana



Sotto: Hiram Evans
 

Allegati

  • Hiram_Wesley_Evans,_Imperial_Wizard_27471u_waist_up.jpg
    Hiram_Wesley_Evans,_Imperial_Wizard_27471u_waist_up.jpg
    17,8 KB · Visite: 294
  • imagesCAXDP0C1.jpg
    imagesCAXDP0C1.jpg
    10,3 KB · Visite: 250
DONNE CATTIVE: Katherine Knight.

Katherine Knight, australiana, del 1956, ancora in vita, nasce in una famiglia strana e violenta: il padre abusa della madre continuamente e quest’ultima non fa mistero con i figli dei suoi rapporti intimi e brutali con il marito, con dovizia di particolari e non senza manifestare un odio incontrollabile per gli uomini e per il sesso. Katherine apprende molto bene questo sentimento e lo coltiva per diversi anni, manifestando sempre una certa propensione alla violenza.

A 15 anni Katherine lascia la scuola, senza aver imparato nè a leggere nè a scrivere: le sue passioni erano altre ed ottiene subito quello che definisce il suo lavoro ideale. Katherine lavorerà in un mattatoio per tutta la vita, fino al suo arresto, scuoiando e disossando animali, con una dedizione fuori dal comune, tanto da ricevere anche il suo personale set di coltelli da macellaio, da portare a casa.

Nonostante la sua fama di donna violenta, Katherine ebbe diversi uomini e anche una figlia; il suo ultimo uomo però scatenò quella scintilla di dissennatezza che la portò ad architettare e a mettere in atto una tragedia con tutti i crismi del caso.

Nel 2000, dopo una storia altalenante, Katherine Knight uccise il suo compagno John “Pricey” Price in un modo a dir poco raccapricciante: 37 coltellate, inferte con una forza brutale, su un corpo poi scuoiato con precisione professionale e affettato in diverse parti, che furono messe a cuocere, insieme a verdure e sugo. Nelle intenzioni di Katherine, i figli di Price sarebbero rincasati trovando un lauto pasto ad attenderli: la tavola era apparecchiata e ogni posto era segnato con il nome dei ragazzi, mentre ogni piatto conteneva una fetta del loro padre.

Per fortuna la polizia arrivò prima dei figli, evitando così il lugubre banchetto che emulava in qualche modo quello narrato nel mito di Medea. Katherine Knight fu arrestata e condannata all’ergastolo, in una prigione dove ancora sconta la sua pena.
Il confine fra cattiveria e malattia mentale in questo caso è così labile da non essere quasi individuabile...ci rimane solo l'orrore.
 

Allegati

  • katherine-knight-5.jpg
    katherine-knight-5.jpg
    33,3 KB · Visite: 335
Beverly Allitt (nata nel 1968): altra omicida seriale.....infermiera!

Soprannominata l'Angelo della Morte, era un'infermiera inglese pediatrica che è stata accusata di aver ucciso quattro bambini e feriti altri nove, nel 1991, nel reparto pediatrico di Grantham e Kesteven Hospital, Lincolnshire dove ha lavorato. Da allora è diventata una delle serial killer più note. Il suo metodo di uccidere è stato quello di iniettare l'insulina ai bambini per provocare l'arresto cardiaco.
Le vittime:

- Liam Taylor (di sette mesi) è stato ricoverato al reparto per una infezione al torace ed è stato assassinato il 21 febbraio 1991.

- Timothy Hardwick (di undici anni) ha subito la paralisi cerebrale ed è stato ricoverato al reparto dopo un attacco epilettico. È stato assassinato il 5 marzo 1991.

- Kayley Desmond (di un anno) ammessa al reparto per una infezione al torace. Allitt ha tentato di ucciderla l'8 marzo 1991 ma la bambina è stata rianimata e trasferita in un altro ospedale dove si è ristabilita.

- Paul Crampton (di cinque mesi) ammesso al reparto per una infezione al torace il 20 marzo 1991. Allitt ha tentato di ucciderlo con una dose eccessiva di insulina in tre occasioni prima che fosse trasferito in un altro ospedale dove ha recuperato.

- Bradley Gibson (di cinque anni) ammesso al reparto per la polmonite. Ha subito due arresti cardiaci, il 21 marzo 1991, a causa di Allitt che gli somministrò dosi eccessive di insulina. Riuscirono anche qui a trasferirlo in un altro ospedale dove ha recuperato.

- Yik Hung Chan (di due anni) ammesso al reparto a seguito di una caduta il 21 marzo 1991. Ha sofferto un attacco di desaturazione dell'ossigeno prima che fosse trasferito in un altro ospedale dove ha recuperato.

- Becky Phillips (di due mesi) ammesso al reparto per la gastroenterite il 1 ° aprile 1991. Gli è stato somministrata una dose eccessiva di insulina da parte Allitt e morì a casa due giorni dopo.

- Katie Phillips (di due mesi) la gemellina di Becky, lei è stata ricoverata nel reparto per precauzione dopo la morte di sua sorella. Dovette essere rianimata due volte per episodi di apnea (che più tardi fu scoperto essere causati da overdose di insulina e potassio). Dopo la seconda volta in cui ha smesso di respirare, è stata trasferita in un altro ospedale ma, questa volta, ha subito danni cerebrali permanenti, paralisi parziale e parziale cecità a causa di mancanza di ossigeno.

- Claire Peck (di quindici mesi) ammessa nel reparto in seguito ad un attacco d'asma, il 22 aprile 1991. Dopo essere stata messa su un ventilatore, è stata lasciata sola con Allitt per un breve intervallo, durante il quale ebbe un arresto cardiaco. E' stata rianimata ma è morta dopo un secondo arresto cardiaco, dopo un secondo periodo in cui rimase sola con Allitt.


Allitt aveva attaccato tredici bambini, quattro fatalmente purtroppo, nel corso di un periodo di 58 giorni, prima che fosse arrestata con le accuse di omicidio. Fu solo dopo la morte di Claire Peck che il personale medico divenne sospettoso del numero di arresti cardiaci nel reparto pediatrico e fu chiamata la polizia. Si è riscontrato che la Allitt era l'unica infermiera in servizio durante tutti gli attacchi cardiaci dei bambini, e inoltre era l'unica che avesse accesso ai farmaci.
E 'stata formalmente accusato per l'omicidio, tentato omicidio e lesioni personali gravi nel novembre 1991. E, dopo due mesi di processo, è stata condannata per i suoi crimini il 23 maggio 1993 all'ergastolo. Il giudice del processe alla Allitt, stabilì che serviva una detenzione minima di 40 anni, quindi tenerla in carcere fino al 2032, all'età quindi di 64 anni, e sarebbe potuta essere rilasciata solo se i medici avessero confermato il fatto che non rappresentasse più un pericolo.

I motivi non sono mai stati completamente spiegati. Secondo una teoria, la sindrome di Munchausen per procura spiega le sue azioni. Questo disturbo di personalità controversa è descritto come implicante un modello di abuso in cui un autore falsifica fisicamente malattie in una persona sotto la loro cura, al fine di attirare l'attenzione.
 

Allegati

  • r_lqfqa3jvi41r13gsho1_400.jpg
    r_lqfqa3jvi41r13gsho1_400.jpg
    29,3 KB · Visite: 307
Ho leto con atenzione tutto ciò che hai messo durante questi l'ultimi giorni in questo post ,e mi vengono i brividi della realtà di qeste storie ,e fano rifletere molto!!!
 
"Un mondo d'amore" è quello a cui noi tutti aspiriamo, ma basta sfogliare il primo giornale che ci capita sottomano, accendere la radio, guardare la Tv...ascoltare con attenzione le chiacchiere di chi ci sta intorno.... e ci accorgiamo di quanto la realtà sia diversa.
"Un mondo d'amore" allora diventa solo il titolo di una canzonetta un po' stucchevole degli anni '60.


Per spiegare perché le persone si comportano male con gli altri, secondo uno psicologo inglese, non basta parlare di cattiveria ma di malattia: una forma di scarsa capacità di empatia. Ci sono individui poco empatici a causa di una precisa conformazione dei loro circuiti neurali. Essere “carogne” è quindi, in un certo senso, una patologia perchè tutto dipende dall’empatia, la capacità di immedesimarsi in un’altra persona e capirne i sentimenti. Il nostro cervello è come “cablato” per l’empatia, ma oltre lo sforzo intellettuale è importante l’attività di precise aree cerebrali che ci rendono più o meno sensibili e attenti verso gli altri.
Certe aree del cervello possono svilupparsi in maniera deficitaria in seguito a situazioni critiche dell’infanzia oppure a determinati fattori.
Pensare alla cattiveria umana come una "malattia", a me personalmente, fa meno orrore, forse perchè collego malattia a medicina a guarigione. Ma quello che temo è il sospetto che si tratti di una "malattia incurabile"!



Belle Sorenson Gunness, nata Brynhild Paulsdatter Størseth (Selbu, 11 novembre 1859 – La Porte, 28 aprile 1908), è stata una serial killer statunitense, di origine norvegese; è una delle più prolifiche di tutta l'America con almeno 40 omicidi accertati, che potrebbero essere fino ad oltre 60. Un mostro di quasi 1,80 di statura, cercava di arraffare i premi delle assicurazioni alle sue vittime.

In Norvegia circola una storia non verificata, sugli anni della giovinezza di Belle. Questa leggenda narra che Brynhild partecipò ad una festa danzante in stile country mentre era incinta. Lì venne aggredita da un uomo che le sferrò un calcio all'addome, facendole perdere il bambino. L'uomo, il quale proveniva da un ricca famiglia norvegese, non venne mai perseguito dalla legge.

In seguito a quest'episodio, la sua personalità cambiò drasticamente. A ventitré anni emigrò negli Stati Uniti d'America dove iniziò a lavorare come cameriera. La sorella dichiarò: «Belle impazziva per i soldi. Erano il suo punto debole».
Belle ben presto si sposò, adottò in quel periodo una bambina di otto mesi, ma quando il padre naturale volle riprendersi la figlia, nacque una battaglia legale per la custodia di Jenny, dalla quale uscì vincitrice la Gunness.
Circa sei anni dopo iniziò ad avere figli suoi.
Dopo sedici anni di matrimonio, nel 1900, trascorsi nella povertà, morì il marito Mads Sorensen, lo stesso ed unico giorno in cui le due assicurazioni sulla vita che l'uomo aveva stipulato con due compagnie diverse erano entrambe valide. Il dottore che visitò Mads pensò subito ad un avvelenamento da stricnina.
Belle con la somma acquistò un negozio di abbigliamento che pochi mesi dopo venne distrutto da un incendio la cui causa, secondo Belle, era da attribuire all'esplosione di una lampada a kerosene che però non venne mai rinvenuta.

Con i soldi dell'assicurazione comprò una fattoria nei dintorni di La Porte, nell'Indiana. Belle si stabilì nella nuova proprietà con la figlia adottiva Jenny e con le figlie naturali che le erano rimaste, Myrtle e Lucy. Nel 1902 sposò un macellaio norvegese, Peter Gunnes. Nove mesi più tardi l'uomo morì in uno strano incidente domestico.

Peter era macellaio, e insieme alla moglie stavano preparando delle salsicce. Una volta finito il lavoro Belle lavò il tritacarne e lo mise ad asciugare su una mensola sopra il camino, dopo di che accompagnò le figlie a letto. Quando tornò trovò il marito steso per terra a faccia in giù. Il tritacarne gli era piombato in testa uccidendolo. Belle chiamò un medico che a sua volta avvertì la polizia; il medico legale sospettò che si trattasse di un omicidio ma, grazie alla testimonianza della figlia adottiva Jenny Olsen (che affermò di aver assistito alla scena) il caso venne archiviato come incidente.

Ancora una volta la Gunness ottenne una discreta somma dall'assicurazione sulla vita del marito. Nel 1906, qualche anno dopo la morte di Peter Gunness, Jenny raccontò ad alcuni suoi compagni di scuola che era stata effettivamente sua madre ad assassinare il genitore, colpendolo violentemente col tritacarne.

La notizia circolò e Jenny venne quindi di nuovo interrogata dalla polizia, ma di fronte agli inquirenti negò tutto. Belle dopo quell'episodio raccontò ai vicini che avrebbe mandato la figlia adottiva in un collegio nel Wisconsin. La ragazza raccontò ad un suo compagno di scuola della sua partenza, promettendogli che prima di lasciare la città sarebbe passata a salutarlo e gli avrebbe dato il suo indirizzo. Invece partì improvvisamente senza salutare nessuno.

Nonostante il suo fisico robusto e mascolino, Belle era una donna molto sensuale che detestava la solitudine; ebbe così diversi amanti scelti tra gli uomini che lavoravano per lei, tra cui Ray Lamphere, l'ultimo. Altri pretendenti bussarono alla porta di Belle suscitando la gelosia dell'amante. Belle infatti aveva messo un annuncio su un giornale per emigranti norvegesi: "Donna attraente proprietaria di bella fattoria in ottime condizioni cerca uomo affidabile benestante scopo matrimonio".

In molti risposero all'annuncio di Belle e ricevettero una lettera di risposta nella quale Belle chiedeva di depositare una somma di denaro a proprio nome per conquistare così la sua fiducia. Gli uomini venivano convinti proprio dalla sua richiesta stravagante in quanto veniva letto come sintomo di grande senso pratico ed onestà. A La Porte iniziarono così a susseguirsi gli spasimanti norvegesi.

John Moo giunse da Elbow Lake, portando con sé mille dollari da offrire a Belle in cambio del contratto di matrimonio. Egli scomparve dalla fattoria una settimana dopo l'arrivo. In seguito si recò nella tenuta di Belle George Anderson, il quale però non aveva portato con sé il denaro richiesto; voleva infatti prima assicurarsi che la futura moglie gli piacesse. Si trovò davanti una donna di quarantotto anni vestita come un uomo e che si esprimeva in un linguaggio rude e volgare. Sarebbe ripartito subito ma Belle dispiegò tutte le armi di seduzione in suo possesso e trascorsero la notte insieme.

Durante la notte si svegliò di soprassalto e vide Belle accanto a lui che lo fissava con un'espressione sinistra: fuggì via ed ebbe così salva la vita. Ray Lamphere mal sopportava il susseguirsi di amanti e le faceva terribili scenate finché Belle lo licenziò; ma l'uomo rimase sempre nei dintorni a spiarla: Belle lo denunciò. Infine, all'annuncio rispose Andrew Helgelien, proprietario di una fattoria ad Aberdeen, nel South Dakota; la coppia si scambiò numerose lettere prima di incontrarsi e l'uomo arrivò a La Porte nel gennaio del 1908 con tutti i suoi risparmi.

Qualche giorno dopo si recò presso la banca di La Porte con Belle a versare un assegno e subito dopo scomparve. Intanto il fratello di Helgelien, Asle, cominciò a preoccuparsi per l'assenza di Andrew. Belle di solito sceglieva tra i suoi uomini quelli che non avevano famiglia al fine di evitare ricerche, ma quella volta commise un errore. Asle le scrisse chiedendo notizie del fratello e Belle rispose che era stato da lei qualche tempo prima ma lei stessa aveva perso le sue tracce.

Asle, non convinto da questa risposta, andò a La Porte e si recò dallo sceriffo denunciando la scomparsa del fratello ed esponendo i propri sospetti su Belle Gunness, ma proprio quella notte la fattoria di Belle venne distrutta da un incendio. La polizia pensò che i cadaveri che vennero rinvenuti fossero di Belle e dei suoi figli, ed arrestò Ray Lamphere, denunciato tempo prima dalla Gunness. Tutti quelli che conoscevano Belle ne piansero la morte, non sospettando che di lì a poco il loro dolore si sarebbe tramutato in orrore.

Infatti Asle Helgelien aveva continuato le sue indagini alla ricerca del fratello ed aveva interrogato un ex dipendente della donna, Joe Maxson. Emerse che Maxson, sotto l'ordine di Belle, avesse livellato il terreno all'interno del porcile con grosse quantità di immondizia. Asle convinse lo sceriffo a controllare e dal primo scavo emerse il corpo mutilato di Andrew Helgelien; successivamente vennero dissotterrati i cadaveri di vari pretendenti di Belle, alcuni lavoratori di cui era stata amante nonché la figlia adottiva Jenny partita nel 1906 per un fantomatico collegio. Altri corpi tra cui quelli di una donna e di due bambini non furono mai identificati. Il numero delle vittime di Belle non fui mai accertato con precisione ma è stimato intorno a quaranta persone, se non pi, probabilmente fino a oltre 60
 

Allegati

  • 560px-Belle_gunness_br_d_640068a.jpg
    560px-Belle_gunness_br_d_640068a.jpg
    49,7 KB · Visite: 301
Tutto quello che non sopporto ha un nome.
Non sopporto i vecchi. La loro bava. Le loro lamentele. La loro inutilità.
Peggio ancora quando cercano di rendersi utili. La loro dipendenza.
I loro rumori. Numerosi e ripetitivi. La loro aneddotica esasperata.
La centralità dei loro racconti. Il loro disprezzo verso le generazioni successive.
Ma non sopporto neanche le generazioni successive.
Non sopporto i vecchi quando sbraitano e pretendono il posto a sedere in autobus.
Non sopporto i giovani. La loro arroganza. La loro ostentazione di forza e gioventù.
La prosopopea dell'invincibilità eroica dei giovani è patetica.
Non sopporto i giovani impertinenti che non cedono il posto ai vecchi in autobus.
Non sopporto i teppisti. Le loro risate improvvise, scosciate ed inutili.
Il loro disprezzo verso il prossimo diverso. Ancor più insopportabili i giovani buoni, responsabili e generosi. Tutto volontariato e preghiera. Tanta educazione e tanta morte. Nei loro cuori e nelle loro teste.
Non sopporto i bambini capricciosi e autoreferenziali e i loro genitori ossessivi e referenziali solo verso i bambini. Non sopporto i bambini che urlano e che piangono. E quelli silenziosi mi inquietano, dunque non li sopporto. Non sopporto i lavoratori e i disoccupati e l'ostentazione melliflua e spregiudicata della loro sfortuna divina.
Che divina non è. Solo mancanza di impegno.
Ma come sopportare quelli tutti dediti alla lotta, alla rivendicazione, al comizio facile e al sudore diffuso sotto l'ascella? Impossibile sopportarli.
Non sopporto i manager. E non c'è bisogno nemmeno di spiegare il perché. Non sopporto i piccolo borghesi, chiusi a guscio nel loro mondo *******. Alla guida della loro vita, la paura. La paura di tutto ciò che non rientra in quel piccolo guscio. E quindi snob, senza conoscere neanche il significato della parola.
Non sopporto i fidanzati, poiché ingombrano.
Non sopporto le fidanzate, poiché intervengono.
Non sopporto quelli di ampie vedute, tolleranti e spregiudicati.
Sempre corretti. Sempre perfetti. Sempre ineccepibili.
Tutto consentito, tranne l'omicidio.
Li critichi e loro ti ringraziano della critica. Li disprezzi e loro ti ringraziano bonariamente. Insomma, mettono in difficoltà.
Perché boicottano la cattiveria.
Quindi, sono insopportabili.
Ti chiedono: "Come stai?" e vogliono saperlo veramente. Uno choc. Ma sotto l'interesse disinteressato, da qualche parte, covano coltellate.
Ma non sopporto neanche quelli che non ti mettono mai in difficoltà. Sempre ubbidienti e rassicuranti. Fedeli e ruffiani.
Non sopporto i giocatori di biliardo, i soprannomi, gli indecisi, i non fumatori, lo smog e l'aria buona, i rappresentanti di commercio, la pizza al taglio, i convenevoli, i cornetti con la cioccolata, i falò, gli agenti di cambio, i parati a fiori, il commercio equo e solidale, il disordine, gli ambientalisti, il senso civico, i gatti, i topi, le bevande analcoliche, le citofonate inaspettate, le telefonate lunghe, coloro che dicono che un bicchiere di vino al giorno fa bene, coloro che fingono di dimenticare il tuo nome, coloro che per difendersi dicono di essere dei professionisti, i compagni di scuola che dopo trent'anni ti incontrano e ti chiamano per cognome, gli anziani che non perdono mai occasione per ricordarti che loro hanno fatto la Resistenza, i figli sprovvisti che non hanno nulla da fare e decidono di aprire una galleria d'arte, gli ex comunisti che perdono la testa per la musica brasiliana, gli svampiti che dicono "intrigante", i modaioli che dicono "figata" e derivati, gli sdolcinati che dicono bellino carino stupendo, gli ecumenici che chiamano tutti "amore", certe bellezze che dicono "ti adoro", i fortunati che suonano ad orecchio, i finti disattenti che quando parli non ascoltano, i superiori che giudicano, le femministe, i pendolari, i dolcificanti, gli stilisti, i registi, le autoradio, i ballerini, i politici, gli scarponi da sci, gli adolescenti, i sottosegretari, le rime, i cantanti rock attempati coi jeans attillati, gli scrittori boriosi e seriosi, i parenti, i fiori, i biondi, gli inchini, le mensole, gli intellettuali, gli artisti di strada, le meduse, i maghi, i vip, gli stupratori, i pedofili, tutti i circensi, gli operatori culturali, gli assistenti sociali, i divertimenti, gli amanti degli animali, le cravatte, le risate finte, i provinciali, gli aliscafi, i collezionisti tutti, un gradino più in su quelli di orologi, tutti gli hobby, i medici, i pazienti, il jazz, la pubblicità, i costruttori, le mamme, gli spettatori di basket, tutti gli attori e tutte le attrici, la video arte, i luna park, gli sperimentalisti di tutti i tipi, le zuppe, la pittura contemporanea, gli artigiani anziani nella loro bottega, i chitarristi dilettanti, le statue nelle piazze, il baciamano, le beauty farm, i filosofi di bell'aspetto, le piscine con troppo cloro, le alghe, i ladri, le anoressiche, le vacanze, le lettere d'amore, i preti e i chierichetti, le supposte, la musica etnica, i finti rivoluzionari, le telline, i panda, l'acne, i percussionisti, le docce con le tende, le voglie, i calli, i soprammobili, i nei, i vegetariani, i vedutisti, i cosmetici, i cantanti lirici, i parigini, i pullover a collo alto, la musica al ristorante, le feste, i meeting, le case col panorama, gli inglesismi, i neologismi, i figli di papà, i figli d'arte, i figli dei ricchi, i figli degli altri, i musei, i sindaci dei comuni, tutti gli assessori, i manifestanti, la poesia, i salumieri, i gioiellieri, gli antifurti, le catenine d'oro giallo, i leader, i gregari, le prostitute, le persone troppo basse o troppo alte, i funerali, i peli, i telefonini, la burocrazia, le installazioni, le automobili di tutte le cilindrate, i portachiavi, i cantautori, i giapponesi, i dirigenti, i razzisti e i tolleranti, i ciechi, la fòrmica, il rame, l'ottone, il bambù, i cuochi in televisione, la folla, le creme abbronzanti, le lobby, gli slang, le macchie, le mantenute, le cornucopie, i balbuzienti, i giovani vecchi e i vecchi giovani, gli snob, i radical chic, la chirurgia estetica, le tangenziali, le piante, i mocassini, i settari, i presentatori televisivi, i nobili, i fili che si attorcigliano, le vallette, i comici, i giocatori di golf, la fantascienza, i veterinari, le modelle, i rifugiati politici, gli ottusi, le spiagge bianchissime, le religioni improvvisate e i loro seguaci, le mattonelle di seconda scelta, i testardi, i critici di professione, le coppie lui giovane lei matura e viceversa, i maturi, tutte le persone col cappello, tutte le persone con gli occhiali da sole, le lampade abbronzanti, gli incendi, i braccialetti, i raccomandati, i militari, i tennisti scapestrati, i faziosi e i tifosi, i profumi da tabaccaio, i matrimoni, le barzellette, la prima comunione, i massoni, la messa, coloro che fischiano, coloro che cantano all'improvviso, i rutti, gli eroinomani, i Lions club, i cocainomani, i Rotary club, il turismo sessuale, il turismo, coloro che detestano il turismo e dicono che loro sono "viaggiatori", coloro che parlano "per esperienza", coloro che non hanno esperienza e vogliono parlare lo stesso, chi sa stare al mondo, le maestre elementari, i malati di riunioni, i malati in generale, gli infermieri con gli zoccoli, ma perché devono portare gli zoccoli?
Non sopporto i timidi, i logorroici, i finti misteriosi, i goffi, gli svampiti, gli estrosi, i vezzosi, i pazzi, i geni, gli eroi, i sicuri di sé, i silenziosi, i valorosi, i meditabondi, i presuntuosi, i maleducati, i coscienziosi, gli imprevedibili, i comprensivi, gli attenti, gli umili, gli esperti, gli appassionati, gli ampollosi, gli eterni sorpresi, gli equi, gli inconcludenti, gli ermetici, i battutisti, i cinici, i paurosi, i tracagnotti, i litigiosi, i superbi, i flemmatici, i millantatori, i preziosi, i vigorosi, i tragici, gli svogliati, gli insicuri, i dubbiosi, i disincantati, i meravigliati, i vincenti, gli avari, i dimessi, i trascurati, gli sdolcinati, i lamentosi, i lagnosi, i capricciosi, i viziati, i rumorosi, gli untuosi, i bruschi, e tutti quelli che socializzano con relativa facilità.
Non sopporto la nostalgia, la normalità, la cattiveria, l'iperattività, la bulimia, la gentilezza, la malinconia, la mestizia, l'intelligenza e la stupidità, la tracotanza, la rassegnazione, la vergogna, l'arroganza, la simpatia, il doppiogiochismo, il menefreghismo, l'abuso di potere, l'inettitudine, la sportività, la bontà d'animo, la religiosità, l'ostentazione, la curiosità e l'indifferenza, la messa in scena, la realtà, la colpa, il minimalismo, la sobrietà e l'eccesso, la genericità, la falsità, la responsabilità, la spensieratezza, l'eccitazione, la saggezza, la determinazione, l'autocompiacimento, l'irresponsabilità, la correttezza, l'aridità, la serietà e la frivolezza, la pomposità, la necessarietà, la miseria umana, la compassione, la tetraggine, la prevedibilità, l'incoscienza, la capziosità, la rapidità, l'oscurità, la negligenza, la lentezza, la medietà, la velocità, l'ineluttabilità, l'esibizionismo, l'entusiasmo, la sciatteria, la virtuosità, il dilettantismo, il professionismo, il decisionismo, l'automobilismo, l'autonomia, la dipendenza, l'eleganza e la felicità.
Non sopporto niente e nessuno.
Neanche me stesso. Soprattutto me stesso.
Solo una cosa sopporto.
La sfumatura


(Paolo Sorrentino)
 

Allegati

  • love-is.jpg
    love-is.jpg
    184,3 KB · Visite: 141
Per spiegare perché le persone si comportano male con gli altri, secondo uno psicologo inglese, non basta parlare di cattiveria ma di malattia: una forma di scarsa capacità di empatia. Ci sono individui poco empatici a causa di una precisa conformazione dei loro circuiti neurali. Essere “carogne” è quindi, in un certo senso, una patologia perchè tutto dipende dall’empatia, la capacità di immedesimarsi in un’altra persona e capirne i sentimenti. Il nostro cervello è come “cablato” per l’empatia, ma oltre lo sforzo intellettuale è importante l’attività di precise aree cerebrali che ci rendono più o meno sensibili e attenti verso gli altri.
Certe aree del cervello possono svilupparsi in maniera deficitaria in seguito a situazioni critiche dell’infanzia oppure a determinati fattori.
Pensare alla cattiveria umana come una "malattia", a me personalmente, fa meno orrore, forse perchè collego malattia a medicina a guarigione. Ma quello che temo è il sospetto che si tratti di una "malattia incurabile"!


forse dipende anche in che famiglia crescono queste persone ,in che tipo di ambiente societaria vivono .certo che con tutti esempi della storia pasata e quella atuale ,siamo in confusione tottale ma non deve mancare il pensare positivo :yes:
 
Per spiegare perché le persone si comportano male con gli altri, secondo uno psicologo inglese, non basta parlare di cattiveria ma di malattia: una forma di scarsa capacità di empatia. Ci sono individui poco empatici a causa di una precisa conformazione dei loro circuiti neurali. Essere “carogne” è quindi, in un certo senso, una patologia perchè tutto dipende dall’empatia, la capacità di immedesimarsi in un’altra persona e capirne i sentimenti. Il nostro cervello è come “cablato” per l’empatia, ma oltre lo sforzo intellettuale è importante l’attività di precise aree cerebrali che ci rendono più o meno sensibili e attenti verso gli altri.
Certe aree del cervello possono svilupparsi in maniera deficitaria in seguito a situazioni critiche dell’infanzia oppure a determinati fattori.
Pensare alla cattiveria umana come una "malattia", a me personalmente, fa meno orrore, forse perchè collego malattia a medicina a guarigione. Ma quello che temo è il sospetto che si tratti di una "malattia incurabile"!


forse dipende anche in che famiglia crescono queste persone ,in che tipo di ambiente societaria vivono .certo che con tutti esempi della storia pasata e quella atuale ,siamo in confusione tottale ma non deve mancare il pensare positivo :yes:

:yes:Pensare sempre positivo a costo di ricadere sempre negli stessi errori e nelle stesse delusioni.
Proteggere i bambini e farli crescere in un ambiente protetto, sicuro e sano...e nessuna pietà per chi in qualche modo mina il loro equilibrio, abusa di loro. Io sarei severissima!






La verità è sempre quella,
la cattiveria degli uomini
che ti abbassa
e ti costruisce un santuario di odio
dietro la porta socchiusa.
Ma l'amore della povera gente
brilla più di una qualsiasi filosofia.
Un povero ti dà tutto
e non ti rinfaccia mai la tua vigliaccheria.

Alda Merini, da "Terra d'amore
 

Allegati

  • lr_mao1bcn5lg1qfgxk4o1_1280.jpg
    lr_mao1bcn5lg1qfgxk4o1_1280.jpg
    112,8 KB · Visite: 97




Ho acceso un falo'
nelle mie notti di luna
per richiamare gli ospiti
come fanno le prost....
ai bordi di certe strade,
ma nessuno si e' fermato a guardare
e il mio falo' si e' spento

Alda Merini - Ho Acceso Un Falo'
 

Allegati

  • r_lmy5pgCdbX1qlsru8o1_500.jpg
    r_lmy5pgCdbX1qlsru8o1_500.jpg
    42,2 KB · Visite: 16.364




“La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento. Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo.

.....così per cinque lunghi anni mi adattai a quel mènage veramente pazzesco […] dopo un po’ di tempo cominciai ad accettare quel ambiente come buono, non mi rendevo conto che andavo incontro a quello strano fenomeno che gli psichiatri chiamano ospedalizzazione per cui rifiuti il mondo esterno e cresci unicamente in un mondo estraneo a te e a tutto il resto del mondo […]

.....gente che veniva internata per far posto alla bramosia e alla sete di potere di altre persone.

....il poeta soffre molto di più, però ha una dignità tale che non si difende neanche alle volte..è bello accettare anche il male: una delle prerogative del poeta, che è anche stata la mia, è non discutere mai da che parte venisse il male. Io l’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente, è diventato poesia”



ALDA MERINI
 

Allegati

  • lr_mc8wut8ILo1rntvsmo1_500.jpg
    lr_mc8wut8ILo1rntvsmo1_500.jpg
    41 KB · Visite: 341
Myra Hindley (nata nel 1942): la spietata killer di bambini di Manchester

Myra Hindley (1942 - 2002), l’assassina della brughiera di Manchester, era caratterialmente debole e da ragazza intelligente, sensibile, anche se un po’ chiusa in seguito alla morte di un suo amichetto all’età di 15 anni (di cui lei si sente fortemente in colpa), viene impossessata da un mix esplosivo di crudeltà ed indifferenza, che sconfina nell’inumano, nell’efferato, nell’indicibile.

Myra inizia a trasformarsi quando si innamora di Ian Brady, un ragazzo dalla personalità distorta, disturbata, in crisi di identità fin dalla prima adolescenza. Ian trova nei libri nazisti e nelle descrizioni di uccisioni e torture un piacevole diversivo alla sua vita altalenante.

Myra, affascinata dalla personalità scostante e misteriosa di Ian, accetta tutto pur di stare con lui: si lascia plagiare facilmente dalle sue idee e ben presto inizia ad approvarle. E' talmente affascinata dall'uomo da ritenere normale delle autentiche atrocità che lui commette fino a diventarne complice. Dal luglio 1963 all’ottobre del 1965, si macchia di cinque efferati omicidi di minorenni; torture e abusi sessuali, documentando le sofferenze delle vittime con fotografie e registrazioni.

Myra e Ian vengono denunciati dalla sorella e dal cognato di Myra, spettatore dell’ultimo omicidio commesso dai due, che subito dopo aver ucciso un ragazzo di 16 anni, accanto al suo cadavere sanguinante, erano riusciti a gustarsi un tè ridendo di quella che ritenevano la buffa espressione della vittima un attimo prima di veder calare un’ascia sulla sua faccia.

Quando fu arrestata, nel 1965, appariva totalmente indifferente. Poi, come risvegliatasi, ruppe qualunque rapporto con Ian e cercò di dichiararsi innocente per anni. Nel 1986 decise di confessare la sua partecipazione a tutti i crimini, rispondendo alla lettera scritta dalla mamma di una delle vittime, la quale voleva conoscere la verità sulla morte di suo figlio.

Myra è stata la prima donna in Inghilterra ad essere stata coinvolta in una serie di omicidi con torture e atti sessuali. Sconvolse il Paese e il mondo intero. Impossibile dare un senso a tutto questo. Myra è morta nel 2002 in carcere, per un’infezione alle vie respiratorie.
 

Allegati

  • mooresr_mdcj05E8mw1rkjyzbo1_500.jpg
    mooresr_mdcj05E8mw1rkjyzbo1_500.jpg
    36,3 KB · Visite: 365
  • ian.jpg
    ian.jpg
    37 KB · Visite: 339
  • Bradykillers.jpg
    Bradykillers.jpg
    54,3 KB · Visite: 370
Caro Presidente,

scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.
Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer, scrivere, leggere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita.
La giornata inizia con l’allarme del ventilatore polmonare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catheter mounth, trascorre con il sottofondo della radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitoraggio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazioni, bevute di pulmocare. Una volta mi alzavo al più tardi alle dieci e mi mettevo a scrivere sul pc. Ora la mia patologia, la distrofia muscolare, si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti, il mio equilibrio fisico è diventato molto precario. A mezzogiorno con l’aiuto di mia moglie e di un assistente mi alzo, ma sempre più spesso riesco a malapena a star seduto senza aprire il computer perchè sento una stanchezza mortale. Mi costringo sulla sedia per assumere almeno per un’ora una posizione differente di quella supina a letto. Tornato a letto, a volte, mi assopisco, ma mi risveglio spaventato, sudato e più stanco di prima. Allora faccio accendere la radio ma la ascolto distrattamente. Non riesco a concentrarmi perché penso sempre a come mettere fine a questa vita. Verso le sei faccio un altro sforzo a mettermi seduto, con l’aiuto di mia moglie Mina e mio nipote Simone. Ogni giorno vado peggio, sempre più debole e stanco. Dopo circa un’ora mi accompagnano a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l’ora della compressa del Tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina.
Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio ... è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà.

Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una “morte dignitosa”. No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte.

La morte non può essere “dignitosa”; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia “dignitosa” è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell’occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos’è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: “Ostico, lottare. Sfacelo m’assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m’accerchia senza spiragli. Non esiste approdo”.

L’approdo esiste, ma l’eutanasia non è “morte dignitosa”, ma morte opportuna, nelle parole dell’uomo di fede Jacques Pohier. Opportuno è ciò che “spinge verso il porto”; per Plutarco, la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto e Leopardi la definisce il solo “luogo” dove è possibile un riposo, non lieto, ma sicuro.
In Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuol dire che non “esista”: vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore dei medici di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir praticati atti eutanasici senza il consenso informato di pazienti coscienti. Per esaudire la richiesta di eutanasia, alcuni paesi europei, Olanda, Belgio, hanno introdotto delle procedure che consentono al paziente “terminale” che ne faccia richiesta di programmare con il medico il percorso di “approdo” alla morte opportuna.
Una legge sull’eutanasia non è più la richiesta incomprensibile di pochi eccentrici. Anche in Italia, i disegni di legge depositati nella scorsa legislatura erano già quattro o cinque. L’associazione degli anestesisti, pur con molta cautela, ha chiesto una legge più chiara; il recente pronunciamento dello scaduto (e non ancora rinnovato) Comitato Nazionale per la bioetica sulle Direttive Anticipate di Trattamento ha messo in luce l’impossibilità di escludere ogni eventualità eutanasica nel caso in cui il medico si attenga alle disposizioni anticipate redatte dai pazienti. Anche nella diga opposta dalla Chiesa si stanno aprendo alcune falle che, pur restando nell’alveo della tradizione, permettono di intervenire pesantemente con le cure palliative e di non intervenire con terapie sproporzionate che non portino benefici concreti al paziente. L’opinione pubblica è sempre più cosciente dei rischi insiti nel lasciare al medico ogni decisione sulle terapie da praticare. Molti hanno assistito un famigliare, un amico o un congiunto durante una malattia incurabile e altamente invalidante ed hanno maturato la decisione di, se fosse capitato a loro, non percorrere fino in fondo la stessa strada. Altri hanno assistito alla tragedia di una persona in stato vegetativo persistente.
Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire. Chi condivide, con amore, il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la sua guarigione. I medici, resi impotenti da patologie finora inguaribili, sperano nel miracolo laico della ricerca scientifica. Tra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali riescono a spostare sempre più in avanti nel tempo. Per il modo in cui le nostre possibilità tecniche ci mantengono in vita, verrà un giorno che dai centri di rianimazione usciranno schiere di morti-viventi che finiranno a vegetare per anni. Noi tutti probabilmente dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento, e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza.

Sua Santità, Benedetto XVI, ha detto che “di fronte alla pretesa, che spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino all’eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale”. Ma che cosa c’è di “naturale” in una sala di rianimazione? Che cosa c’è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c’è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l’aria nei polmoni? Che cosa c’è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l’ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata? Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa “giocare” con la vita e il dolore altrui.
Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente ‘biologica’ – io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico.

Sono consapevole, Signor Presidente, di averle parlato anche, attraverso il mio corpo malato, di politica, e di obiettivi necessariamente affidati al libero dibattito parlamentare e non certo a un Suo intervento o pronunciamento nel merito. Quello che però mi permetto di raccomandarle è la difesa del diritto di ciascuno e di tutti i cittadini di conoscere le proposte, le ragioni, le storie, le volontà e le vite che, come la mia, sono investite da questo confronto.

Il sogno di Luca Coscioni era quello di liberare la ricerca e dar voce, in tutti i sensi, ai malati. Il suo sogno è stato interrotto e solo dopo che è stato interrotto è stato conosciuto. Ora siamo noi a dover sognare anche per lui.

Il mio sogno, anche come co-Presidente dell’Associazione che porta il nome di Luca, la mia volontà, la mia richiesta, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l’eutanasia. Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi, olandesi.

Piergiorgio Welby

(24 febbraio 2009)


Lettera aperta di Piergiorgio Welby al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
 

Allegati

  • 200px-Welby_7.jpg
    200px-Welby_7.jpg
    12,1 KB · Visite: 371
"A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare…”

Parole di Pippo Fava ammazzato dalla mafia a Catania il 5 gennaio del 1984. Aveva trascorso la vita contrastando mafie di ogni natura, non smettendo mai di fare nomi e cognomi, contestualizzando gli eventi, riportando alla luce quello che avrebbe dovuto restare nascosto, invisibile agli occhi della pubblica opinione. Lo hanno ammazzato perché non si era lasciato intimidire e aveva usato la parola recitata e scritti per colpire i mafiosi, i loro mandanti, i loro protettori, nella politica e nelle istituzioni, locali e nazionali.
 

Allegati

  • assassinio_pippo_fava_4-gennaio_1984.jpg
    assassinio_pippo_fava_4-gennaio_1984.jpg
    81,2 KB · Visite: 459
Giuseppe Fava moriva assassinato in un agguato mafioso a 60 anni.
Fava era uno scrittore di fama nazionale oltre ad essere principalmente un giornalista e autore di teatro. Da un anno aveva fondato, insieme ad un gruppo di giovani giornalisti suoi soci nella cooperativa Radar, il mensile I Siciliani.


Nell’editoriale del primo numero aveva elencato i temi di cui la rivista avrebbe cominciato ad occuparsi: la crescita spaventosa della mafia, il sogno fallito dell’industria, la corruzione politica, l’inquinamento delle coste e la campagna pacifista in risposta allo stanziamento di missili nucleari nelle Basi Nato della regione. I giornalisti, attraverso lo strumento dell’inchiesta, riuscivano così ad approfondire temi e questioni che l’informazione siciliana fino a quel momento non aveva preso in considerazione. Il tutto condito da una cronaca di stampo letterario, il continuo racconto delle storie di vita, un grande laboratorio di scrittura e nuovi linguaggi.

Così quel mensile di approfondimento diventava il manifesto della libertà di stampa in Sicilia: un giornale “senza padroni e né padrini” che si era rivelato un vero e proprio terremoto nel mondo della stagnante informazione regionale siciliana, oltre a diventare una spina nel fianco dei politici collusi e dei mafiosi.

Nel primo numero era presente l’inchiesta probabilmente più importante di tutta la storia de I Siciliani: “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, un servizio dedicato ai quattro maggiori imprenditori catanesi, Rendo, Graci, Costanzo e Finocchiaro. Di loro aveva parlato il generale dalla Chiesa prima di essere ucciso dalla mafia, rispondendo all’intervista di Giorgio Bocca: “I quattro maggiori imprenditori catanesi oggi lavorano a Palermo - aveva detto dalla Chiesa - lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?”.

C’era una nuova mappa del potere mafioso, e I Siciliani, che avevano seguito le cronache di quegli anni, lo avevano capito e ne cominciavano a delineare i contorni. Non fu un caso così scoprire che uno degli imputati dell’omicidio dalla Chiesa era stato proprio Nitto Santapaola, boss in ascesa della mafia catanese, fino all’anno precedente ritenuto un semplice imprenditore rampante, amico delle istituzioni e del mondo degli affari, nonché protettore dei cavalieri del lavoro.
Negli anni de I Siciliani, nella Sicilia scossa dall’“effetto dalla Chiesa”, si scopre così da quel giornale che la mafia a Catania è ben radicata, che il territorio etneo sta diventando di primissimo piano nello scacchiere della criminalità organizzata, rivelandosi centro nevralgico degli equilibri economici di Cosa nostra. Tutto ciò sebbene i catanesi non lo avessero ancora sospettato, tranquillizzati dalle istituzioni e dalla grigia informazione di palazzo che cercavano di minimizzare gli accadimenti in una città investita da una ondata di violenza senza precedenti che aveva fatto meritare il titolo di “città nera” d’Italia.


I Siciliani di Giuseppe Fava
 

Allegati

  • pippo_Fava.jpg
    pippo_Fava.jpg
    141,2 KB · Visite: 203
:'(
se ricordo bene correva l'anno 1982

grandissimo Pippo, un uomo/giornalista che non guardava in faccia a nessuno :clap::clap:

a confronto, questi odierni sembrano dei burattini :(
 
:'(
se ricordo bene correva l'anno 1982

grandissimo Pippo, un uomo/giornalista che non guardava in faccia a nessuno :clap::clap:

a confronto, questi odierni sembrano dei burattini :(

Hai ragione. Coraggiosi in maniera straordinaria, sprezzanti dei pericoli e delle
minacce per amore della verità...per amore della propria terra
.

"La causa umana fondamentale
della mafia è la miseria senza vie d’uscite, cioè la miseria che riunisce
l’ignoranza, la malattia, la superstizione, la sporcizia, la violenza.
Anche le cose futili della vita diventano essenziali. In un paese dove ogni
individuo maggiorenne ha la possibilità di lavoro ben retribuito, non si troverà
mai un uomo disposto ad uccidere per centomila lire o per un milione".

"Io ho un concetto etico di giornalismo. Un giornalismo fatto di verità,
impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera
le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi
sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici
il buon governo. Se un giornale non è capace di questo si fa carico di vite
umane. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, della verità
si porta sulla coscienza tutti i dolori che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze, che non è stato
capace di combattere


Pippo Fava (nato il 15 settembre 1925 - ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984)


 

Allegati

  • sicily.jpg
    sicily.jpg
    99,6 KB · Visite: 329
Ultima modifica:
Nelle sue “lettere aperte”, indirizzate a figure delle più importanti istituzioni etnee - sindaci, onorevoli e procuratori - Fava descriveva e analizzava le cronache di una città stravolta dalla violenza, scagliandosi contro l’inerzia del potere, responsabile dello stato di miseria e disperazione che la città attraversava:


"Catania in definitiva è una città in cui questa facilità di ricchezza e questa inesorabilità della miseria, questa continua possibilità di imbroglio morale e politica nella conquista della vita, questa continua negazione di ogni diritto o principio di pubblica morale, provoca in migliaia di giovani una irresistibile vocazione alla violenza […]. Ora Catania è questa, sanguinaria, immorale, spietata, ingovernata, una città dove la società attuale, cioè questa interpretazione della democrazia, sta sperimentando tutte le sue infamie ed i suoi inganni, una città che fa paura ed ha paura."


Giuseppe Fava, Cosa accadrà a Catania, Espresso Sera, 29/12/1975
 

Allegati

  • catania_lyh30dh4801qb0bzxo1_500.jpg
    catania_lyh30dh4801qb0bzxo1_500.jpg
    64,5 KB · Visite: 88




G. Bellocco, famoso boss, amava comporre delle poesie e delle canzoni, dedicate proprio alla sua attivita’ di uomo d’onore: dei testi per esaltare il lavoro degli affiliati alla ‘ndrangheta, con racconti sulle fughe del boss, sugli scontri-incontri con le forze dell’ordine.

Alcune di queste composizioni di Gregorio Bellocco sono state trasformate in vere e proprie canzoni.
 

Allegati

  • klr_lsixoy0mrp1r2o6too1_400.jpg
    klr_lsixoy0mrp1r2o6too1_400.jpg
    44,3 KB · Visite: 305
Indietro