A world of love

"Noi viviamo in un paese sporcato dal sangue dalla *********tà, dalla vanità e dalla violenza del potere. […] c’è la strafottenza politica di noi siciliani, popolo, siciliano intendo, cinque milioni di esseri umani che continuano a delegare il loro destino ai meno capaci. Cioè cinque milioni di esseri umani intelligenti i quali potrebbero essere al centro della civiltà mediterranea e non riescono a organizzare il loro destino.
Ecco, noi siamo giornale del Sud per questo; per dare ai siciliani quella presenza politica e culturale che aspettavamo. Diciamo politica poiché tutti i problemi della società, la giustizia, la violenza, l’economia, la morale, costituiscono politica. E diciamo cultura poiché noi vi racconteremo tutto quello che accade, nella attualità dell’Italia e dell’estero, nella cronaca di Catania e delle altre città siciliane, nell’arte, nello spettacolo, nello sport, e di ogni cosa che accade cercheremo sempre, onestamente e profondamente di capire il come e il perché. Questa è cultura. Ecco appunto, noi vogliamo lottare ogni giorno (e non c’è alcuna retorica in questa parola, ma solo collera, amore e orgoglio) per organizzare il destino di noi siciliani."



Giuseppe Fava, Con amore collera e speranza, Giornale del Sud, 04/06/1980
 

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I cento passi

Nel 1993 Claudio Fava e il regista Marco Risi preparano, per Canale 5, un servizio su Peppino, il primo di una serie intitolata “Cinque delitti imperfetti”, quelli di Impastato, Boris Giuliano, Giuseppe Insalaco, Mauro Ristagno e Giovanni Falcone.


“Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano Badalamenti ci sono cento passi. Li ho consumati per la prima volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che lavava i marciapiedi e gonfiava i vestiti. Mi ricordo un cielo opprimente e la strada bianca che tagliava il paese in tutta la sua lunghezza, dal mare fino alle prime pietre del monte Pecoraro. Cento passi, cento secondi: provai a contarli e pensai a Peppino. A quante volte era passato davanti alle persiane di Don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai a Peppino, con i pugni in tasca, tra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in fondo alla Sicilia.” (Claudio Fava, “Cinque delitti imperfetti”, Mondatori 1994, p.9)

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POESIE DI PEPPINO

Appartiene al tuo sorriso
l'ansia dell'uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un pò d'attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore.​
 
:bow:Grazie Ludvis per il tuo post! Abbiamo spesso la memoria corta distratti da cose magari più frivole e di poco valore, ma il coraggio di certe persone ci trasmette speranza e una gran voglia di giustizia e onestà.

Peppino lo fecero a pezzi sui binari della ferrovia di Cinisi nella notte tra l´8 e il 9 maggio del 1978
. Lo misero sulle rotaie quando era già stordito, adagiarono il corpo su una carica di tritolo e fecero brillare l´esplosivo. Poi, per 23 anni, provarono a seppellirne il ricordo sotto una montagna di falsi e calunnie per una ricostruzione di comodo che lo voleva alternativamente suicida o saltato per aria maneggiando l´esplosivo. Trenta chili di resti su 300 metri.

La notizia della sua morte giunse nel giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Nel cono d´ombra di una tragedia nazionale la fine di Peppino era una nota a margine in un´Italia squassata dal terrorismo. Non per chi quel ragazzo esile ma dotato di un´energia contagiosa aveva conosciuto. Erano stati lì gli amici di Peppino. Erano alla ferrovia a tentare di avvicinarsi alla scena del delitto. I carabinieri, coordinava il maggiore, futuro generale, Antonio Subranni, tenevano a distanza solo loro. Poi andarono a perquisirgli le case. Nell´appartamento della zia, Fara Bartolotta, dove Peppino viveva, trovarono anche un frammento di diario. Era del novembre del 1977. C´era l´amarezza di un attivista che non conosceva il limite tra privato e politico. Bastò quella lettera per la tesi del suicidio.
«Era tutto pianificato», raccontò all´Antimafia l´allora commissario della Digos, Alfonso Vella, arrivato a Cinisi quando i carabinieri stavano già smobilitando.

C´era da stabilire l´ora in cui Impastato era ancora vivo su quei binari. Sarebbe stato interessante sentire la casellante di turno fino alle 22 dell´8 maggio del 1978. Si chiamava Provvidenza Vitale. Nessuno la cercò. E c´era la «lettera d´addio» trovata da Carmelo Canale, aggregato a Cinisi in quei giorni in una stazione che aveva una unità in sovrannumero. Il necroforo comunale però si ricordava di un brigadiere che gli disse di cercare una chiave tra i cespugli. Liborio, così veniva chiamato, di chiavi ne trovò tre ma non andavano bene. Il brigadiere gli disse di cercare ancora, poi quella chiave la trovò lui. Apriva Radio Aut. Era proprio quella che Impastato teneva sempre nella tasca dei pantaloni. Non era né annerita, né piegata dall´esplosione. Scherzi di un ordigno che risparmia anche gli occhiali della vittima e ne dilania il cranio.

L´esplosivo era esplosivo da cava. Non fu esaminato. E non furono rilevate impronte sulla macchina di Impastato. Contro ogni evidenza era suicidio o attentato. Tutto, fuorché mafia. Tutto contro gli indizi che invece gli amici di Peppino, con gli avvocati Turi Lombardo e Michelangelo Di Napoli, avevano raccolto. Trovarono, ad esempio, una pietra rossa insanguinata nel casotto di fianco ai binari della ferrovia. Fu lì che gli assassini colpirono Peppino.

«Era sangue mestruale», tagliarono corto i carabinieri. Era sangue zero negativo, gruppo raro, lo stesso di quello di Peppino accertò Ideale Del Carpio. E sangue dello stesso gruppo trovarono i periti Caruso e Procaccianti su una pietra di quel rudere. Ma la casa non c´è neppure nello scarno fascicolo fotografico rimasto agli atti.


Peppino Impastato La verità uccisa due volte | Palermo la Repubblica.it
 

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Era un destino segnato quello di Peppino Impastato. Era nato a Cinisi in una famiglia di mafia. Il marito di sua zia, Cesare Manzella, era un boss di prima grandezza nel firmamento delle coppole. Suo padre, Luigi, aveva un amico che era il numero uno di Cosa nostra, Tano Badalamenti. Ma Peppino "il ribelle", militante di una sinistra che si componeva e si divideva, alimentando una galassia di sigle, partiti e movimenti, cambiò la sua sorte. E Tano Badalamenti diventò il mandante del suo assassinio.

La fine di Peppino, morto a 30 anni, il 9 maggio del 1978, 5 giorni prima della sua elezione a consigliere comunale di Cinisi nelle liste di Democrazia proletaria, impresse una decisa sterzata al corso della vita di chi gli sopravvisse. Di sua madre, Felicia Bartolotta e di suo fratello Giovanni, come di sua cognata Felicetta. Diventarono i custodi della sua memoria e insieme con Salvo Vitale e Umberto Santino, il fondatore del centro di documentazione antimafia, gli implacabili cacciatori di una verità evidente che in pochi intendevano riconoscere. Gli accusatori dei «Notissimi ignoti». Badalamenti, in primo luogo, il cui nome era stato indicato già dal palco nel primo comizio, tenuto due giorni dopo la scoperta del cadavere.

Ci sono voluti 23 anni perché Peppino Impastato diventasse con bollo di giustizia un morto di mafia. E quell´omicidio un delitto contro la parola. L´assassinio di un giornalista postumo. Perché Peppino fu iscritto all´albo professionale, quando finalmente Badalamenti, nel 1997, fu incriminato. Parlava Peppino. Parlava tanto in una Cinisi muta, sorda e cieca.

Parlava dai palchi improvvisati sui quali rappresentava il suo impegno. Si faceva ascoltare dai microfoni di Radio Aut. Grazie a Salvo Vitale e Guido Orlando è possibile riascoltare la sua voce nelle otto trasmissioni riprodotte nel dvd "Onda Pazza" appena uscito per Nuovi Equilibri con prefazione di Vauro.

Peppino mostrava cosa stavano facendo del suo paese, con l´aeroporto in ampliamento, l´America dei cugini d´oltreoceano sempre più vicina, la droga a fiumi e la speculazione dei signori del cemento alle porte. Faceva nomi e cognomi. Di mafiosi e di politici. Che andavano a braccetto e si facevano fotografare insieme.

Tano Badalamenti, l´11 aprile 2002, fu condannato all´ergastolo per quel delitto ma il 30 aprile 2004, a 80 anni, morì nel centro medico penitenziario Devens Fmc, ad Ayer (Massachusetts): scontava 45 anni per un colossale traffico di droga sulla rotta aerea Usa-Sicilia. Il 5 marzo 2001, Vito Palazzolo, braccio destro di Badalamenti, anche lui amico degli Impastato, aveva rimediato trent´anni.



Poesie di Peppino:

Seduto se ne stava
e silenzioso
stretto a tenaglia
tra il cielo e la terra
e gli occhi vuoti
fissi nell'abisso.


Fresco era il mattino
e odoroso di crisantemi.
Ricordo soltanto il suo viso
violaceo e fisso nel vuoto,
il pianto delle donne,
il singhiozzo della campana
e una voce amica:
"è andato in paradiso
a giocare con gli angeli, tornerà presto
e giocherà a lungo con te".


Stormo d'ali contro il sole,
capitombolo nel vuoto.
Desiderio,
erezione,
masturbazione,
orgasmo.
Strade silenziose,
volti rassegnati:
la notte inghiotte la città
 

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Un pizzino per Peppino Impastato


Cento parole possono servire per scrivere

una lettera d'amore, per una poesia,

per una canzone, persino per un racconto.

cento parole ci fanno esprimere, capire

cento parole bastano per urlare la nostra

indignazione e la nostra protesta,

cento parole possono farci sorridere,

piangere, consolarci, offenderci,

cento parole sembrano niente e invece

sono tanto. Come cento passi: a contarli così

non ci fanno venire il fiatone

ma ci sono cento passi che,

come cento parole, possono far male,

mettono a nudo la violenza

e il sopruso, cento passi più cento parole

fanno rivivere Peppino.

Contro la dimenticanza, contro l'indifferenza

DARWIN PASTORIN
(Giornalista e scrittore)
 

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Il 18 novembre del 1994 il collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo aveva messo a verbale: «Secondo quanto ho appreso dal vice rappresentante della nostra famiglia, Vito Palazzolo, l´omicidio è stato voluto da Gaetano Badalamenti ed eseguito da Francesco Di Trapani e Nino Badalamenti (entrambi morti, ndr)».

Tano Badalamenti decise il delitto, onorando a suo modo un patto con Luigi Impastato, il padre di Peppino. Ordinò di liquidare il ragazzo solo quando Luigi, di ritorno da un viaggio in Usa, morì in un misterioso incidente stradale, sul quale, manco a dirlo, non si indagò. Era andato negli Usa a perorare l´intercessione di qualche mammasantissima per avere salva la vita del figlio.

Dopo due archiviazioni (nel 1984 e nel 1992), nell´aprile del 1995, l´indagine era stata riaperta. La famiglia, parte civile con l´avvocato Vincenzo Gervasi. Palazzolo fu il primo a essere condannato. Felicia Bartolotta aveva 85 anni.

«Ora - disse la madre - tutti sanno qual è la verità. Ora aspetto la condanna di Badalamenti e poi posso anche morire». Morì il 10 dicembre 2004 a 88 anni. Ripeteva:
«Anche gli insetti se lo sono mangiati mio figlio. Che ci vado a fare al cimitero? Lì non c´è. Solo un sacchetto, questo mi hanno lasciato».
Qualche anno prima l´avevano ricoverata in coma. Scoprirono che aveva due ematomi alla testa.
Spiegò: «Mi mettevo davanti alla foto di Peppino e mi davo pugni in testa fino a stonarmi».
 

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"E' normale che esista la paura,
in ogni uomo, l'importante è che sia accompagnata dal coraggio.
Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo
che impedisce di andare avanti."

Paolo Borsellino
 

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"Palermo non mi piaceva, per questo
ho imparato ad amarla.
Perché il vero amore consiste nell'amare ciò che non ci piace per poterlo
cambiare."

Paolo Borsellino






Ricordo che mio marito mi disse testualmente che "c'era un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato". Me lo disse intorno alla metà di giugno del 1992. In quello stesso periodo mi disse che aveva visto la "mafia in diretta", parlandomi anche in quel caso di contiguità tra la mafia e pezzi di apparati dello Stato italiano. In quello stesso periodo chiudeva sempre le serrande della stanza da letto di questa casa (l'abitazione palermitana dei Borsellino, ndr ) temendo di essere visto da Castello Utveggio». Mi diceva "ci possono vedere a casa"». Il castello è sul Monte Pellegrino, sede di un centro studi ritenuto una copertura del servizio segreto civile su cui si sono appuntate molte indagini. Ma gli ultimi accertamenti svolti dai pm di Caltanissetta portano a escludere collegamenti tra quella località e la strage di via D'Amelio

AGNESE BORSELLINO
.
 
«Cari figli miei, decidere di scrivervi è molto difficile per me. (…). Non lasciatevi mai comprare
dal denaro, non permettete a nessuno di calpestare la vostra dignità,
regalate la vostra anima solo a Dio, non abbandonate mai i vostri sogni,
perseguiteli sempre».


Queste le parole che Carmela Iuculano rivolge ai propri figli per spiegare le scelte della sua vita: ribellarsi alla mafia!
Carmela compie la classica «fuitina» ad appena 16 anni con Pino Rizzo: il boss di Cerda (Palermo) legato a Bernardo Provenzano. I Rizzo sono complici di Nino Giuffrè (oggi pentito), braccio destro di Provenzano, condannato a 20 anni di carcere per la strage di Capaci.

Quindi per Carmela matrimonio riparatore con Pino a 18 anni. Risultato: tre figli, anoressia, alcolismo e depressione.
Tra botte e tradimenti la vita ha regalato a Carmela innumerevoli e terribili esperienze.

Alla fine la svolta: accusa suo marito di essere un estorsore, un assassino. Per questo il boss viene condannato all´ergastolo anche in appello. E ha svelato come funzionavano i colloqui in carcere dei boss mafiosi che servono soprattutto per «dettare» ordini all’esterno. Come? Attraverso la trasmissione di bigliettini, portati e consegnati dai cosiddetti «postini», tra cui la stessa Carmela con i bambini strumentalizzati per coprire le voci «intercettate» degli incontri.
 

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«Mi sono ritrovata con tre figli da sola, perché i miei genitori non mi hanno sostenuta e mio marito non mi ha seguita. I miei figli devono vedere cosa è il bene e cosa il male, io l'ho imparato quando ho iniziato a collaborare, a 31 anni, e non è giusto che i miei figli crescano come sono stata cresciuta io. A me la forza oggi me l'ha data la fede, ma soprattutto i miei figli, perché sono dei bambini più maturi dell'età che hanno e ogni volta che sono scoraggiata mi dicono: 'Mamma ma che stai facendo' Alzati mamma, non ti preoccupare, mamma'? L'unica mia forza sono loro, per me sono bambini speciali'[?] Mi manca la mia terra, il mare, il sole, ma mi piace questa nuova Carmela: mi sento pulita, libera, sono una persona normale come tutti, non sono più impigliata in quella ragnatela che è la mafia che ti stringe fino a non farti più respirare. La mafia non finirà mai, fino a quando la gente, i commercianti, gli imprenditori e i politici continuano ad abbassare la testa e ad aver paura di dire no e di denunciare...allora sì che la mafia non finirà mai».

La Iuculano in aula ha fatto appello più volte al marito, dicendo:

«Io sono qui. Io credo nei miracoli e credo nel miracolo che lui finalmente possa trovare il coraggio, perché il coraggio è questo e non quello di andare avanti, ammazzando le persone e facendo le angherie agli altri. Il coraggio è di seguirmi e scegliere la sua vera famiglia che sono sua moglie e i suoi figli».
 

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«Alzava le mani e quando piangevo ricordo che mi diceva che lo faceva non perché era cattivo, ma perché doveva farmi capire come funzionavano le cosa là dentro'poi quando è nata mia figlia grande, avevo 18 anni, pensavo che sarebbe cambiato con la nascita della bambina....Una volta vedevo delle armi, una volta dei biglietti, una volta troppa gente che lo veniva a cercare, gente strana; poi iniziano a girare dei soldi, e finché io avevo ancora le bambine così piccole non chiedevo, obbedivo e basta. Quando sentivo le notizie di cronaca non riuscivo a collegarle a mio marito, alla famiglia di mio marito, non riuscivo nemmeno a immaginare che lui potesse uccidere una persona».

Carmela non può separarsi dal marito - in quanto per i mafiosi il divorzio non è concepibile - con il tempo decide di collaborare con lui per sentirsi rispettata e soprattutto accettata.

Pino Rizzo intanto inizia la sua ascesa all'interno di Cosa Nostra ma il 24 luglio del 2002, viene arrestato con l'accusa di associazione mafiosa ed estorsione. Come tutti i boss mafiosi continua a 'lavorare' anche dal carcere: 'detta' il suo volere attraverso la trasmissione di bigliettini, portati e consegnati dai cosiddetti 'postini', tra cui la stessa moglie Carmela.

Il 3 maggio 2004 Carmela viene arrestata. Il 10 maggio è di nuovo libera: le vengono concessi gli arresti domiciliari. Ma quando torna a casa trova una situazione inaspettata: le figlie le manifestano il loro forte disagio: «Mi dissero: 'Mamma questa è vita secondo te'? E allora gli ho detto: 'Cosa volete da me' Cosa volete che io faccia'? Ero disperata, non riuscivo più nemmeno a controllare le mie figlie. E loro mi hanno detto:
'Perché non dici la verità? Collabora!'».

Per Carmela è una scelta molto difficile: deve denunciare suo marito e quindi dividere la sua famiglia. Ma le figlie la convincono e quindi decide di scrivere una lettera di denuncia ai magistrati.

Carmela oggi è una donna nuova.
 
"Non mi chiedete chi sono i politici
compromessi con la mafia perchè se rispondessi, potrei destabilizzare lo Stato"


TOMMASO BUSCETTA
 

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"C’è una storia dietro ogni persona.
C’è una ragione per cui loro sono quel che sono.
Loro non sono così solo perché lo vogliono.
Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli.”

Sigmund Freud.
 

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13 Marzo 2013

« Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui. Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca. »


(Il primo messaggio pubblico di Papa Francesco)
 

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"Un popolo che non si prende cura dei bambini e degli anziani è un popolo in declino"

PAPA FRANCESCO

(novembre 2011 - Cattedrale di Lujan - provincia di Buenos Aires – Argentina)
 

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Ti penso e cambia il mondo è un singolo di Adriano Celentano.
Il brano è stata scritto da Pacifico per il testo e da Matteo Saggese e Stephen Lipson per la musica.

La canzone parla di un dialogo tra un uomo e Dio che lo rassicura circa il suo futuro dopo l'addio ultimo alla vita.

L'impianto armonico della canzone è il Preludio in do minore, opus 28, numero 20 di Fryderyk Chopin







Affamati come lupi
viviamo in crudeltà
E tutto sembra perso
in questa oscurità
All’angolo e indifeso
ti cerco accanto a me… da soli
gli occhi non vedono
Ti penso e cambia il mondo
le voci intorno a me
Cambia il mondo,
vedo oltre quel che c’è
Vivo e affondo,
e l’inverno è su di me
ma so che cambia il mondo
se al mondo sto con te
C’è una strada in ogni uomo,
un’opportunità
il cuore è un serbatoio
di rabbia e di pietà
Credo solo al tuo sorriso
nel senso che mi dà
Da soli… gli occhi non vedono
Ti penso e cambia il mondo
le voci intorno a me
Cambia il mondo
vedo oltre quel che c’è
Vivo e affondo
e l’inverno è su di me
Lo so che cambia il mondo
se al mondo sto con te
Io sono qui… ti aspetto qui
Oltre il buio mi vedrai
Saprò difenderti… proteggerti
e non stancarmi mai
Acqua nel deserto… ti troverò
Dormi e si vedrà
Ti sentirai accarezzar
Ti penso e cambia il mondo
le facce intorno a me
Cambia il mondo
vedo oltre quel che c’è
Vivo e affondo
E l’inverno è su di me
Ma so che cambia il mondo
se al mondo sto con te
Coro:
Io sono qui… ti aspetto qui
Oltre il buio mi vedrai
Saprò difenderti.. proteggerti
e non stancarmi mai
Acqua nel deserto.. ti troverò
Dormi e si vedrà
Ti sentirai accarezzar
Ti penso e cambia il mondo
le voci intorno a me
Cambia il mondo
vedo oltre quel che c’è
Vivo e affondo
E l’inverno è su di me
Ma so che cambia il mondo
se al mondo sto con te
 

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Continuo a scrivere papà, scrivere veloce, con la parola che attacca la parola, la riga che rincorre la riga, con lo spazio che si accorcia, e con le cose da dire che pretendono di essere raccontate.”.

Pino Roveredo - Mio padre votava Berlinguer



Pino Roveredo è nato nel 1954 a Trieste
È una confessione al padre, operaio-calzolaio sordomuto, scomparso, ma che è ancora vivo nel ricordo e nelle parole di chi ha preso la penna per fissarlo per sempre, per iscriverlo nei dati sfuggenti della vita
.

È un padre, quello di cui si parla, che votava Berlinguer, ma, prima che per una scelta ideologica, per la consapevolezza che lui era
“una brava persona”, e questo giudizio continua a premere sulla realtà rimasta, di oggi, e a porre problemi. Un buon padre, certo, anche se l’alcol era una delle sue debolezze. E un figlio che ripercorre una sua vita di cadute e risalite, private e pubbliche, alla luce del sole: un figlio che rivendica la sua terza media, il suo operaismo, la sua irregolarità di scrittore, e che si pronuncia sull’attualità rimpiangendo, ma a occhio asciutto, la “fatica” di un tempo, la solidarietà. Fino a comprendere che se parliamo con i nostri morti, essi non muoiono davvero, ma anzi, eccoli tornare qui, in una danza che ci coinvolge tutti e ci fa capire che la memoria è vita



imieilibri.it » Benvenuti!!
 

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Enrico Mattei

Enrico Mattei (Acqualagna, 29 aprile 1906 – Bascapè, 27 ottobre 1962) è stato un imprenditore, politico e dirigente pubblico italiano.
Nell'immediato dopoguerra fu incaricato dallo Stato di smantellare l'Agip, creata nel 1926 dal regime fascista; ma invece di seguire le istruzioni del Governo, riorganizzò l'azienda fondando nel 1953 l'ENI, di cui l'Agip divenne la struttura portante. Mattei diede un nuovo impulso alle perforazioni petrolifere nella Pianura Padana, avviò la costruzione di una rete di gasdotti per lo sfruttamento del metano, e aprì all'energia nucleare.
(cioè, quando i dirigenti italiani creavano e non sfasciavano :( )

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Chi ha ucciso Enrico Mattei?
 
PROSTITUZIONE - A Cipro o in Serbia ci sono le "scuole" dove vengono avviate alla prostituzione le ragazze che vengono dall'Estremo Oriente, dai Paesi dell'ex Unione sovietica o dall'Africa.
Poi le "aste" per aggiudicarsele e "piazze-stage" per testarne la capacità di guadagno.
E infine un controllo capillare delle mafie che prevede anche dei chip sottopelle per evitarne la fuga.


Paesi "scuola" dove le schiave vengono parcheggiate e preparate al marciapiede. Paesi "stage" per testarne la capacità di guadagno. Cellulari e microchip per controllare il movimento dei corpi in vendita. Organizzazioni criminali transnazionali specializzate nello sfruttamento della prostituzione.

Nuove piazze del sesso a pagamento: dalla strada ai night club, passando per i centri massaggi, fino alle sale Bingo. La fabbrica delle lucciole non si ferma mai, lavora a ciclo continuo adattandosi alle richieste del mercato, alle leggi e perfino alle ordinanze dei sindaci. Cambiano le rotte, ma il business non si arresta. Quali sono i Paesi di transito? Dove si trovano i centri di smistamento? Quale il giro d'affari?

Outdoor e indoor Gli analisti distinguono così il sesso a pagamento da marciapiede da quello tra quattro mura.



Enzo Jannacci che ha cantato per primo il mondo della prostituzione milanese, con canzoni come T'ho compràa i calsett de seda, storia di un ruchetè, cioè un protettore.

T'ho comprato le calze di seta con la riga nera
tu camminavi al mio fianco come una pantera
tu sopra il gradino del marciapiede, io giù dal gradino, com'era bello!
Tu senza cappello, io col cappello in testa, com'ero bello!
Caminavom semper insema.
La gent che la pasava la ghe' guardava, la se voltava e le diseva:
"va quel li', el gh'ha compraa anca la stola, el dev ess on poo on pistola".
Quel pistola seri mi.
Ti mollo ogni sera in piazza Beccaria
dove tu mostri sotto banco la tua mercanzia
tu sul marciapiede, io dentro al caffé dei magnaccia
tu a guadagnare i soldi, io a spendere i soldi con i magnaccia
Tutte le volte che siamo assieme c'è sempre qualcheduno
in qualche cantone
che mi guarda e che dice:
"Guarda quello lì, ha la donna che batte, deve essere un po' pistola"
Ah, sarei io il pistola? Pistola sarai tu.
Tu hai la moglie da mantenere
Tu lavori tutti i giorni ...
Ah, sarei io il pistola? Pistola sarai tu.




 
LA FABBRICA DELLE LUCCIOLE
Settantamila ragazze, una su due straniera e una su 5 minorenne, 9 milioni di clienti, un giro d'affari di 5,6 miliardi di euro all'anno. Sono i numeri dell'industria della prostituzione in Italia. Detro c'è una costellazione di mafie internazionali che modificano continuamente flussi, piazze e sistema di alleanze.

Vietato in Svezia, Romania, Irlanda e Lituania, in molti Paesi, compreso il nostro, il mercato del sesso viene tollerato ma solo a determinate condizioni, lasciando comunque sanzionabile l'eventuale reato di sfruttamento. In Austria, Ungheria, Germania e Olanda l'attività è regolamentata direttamente dallo Stato


Nella musica leggera un brano che è quasi un inno è Lucciole vagabonde, del quale è molto noto l'incipit del ritornello Noi siam come le lucciole... Composto nel 1927 da Cesare Andrea Bixio e Bixio Cherubini, e interpretato da Achille Togliani, è stato poi ripreso da Claudio Villa, Aurelio Fierro, Gigliola Cinquetti e Milva.

Noi siamo come le lucciole
Brilliamo nelle tenebre
Schiave di un mondo brutal
Noi siamo i fior del mal.
Se il nostro cuor vuol piangere
Noi pur dobbiam sorridere
Danzando sul marciapiè
Finché la luna c'è



 
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