amor et scientia sunt essentia vitae

  • Ecco la 66° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    I principali indici azionari hanno vissuto una settimana turbolenta, caratterizzata dalla riunione della Fed, dai dati macro importanti e dagli utili societari di alcune big tech Usa. Mercoledì scorso la Fed ha confermato i tassi di interesse e ha sostanzialmente escluso un aumento. Tuttavia, Powell e colleghi potrebbero lasciare il costo del denaro su livelli restrittivi in mancanza di progressi sul fronte dei prezzi. Inoltre, i dati di oggi sul mercato del lavoro Usa hanno mostrato dei segnali di raffreddamento. Per continuare a leggere visita il link

Ucraina: attacchi russi nella regione di Zaporizhzhia, 3 morti. L'Aiea: 'Si rischia un grave incidente nucleare'​

Il direttore generale Grossi: 'Questi attacchi sconsiderati devono cessare immediatamente'

Il Cremlino ha definito "una provocazione molto pericolosa" gli attacchi sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia, accusando le forze armate ucraine.

"Questa è una provocazione molto pericolosa. I dipendenti dell'Aiea che sono sul posto hanno avuto l'opportunità di assistere a questi attacchi. Questa è una tattica molto pericolosa che ha conseguenze molto negative a lungo termine", ha detto il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, secondo la Tass.

Ucraina: attacchi russi nella regione di Zaporizhzhia, 3 morti. L'Aiea: 'Si rischia un grave incidente nucleare' - Notizie - Ansa.it
 
FUORI TEMPO MASSIMO.

Mappa diffusa in queste ore, che illustrerebbe la "soluzione TRUMP" se quest'ultimo venisse eletto a fine anno.

La mappa in realtà è GIA' superata, purtroppo: nel senso che prima che Trump sia rieletto (novembre, ammesso che lo sia), la probabile offensiva russa su larga scala che si prevede in primavera-estate si sarà già conclusa, tagliando via l'intera regione di Kharkov che sarà annessa alla Fed. Russa, irreversibilmente.

In secondo luogo, sussiste un'ambiguità, ovvero occorre capire cosa si intende per zona militarizzata e "demilitarizzata": se si intende che quella militarizzata avrà facoltà di essere integrata nella Nato, allora di certo NO, dato che non si accetterà una singola base Nato sul territorio ucraino.

Un piano come questo (smentito rapidamente dai media americani), poteva - con 100 "forse" - andare bene PRIMA della guerra. Ora è tardi e la posta si è alzata.
Proposta accettabile in linea di massima.....ma fuori tempo.

A parte questo poi, vedo che da occidente si continua a considerare le cose alla stregua dei tanti casi di guerra fredda che si è visto: divisioni territoriali tipo corea del Nord e del Sud, Vietnam nord/sud...Germania est/ovest, etc., soluzione semplice.

Sull'UCRAINA no, questo non sarà possibile: non è uno stato come gli altri per Mosca, ma fascia esterna del proprio heartland culturale e strategico (questo non lo si riesce proprio ad assimilare) e non può essere diviso. Per la sua difesa integrale è disposta a protrarre la guerra ad oltranza o portarla al livello atomico.

Fonte:
 

La Germania schiera soldati in Lituania. Ira di Mosca: "Adotteremo misure speciali"​

Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha affermato che la presenza di soldati tedeschi nel Paese baltico è "una continuazione delle crescenti tensioni" e una minaccia per la sicurezza nazionale della Federazione
Si scalda il confine tra Russia e Lituania. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha indicato lo stanziamento di soldati tedeschi nel Paese baltico come “una continuazione delle crescenti tensioni”, che impone a Mosca di “adottare misure speciali” a tutela della propria sicurezza per gestire queste “situazioni di pericolo”.

Parole, queste, in linea con la retorica adottata da Vladimir Putin nei confronti della Nato, vista come l’aggressore che ha costretto la Federazione a imbarcarsi nell’avventura militare in Ucraina. Peskov non ha spiegato la natura dei provvedimenti che il governo russo ha intenzione di adottare, ma si può ipotizzare che consisteranno in un aumento del personale e dei mezzi militari stanziati lungo il fianco orientale dell’Alleanza atlantica. La Lituania in particolare si trova in una posizione particolarmente vulnerabile, schiacciata tra l’exclave di Kaliningrad e la Bielorussia, il cui dittatore Alexandr Lukashenko è l’unico alleato dello zar nel Vecchio continente.

La Germania schiera soldati in Lituania. Ira di Mosca: "Adotteremo misure speciali"
 
“Per dirla con Spinoza, viviamo in un’epoca dominata da quelle che il filosofo chiama le ‘passioni tristi’, dove il riferimento non è al dolore o al pianto, ma all’impotenza, alla disgregazione e alla mancanza di senso, che fanno della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l’Occidente ha saputo adattarsi, perché si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà…Un po’ di musica sparata nelle orecchie per cancellare tutte le parole, un po’di droga per anestetizzare il dolore o per provare una qualche emozione, tanta solitudine tipica di quell’individualismo esasperato, sconosciuto alle generazioni precedenti, indotto dalla persuasione che – stante l’inaridimento di tutti i legami affettivi – non ci si salva se non da soli, magari attaccandosi, nel deserto dei valori, a quell’unico generatore simbolico di tutti i valori che nella nostra cultura si chiama denaro.”

Umberto Galimberti
 
“Lo Stato in guerra si permette tutte le ingiustizie, tutte le violenze, la più piccola delle quali basterebbe a disonorare l’individuo. Esso ha fatto ricorso, nei confronti del nemico, non solo a quel tanto di astuzia permessa, ma anche alla menzogna cosciente e voluta, e questo in una misura che va al di là di tutto ciò che si era visto nelle guerre precedenti. Lo Stato impone ai cittadini il massimo di obbedienza e di sacrificio, ma li tratta da sottomessi, nascondendo loro la verità e sottomettendo tutte le comunicazioni e tutti i modi di espressione delle opinioni ad una censura che rende la gente, già intellettualmente depressa, incapace di resistere ad una situazione sfavorevole o ad una cattiva notizia.”

Sigmund Freud
 
E che cosa pensavano ?
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Le sei azioni che influenzano la tua frequenza vibratoria.

1° - I Pensieri
Ogni pensiero emette una frequenza verso l'universo e quella frequenza ritorna verso l'origine, allora nel caso, se hai un pensiero negativo, di sconforto, tristezza, rabbia, paura, tutto questo tornerà verso di te. Ecco perché è così importante prendersi cura della qualità dei propri pensieri e imparare a coltivare pensieri più genuini.
2° - Le compagnie
Le persone intorno a te influenzano direttamente la tua frequenza vibratoria. Se ti circondi di persone allegre, positive, determinate, calme, entrerai anche tu in queste vibrazioni, mentre se ti circondi di persone reclamatrici, maledicenti e pessimiste, stai molto attento ! Potrebbero diminuire la tua frequenza e di conseguenza impedirti di far funzionare la legge dell'attrazione a tuo favore.
3° - La musica
La musica è potente. Se ascolti solo musica che parla di morte, tradimento, tristezza, abbandono, tutto questo interferirà con le tue vibrazioni. Fai attenzione alla calligrafia della musica che ascolti, potrebbe diminuire la tua frequenza vibratoria. E ricorda: tu attiri verso la tua vita esattamente ciò in cui vibri.
4° - Le cose che vedi
Quando vedi programmi che affrontano disgrazie, morte, tradimenti, ecc. Il tuo cervello accetta ciò come unica realtà, liberando un'intera chimica in tutto il corpo, andando a influenzare la tua frequenza vibratoria. Se proprio devi guardare qualcosa, guarda cose che ti fanno stare bene e ti aiutino a vibrare su una frequenza più alta.
5° - L' Ambiente
Che sia a casa tua o a lavoro, se passi gran parte del tuo tempo in un ambiente disorganizzato e sporco, anche questo influenzerà la tua frequenza vibratoria. Migliora ciò che è intorno a te, organizza e pulisci la tua atmosfera. Mostra all'universo che sei adatto a ricevere molto di più. Prenditi cura di quello che hai già !
6° - La Parola
Se ti abitui a reclamare o parlare male delle cose e delle persone, questo influirà sulla tua frequenza vibratoria. Per mantenere la frequenza alta è fondamentale eliminare l'abitudine di reclamare, lamentarsi e parlare male degli altri. Evita di fare drammi, di colpevolizzare e di vittimizzarti.

"Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi."

(Eraclito)
 
La Russia "boots on the ground" in Niger.

Ieri 100 istruttori militari russi dell'Afrika Korps sono arrivati ufficialmente a Niamey. Armeranno e addestreranno le forze armate del Paese "in vece" dei francesi.
L'annuncio è arrivato direttamente dal rappresentante del governo golpista nigerino, il colonnello Amadou Abdraman:

"Siamo qui per addestrare l'esercito nigerino e per aiutare con l'uso delle attrezzature militari che sono arrivate qui", ha detto uno degli istruttori russi.
I militari hanno infatti portato con sé a bordo di un IL-76 un sistema di difesa aerea che consentirà di controllare lo spazio aereo del Paese: "Con questa nuova acquisizione di attrezzature militari, il nostro spazio aereo sarà ora meglio protetto", ha detto Amadou Abdraman. Al di là della sostanza, è il punto di vista formale di questo approdo ad essere degno di nota.

Come già approfondito varie volte,
il processo di "sostituzione" della presenza militare occidentale con quella russa specie nei Paesi dell'Africa occidentale è il frutto delle iniziative portate avanti dal vice Ministro della Difesa di Mosca Yunus-Bek Yevkurov all'indomani della morte di Yevgeny Prigozhin. Sebbene la Wagner PMC resti molto attiva in diverse aree del Continente Nero (ad esempio in Mali, in Rep. Centrafricana e in almeno mezza dozzina di altri Paesi) il Ministero della Difesa russo ha creato nuovi progetti, come la African Iniziative, per prendere in mano ufficialmente ciò che ufficiosamente era stato appaltato alla Wagner.

Oltre alle iniziative sul campo legate soprattutto alla sfera militare e al supporto dato ai governi nella lotta alle milizie di integralisti islamici, la Russia ormai da oltre un anno sta cercando di proporsi ai governi africani (golpisti o democratici che siano) come alleato affidabile in varie sfere: assistenza alimentare, sfera culturale, energia.

L'invio di forze militari è il "biglietto da visita" della Russia e ciò che anche solo alla vista sancisce un passaggio di consegne ideale dalla sfera di influenza francese a quella di Mosca. I francesi sono stati cacciati malamente dal Niger dopo il golpe e, nonostante le minacce di invasione militare avanzate dai Paesi ECOWAS confinanti, la nuova leadership nigerina è stata ormai di fatto accettata da tutti (anche perché gode del sostegno della popolazione).

Niamey, insieme ai vicini Mali e Burkina Faso forma l'Alleanza degli Stati del Sahel, un fronte comune alternativo ad ECOWAS e legato a doppio filo con Mosca.
L'arrivo delle forze russe, annunciato da tempo, era stato ritardato per vari motivi: la necessità di coinvolgere unità aggiuntive in Siria nel programma di "integrazione e sostituzione" della Wagner PMC e l'invio forzato di militari nella regione di Belgorod bersaglio degli attacchi dei DRG provenienti dall’Ucraina.

di Daniele Dell'Orco

Fonte:
 
L'Occidente cerca l'incidente

La prima volta che sentii parlare dell'attacco di Pearl Harbor fu a scuola e ricordo di aver pensato "Questi giapponesi, a proposito di Pearl, sono davvero dei pirloni ad aver attaccato gli americani. Siamo sicuri che le cose sono come ci vengono raccontate?". Non è che da piccolo fossi capace di chissà quali vette di ragionamento - né lo sono adesso che mi avvio alla mezza età - ma propenso al dubbio com'ero, avrei scoperto successivamente che il famoso assalto giapponese alla flotta americana avvenne a seguito di una lunghissima serie di provocazioni ad opera degli Stati Uniti, alle quali il Giappone rispose in maniera impropria. D'altra parte, il concetto di "casus belli" non l'ho certo inventato io e, termine non a caso di derivazione latina, nasce nell'era di un Impero Romano che aveva bisogno di un pretesto per poter aggredire dei territori, senza allarmare le altre popolazioni che a quel punto, intuendo le ambizioni dell'imperatore di turno, avrebbero potuto coalizzarsi e sconfiggerlo.

L'Occidente da due anni è a caccia, in Ucraina di un pretesto che scateni una reazione impropria dell'orso russo - l'ultimo è il danneggiamento della centrale nucleare di Zaporizhzhia, di cui cercano di incolpare Putin (come se quest'ultimo avesse interesse a devastare una centrale nucleare a poche centinaia di miglia da casa) - e parimenti, in Palestina, anche se qui fa fare il lavoro sporco a Israele, cerca di provocare l'Iran affinché una risposta imprudente gli dia il destro per poter colpire senza allarmare tutta quella parte di mondo che ad oggi non si è ancora ufficialmente schierata.

I paesi aggrediti, al momento, non reagiscono. Secondo molti, questo è un segnale di debolezza. Da questa pagina si ha l'ambizione, se volete persino presuntuosa, di cercare di spiegare perché, al contrario, questo sia, per l'Occidente, un pessimo segnale.

Chi le cose della politica le segue senza le lenti rosa della propaganda ma con quelle scure del realista, sa benissimo che gli Stati Uniti sono in grave difficoltà. Il combinato disposto dell'enorme debito pubblico americano sommato alla progressiva perdita di forza penetrativa, mette in discussione la bilancia commerciale americana che non ha più spazi da depredare per sfamare il proprio popolo e quello dei paesi sottoposti alla sua influenza.

La Federazione Russa e l'Iran lo sanno benissimo e quindi cercano di resistere per non dare pretesti agli Stati Uniti. Ma questo, che potrebbe sembrare come un segnale di debolezza, è al contrario un sintomo di grande forza.

Mio nonno, proprio per raccomandare al figlio - mio padre - di non farsi trascinare nelle risse, gli raccontava sempre di quella volta che, nella sua campagna, un contadino grosso come un armadio, che veniva provocato da un contadino molto più giovane e debole, un bel giorno si incazzò e saltò addosso a quello più piccolo e che quest'ultimo gli diede un calcio nelle parti intime che lo fece praticamente morire sul colpo. Il senso del discorso era: perché mettersi in una zuffa nella quale ti puoi fare male se sai di essere comunque il più forte?

Se la Federazione Russa e l'Iran non reagiscono è perché sono perfettamente consapevoli che gli Stati Uniti non hanno vita lunga e, dunque, aspettano che si logorino da soli, senza il bisogno di farsi trascinare in una rissa che può essere controproducente per chi è in una condizione di maggiore forza.
L'Occidente continuerà a cercare l'incidente, in una costante guerra che è anzitutto psicologica. Vincerà chi è in grado di usare la testa, non le testate nucleari.

-di Franco Marino-
[Fonte: L'Occidente cerca l'incidente (di Franco Marino)]
 
Per l’Ucraina “il quadro è cupo”. Alti ufficiali parlano di crisi militare e politica

Il giornale statunitense Politico ha intervistato alcuni ufficiali militari ucraini di alto rango che hanno prestato servizio sotto il generale Valery Zaluzhny silurato a febbraio da Zelenski. Le conclusioni sono che per l’Ucraina “il quadro militare è cupo”.

Gli ufficiali ucraini affermano che c’è un grande rischio che le linee del fronte crollino ovunque i generali russi decidano di concentrare la loro offensiva.

Inoltre, grazie a un peso numerico molto maggiore e alle bombe aeree guidate che stanno distruggendo le posizioni ucraine ormai da settimane, la Russia sarà probabilmente in grado di “penetrare la linea del fronte e di schiantarla in alcune parti“.

Tanto per dare l’idea del clima a Kiev, gli alti ufficiali ucraini hanno preteso la condizione di anonimato per poter parlare liberamente.

“Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina ora, perché non ci sono tecnologie serie in grado di compensare l’Ucraina per la grande massa di truppe che la Russia probabilmente lancerà contro di noi. Noi non abbiamo queste tecnologie, e l’Occidente non le ha altrettanto bene in numero sufficiente”, ha detto a Politico una delle fonti militari ucraine intervistate.

Secondo questo ufficiale “sono solo la grinta e la resilienza ucraine, così come gli errori dei comandanti russi, che ora possono alterare le cupe dinamiche”.

Tuttavia, gli ufficiali ucraini hanno ricordato che fare affidamento sugli errori russi non è una strategia, e sono rimasti amareggiati per i passi falsi che, a loro dire, hanno ostacolato la resistenza ucraina fin dall’inizio. Passi falsi compiuti sia dall’Occidente che dall’Ucraina.

Hanno anche criticato aspramente il ritardo dell’Occidente, dicendo che i rifornimenti e i sistemi d’arma sono arrivati troppo tardi e in numero insufficiente per fare la differenza che altrimenti avrebbero potuto fare.

“Zaluzhny la chiamava ‘la guerra di una possibilità“, ha detto uno degli ufficiali. “Con questo, intendeva dire che i sistemi d’arma diventano ridondanti molto rapidamente perché vengono rapidamente contrastati dai russi. Ad esempio, abbiamo usato con successo i missili da crociera Storm Shadow e SCALP [forniti da Gran Bretagna e Francia], ma solo per un breve periodo. I russi studiano sempre. Non ci danno una seconda possibilità. E ci riescono”.

“Ma spesso, semplicemente non otteniamo i sistemi d’arma nel momento in cui ne abbiamo bisogno, arrivano quando non sono più rilevanti”, ha detto un altro alto ufficiale, citando i caccia F-16 come esempio.

Una dozzina di F-16 dovrebbero essere operativi quest’estate, dopo che l’addestramento di base dei piloti sarà stato completato. “Ogni arma ha il suo momento giusto. Gli F-16 erano necessari nel 2023; Non saranno giusti per il 2024”.

E questo perché, secondo questo ufficiale, la Russia è pronta a contrastarli: “Negli ultimi mesi, abbiamo iniziato a notare missili lanciati dai russi da Dzhanchoy, nel nord della Crimea, ma senza le testate esplosive. Non riuscivamo a capire cosa stessero facendo, e poi l’abbiamo capito: stanno cercando di testare il raggio d’azione”, ha detto.

L’ufficiale ha spiegato che la Russia sta calcolando dove posizionare al meglio i suoi missili S-400 e i suoi sistemi radar al fine di massimizzare l’area che possono coprire per colpire gli F-16, tenendoli lontani dalle linee del fronte e dagli hub logistici russi.

Gli ufficiali hanno anche detto che ora hanno bisogno di più armi tradizionali di base e droni. “Abbiamo bisogno di obici e proiettili, centinaia di migliaia di proiettili e razzi“, ha detto uno di loro a Politico, stimando che l’Ucraina abbia bisogno di 4 milioni di proiettili e 2 milioni di droni.

L’Europa, da parte sua, sta cercando di aiutare l’Ucraina a compensare il suo colossale svantaggio nei proiettili di artiglieria. E a questo proposito, la proposta di acquisto di munizioni di artiglieria alla rinfusa avanzata dalla Repubblica Ceca, potrebbe portare il totale dell’Ucraina sia all’interno che all’esterno dell’UE a circa 1,5 milioni di colpi per un costo di 3,3 miliardi di dollari, ma è ancora al di sotto di ciò di cui ha bisogno.

Gli ufficiali intervistato sostengono che avevano bisogno anche di molti, molti più uomini. Il paese attualmente non ha abbastanza uomini in prima linea, e questo sta aggravando il problema del deludente sostegno occidentale.

Tuttavia, le autorità ucraine sono preoccupate per le ricadute politiche che le misure di mobilitazione potrebbero portare e stanno facendo i conti con l’evasione della leva. A dicembre Zaluzhny aveva chiesto più truppe, stimando che l’Ucraina avesse bisogno di almeno altri 500.000 uomini. Da allora, la questione della bozza è andata avanti e indietro.

Poi, la scorsa settimana, il generale Syrsky che ha sostituito Zaluzhny, ha improvvisamente annunciato che l’Ucraina potrebbe non aver bisogno di così tante truppe fresche. Dopo una revisione delle risorse, la cifra è stata “significativamente ridotta” e “ci aspettiamo di avere abbastanza persone in grado di difendere la loro madrepatria“, ha detto all’agenzia di stampa Ukrinform. “Non parlo solo dei mobilitati, ma anche dei combattenti volontari“, ha detto Syrsky.

Il piano è quello di spostare in prima linea il maggior numero possibile di personale in uniforme e di coloro che svolgono ruoli non di combattimento, dopo un addestramento intensivo di tre o quattro mesi.

Ma gli alti ufficiali sentiti da Politico hanno detto che Syrsky si sbagliava e “giocava con le narrazioni dei politici“.

Poi, martedì, Zelenskyy ha firmato alcune parti aggiuntive di una vecchia legge sulla mobilitazione che inasprisce i requisiti legali per gli uomini ucraini in età di leva per registrare i propri dati e abbassa l’età minima per la chiamata alle armi da 27 a 25 anni. Ma in Ucraina, questo è visto solo come un ritocco ininfluente.

“Non abbiamo solo una crisi militare, ne abbiamo una politica”, ha detto uno degli ufficiali. Mentre l’Ucraina rifugge da una grande leva, “la Russia sta ora raccogliendo risorse e sarà pronta a lanciare un grande attacco intorno ad agosto, e forse prima”.

[Fonte: Alessandro Avvisato: Per l’Ucraina “il quadro è cupo”. Alti ufficiali parlano di crisi militare e politica]
 
L’Ucraina ha fame di truppe: arruola reclute ma non congeda i veterani

Il parlamento ucraino ha dato infine il via libera ieri alla nuova legge sulla mobilitazione con 283 voti a favore, 43 astenuti e un solo voto contrario, dopo il decreto che ha abbassato da 27 a 25 anni l’età minima per l’arruolamento ma dai 18 anni sarà possibile arruolarsi volontari, anche se i più giovani non ricopriranno compiti di prima linea.

A differenza della prima stesura, la legge non prevede la coscrizione anche di persone affette da disabilità. I soggetti chiamati al servizio militare dovranno presentarsi agli uffici di registrazione e di arruolamento entro 60 giorni dall’annuncio della mobilitazione. La convocazione può essere inviata tramite e-mail.

Il disegno di legge obbliga inoltre i cittadini dai 18 ai 60 anni a portare con sé i documenti di registrazione militare durante il periodo di mobilitazione e a presentarli su richiesta dei dipendenti dell’ufficio di registrazione e arruolamento militare, della polizia e delle guardie di frontiera.

Per i cittadini ucraini in età di leva diventa ora impossibile ottenere il rinnovo del passaporto anche se si trovano all’estero senza uno specifico certificato di assolvimento degli obblighi militari: aspetto che mira a colpire gli 800 mila maschi in età compresa tra 18 e 60 anni che Kiev valuta si trovino in Europa con lo status di rifugiati.

Inasprite anche le sanzioni per chi cerca di sottrarsi alla chiamata alle armi nel tentativo di frenare il fenomeno dilagante della renitenza alla leva che vede molti maschi adulti nascondersi o tentare la fuga all’estero come testimoniano anche le notizie del numero crescente di ucraini affogati ritrovati dalle guardie di frontiera rumena sulla riva del fiume Tibisco che segna il confine tra i due paesi o i numerosi arresti effettuati dalle guardie di confine ucraine lungo i confini con Polonia, Slovacchia e Ungheria (nella foto sopra due giovani con “mimetica invernale” catturati mentre tentavano di attraversare il confine).

La nuova legge, che deve ancora essere firmata dal presidente Volodymyr Zelensky, potrebbe scavare un solco ancora più profondo tra il governo e la società ucraina in cui l’elevato numero di perdite in battaglia, la pessima situazione militare e l’assenza di informazioni circa l’assenza di informazioni di moltissimi soldati che risultano ufficialmente “dispersi” hanno ridotto la fiducia nella vittoria e classe dirigente di Kiev.

Il decreto peggiorerà inoltre il morale dei militari già al fronte che devono fronteggiare l’offensiva russa in condizioni di crescente inferiorità. La legge infatti ha soppresso poco prima dell’approvazione parlamentare il congedo dei militari che avevano prestato servizio per 36 mesi, che significa oggi 26 di guerra. Un duro colpo per i veterani costretti dalla carenza di truppe a restare in servizio.

Con l’esercito ucraino in inferiorità numerica rispetto alla Russia sul campo di battaglia, ”l’offensiva continua lungo tutta la linea del fronte e attualmente è impossibile indebolire le forze di difesa”, ha annunciato alla televisione statale Dmytro Lazutkin, portavoce del ministero della Difesa ucraino.

”Non possiamo prendere decisioni affrettate adesso”, ha aggiunto, spiegando l’opposizione dei militari al provvedimento. I leader militari hanno esercitato pressioni sui politici affinché abbandonassero un progetto di legge, approvato a febbraio in prima lettura, che avrebbe dato ai soldati in servizio da più di 36 mesi la possibilità di essere congedati.

Il progetto di legge era stato approvato in prima lettura in parlamento a febbraio ma l’articolo di legge è stato rimosso ieri, prima della seconda lettura, dopo un appello in tal senso del ministro della Difesa, Rustem Umerov, e del capo di stato maggiore delle forze armate generale Aleksander Syrsky.

Syrsky aveva recentemente ridimensionato il fabbisogno di nuove reclute indicandolo al di sotto dei 500 mila effettivi ipotizzati nei mesi scorsi ma senza dichiararne l’entità precisa.

L’impatto della legge sulla mobilitazione rischia di avere un impatto pesante sul consenso popolare nei confronti del governo e della guerra. Un sondaggio del Centro Razumkov rilevato oggi dal quotidiano spagnolo indica che Zelensky gode del gradimento di appena il 26 per cento della popolazione contro il 56 per cento dell’ottobre 2023.

E a proposito di sondaggi, una ricerca condotta dall’ufficio statistico polacco (CBOS) ha rilevato che il 74,8% dei polacchi si oppone al coinvolgimento dell’esercito polacco o di qualsiasi altro paese della NATO nel conflitto in Ucraina, mentre solo il 10,2% è favorevole a tale sostegno.

[Fonte: L’Ucraina ha fame di truppe: arruola reclute ma non congeda i veterani (AGGIORNATO) – Analisi Difesa]
 
C’è una logica nel fatto che presumibilmente le PMC americane reclutino detenuti latinoamericani per combattere in Ucraina

Il servizio di intelligence russo SVR ha riferito martedì che le PMC (Società Militari Private) americane stanno reclutando spacciatori messicani e colombiani condannatigrazie al lavoro della DEA e dell’FBI. Viene offerta loro la completa amnistia se sopravvivono, ma a quanto pare le trattative non stanno andando bene perché i membri dei cartelli non vogliono accettare senza l’approvazione dei loro capi, che secondo SVR stanno contrattando con le agenzie di sicurezza americane per vendere i loro membri alle PMC al prezzo più alto possibile.

È impossibile verificare questa affermazione scandalosa, ma c’è una logica che rende questo rapporto credibile. Le carceri americane sono sovraccariche, quindi c’è un ovvio interesse a ridurne la capacità incanalando alcuni dei detenuti stranieri più violenti verso le PMC americane per l’invio in Ucraina. I detenuti latinoamericani tendono inoltre a formare potenti bande che terrorizzano gli altri detenuti e talvolta anche le guardie. Rimuoverli dal sistema carcerario ha quindi molto senso.

L’Ucraina ha bisogno di tutta la manodopera possibile, soprattutto di coloro che hanno esperienza nel maneggiare armi da fuoco, come la maggior parte dei membri del cartello. Il mese scorso è stata presentata alla Rada una proposta di legge per legalizzare la mobilitazione dei prigionieri, mentre il comandante delle forze terrestri ha dichiarato all’inizio della settimana che a nessuno è permesso di rimanere fuori dal conflitto. Ciò ha fatto seguito all’abbassamento dell’età di leva da 27 a 25 anni da parte dell’ Ucraina, al fine di rifornire le sue forze impoverite dopo che la Russia aveva dichiarato a febbraio di aver già perso oltre 444.000 soldati.

Per quanto logico possa sembrare questo presunto schema di reclutamento, esso comporta un considerevole rischio di ritorni di fiamma, poiché coloro che sopravvivono potrebbero costituire una minaccia senza precedenti per i loro Paesi d’origine al loro ritorno. La regione è già in preda alla violenza dei cartelli, guidati da gruppi messicani e colombiani, e l’Ecuador è quasi caduto in mano ai cartelli all’inizio di gennaio. I membri con esperienza sul campo di battaglia potrebbero addestrarne altri, con l’obiettivo di prendere un giorno il controllo di uno Stato.

Naturalmente, le agenzie di sicurezza americane contano sul fatto che questi prigionieri vengano uccisi dalla Russia se accettano di andare in Ucraina per partecipare alla guerra per procura della NATO, ma anche la sopravvivenza di una sola manciata di persone potrebbe destabilizzare ulteriormente l’America Latina con il passare del tempo e la trasmissione della loro esperienza. Un altro punto interessante su cui soffermarsi è il motivo per cui queste PMC starebbero reclutando detenuti stranieri. Il rapporto dell’SVR suggerisce quindi che non ci sono abbastanza persone che si uniscono di propria iniziativa.

Questo include sia gli americani che i latino-americani, quindi si suppone che vengano reclutati i detenuti, e non quelli normali, ma solo quelli stranieri con probabile esperienza nel maneggiare armi da fuoco. I membri delle gang locali dei quartieri poveri sono probabilmente considerati troppo indisciplinati e il loro eventuale ritorno nelle strade potrebbe causare un grande scandalo politico se si diffondesse la notizia di ciò che hanno dovuto fare per essere rilasciati. Inoltre, le agenzie di sicurezza non vogliono che addestrino altri membri delle gang.

Tutto sommato, questo presunto schema di reclutamento non dovrebbe cambiare le dinamiche strategico-militari del conflitto ucraino, esattamente come ha concluso l’SVR nel suo comunicato stampa. Il suo unico significato è che rafforza quanto l’Occidente sia disperato nel perpetuare la sua guerra per procura, aiutando Kiev a rifornire le sue forze per prevenire un possibile sfondamento russo entro la fine dell’anno. Tuttavia, questo potrebbe essere inevitabile, il che renderebbe questo piano del tutto inutile.

[Fonte: C’è una logica nel fatto che presumibilmente le PMC americane reclutino detenuti latinoamericani per combattere in Ucraina]
 
Ancora su Julian Assange, sì ancora e ancora, fino alla libertà

1. Seguendo un copione creato a tavolino per ingannare la mente di chi si abbevera ai telegiornali della sera, gli Stati Uniti continuano a tirare il guinzaglio legato al collo del cagnolino d’oltremanica. Quel cagnolino era un tempo l’Impero britannico’, oggi solo un maggiordomo che esegue gli ordini dell’Impero Atlantico: tenere Julian Assange in prigione fino alla morte.

Per la più grande democrazia al mondo – da esportare, se del caso, a suon di bombe e che ormai solo i politici europei (e italiani) credono sia tale – il rischio più esecrabile è costituito dall’emergere della verità. Avendo coltivato l’impudenza di esporre al mondo i crimini commessi da americani e britannici in Iraq e Afganistan, esercitando la professione di giornalista, egli deve morire!

Quel bel tomo di H. Kissinger affermò un giorno che occorreva far rinsavire il popolo cileno che aveva osato votare per Allende, con le buone o con le cattive maniere. In analogia, secondo l’avariata narrativa a guida Usa, democrazia e verità sono valori da difendere solo se non interferiscono con le loro impudicizie e quelle dei loro compagni di merenda. Dietro tale narrativa si celano individui spietati, affetti da gravi patologie e per i quali ricchezze e potere non sono mai abbastanza. Coloro che stanno spingendo il mondo nel baratro della distruzione sono gli stessi che prosperano con il sostegno di politici/burocrati, giornalisti e accademici, tutti ben remunerati con carriere e prebende. Fintantoché i popoli resteranno in silenzio, i potenti potranno dormire sonni tranquilli.

Julian Assange deve scontare la sua pena percorrendo un binario interminabile, condannato a invecchiare e morire in prigione, possibilmente sul suolo britannico, per non imbarazzare un Impero mortifero e in declino. Solo un miracolo potrà salvarlo. A loro volta, i carnefici fanno affidamento sulla propensione alla noia e all’oblio di una società che magari s’indigna, ma poi dimentica, perché frastornata da propaganda e altre aggressioni, guerre e tensioni di ogni genere.

Non dimenticare è invece il dovere di ogni cittadino del mondo, poiché il reato commesso da Julian – un reato raro come la pietra filosofale e vissuto come un privilegio – è stato quello di fare giornalismo, anzi buon giornalismo. La libertà di stampa è del resto più rilevante di quella di parola (individuale), poiché quest’ultima può essere soppressa più facilmente.

2. Il 25 marzo 2024, il tribunale di Londra, in un’ennesima umiliazione del diritto, ha stabilito che Assange può opporsi all’estradizione negli Stati Uniti solo se questi ultimi non saranno in grado di produrre tre ordini di garanzie: a) che non gli sia negato il diritto alla libertà di parola (a riprova che i giudici corrotti di un paese asservito considerano i cittadini degli imbecilli); b) che egli non sia discriminato sulla base della nazionalità, non essendo cittadino statunitense (una seconda indecenza, poiché all’impero non interessa certo il colore del passaporto); c) che nel sistema penale degli Stati Uniti egli non sia condannato alla pena capitale (come se non vi fossero altre forme di punizione persino peggiori: Guantanamo docet). Londra ha smesso da tempo di essere una terra dove si applica il diritto, ora ha abbandonato anche la decenza.

I media dominanti definiscono tale decisione una notizia meravigliosa o almeno una tregua, mentre, come spiega Jonathan Cook[1], l’obiettivo resta quello di tenerlo rinchiuso all’infinito: il resto è un cumulo di turpitudini. ‘Assange è prigioniero di una farsa legale senza fine, continua a marcire in una cella di Belmarsh, … e l’obiettivo, aggiunge Cook, è sempre quello di prendere tempo, farlo sparire dalla vista del pubblico, diffamarlo, distruggere la piattaforma online che ha rivelato i crimini commessi da americani e britannici.

Il messaggio imperiale è chiaro: questo è il destino che attende coloro che oseranno seguire l’esempio di Assange, magari rivelando al mondo quello che proprio in questo momento quegli stessi apparati stanno facendo, come al solito di nascosto. L’auspicio che prendiamo la libertà di esprimere con ogni vena del cuore e dell’intelletto è che un giorno tutti costoro siano giudicati non solo davanti al tribunale della storia e della loro coscienza, ma anche in un’aula di tribunale: tutti, esecutori e mandanti!

Con una sentenza ipocrita quanto mai, dunque, le cosiddette istituzioni del Regno Unito (meglio sarebbe chiamarle destituzioni) vogliono far sparire il fondatore di Wikileaks, eseguendo gli ordini ricevuti. Sono cinque anni che Assange giace in una prigione disumana, dove sconta un crimine che non ha commesso. La democrazia britannica chiama giustizia un sistema che imprigiona un individuo su ordine di un paese di cui non è cittadino, con accuse per crimini inventati, comunque non commessi sul territorio degli Stati Uniti, sulla base di una legge americana sullo spionaggio, approvata un secolo fa! Nulla è più atrocemente tragico di tutto ciò.

Sono cinque anni che ogni giorno Julian Assange viene suppliziato, come documentato – tra i tanti – dall’ex rappresentante delle Nazioni Unite sulla tortura, lo svizzero Nils Melzer (il web è ricco di informazioni al riguardo). Il 1° marzo scorso, Irene Khan, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione ha dichiarato[2] che l’eventuale estradizione negli Stati Uniti e incriminazione del fondatore di WikiLeaks avrebbe enormi implicazioni per la libertà di espressione nel mondo intero: ‘raccogliere, riferire e diffondere notizie, anche quando concernono la cosiddetta sicurezza nazionale, è un interesse pubblico, costituisce legittimo esercizio di giornalismo e non certo un crimine’.

Invece di perseguire coloro che hanno commesso le atrocità rivelate e che sono tuttora liberi di continuare a uccidere, i giudici della democratica Britannia, perseguitano colui che tali crimini ha rivelato. Quei giudici affermano persino, con un candore da clerici medievali, che la richiesta di estradizione americana non sarebbe basata su considerazioni politiche. La CIA – è vero – intendeva assassinare Assange (quando egli viveva all’interno dell’Ambasciata ecuadoriana, dal 2012 al 2019), ma quel tempo è passato, ora non ha più questa intenzione. Che vergogna!

3. Quanto alle elezioni americane di novembre, sappiamo già che esse cambieranno solo le faccia di pietra degli intrattenitori serali. Le loro ricchezze non saranno certo in pericolo, così come la corruzione etica e materiale che le ha prodotte. Il partito della guerra resterà al potere, una fazione si scoprirà meno antirussa o più anticinese, entrambe saranno tuttavia sia l’una che l’altra, espressione di bulimia imperiale immorale e minacciosa per la sopravvivenza del genere umano. L’ipertrofia americanista con cui il pianeta ha a che fare è di natura politica, economica e militare, ma anche filosofica, fondata sul perverso convincimento che quella nazione rappresenti una civiltà superiore a qualunque altra. Del resto, per convincersene basta gettare uno sguardo sulle periferie di San Francisco o di Los Angeles. Per somigliare a quelle periferie il mondo dovrebbe diventare saggio e piegarsi all’ordine basato sulle regole celebrato da individui grotteschi e già catalogati negli annali della disumanità. E i nomi degli ultimi iscritti meritevoli di tale riconoscimento, per le menzogne, le distruzioni e i bombardamenti che hanno compiuto o consentito, sono ben noti: J. Biden, A. Blinken, J. Sullivan, V. Nuland, L. Austin, W. Burns e tanti altri sconosciuti (e diversi ancora vi entreranno a novembre). E i nostalgici del passato farebbero bene a prendere coscienza che l’America di un tempo non è oggi che un cumulo di impulsi primitivi, che ha sotterrato l’essenza della civiltà d’origine, quella greco-romana, che poneva al centro la nozione del limite nell’esercizio del potere e nell’accumulo di ricchezze.

La tecnica dell’impero, poi, è quella dello strangolamento al rallentatore e la vediamo all’opera in Palestina, dove Israele riceve armi e denaro per bombardare e uccidere di stenti i poveri palestinesi, dando a intendere che si sta studiando una qualche soluzione. La medesima tecnica che opera in Ucraina, dove il sangue e la distruzione di quel paese (non certo di quello che l’ha concepita) sono il prezzo richiesto dal perseguimento dell’obiettivo di dissanguare la Russia. La stessa tecnica, infine, che vediamo all’opera contro Assange, una luce a lento spegnimento, nell’attesa di un processo destinato a perdersi nella nebbia. Anche qui, i mandanti sono gli stessi.

Non potendosi più concedersi il lusso di un’invasione, come in Iraq o in Vietnam, l’impero ripiega su minacce, sanzioni, blocchi e conflitti per interposta nazione. Massacrare direttamente popoli e individui che danno fastidio è una pessima pubblicità, meglio siano altri a farlo, mentre una spudorata propaganda confonde cittadini distratti o sprovveduti, incolpando i nemici senza alcuna prova e spesso contro ogni logica.

Il disgusto delle coscienze sane cresce ogni giorno nel mondo, ma non riesce a fare la differenza, perché democrazia è divenuta una parola vuota. Eppure, attenzione egregi signori, siete solo lo 0,1%, una frazione infinitesima degli abitanti della terra, e prima o poi verrete sconfitti: nell’attesa, che la vergogna vi sommerga per l’offesa che recate a Julian Assange, sublime eroe della libertà!

[1] Assange’s ‘reprieve’ is another lie, hiding the real goal of keeping him endlessly locked up

[2] https://www.ohchr.org/en/press-rele...end-prosecution-julian-assange-un-expert-says


[Fonte: Ancora su Julian Assange, sì ancora e ancora, fino alla libertà | La Fionda]
 
Partito l'attacco di Teheran contro Israele

Dopo una giornata di relativa calma, le notizie hanno iniziato a rincorrersi tra loro a partire dal tardo pomeriggio di questo sabato: prima l’annuncio della chiusura di scuole e uffici in tutto il territorio israeliano, poi la “breaking news” relativa a un gabinetto di guerra d’emergenza fissato per mezzanotte in una delle sedi della Difesa israeliana, infine il discorso di Benjamin Netanyahu alla nazione in cui è stato ribadito “di essere pronti a ogni scenario”. Si è capito cioè che, ancora una volta, Israele e l’intero medio oriente avevano più o meno improvvisamente ricominciato il conto alla rovescia per un possibile attacco iraniano.

Soltanto che, a differenza degli ultimi giorni, gli allarmi questa volta sembrerebbero veritieri: dall’Iran, hanno avvisato fonti mediatiche israeliane, poco dopo le 22:00 ora locale sarebbero partiti diversi droni diretti verso lo Stato ebraico. L’esercito è stato posto in stato di allerta, mentre altri Paesi della regione hanno preso le proprie contromisure: la Giordania ad esempio, ha chiuso lo spazio aereo per il timore che gli ordigni lanciati da Teheran possano arrecare problemi alla propria sicurezza. Un’ulteriore conferma che qualcosa di grave si sta agitando sui cieli del medio oriente.

L’Idf conferma l’attacco in corso da parte iraniana​

Quando a Tel Aviv erano quasi le 23:00, sui media locali è apparsa una nota del portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari. Nelle sue parole si è avuta la prima conferma ufficiale da parte dello Stato ebraico dell’attacco partito dall’Iran contro il proprio territorio: “Confermiamo che decine di droni sono stati lanciati dall’Iran verso il nostro territorio – si legge nelle dichiarazioni di Hagari – mentre vi parlo, gli ordigni stanno attraversando lo spazio aereo iracheno. Prima di raggiungere Israele, impiegheranno molte ore”. Il portavoce dell’Idf ha inoltre aggiunto che “sono state prese tutte le misure necessarie per difenderci”, compreso il disturbo del segnale Gps per intercettare i droni.
Sul Times of Israel, si parla però non solo di aerei senza pilota ma anche di missili balistici già lanciati o in procinto di essere lanciati: “L’Iran contro Israele non sta usando soltanto droni – è ribadito negli articolo del quotidiano israeliano – ma anche altri ordigni”. La conferma al Times sarebbe arrivata da alcuni ufficiali israeliani impegnati nei programmi di difesa avviati subito dopo i primi segnali di attacco. Gli attacchi di droni lanciati sarebbero almeno tre: i primi ordigni dovrebbero raggiungere lo spazio aereo israeliano alle ore 2:00 di Tel Aviv, l’1.00 in Italia.

L’allerta in tutta la regione​

Tutti i Paesi confinanti con Israele sono in stato di allerta. La Giordania ha chiuso lo spazio aereo, l’Iraq ha decretato la mobilitazione di tutte le proprie forze armate: da un lato c’è l’esigenza di evitare incidenti tra i velivoli civili e gli ordigni lanciati dall’Iran, dall’altro ovviamente vige anche tra le priorità anche quella di prepararsi a ogni eventualità. Compresa quella dell’escalation. Anche perché intanto dalla pagina X del governo israeliano, è stato ribadito che Israele risponderà a ogni attacco e dunque le prossime ore potrebbero essere decisive per comprendere l’evolversi della situazione.
In allerta ovviamente anche le forze Usa nella regione. Il presidente Biden ha ordinato ai propri uomini sul campo di seguire passo dopo passo la vicenda e trovarsi pronti in caso di necessità. Aerei e navi statunitensi risultano in queste ore in azione dal Golfo Persico fino al Mediterraneo: la nottata appena iniziata potrebbe essere molto lunga e potrebbe segnare l’inizio di una fase non necessariamente breve. Lo stesso Biden, così come anticipato dai network statunitensi, dovrebbe tenere un discorso nelle prossime ore dopo essere rientrato alla Casa Bianca.

I raid israeliani nel sud del Libano e in Siria​

I media israeliani hanno mostrato, poco dopo la notizia del primo attacco iraniano, la riunione del gabinetto di guerra presieduto da Netanyahu tenuto in uno dei bunker usati per le emergenze. Da qui i vertici dello Stato ebraico stanno esaminando la situazione e prendendo le prime contromisure: tra queste, occorre annoverare i raid in corso nelle regioni meridionali del Libano e in alcune aree della Siria non lontane dal Golan.
I bombardamenti sono stati descritti da fonti libanesi come molto intensi e sono iniziati nella tarda serata di sabato. Nel mirino degli ordigni israeliani, obiettivi di Hezbollah situati non lontano dal confine con Israele. Probabilmente l’obiettivo dell’Idf è quello di evitare l’attivazione dei miliziani sciiti libanesi, i quali con i propri razzi potrebbero saturare o comunque rendere meno efficace il sistema Iron Dome.

Caccia in volo​

Ad attivarsi in queste ore non è stata solo la difesa israeliana: molti network Usa infatti, hanno riferito del decollo di almeno due caccia statunitensi diretti all’interno dello spazio aereo iracheno. L’obiettivo dei velivoli sarebbe quello di intercettare già sopra il territorio dell’Iraq i droni diretti in Israele ed “alleggerire” quindi il peso sul sistema difensivo già operativo in Israele. Assieme ai caccia Usa, in volo ci sarebbero almeno due aerei militari francesi e diversi mezzi britannici. Questi ultimi avrebbero intercettato alcuni droni al confine tra Siria e Giordania.

I primi droni su Israele​

Come previsto, alle 2:00 ora locale (ore 1:00 italiana) i primi ordigni hanno fatto la loro comparsa sui cieli israeliani. Gli allarmi anti aerei hanno risuonato nel nord del Paese, anche per via dei razzi lanciati da Hezbollah, a Gerusalemme e nel sud. Esplosioni sono state riportate ad Haifa, principale città del nord di Israele, fonti locali hanno parlato anche di ordigni caduti nel deserto del Negev, non lontano da Beersheva. Qui, nei pressi della località beduina di Arad, un bambino di dieci anni sarebbe rimasto ferito dopo l’impatto di un drone. Almeno cento droni invece, stando alle dichiarazioni riportate dalla radio militare, sarebbero stati abbattuti al di fuori dello spazio aereo israeliano anche con l’aiuto degli alleati.
Il sistema Iron Dome ha contribuito a intercettare molti ordigni piovuti sulle aree israeliane in cui è stata attivata l’allerta aerea. Si prevedono però nuovi attacchi nelle prossime ore, anche perché dall’Iran sarebbero almeno tre le ondate di droni avviati contro il territorio dello Stato ebraico. Negli Usa, dove è stato annullato il discorso del presidente Biden, non sono pochi i funzionari che hanno rivelato ai media la possibilità che l’azione iraniana, con il trascorrere della nottata, possa mette in difficoltà parte delle difese israeliane.
 
In Senegal inizia un nuovo corso

Anche la corte costituzionale ha oramai messo nero su bianco i risultati delle elezioni in Senegal: a vincerle è stato Bassirou Diomaye Faye, ossia il candidato dell’opposizione. Per il Paese africano, le consultazioni hanno quindi rappresentato un’importante prova di maturità democratica: in una regione dove gran parte dei passaggi di consegne è contrassegnato dai colpi di Stato militari, a Dakar il vecchio presidente cederà senza grossi scossoni e in modo pacifico le redini al suo principale rivale.
Del resto, il Senegal è uno dei pochi Paesi africani a non aver subito golpe o episodi ricollegabili a repentine destabilizzazioni del quadro politico. Questo ha favorito una graduale crescita della democrazia, non esente però da storture e da situazioni difficili da decifrare. Adesso occorre capire la direzione che prenderà il governo di Dakar: Faye ha fama di essere “anti sistema” ma soprattutto anti francese. In una fase delicata per l’economia senegalese, le scelte che intraprenderà il nuovo presidente potrebbero essere decisive per gli anni venturi.

Come si è arrivati alla vittoria di Faye​

Il successo di Faye è stato voluto in modo energico dall’elettorato. Una frase, alla luce del 54% da lui ottenuto certificato anche dalla corte costituzionale, che potrebbe sembrare banale o scontata. In realtà, l’elettorato di Faye e quello più generale dell’opposizione ha afferrato questa vittoria con gli artigli e ben prima dell’apertura della campagna elettorale. L’uscente Macky Sall infatti, ha provato in tutti i modi a conservare il suo posto. In primis, interpretando in modo più largo la nuova disposizione costituzionale che prevede l’impossibilità per un presidente in carica di concorrere per più di due mandati consecutivi. Secondo Sall, questa norme non era valevole per il suo primo mandato, essendo stato eletto nel 2012 e dunque prima della riforma costituzionale. In poche parole, occorreva iniziare il conteggio dal voto del 2019 e non da quello precedente.

Non appena però il capo di Stato uscente ha annunciato la sua ricandidatura, in tutto il Paese sono scoppiate importanti proteste. L’opposizione ha fatto sentire la voce grossa nelle piazze e alla fine Sall ha dovuto annunciare la rinuncia al terzo mandato. Questo però non ha interrotto i suoi tentativi di restare al potere: nei mesi scorsi ha avviato un’intensa campagna di repressione contro le voci più critiche, incarcerando i leader dell’opposizione. A partire da Ousmane Sonko, fondatore di Pastef, ossia il partito che negli ultimi anni è diventato il riferimento per gli oppositori di Sall. Sonko è stato accusato di essere sobillatore di rivolte e di aver destabilizzato il Paese in occasione delle proteste. Anche lo stesso Faye ha trascorso gli ultimi mesi in carcere: l’accusa per lui è stata quella di diffamazione, poi è tornato in libertà a campagna elettorale iniziata.
Oltre alla repressione, Sall ha anche provato a rinviare le elezioni. Il motivo è stato dettato dai dubbi sui requisiti di uno dei venti candidati alla presidenza. In questo caso però, non solo i moti di piazza ma anche la stessa corte costituzionale hanno persuaso il capo dello Stato dai suoi propositi: i giudici infatti, hanno affermato il principio secondo cui il presidente non può decidere o meno sul rinvio del voto e ha intimato a Sall la convocazione delle elezioni entro aprile. I senegalesi, in poche parole, hanno prima deciso di rivendicare con forza il diritto di votare e, in un secondo momento, hanno deciso a chi votare. Faye, delfino di Sonko, è riuscito a raccogliere il voto delle opposizioni e a trasformare una potenziale deriva autoritaria in una prova di maturità democratica.

Le future sfide di Dakar​

Adesso viene però il difficile. Faye ha promesso di lottare contro la corruzione e contro l’attuale sistema di potere senegalese. E non sarà affatto semplice. Ma a livello internazionale, le incognite sono ancora più importanti. Il Pastef, oltre che personalmente lo stesso candidato vincitore, ha sempre parlato della necessità di affrancarsi dalla Francia e dal periodo coloniale. Il nuovo presidente cioè si muove lungo il solco di quei sentimenti anti Parigi sempre più diffusi in Africa e, in particolar modo, nella parte occidentale del continente.
Da qui la sua volontà di ridiscutere i contratti con le aziende che in Senegal sono impegnate nelle miniere e nel neonato mercato degli idrocarburi: entro l’anno infatti Dakar diventerà esportatrice di gas e petrolio. L’intento di Faye è quello di applicare tariffe e condizioni più favorevoli al suo Paese, occorrerà vedere però quanto il nuovo capo dello Stato riuscirà a portare a casa e se eviterà un certo irrigidimento di chi ha già investito. Soprattutto tra le tante aziende francesi spettatrici interessate della vicenda.

Non solo, ma Faye ha più volte rimarcato la volontà di uscire dal Franco Cfa, l’area dove vige la moneta unica dell’Africa occidentale. Una valuta agganciata a doppio filo alla Banca centrale francese e vista come strumento neo coloniale da parte di Parigi. Un’uscita del Senegal potrebbe avere un impatto significativo, in Africa come al proprio interno.
 
L'Iran all'Onu: 'Col nostro attacco la questione è conclusa'. Biden ammonisce Netanyahu: 'Stop a controffensiva' - LIVE - Notizie - Ansa.it
07:49

Iran all'Onu: 'Col nostro attacco la questione è conclusa'
L'Iran ha fatto appello a Israele perché non reagisca al suo attacco diretto di droni e missili, definito giustificato e risposta obbligata al raid contro il consolato di Damasco.
"La questione può considerarsi chiusa così", ha detto la rappresentanza iraniana all'Onu. "Ma se il regime israeliano commetterà un nuovo errore, la risposta sarà considerevolmente più dura", ha dichiarato l'ambasciatore Saed Iravani, che ha inviato una lettera alla presidenza del Consiglio di sicurezza Onu e al segretario generale Antonio Guterres affermando che l'attacco contro Israele "rientra nell'esercizio del diritto di Teheran all'autodifesa".


Von der Leyen: 'Iran e alleati cessino subito gli attacchi'
"Condanno fermamente il palese e ingiustificabile attacco dell'Iran contro Israele. Invito l'Iran e i suoi alleati a cessare immediatamente questi attacchi. Tutti gli attori devono ora astenersi da ulteriori escalation e lavorare per ripristinare la stabilità nella regione". Lo scrive su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
 
Comunque , considerando la attuale situazione in essere rimane il principale “problema “ che nessuno dei due potrebbe riuscire in questo momento ad avere una guerra prolungata.
Considerando il fatto che ne gli USA , in primis, ne altri alleati di Israele non riuscirebbero in questo momento ad appoggiare un’altra guerra di lungo raggio potrebbe suscitare il sollievo che , probabilmente, la questione potrebbe essere conclusa diplomaticamente.
Oggi alle ore 07:27 la Giorgia ha richiesto convocazione del G7 , e alle ore 07:30 Ursula ha dichiarato esplicitamente ( ma ipocritamente) che gli alleati dell’Iran ed essa in primo dovranno smettere di provocare Israele in modo insensato e ingiustificato.
Sta di fatto che l’attuale attacco dell’Iran non è ingiustificato come essa afferma in quanto, come sempre sono gli israeliani ad aver attaccato per primi .

Come ultima cosa , ma non meno in portante , il ruolo diplomatico della Cina che non va sottovalutato.
 
Art. prima dell’ attacco di stanotte …

L'ATTESA È PARTE DELL'ATTACCO

Siamo talmente abituati all'idea che la propaganda di guerra sia un'arte prevalentemente occidentale, e che sia fatta essenzialmente di comunicazione, da non accorgerci quasi di come gli avversari dell'occidente ne siano almeno altrettanto maestri, e di come riescano ad usarla addirittura sfruttando la comunicazione del 'nemico' - cioè noi.

Soprattutto negli ultimi dieci, quindici anni, sia gli Stati Uniti che Israele hanno condotto una guerra ibrida contro l'Iran, fatta prevalentemente di omicidi mirati di scienziati nucleari ed alti ufficiali, di sabotaggi e di terrorismo. Basti pensare all'assassinio del generale Qasem Solemaini a Baghdad, nel 2020, da parte degli USA. Ciò che distingue quindi l'attacco israeliano alla ambasciata iraniana di Damasco non è una 'qualità' radicalmente diversa: sicuramente il generale Mohammad Reza Zahedi era importante, ma non come Soleimani, e per quanto colpire una ambasciata rappresenti una escalation nella violazione delle regole internazionali, Israele è talmente strafottente di tali regole che la cosa non ha stupito nessuno, e quei pochi (in occidente) che hanno manifestato indignazione, l'hanno comunque fatto senza particolare enfasi.

La vera differenza, in effetti, sta nell'attesa della ritorsione iraniana.
A Teheran è bastata annunciarla, con sufficiente chiarezza e determinazione. Quel che ne è seguito è sotto gli occhi del mondo: il panico. È come se un gigante, subito dopo aver sferrato un pugno ad un avversario, chiudesse la guardia, arretrasse di un passo e cominciasse a chiedere a destra ed a manca che qualcuno convinca l'avversario a non replicare. Perché, evidentemente, l'avversario sarà anche un peso medio, ma deve avere un uppercut micidiale, che il gigante non ha alcuna voglia di beccarsi.

Prolungare l'attesa dell'attacco di ritorsione, quindi, non è semplicemente una scelta tattica - non colpisci quando e dove il nemico se l'aspetta - ma strategica, e serve precisamente ad alimentare il panico, e ad esporlo in mondovisione. A riprova del fatto che l'arma più potente di cui dispongano gli iraniani non sono i missili ipersonici, la capacità di bloccare lo stretto di Hormuz, e nemmeno la capacità di sviluppare ordigni nucleari, ma - molto semplicemente - il tempo.

Nulla può togliere all'Iran il pieno controllo su quando colpire. Ed è precisamente per questa ragione che l'arrivo dei missili sul suolo israeliano (o qualsiasi altra cosa decidano di fare), non è null'altro che il punto finale, la conclusione dell'attacco. Il quale - che se ne rendano conto a Washington, Tel Aviv o Bruxelles - è già in corso, e sta già producendo i suoi effetti.
L'attesa dell'attacco è così potente, che i suoi effetti si dispiegheranno a lungo dopo l'attacco stesso.

-di Enrico Tomaselli-
[Fonte: ]
 
Ucraina, per il New York Times la matematica la condanna

L'unica possibilità, per l'Ucraina, è aprire negoziati su una base realistica e abbandonare i miraggi neocon.

Nonostante sia palese che la guerra ucraina è persa, l’Occidente resta aggrappato ai dogmi neocon, incapace non solo di trovare, ma anche solo di pensare una exit strategy da una guerra disastrosa per Kiev e per l’Europa, che il conflitto sta degradando sia a livello economico che politico.

Quest’ultimo aspetto inquieta e interpella sia perché denota un asservimento della Politica europea ai circoli neocon, dipendenza mai registrata in tale misura in precedenza, sia perché evidenzia il degrado delle dinamiche democratiche, dal momento che l’opposizione alle linee guida neocon non ha alcuno spazio di legittimità.

Ironico che tale processo involutivo della democrazia, sempre più accentuato, sia alimentato dagli ambiti che sostengono che è in corso una lotta tra democrazia e autoritarismo…

Niente senza l’Ucraina?

Tra i dogmi irrevocabili della narrativa di guerra, quello che vuole che l’Occidente non debba prendere iniziative sui negoziati senza il placet ucraino, conferendo a Zelensky un ruolo di dominus assoluto, ruolo ovviamente solo di facciata essendo egli una marionetta dei neocon.

Al di là di tale circolo vizioso, resta che il dogma “nulla senza l’Ucraina” è stato criticato anche dal democratico Adam Smith, leader dei democratici all’Armed Services Committee della Camera.

In un’audizione, infatti, ha affermato: “Ho sentito più volte questa frase: ‘niente sull’Ucraina senza l’Ucraina’.[…] È una cosa ridicola da dire per qualsiasi diplomatico americano o persona coinvolta nella politica statunitense. Abbiamo partner in tutto il mondo e, certo, li ascoltiamo, ma quando paghiamo il conto, quando spendiamo così tanti soldi per loro, abbiamo voce in capitolo”.

Al di là della narrativa, e per stare agli sviluppi del conflitto, che vede le forze russe macinare inesorabilmente le linee ucraine, è illuminante quanto scritto da un altro esponente politico americano, il repubblicano J.D. Vance, sul New York Times (1).

Vance irride quanti, da Biden in giù, affermano che la difesa dell’Ucraina è ostacolata dalla pattuglia di repubblicani che stanno bloccando gli aiuti a Kiev. “La sfida dell’Ucraina – scrive – non è il GOP; è la matematica. L’Ucraina ha bisogno di più soldati di quanti ne possa schierare, anche con politiche di coscrizione draconiane. E ha bisogno di più materiale [bellico] di quanto ne possano fornire gli Stati Uniti” (Responsible Statecraft) (2).

La controversia sul pacchetto di aiuti non ha alcun fondamento, secondo Vance, perché “non è solo una questione di dollari. Fondamentalmente, non abbiamo la capacità di produrre la quantità di armi di cui l’Ucraina ha bisogno per vincere la guerra“.

Impossibile far fronte alla carenza di munizioni

Su tale aspetto, Vance fa un esempio eclatante: la produzione di proiettili per artiglieria da 155 mm, che si sono dimostrati essenziali in questa guerra. Lo scorso anno il ministro della Difesa ucraino ha affermato che ne servivano “quattro milioni l’anno, ma che avrebbero potuto utilizzarne fino a sette milioni” l’anno, se fossero arrivati.

Per far fronte alla richiesta, scrive Vance “abbiamo all’incirca raddoppiato la nostra produzione e ora possiamo produrne 360.000 l’anno, meno di un decimo di ciò di cui l’Ucraina dice di aver bisogno. L’obiettivo dell’amministrazione è portare la produzione a 1,2 milioni – il 30% del necessario – entro la fine del 2025. Ciò costerebbe caro ai contribuenti americani e avrebbe un esito spiacevolmente familiare: il fallimento”.

“[…] Proprio questa settimana, il comandante in capo delle forze americane in Europa ha detto che, senza un’ulteriore assistenza […], la Russia potrebbe presto avere un vantaggio in termini di artiglieria di 10 a 1 sull’Ucraina. Ciò che non è stato riportato sui titoli dei giornali è che il vantaggio attuale della Russia è almeno di 5 a 1, nonostante tutto il denaro che abbiamo investito nel conflitto. Nessuno di questi dati porta plausibilmente alla vittoria dell’Ucraina”.

Lo stesso per quanto riguarda i sistemi di difesa aerea Patriot. “Volodymyr Zelensky, e altri hanno detto che l’Ucraina ha bisogno di migliaia di Patriot all’anno. Ma c’è un problema: gli Stati Uniti ne producono solo 550 l’anno. Se approvassimo il pacchetto di aiuti supplementari attualmente all’esame del Congresso, potremmo forse aumentare la produzione annua a 650, ma si tratta comunque di meno di un terzo di ciò di cui l’Ucraina ha bisogno”. A ciò si può aggiungere che la Russia ha imparato come distruggerli, da cui l’ulteriore vacuità del dibattito.

L’esercito ucraino scoraggiato e a corto di soldati

“Se tutto ciò suona stridente – continua Vance – la situazione della manodopera in Ucraina è ancora peggiore. Queste le nozioni base: la Russia ha quasi quattro volte la popolazione dell’Ucraina. L’Ucraina ha bisogno di oltre mezzo milione di nuove reclute, ma centinaia di migliaia di uomini in età da combattimento hanno già abbandonato il Paese”.

“L’età media dei soldati ucraini è di circa 43 anni e molti soldati stanno da due anni al fronte con poche, se non nessuna, possibilità di smettere di combattere. Dopo due anni di guerra alcuni villaggi sono rimasti quasi senza uomini. L’esercito ucraino è ricorso a una coscrizione” più ampia per far fronte alla carenza, ma ciò ha visto le donne organizzare “proteste per chiedere il ritorno dei loro mariti e dei padri dopo lunghi anni di servizio al fronte”.

“Molti a Washington pensano che centinaia di migliaia di giovani ucraini siano andati in guerra con entusiasmo e godono nell’etichettare le opinioni contrarie come propaganda russa. Ma i più importanti giornali pubblicati su entrambe le sponde dell’Atlantico riferiscono che la situazione sul terreno in Ucraina è tetra”. Nessuna canzone, solo cupa rassegnazione.

Tornare alla realtà

“Queste realtà matematiche basilari erano vere, ma contestabili, all’inizio della guerra. Erano evidenti e incontestabili un anno fa, quando la leadership americana organizzò, a stretto contatto con Zelensky, una controffensiva disastrosa. La cattiva notizia è che accettare la realtà bruta sarebbe stato molto utile la primavera scorsa, prima che gli ucraini lanciassero quella campagna militare estremamente costosa e infruttuosa”.

La buona notizia è che ora all’Ucraina non resta che tentare di difendersi e aprire i negoziati. Infatti, “impegnandosi in una strategia difensiva, l’Ucraina può preservare il suo prezioso personale militare, fermare l’emorragia e prendere tempo per avviare i negoziati. Ma ciò richiede che la leadership americana e quella ucraina accettino che l’obiettivo dichiarato di Zelensky – un ritorno ai confini del 1991 – è pura fantasia”.

“La Casa Bianca ha ripetutamente affermato di non poter negoziare con il presidente russo Vladimir Putin. Ciò è assurdo. L’amministrazione Biden non ha un piano realistico per guidare gli ucraini alla vittoria. Prima gli americani affronteranno questa verità, prima potremo risolvere questo pasticcio e lavorare per la pace”. Brutale quanto realistico.

Note:

1) Opinion | J.D. Vance: The Math on Ukraine Doesn’t Add Up

2) Top House Dem blasts 'nothing about Ukraine without Ukraine' approach

[Fonte: Ucraina, per il New York Times la matematica la condanna]
 
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