amor et scientia sunt essentia vitae

Il saggio lascia la via dell’oscurità
per quella della luce.
Lascia la propria casa nel mondo
per dimorare soltanto in se stesso.
abbandonando ogni desiderio
e ogni senso di possesso,
purifica il suo cuore
e conosce la gioia.
Ben radicato nei sette elementi dell’illuminazione,
libero da ogni attaccamento o appetito,
raggiunge la libertà ultima
e diviene un faro per questo mondo.

Buddha

IMG_9333.jpeg
 
Quando il respiro si calma il corpo diventa più tranquillo, e quando la postura è più tranquilla il respiro si calma. I due approcci si intrecciano e sostengono a vicenda.
È sorprendente che nella vita spesso ignoriamo il respiro, e che in meditazione, a volte, lo troviamo noioso. Non solo il respiro ci tiene in vita, ma la consapevolezza del respiro è stata la base del risveglio di Buddha. Può essere la base anche del nostro.

Joseph Goldstein
 

WikiLeaks e i segreti della guerra in Afghanistan​

Negli “Afghan War Logs” rivelati dall’organizzazione di Julian Assange uno squarcio di verità senza precedenti sul conflitto afgano. Un estratto dal libro “Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks” di Stefania Maurizi, da oggi in libreria per Chiarelettere.

WikiLeaks e i segreti della guerra in Afghanistan
 
Netanyahu bombarda Damasco, ma il messaggio è per Biden

Com’è chiaro da mesi, l’unico Paese in Medio Oriente che non ha timore di un allargamento del conflitto è Israele. Perché può vantare un superiorità militare chiara ed evidente. Ma soprattutto perché, mentre l’Iran ha come proxy gli Houthi dello Yemen, gli Hezbollah del Libano e il fragile regime siriano di Bashar al-Assad, lo Stato ebraico ha come proxy gli Stati Uniti, ovvero la massima potenza mondiale. La stessa che ogni anno “regala” allo Stato ebraico 4 miliardi di dollari in armi. La stessa che giochicchiando con le risoluzioni dell’Onu, sta guadagnando tempo per la guerra di Netanyahu. La stessa che dal 1967 a oggi ha accompagnato la politica di espansione degli insediamenti illegali di Israele nei Territori palestinesi occupati, rendendo così di fatto impossibile la famosa soluzione “due popoli due Stati” di cui ora, a parole, si fa paladina.

È in questo quadro che si spiega l’ultima incursione israeliana sulla capitale siriana Damasco, dove è stato bombardato un edificio dell’ambasciata iraniana uccidendo sei persone, tra le quali anche Mohammed Reza Zahedi, un alto ufficiale della forze Al Quds, i cosiddetti pasdaran iraniani. Dicono le prime cronache che l’incursione sia stata programmata per evitare di colpire l’ambasciatore dell’Iran. Ma il punto non è questo. Al di là della “soddisfazione” per aver colpito un esponente di un regime nemico, questa ennesima incursione sulla Siria ha poco a che fare con la crisi di Gaza. Gli stessi servizi segreti Usa, a suo tempo auditi al Senato, hanno escluso quanto tutti erano inclini a pensare, ovvero che ci fosse la mano dell’Iran dietro la strage organizzata da Hamas il 7 ottobre dell’anno scorso. E non sono certo le forze iraniane presenti in Siria, pur con tutta la loro ostilità a Israele, a influire sulle operazioni in corso a Gaza.

Più interessante notare che questa operazione si è svolta mentre cresce, dentro Israele, la contestazione al Governo di estrema destra guidato da Netanyahu. Per il secondo giorno consecutivo decine di migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere elezioni anticipate, ovvero il mezzo per potersi finalmente sbarazzare di Bibi. Davanti al Parlamento, a Gerusalemme, è sorta una tendopoli per richiamare i legislatori a una diversa strategia politica. E il Forum delle famiglie degli ostaggi ha intimato ai negoziatori che fanno la spola tra il Qatar e l’Egitto di non tornare in Israele senza un accordo che preveda la liberazione dei loro cari ancora prigionieri dei terroristi di Hamas. Gli Stati Uniti, poi, che vorrebbero liberarsi di Netanyahu senza doversi rimangiare la politica ciecamente pro-Israele tenuta in questi decenni (detto in altre parole: vorrebbero far finire la crisi senza però fare nulla di concreto), hanno fatto capire in ogni modo che l’assalto su Rafah deve essere evitato. Perché provocherebbe un mare di vittime tra i civili e, crediamo, anche perché metterebbe a serio rischio il già precario equilibrio dell’Egitto, un Paese economicamente alla canna del gas per le stolide strategie dei militari che controllano le finanze dello Stato e che, se fosse costretto ad accogliere un milione e mezzo di palestinesi in fuga dalla Striscia rischierebbe di veder esplodere il Sinai, già ribollente di jihadismi, tribalismi e ribellismi assortiti.

Queste bombe su Damasco, quindi, sono soprattutto un monito che l’Israele di Netanyahu (palesemente destinato a fallire nell’idea di “sradicare Hamas”, privo di un vero piano strategico per il dopoguerra, contestato fuori e lacerato dentro) lancia agli Usa, visto che la Ue non conta: non abbandonateci, non provate a distanziarvi, non pensate neppure a prendere qualche provvedimento per fermarci. Altrimenti facciamo saltare tutto e a quel punto sareste davvero costretti a buttarvi nella mischia per difenderci. Caro Biden, apri le orecchie: ci tieni alla rielezione? Vuoi arrivare al voto di novembre come il Presidente che ha tradito i 7 milioni di ebrei di Israele e i 7 milioni di ebrei degli Usa? Ti conviene?

Fonte: Israele: bombe su Damasco, messaggio per Biden
 
🇮🇱🇮🇷🇸🇾 L'attacco dell'aeronautica israeliana di oggi alla periferia occidentale di Damasco che ha colpito una sezione dell'ambasciata iraniana in Siria ha provocato la morte di almeno 6 persone tra cui il generale di brigata delle forze Al-Quds Mohammad Reza Zahedi , responsabile delle operazioni dei pasdaran in Siria e Libano.

Zahedi secondo i media israeliani avrebbe guidato tutti gli attacchi contro Israele attraverso le forze controllate dall’Iran. Di sicuro dirigeva il "Dipartimento 2000", l'entità delle brigate Quds alla guida di tutte le operazioni nella regione.
Per questo, Mohammad Reza Zahedi è generale di grado più alto dell’IRGC ucciso dalle forze israeliane. Considerando anche le azioni belliche condotte dagli USA, questa è la certamente la seconda perdita più significativa subita dall’Iran dalla morte del comandante in capo Qassem Soleimani nel gennaio 2020.

Un jackpot per Israele destinato però siriana a provocare una grave escalation in Medio Oriente. La domanda principale al momento è come risponderà l’Iran all’attacco. Tra le opzioni, vale la pena considerare sia l’attivazione di agenti filo-iraniani sparsi nella zona, sia un aumento dell’intensità degli attacchi di Hezbollah nel nord di Israele, sia attacchi di rappresaglia contro le sedi diplomatiche di Tel Aviv. Gli attacchi alle ambasciate sono una sorta di "linea rossa" superata di norma spesso e volentieri solo da formazioni di stampo terroristico.

Daniele Dell’Orco
 
“Nella nostra epoca s’incarna una quantità innumerevole di persone prive di io, che in realtà non sono esseri umani. Questa è una verità terribile. Le vediamo intorno a noi ma non sono incarnazioni di un io, sono inserite nell’ereditarietà fisica, ricevono un corpo eterico e un corpo astrale, sono in un certo senso interiormente equipaggiate di una coscienza arimanica. Se non le si osserva con attenzione, dall’esterno sembrano esseri umani, ma non sono esseri umani nel vero senso della parola. Questa è una verità terribile, ma è qualcosa che esiste, è una realtà”

R. Steiner
 
Gaza, uccisi 7 operatori umanitari di World Central Kitchen - Medio Oriente - Ansa.it

Raid aereo dell'esercito israeliano, la Casa Bianca: 'Siamo afflitti e profondamente turbati dall'attacco'. L'Ue: 'Aprire un'indagine'

Almeno sette persone persone che lavoravano per la ong statunitense World Central Kitchen dello chef José Andres sono state uccise in un raid aereo dell'esercito israeliano.

Lo annuncia lo stesso José Andres, dicendosi distrutto dalla perdita. "Queste persone sono angeli", ha scritto José Andres su X. "World Central Kitchen è sconvolta nel confermare che sette membri della nostra squadra sono stati uccisi a Gaza in un attacco dell'Idf", ha comunicato in una nota la Ong di base negli Stati Uniti, aggiungendo che le vittime "provenivano da Australia, Polonia, Regno Unito, un cittadino con doppia nazionalità americana e canadese e un palestinese". Sia World Central Kitchen che un'altra ong, American Near East Refugee Aid (Anera), hanno annunciato la sospensione delle proprie operazioni a Gaza.

La squadra World Central Kitchen stava viaggiando in "una zona senza scontri a bordo di due auto blindate marchiate con il logo WCK"., scrive sul suo sito la stessa Ong, sottolineando che "nonostante il coordinamento dei movimenti con l'Idf, il convoglio è stato colpito mentre lasciava il magazzino di Deir al-Balah, dove la squadra aveva scaricato più di 100 tonnellate di aiuti alimentari umanitari portati a Gaza lungo la rotta marittima".

"In seguito alle notizie riguardanti il personale della World Central Kitchen a Gaza, l'Idf sta conducendo un esame approfondito ai massimi livelli per comprendere le circostanze di questo tragico incidente": lo scrive su Telegram l'esercito israeliano. "L'Idf compie grandi sforzi per consentire la consegna sicura degli aiuti umanitari e lavora a stretto contatto con la WCK nei loro sforzi vitali per fornire cibo e aiuti umanitari alla popolazione di Gaza", prosegue il comunicato.


La Casa Bianca si è detta "afflitta" per la morte degli operatori umanitari della ong statunitense World Central Kitchen. "Siamo afflitti e profondamente turbati dall'attacco", ha scritto su X la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Adrienne Watson, aggiungendo che "gli operatori umanitari devono essere protetti mentre consegnano aiuti di cui c'è un disperato bisogno, ed esortiamo Israele a indagare rapidamente sull'accaduto".


Il premier dell'Australia, Anthony Albanese, ha confermato che uno degli operatori umanitari uccisi nell'attacco dell'esercito di Israele contro un veicolo della Ong statunitense World Central Kitchen nella Striscia di Gaza era un cittadino australiano.



La Commissione Ue ha chiesto "un'indagine approfondita" sulla morte dei sette operatori della Ong statunitense World Central Kitchen. "Gli operatori umanitari devono essere sempre protetti, in linea con il diritto umanitario internazionale", scrive l'esecutivo Ue su X. "Condanno l'attacco e sollecito un'indagine. Nonostante le richieste di protezione di civili e operatori umanitari, assistiamo a nuove vittime innocenti", aggiunge Borrell, invocando l'immediata attuazione della risoluzione Onu per "un cessate il fuoco immediato, un pieno accesso umanitario e una protezione rafforzata dei civili".
 
Un'altra ong sospende le attività a Gaza dopo attacco su Wck - Notizie - Ansa.it

L'annuncio dell'American Near East Refugee Aid

Una seconda ong con sede negli Stati Uniti, American Near East Refugee Aid (Anera) ha annunciato la sospensione delle sue operazioni a Gaza dopo l'attacco in cui sono rimasti uccisi sette operatori umanitari dell'organizzazione World Central Kitchen (Wck).

Lo scrive la Bbc, sottolineando che Anera svolge un ruolo chiave nel fornire cibo ai palestinesi e ha lavorato a stretto contatto con Wck negli ultimi mesi.
"Anera e Wck stanno sospendendo le loro operazioni a Gaza.
Insieme, Anera e Wck forniscono circa 2 milioni di pasti a settimana a Gaza", ha detto alla Bbc Sean Carroll, ceo dell'organizzazione benefica.
"I nostri cuori martoriati e spezzati sono con i nostri amici della World Central Kitchen oggi e tutti i giorni", aveva scritto in precedenza su X.
Alla domanda sull'impatto che la decisione di sospendere la fornitura di cibo avrebbe sugli abitanti di Gaza, che secondo le Nazioni Unite stanno affrontando una carestia provocata dall'uomo, Caroll ha sottolineato che "la potenza occupante ha l'obbligo, ai sensi del diritto internazionale, di provvedere alle persone sotto occupazione".
 
e intanto, gli avvertimenti per la Francia si fanno più vividi ....

Medvedev, 'distruggeremo le truppe francesi, compito glorioso' - Notizie - Ansa.it

La "distruzione" di eventuali truppe francesi in Ucraina sarebbe "un compito prioritario e glorioso delle nostre Forze Armate": lo scrive su Telegram il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, sottolineando che ciò equivarrebbe alla ghigliottina per la leadership francese, che sarebbe fatta a pezzi dai familiari dei soldati uccisi e dall'opposizione.

L'intervento dell'ex presidente russo segue le dichiarazioni di ieri del direttore del Servizio segreto estero russo, Sergey Naryshkin, secondo cui Mosca è a conoscenza del fatto che la Francia "sta preparando un contingente militare di 2.000 uomini" da inviare in Ucraina.


"In realtà - esordisce Medvedev -, sarebbe un bene per la causa se gli irrequieti francesi inviassero un paio di reggimenti a Banderlandia (Ucraina, ndr). Sarebbe molto difficile nascondere un tale numero di truppe e, quindi, la questione della loro distruzione sistematica non sarebbe il compito più difficile, ma quello più importante".

"Ma che vantaggio sarebbe! - prosegue - Con così tante bare da consegnare in Francia da un lontano Paese straniero, è impossibile nascondere la morte di massa di militari professionisti... La loro distruzione sarebbe un compito prioritario e glorioso delle nostre Forze Armate. Ma per i galli della leadership francese equivarrebbe alla ghigliottina.

Sarebbero fatti a pezzi dai loro parenti infuriati e dai membri arrabbiati dell'opposizione, ai quali è stato fatto credere che la Francia non è in guerra con la Russia. E ci sarà una bella lezione per gli altri imbecilli irrequieti d'Europa"!. Medvedev conclude il messaggio citando alcuni versi della poesia 'Ai calunniatori della Russia' di Alexander Pushkin del 1831. Ieri sera il ministero della Difesa francese ha liquidato le osservazioni di Naryshkin come "Disinformazione e provocazione".
 
Qualsiasi cosa accada, qualunque cosa, a me sconosciuta, mi possa accadere la prossima volta o domani, certamente non la potrò modificare con la paura e l'ansia. L' affronto dunque con perfetta pace interiore, con il mare del sentire perfettamente calmo. Paura ed angoscia paralizzano la nostra evoluzione; respingiamo allora le ondate di paura e di ansia per quanto nella nostra anima ci viene incontro dal futuro. La devozione nei confronti di ciò che viene chiamato la Sapienza divina presente negli eventi, la certezza che qualsiasi cosa accadrà perché doveva accadere, e che (qualsiasi ne sia la direzione) avrà comunque i suoi effetti positivi;
traducendo questo atteggiamento animico in parole, sentimenti, idee, realizziamo lo stato d'animo della preghiera devota

Rudolf Steiner
 
LE VERITA’ OCCULTATE RIEMERGONO SEMPRE DOPO UN PERIODO DI OBLIO E RITORNANO, RINNOVATE, A BUSSARE DENTRO DI NOI.

ALBERTINO. - Vorrei sapere che fantasma, che inaudito mostro, che uomo eteroclito, che cervello estraordinario è questo; quai novelle costui di nuovo porta al mondo; o pur che cose absolete e vecchie vegnono a rinuovarsi, che amputate radici vegnono a repullular in questa nostra etade -..
ELPINO - Sono amputate radici che germogliano, son cose antique che rivegnono, son veritadi occolte che si scuoprono: è un nuovo lume che, dopo lunga notte, spunta all'orizonte ed emisfero della nostra cognizione ed a poco a poco s'avicina al meridiano della nostra intelligenza -.
De infinito universo et mondi
 
Achille Mbembe’s Necropolitics Theory Predicted Israel’s Ethnic Cleansing in Gaza

“The Israeli occupation of Palestinian territories serves as a laboratory for a number of techniques of control, surveillance, and separation that are today proliferating to other places on the planet. We are increasingly faced with the question of what to do with those who’s very existence does not seem to be necessary for our reproduction, those whose mere existence or proximity is deemed to represent a physical or biological threat to our own life.

Paradigmatic of this matrix of rule is present-day Gaza in Palestine. On the one hand, it is the culmination of spatial exclusionary arrangements that existed in an incipient state during the early phases of modern settler or genocidal colonialism. Such was the case of Native American reservations in the United States, as well as island prisons, penal colonies, camps, and Bantustans in South Africa in the not-so-distant past.

Achille Mbembe, Necropolitics, 2016
 
🇺🇦🇷🇺 #focus Ultraleggeri UAV.
Stamattina mattina presto droni ucraini hanno attaccato in profondità la regione russa del Tatarstan. Uno degli UAV (sopra in foto) ha colpito il dormitorio del Politecnico. Sette studenti sono rimasti feriti, tra cui un minore. Un altro ha invece colpito le infrastrutture della raffineria Elaz-Nefteproduct.

La distanza tra questi territori e il confine ucraino è di 1100 km.
L'Ucraina, Paese con una enorme tradizione nel campo dell'industria dell'aviazione per via dell'eredità sovietica, dispone di tecnologie anche piuttosto avanzate derivate dalla commistione tra il background ucraino/sovietico e l'apporto occidentale Uno dei droni sviluppati in questo senso è l'UAV UJ-22. Questi droni hanno in precedenza attaccato il territorio russo, raggiungendo la regione di Samara (a più di 900 km). L'autonomia di volo standard è di 800 chilometri, l'UJ-22 trasporta fino a 20 chilogrammi di carico (compresi gli esplosivi), ma è possibile che durante la guerrabsia stato modernizzato per espanderne le funzionalità, compreso l’aumento della portata e del carico utile.
Nel primo caso, il supporto occidentale è fondamentale.

L'attacco di oggi però è avvenuto ancora più in profondità, e a giudicare dai video sembra che Kiev abbia iniziato a convertire in droni direttamente gli aerei ultraleggeri, in particolare un modello che viene prodotto dall'azienda ucraina Aeroprakt da oltre trent'anni per il volo sportivo: l'A-22 Foxbat.

L'azienda venne fondata da Yuri Yakovlev dopo la sua formazione in URSS, proprio a Samara (dove difatti Aeroprakt aveva sede distaccata). Il velivolo più commercializzato, anche in Italia, è sicuramente questo, che adesso viene convertito tale e quale in drone. Ha costi produttivi piuttosto bassi (35/40mila euro a stare larghi, ma specie se prodotto in poche unità l'anno e senza supporto governativo) ed è equipaggiato con motore Rotax 912 (80 o 10 cavalli) progettato per un biposto.
Volando a quota molto bassa e a 160 km/h di crociera, convertendo il peso dei piloti in parte in esplosivo e in parte in carburante aggiuntivo, può percorrere anche più dei 1100 km di autonomia dichiarati da Aeroprakt per l'A-22 commerciale.

Anche in questo caso, cruciale il supporto dell'Occidente, chissà se anche nella produzione magari nella sede polacca, ma di certo nella messa a punto del sistema di guida e soprattutto nella ricerca delle traiettore da seguire per superare le difese aeree russe.
Senza una "barriera" di jamming al confine per la Russia non è così facile renderli innocui. Ben più pratico sarebbe (e magari è già) individuare gli stabilimenti di produzione in Ucraina o i canali di arrivo dei pezzi da Occidente.

Certo però che se anche dovessero passarne alcuni, sarebbe un grattacapo non da poco visto che per le specifiche di cui sopra caricare 100/120 kg di esplosivo su un A-22 non è particolarmente complicato.
Gli Shahed iraniani, per fare un esempio, si fermano a meno della metà, ma costano anche meno della metà.
Ecco probabilmente spiegato perché i russi, che a loro volta potrebbero adottare una soluzione simile, trovano più funzionale l'utilizzo degli Shahed per poter colpire in numero maggiore con una triplice funzione, ricognizione, attacco bomba ed esca per le difese aeree ucraine spalancando le porte ai missili da crociera.

L'Ucraina invece, che non ha mai messo in piedi davvero l'esercito da un milione di droni fantasticato un anno fa, può usare l'A-22 in quantitativo minore ma per colpire raffinerie, depositi, magazzini e stabilimenti nelle retrovie.

Daniele Dell’Orco
 
L’ATTENTATO DI MOSCA
Introduzione
Ad oggi, nel momento in cui si scrive, l’Occidente ha fornito due diverse tesi sull’attentato del 22 marzo scorso a Krasnogorsk nell’oblast di Mosca. La prima rientra nel novero del “complottismo politicamente corretto”: quello che identificando in Vladimir Putin il sempiterno “male assoluto” lo vorrebbe artefice delle azioni più spregevoli, atti terroristici contro il suo stesso popolo (e contro i naturali interessi nazionali russi compresi). Si vedano i tentativi (piuttosto ridicoli, ad onor del vero) di attribuire alla Russia il sabotaggio del gasdotto Nord Stream. In altre parole, è la tesi che interpreta l’attentato di Mosca come “false flag” (il termine anglosassone dovrebbe già rendere bene l’idea di chi è maestro in tale pratica): ovvero, un “autoattentato” il cui obiettivo sarebbe stato quello di intensificare il livello del conflitto in Ucraina e, per interposto Stato, con l’intero Occidente. Questa tesi è direttamente collegata a quella che vorrebbe Putin (allora direttore dell’FSB e poi Primo Ministro) coinvolto nella “strategia della tensione” che portò al secondo intervento russo in Cecenia nel 1999. Indubbiamente, ci sono ancora molte ombre sulla serie di attentati che sconvolse la Russia nell’estate di quell’anno e sul tentativo dei gruppi armati ceceni guidati da Shamil Basaev e dal saudita-giordano Ibn al-Khattab di estendere il conflitto al Daghestan. I servizi occidentali (soprattutto francesi e britannici) hanno direttamente attribuito al Cremlino la responsabilità di gran parte di questi eventi. Tuttavia, sarebbe opportuno sottolineare come il principale interlocutore degli islamisti ceceni (ed anche colui che ha sempre sostenuto l’idea del negoziato con loro, arrivando a sostenere la campagna di sequestri incentivando il pagamento del riscatto) è stato l’oligarca Boris Berezovskij: personaggio legato ai centri di potere occidentali, assai vicino a Boris El’cin e parte integrante di quell’oligarchia predatrice che negli anni ’90 mise in ginocchio la Russia. Non solo, dopo aver sostenuto la sua corsa alla presidenza, Berezovskij è stato il più strenuo oppositore di Vladimir Putin a partire dal momento in cui comprese che il nuovo corso non sarebbe stato in linea con la sua agenda di svilimento dell’interesse nazionale russo.
Tornando al presente, rimane da capire per quale motivo Vladimir Putin avrebbe dovuto dapprima inquinare la propria campagna elettorale con l’assassinio dell’oppositore filooccidentale Aleksej Navalnyj (altra personalità da inserire nel lungo elenco di “sedotti e abbandonati” dall’Occidente, tra i “più utili da morti che da vivi”, visto anche il suo scarso seguito in Russia) e, successivamente, rovinare la netta vittoria con un “attacco pilotato” che, indubbiamente, mina il principio di sicurezza interna sul quale ha costruito larga parte del suo consenso.
La seconda tesi è quella della responsabilità diretta dell’ISIS (senza nessun coinvolgimento ucraino e/o occidentale, subito smentito e negato) con tanto di preavviso da parte di Washington. Una “soluzione” sicuramente appetibile per riproporre, in previsione di un’eventuale vittoria repubblicana alle prossime elezioni presidenziali statunitensi, lo schema dello “scontro tra civiltà”, magari con un progressivo (e lento) disimpegno USA dall’Ucraina ed un conseguente scarico di tale “fardello” sull’Europa (strategia messa in atto già nei Balcani). In questa analisi si cercherà di dimostrare la sostanziale inconsistenza di entrambe le tesi.
L’ISIS e la Russia
Il particolare rapporto tra il sedicente “Stato Islamico” e la Russia merita l’apertura di una breve parentesi. Dopo la morte di Aslan Maskhadov nel 2005 (ex Presidente della Cecenia nel corso della breve esperienza semindipendente a cavallo tra i due conflitti degli anni ’90), il ruolo di guida della militanza armata in Cecenia venne assunto da Abdul-Halim Sadulayev, che decretò la formazione di un fronte caucasico unito antirusso tra tutti i musulmani del Caucaso settentrionale. L’obiettivo – riprendendo la dottrina portata avanti dal ramo “wahhabita-gihadista” del separatismo ceceno (il cui massimo esponente rimaneva il tristemente noto Shamil Basaev) – era quello di cercare di allargare il conflitto. Sadulayev, tuttavia, morì di lì a poco ed il suo posto venne preso da Doku Umarov, anch’egli convinto della necessità di estendere il teatro di guerra all’intera regione. Di fatto, è stato proprio Umarov a porre fine all’esperienza della Repubblica cecena di Ičkerija e ad inaugurare quella (decisamente più ambiziosa) dell’“Emirato del Caucaso” (Imarat Kavkaz). Emirato di cui lo stesso Umarov si autoproclamò vertice politico-militare.
A dire la verità, il progetto di Umarov incontrò l’opposizione del Ministro degli Esteri di Maskhadov, Akhmad Zakayev, in esilio a Londra (dove soggiorna tuttora e da dove continua a sostenere progetti di frammentazione della Federazione Russa lungo linee etno-settarie). Senza grande successo, Zakayev esortò i miliziani ceceni a rimanere fedeli alla causa pseudonazionalista (ormai sepolta anche dalla più che ampia collaborazione dello stesso Maskhadov con il terrorismo di matrice islamista). Ciò gli valse anche una condanna a morte da parte di un tribunale sciaraitico dell’Emirato. Dal canto suo, Umarov fece sapere che non aveva bisogno di alcuna approvazione da parte di uomini che non si trovavano neanche nella regione. Il suo dovere, dichiarò, era quello di combattere per creare uno Stato in cui venisse applicata la sua particolare interpretazione, integralista e radicale, della Shari’a. Inoltre, a suo modo di vedere, la giurisdizione dell’Emirato del Caucaso andava oltre i confini della regione. Essa si estendeva su tutte le aree della Russia abitate da musulmani che avrebbero dovuto inevitabilmente unirsi a lui, in quanto, a suo dire, oppressi dal governo di Mosca.
Della stessa idea era anche Movladi Udugov: ex Ministro dell’Informazione sotto il governo di Dzochar Dudaev (patrono della causa separatista cecena nei primi anni ’90). Anch’egli, infatti, nel 2008 ebbe modo di dichiarare che l’idea di “Stato Islamico” non ha confini. Di conseguenza, era sbagliato concentrarsi esclusivamente sul Caucaso. Ancora nel 2011, sul sito informatico kavkazcentr.ru (principale organo di diffusione della propaganda wahhabita-gihadista nel Caucaso), Umarov sosteneva addirittura la necessità di riconquistare le regioni di Astrachan, gli Urali e la Siberia!
Inutile dire che la sua iniziativa non ha riscosso successo tra le popolazioni musulmane della Russia, né nel Caucaso né altrove (grazie anche ai rapporti con le monarchie del Golfo instaurati da Akhmad Kadyrov e da suo figlio Ramzan). Tuttavia, per dare una parvenza di credibilità ad una “istituzione” che esisteva solo nella sua testa, Umarov divise il territorio del fantomatico emirato in sei province (vilayat): il Vilayat di Circassia, quello di Cabarda-Balcaria, il Vilayat della Steppa di Nogaj, il Vilayat di Galgayche (corrispondente all’Inguscezia), il Vilayat di Cecenia e quello del Daghestan. Ognuno di essi, guidato da un suo luogotenente, avrebbe dovuto partecipare in egual misura al conflitto contro gli “infedeli” russi.
Data la scarsa disponibilità di capitale umano in una regione che stava rapidamente riscoprendo le forme tradizionali e ortodosse dell’Islam, il confronto militare con Mosca si risolse in una serie di attentati e minacce terroristiche. Quelli più famosi sono sicuramente gli attentati esplosivi al treno espresso Nevskij del 2009, quello alla metropolitana di Mosca del 2010 e quello all’aeroporto Domodedovo nel 2011. Di non minore rilievo sono stati infine gli attacchi in Daghestan nel 2012, le esplosioni di Volgograd nel 2013 e gli scontri armati tra miliziani di Imarat Kavkaz e forze di sicurezza a Groznyj nel 2014. Senza considerare le continue minacce di attentati con le quali i terroristi hanno cercato di rovinare l’atmosfera dei giochi olimpici invernali di Soči, sempre nel 2014.
Ad ogni modo, sin dal 2010, con la creazione del Distretto Federale del Caucaso del Nord, il lancio della Strategia 2025 (rivolta al consolidamento economico regionale) ed il coordinamento delle forze di sicurezza locali e federali in diverse operazioni antiterrorismo, Mosca è riuscita a limitare non poco le azioni del gruppo terroristico. Lo stesso Umarov morì nel 2013 in circostanze poco chiare (forse a seguito di un avvelenamento), mentre tre dei suoi successori vennero eliminati nel corso del biennio 2015-2016. Nel 2014, inoltre, in concomitanza con l’ascesa nel Levante dello pseudocaliffato guidato dall’autoproclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi, molti comandanti di Imarat Kavkaz preferirono optare per la piattaforma ideologica della nuova entità terroristica, nonostante alcuni portavoce dell’emirato ne abbiano criticato apertamente lo stile di lotta rivolto soprattutto contro altri musulmani ritenuti “infedeli” o (peggio ancora) “apostati” e non contro il “nemico esterno” (impostazione tradizionale della prima al-Qaeda).
Forte dei numerosi “cambi di casacca”, il sedicente “Stato Islamico” ha dato vita nel 2015 al Vilayat Kavkaz (comprendente, in linea teorica, l’intera regione caucasica dal Mar Nero al Mar Caspio) ed a nuovi portali di informazione in lingua russa (tra cui spicca Istok, “la fonte”), che avrebbero dovuto competere direttamente con il già citato kavkazcentr.ru.
La propaganda del nuovo “Stato Islamico” era (ed è) tutta impostata sul fatto che il gihad, concepito come obbligo individuale di ogni fedele, avrebbe prodotto una ricompensa in primo luogo terrena (e non esclusivamente ultraterrena): ovvero, la possibilità di vivere all’interno dello stesso pseudocaliffato.
Inutile dire che tale approccio presenta molti più punti in comune con il messianismo giudaico (rivolto alla ricostruzione del puramente materiale Regno di Israele, e dunque a portare “Dio in terra”, accelerando la venuta dei “tempi messianici”), o con la “teologia della prosperità” evangelico-protestante (tutta incentrata sulla ricompensa terrena), che non con l’escatologia islamica tradizionale. Ed è altrettanto inutile affermare che questo aspetto tradisce l’origine occidentale e postmoderna dell’entità terroristica; frutto di una mescolanza tra istanze religiose influenzate dal puritanesimo e di una ulteriore estremizzazione dell’eterodossia wahhabita.
Sta di fatto che le indubbie capacità promozionali del gruppo (costruite attorno ad elaborati messaggi videografici) hanno rappresentato per la Russia una minaccia in termini di potenziale proselitismo nella regione caucasica (non sono pochi i miliziani di quest’area finiti ad ingrossare le fila dei presunti “ribelli siriani”). E ciò, oltre al mantenimento delle importanti basi militari di Tartus e Latakia, ha rappresentato il motivo principale dell’intervento diretto della Russia in Siria (arrivato, secondo alcune fonti iraniane, anche grazie agli sforzi diplomatici del generale Qassem Soleimani, uno dei più acerrimi nemici dell’ISIS, non a caso eliminato per ordine di Donald Trump). Tale intervento, inoltre, è stato anche il prodotto della reiterata aggressività occidentale nell’area mediterranea. Un’aggressività che nel 2011 ha portato alla distruzione della Libia (con la quale Mosca stava intessendo rapporti sempre più stretti) dopo che la stessa Russia (insieme alla Cina) si era ingenuamente astenuta al voto sulla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Tale risoluzione, pur prevedendo l’immediato cessate il fuoco tra le parti in conflitto, non concedeva alla NATO nessuna autorizzazione di bombardare lo Stato nordafricano. Tuttavia, dopo quanto avvenuto nella ex Jugoslavia e con l’aggressione all’Iraq del 2003, questo evento ha reso ulteriormente chiaro che la diplomazia anglo-americana comporta il costante tentativo di ingannare la controparte, se non gli stessi satelliti.
Non è da escludere, infine, il fatto che sempre Mosca si sia resa conto sin dai primi anni 2000 della sostanziale incongruenza della “War on Terror” dell’amministrazione Bush prima e di quella Obama poi. Come è noto, gli Stati Uniti hanno a lungo finanziato e sostenuto quei movimenti islamisti che, secondo la strategia di Zbigniew Brzezinski, avrebbero dovuto costruire una sorta di “cintura verde” ai confini meridionali dell’URSS e successivamente della Federazione Russa. A questo proposito, rimane celebre un’affermazione dell’ex agente della CIA Graham Fuller: “la politica di guidare l’evoluzione dell’Islam e di aiutarlo contro i nostri avversari ha funzionato meravigliosamente bene in Afghanistan contro i Russi. Le stesse dottrine possono ancora essere utilizzate per destabilizzare ciò che resta della Russia e per contrastare l’influenza cinese in Asia Centrale”. Non solo, ma è altrettanto noto che i veterani della CIA Richard Secord, Edward Deaborn ed Heine Aderholf, negli anni ’90, diedero vita in Azerbaigian alla compagnia petrolifera di copertura Mega Oil: strumento utilizzato per trasferire circa 2000 miliziani gihadisti dall’Afghanistan ad un campo di addestramento preparato (grazie a fondi sauditi) nei dintorni di Baku, dove si preparavano i combattenti da inviare in Cecenia.
Sorvolando sul sostegno della CIA alla creazione di al-Qaeda nel contesto del gihad antisovietico in Afghanistan, ciò che qui preme sottolineare è il fatto che l’odierno “Stato Islamico” è un derivato della stessa al-Qaeda (almeno del suo ramo iracheno guidato dal terrorista giordano Abu Musa al-Zarqawi) e della scellerata politica svolta da Washington nel corso dell’occupazione dell’Iraq. Gli Stati Uniti, infatti, una volta entrati a Baghdad alla guida della cosiddetta “coalizione dei volenterosi”, hanno ritenuto opportuno smantellare totalmente esercito e forze di sicurezza irachene, mettendo dall’oggi al domani sulla strada migliaia di uomini con una notevole preparazione in ambito militare, di spionaggio e controspionaggio. Molti di questi uomini hanno dovuto reinventarsi un ruolo ed uno scopo nel mondo e l’hanno trovato dapprima nel messaggio qaidista e successivamente in quello dello pseudocaliffato, il quale ha conosciuto le sue fortune militari-territoriali proprio grazie alle capacità degli ex ufficiali sunniti dell’esercito iracheno (in alcuni casi affiliati alla confraternita sufica della Naqshbandiyya).
Va da sé che tanto al-Qaeda in Iraq, quanto lo “Stato Islamico” dal 2014 (anche se esisteva in nuce già da molto prima), hanno svolto un preciso ruolo geopolitico per conto degli USA, contrastando la rivolta nazionalista-sciita del movimento legato a Muqtada al-Sadr e controbilanciando la crescente influenza iraniana sull’Iraq. In altri termini, hanno ben servito il progetto di divisione lungo linee etnico-settarie dell’Iraq e più in generale dell’intero Medio Oriente, previsto sia nel piano sionista elaborato negli anni ’80 da Odet Yinon, sia nel Progetto Grande Medio Oriente dei neocon statunitensi (ancora nel 2007, l’attuale presidente USA Joe Biden sosteneva la necessità della frammentazione dell’Iraq).
La stessa guerra in Siria è stata a più riprese definita come una “balcanizzazione indotta”. Qui la CIA, attraverso l’Operazione Timber Sycamore, ha fatto filtrare via Giordania e Turchia un numero notevole di armamenti terminati direttamente nelle mani di diversi gruppi gihadisti (in particolare, il qaidista Fronte al-Nusra). Allo stesso tempo, la coalizione occidentale anti-ISIS si è distinta per i bombardamenti indiscriminati su Raqqa (capitale dello pseudocaliffato) e su altri villaggi, quando non direttamente sulle postazioni dell’esercito siriano, facendo strage di civili ed ottenendo l’effetto contrario di ingrossare le fila dell’organizzazione terroristica. Una prassi messa in atto anni prima anche nello Yemen, nel corso della cosiddetta “guerra di Sa’dah, quando Barack Obama neanche faceva distinzione tra la ribellione zaydita nel nord del Paese ed i miliziani di al-Qaeda nella Penisola Arabica che operavano spesso in simbiosi con l’esercito di Sana’a per reprimerla.
Arrivando all’attentato di Mosca, la rivendicazione del ramo Khorasan dello “Stato Islamico” non è una particolare sorpresa. L’IS-K, che aveva già rivendicato l’attacco all’ambasciata russa di Kabul nel 2022, da tempo svolge un ruolo di destabilizzazione e di sabotaggio dei progetti di interconnessione eurasiatica in Asia centrale e meridionale: dallo spazio ex-sovietico all’Afghanistan (dove è in guerra aperta contro i Talebani) e in Pakistan (dove l’obiettivo principale dei gruppi ad esso affiliati è il Corridoio Economico Sino-Pakistano).
Ancora una volta, anche se si volesse ammettere l’estraneità occidentale all’attentato (sebbene Ankara abbia sottolineato l’impossibilità che gli attentatori abbiano agito senza l’ausilio di un qualche servizio estero), rimane il fatto che questo gruppo rappresenta una pedina facilmente sfruttabile per la geopolitica del caos statunitense. Esso, infatti, continua a fornire una notevole dose di manovalanza da utilizzare in diversi teatri caldi sul continente eurasiatico.
Il terrorismo internazionale e l’Ucraina
In un articolo pubblicato sul sito informatico di “Eurasia” in data 10 giugno 2022 col titolo Guerra demografica e guerra economica, era già stata presentata l’ipotesi che il flusso di armi occidentali in Ucraina avrebbe fatto le fortune della criminalità organizzata locale, legata a doppio filo sia con il regime di Zelensky, sia con le organizzazioni terroristiche internazionali che operano tra il Caucaso e l’Asia centrale.
Negare (o quanto meno occultare) le connessioni tra Kiev e questi gruppi risulta sicuramente utile alla propaganda di guerra occidentale, ma rappresenta anche una vera e propria fuga dalla realtà. Ad esempio, sin dal 2022 è attivo sul suolo ucraino il Battaglione OBON (o Sceicco Mansur) inserito nella Legione Internazionale di Difesa Territoriale dell’Ucraina e composto in larga parte da miliziani ceceni e nordcaucasici. Il battaglione è stato creato dal già citato Akhmad Zakayev allo scopo di combattere il comune nemico russo. Tra i vertici del battaglione spiccano i terroristi Rustam Magomedovic Azhiev, Hadzij-Murad Zumso e Amaev Khavazhi. Il primo è un veterano del conflitto siriano dove ha guidato il gruppo gihadista Ajnad al-Kavkaz (Soldati del Caucaso), composto in prevalenza da ex combattenti dell’Emirato del Caucaso ed impiegato nell’area di Latakia. Dopo il dispiegamento in Ucraina, i miliziani di Ajnad al-Kavkaz hanno avuto un ruolo di primo piano nella battaglia di Bakhmut/Artemovsk e nei ripetuti tentativi di penetrazione nella regione russa di Belgorod (principalmente con lo scopo di terrorizzare la popolazione civile locale).
Di non minore rilievo sono le intese tra il celebre Battaglione Azov, l’ISIS e al-Qaeda. Il veterano del Battaglione Aleksej Levkin (già in ottimi rapporti con i gruppi estremisti nordamericani Rise Above Movement e Atomwaffen Division e protagonista di diverse incursioni nel territorio di Belgorod) ha manifestato a più riprese la sua ammirazione per i metodi utilizzati dai gruppi del settarismo islamista. Non a caso, il terrorismo contro la popolazione civile ha caratterizzato sia l’esperienza dello pseudocaliffato tra Siria e Iraq, sia il dominio azovita a Mariupol, prima della sua liberazione nel 2022.
Tali analogie si riscontrano anche nello stile di propaganda. I video dello pseudocaliffato e quelli del Battaglione Azov si caratterizzano entrambi per un notevole uso di riprese aeree, per il ricorso ai droni e la costante ricerca di una forma di evocazione pseudospirituale. Da non sottovalutare anche la comune avversione che entrambi i gruppi sembrano mostrare per l’autentica sacralità. Se il presunto “paganesimo” azovita ha portato i membri del Battaglione a saccheggiare le chiese ortodosse (naturalmente quelle legate al Patriarcato di Mosca) ed a bruciarne le icone, è fin troppo noto l’impegno profuso dai miliziani dell’ISIS nella distruzione del patrimonio storico e spirituale del territorio da loro controllato (da Palmira a Ninive) ed il loro totale dispregio dei luoghi di culto e di preghiera (si veda l’attentato al cimitero di Kerman in Iran).
Ciò li rende protagonisti di quello che, in diverse occasioni, chi scrive ha definito come processo di “desacralizzazione dello spazio”. Un processo che va di pari passo con l’occidentalizzazione del mondo e che ha il suo più fiero portabandiera in quel sionismo che profana e distrugge chiese, moschee e cimiteri nella totale indifferenza delle cancellerie occidentali.
-di Daniele Perra-

[Fonte: https://www.eurasia-rivista.com/lattentato-di-mosca/]
 
Oggi scopriamo che in Turchia c'è la democrazia. Siccome hanno vinto le opposizioni ecco che allora improvvisamente le elezioni vanno bene, d'improvviso presso la Sublima Porta si sono svolte democraticissime elezioni mica come quelle truccate e opache che si tengono quando vince Erdogan.
Inutile proporre una qualsivoglia analisi che per esempio dimostrerebbe come il partito di Erdogan perde ad Istanbul e ad Ankara, ovvero nelle grandi città in cui vive la parte della popolazione più europeizzata e filo-occidentale (le opposizioni hanno buoni risultati anche nelle zone della costa dell'Egeo, regioni turistiche più filo-occidentali per stile di vita) ma continua a dominare nell'est e in tutto il centro dell'Anatolia e in generale nelle regioni caratterizzate da un'economia rurale e valori tradizionali (incalzato in alcune regioni da partiti religiosi e ultra-nazionalisti che secondo i nostri canoni definiremmo più a destra e più conservatori).
Si ripropone in parte dunque in Turchia una dinamica osservabile per esempio anche in Russia dove a Mosca o a San Pietroburgo, dove vive la ricca borghesia e i giovani occidentalizzati, fanno buoni risultati le forze liberali filo-occidentali. Tra l'altro ampliando un pochino di più lo sguardo si noterebbe un trend più generale dove nel mondo globalizzato i centri metropolitani vivono ormai una loro vita propria spesso scollegata dal resto dei rispettivi paesi non solo economicamente ma anche culturalmente parlando. Ma capisco che sarebbe troppo.
Sui Tg italiani invece è tutto un orgasmo per la sconfitta del dittatore cattivo, invero uno stranissimo dittatore che indice elezioni in cui va a a votare il 90% della popolazione e dove perde pure in modo schiacciante come dicono sempre i tg nostrani.
Sappiamo tutti ormai come funziona la stampa mainstream il problema è che ormai questa gente è arrivata al punto di credere o comunque voler credere a tutti i costi alle stesse favole che si auto-racconta.
Sempre più assediati da un mondo che cambia fregandosene dei loro desiderata, raccontano un mondo che non c'è non tanto ad uso e consumo di sudditi sempre più stanchi, bolsi, in definitiva già sconfitti e rassegnati, ma se la raccontano per autoconvincersi loro stessi e i loro quattro clientes rimasti a dar loro retta e disposti a votarli in elezioni sempre più ridicole dove va a votare il ministro, l'amante del ministro e il cugino che spera in un posto al sole sempre meno raggiungibile.
Orami più di trenta anni fa Il grande Cristopher Lasch anticipando di molto i tempi scrisse "La rivolta delle élites", dove appunto descriveva già alla perfezione il distacco delle èlites occidentali dal resto delle loro popolazioni e il loro trincerarsi in una torre d'avorio avulsa dai problemi della plebaglia e del paese; io credo si stia già di fatto in un'altra fase ben più pericolosa per tutti: la rivolta delle élites occidentali contro la realtà e contro i problemi futuri e non più schivabili che questa realtà comporta e che molto spesso hanno creato proprio loro con oltre quarant'anni di stupidità e auto-incensamento.
A Roma si dice "te la canti e te la soni da solo", il problema è che tocca a noi ballare al ritmo di questa musica.
di Danilo Zuccalà

Fonte: https://www.facebook.com/.../pfbid02UNhd6v4W4Bcyr8zASdCT4...
 
🇵🇸🇮🇱 “È stato un tragico caso in cui le nostre forze hanno colpito senza intenzione gente innocente nella Striscia”. Lo ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu all’uscita dell’ospedale sui sette operatori dell’ong World Central Kitchen uccisi da un drone israeliano a Gaza. “Questo succede in guerra e – ha aggiunto – apriremo un’indagine. Siamo in contatto con i governi coinvolti e faremo di tutto per assicurare che questo non accada più”.

Certo, vista l'"indagine" in corso Netanyahu non scende nel dettaglio, ma suona francamente un po' strano parlare di "incidente" in merito ad un attacco condotto con estrema precisione tramite droni (non proiettili impazziti, droni!) ai danni di un convoglio chiaramente marcato, in una zona priva di combattimenti e dopo che il percorso da seguire per la consegna degli aiuti era stato, stando ai comunicati di WCK, concordato con lo stesso Israele.
E vista la situazione a Gaza e la missione emergenziale avviata dagli USA è ragionevole pensare che sia stato davvero così. Netanyahu dice: "In guerra può succedere". Vero, come è vero che gli "errori" commessi all'esercito israeliano sono parecchi e sempre più gravi.
Netanyahu parla di "persone innocenti" visto che si tratta di operatori umanitari con passaporti occidentali, ma di "persone innocenti" palestinesi uccise "per errore" senza comunicati e senza indagini interne ce ne sono state un'enormità.
Daniele Dell’Orco
Bei Facebook anmelden
 

Israele è il cancro del pianeta Terra! I sionisti si ritengono al di sopra di ogni legge, istituzione e principio morale
La risposta di un esperto israeliano sul canale ebraico i24 alla domanda del conduttore: "Non pensi che attaccare l'ambasciata iraniana sia fuori dalle regole del conflitto?"
"Non vedo la questione in questo modo, così come a Gaza bisognava effettuare operazioni contro gli ospedali, a Damasco bisognava effettuare operazioni anche contro l'ambasciata iraniana"
Bullismo giudaico massonico
...Non può durare in eterno, tutto finisce...

Zahra Ershadi, ambasciatrice iraniana all'Onu, ha condannato gli "attacchi atroci e terroristi" in Siria​

Zahra Ershadi, ambasciatrice iraniana all'Onu, ha condannato gli "attacchi atroci e terroristi" contro il personale iraniano in Siria, definendoli "l'ennesima flagrante violazione del diritto internazionale" da parte di Israele. "Il bilancio finale e accurato delle vittime rimane incerto poiché l'intera sede diplomatica è stata distrutta con le persone intrappolate sotto le macerie", ha detto secondo quanto riferisce Al Jazeera. Ershadi ha confermato che almeno sette funzionari iraniani sono stati uccisi.

I sette cooperanti uccisi a Gaza, Netanyahu: "Colpiti involontariamente".
 
IMG_9357.jpeg
IMG_9357.jpeg



Il cammino di un impero dall'alba al tramonto
1. Leadership forte
2. Innovazione
3. istruzione
4. Grande cultura
5. Allocazione ottimale delle risorse
6. Alta concorrenza
7. Elevata crescita dei ricavi
8. Mercato forte e centro finanziario.
9. Prestazioni ridotte
10. Distrazione
11. Perdita di competitività
12. Distribuzione ineguale della ricchezza
13. Debito elevato
14. Inflazione
15. Conflitti interni
16. Indebolimento della valuta di riserva
17. Cattiva gestione
18. Guerra civile/rivoluzione
🇺🇸 Gli Stati Uniti si trovano attualmente tra i punti 12 e 15 di questa rotta.
- Andrey Klintsevich
 
Il silenzio era una strada,
una via per tornare a me stesso.
Io ero silenzio.
Il mio respiro,
il battito del mio cuore
divennero silenzio.
La mia nudità interiore
era il mio segreto.


Tahar Ben Jelloun
 
Molti sono i sotterfugi attraverso cui la nostra mente condiziona le varie interazioni e determina il nostro stato dell’essere. Sappi che con la parola mente indichiamo la complessiva attività del pensare: come nasce il pensiero, come si sviluppa (memoria, processo percettivo-cognitivo, associazioni, valutazioni, carico esperienziale paragonativo, ecc..), cosa lo influenzi e come questo poi si traduca in azioni, supposizioni ed espressioni. Vari sono i meccanismi attraverso cui le forze ostative alla nostra presa di coscienza condizionano ed asservano la nostra mente (castrazione, associazione, simpatia, conservazione, occultamento, ecc..), ma è qui necessario indicare come fra di essi il più pernicioso – e proprio per questo il più sottovalutato – sia la fantasia. Essa è un folletto malefico che si accompagna ad ogni nostro aggregato psicologico, ad ogni porzione irredenta ed ombrosa della psiche o se preferite è la prostituta sempre pronta a soddisfare il desiderio di potenza e di manifestazione dei parassiti, dei prevaricatori e degli energivori che trovano nell’uomo naturale o nell’uomo meccanico i loro eterni pasti e i loro eterni schiavi. La fantasia non solo esalta – attraverso l’alterazione e la ricombinazione dei ricordi e attraverso la completa realizzazione di narrazioni irreali – questi aggregati psicologici, questa autentica legione di demoni separatori inducendoci a comportamenti ed azioni che non trovano alcun logico riscontro e nessuna finalizzazione spirituale, ma – e forse soprattutto – ci relega in un profondo stato ipnotico avvolgendoci in un soporifero e mortifero bozzolo intessuto dalle nostre filastrocche interiori.

Tratto da "Uomo Ente Magico e la Pratica Integrale"
 
Indietro