Probabile a breve il decreto della Procura di chiusura delle indagini preliminari e le consequenziali richieste al Gip.
Salvataggio Astaldi, Gatti si dimette dal cda di Intesa: l’attestatore del piano e indagato dalla Procura – Business Insider Italia
di
Giuliano Balestreri
Corrado Gatti, consigliere indipendente di Intesa Sanpaolo, ha rassegnato le dimissioni dal cda della banca con decorrenza immediata. L’amministratore, componente del Comitato per il Controllo sulla Gestione di Intesa Sanpaolo, ha addotto “ragioni personali”, ma in precedenza si era autosospeso “dal 13 dicembre al 31 marzo 2020 per ragioni di opportunità e personali connesse alla volontà di preservare la propria serenità e quella del cda e del Comitato in relazione al coinvolgimento personale nelle vicende riguardanti la procedura concordataria di Astaldi”.
Insieme agli ex commissari Astaldi, Francesco Rocchi e Stefano Ambrosini, Gatti è indagato per corruzione in atti giudiziari. Non solo, la sua era una posizione particolarmente delicata e imbarazzante dal momento che era l’Attestatore del piano concordatario di Astaldi, mentre Intesa Sanpaolo è uno dei creditori maggiormente esposti verso Astaldi. Ed era stato proprio il suo doppio ruolo ad aver sollevato parecchi dubbi tra gli obbligazionisti che denunciano di essere – di fatto – i soli a pagare per il salvataggio della società.
Motivo per cui l’operazione resta tutta in salita. Secondo gli obbligazionisti che hanno sottoscritto 890 milioni di bond in due tranche (da 750 e 140 milioni di euro), il salvataggio di Astaldi, propedeutico alla nascita di Progetto Italia, sarebbe tutto sulle loro spalle: chi ha investito per sostenere la crescita del gruppo vedrebbe falciate le proprie quote. E dunque il danno oltre la beffa per quegli stessi investitori che un anno fa scoprirono dall’oggi al domani che l’azienda aveva chiesto il concordato preventivo. Un fulmine a ciel sereno perché a dispetto delle evidenti difficoltà in Venezuela e Turchia, l’azienda romana ripeteva che tutto andava bene.
La scorsa settimana, l’assemblea degli obbligazionisti del titolo da 140 milioni ha dato il via libera con l’80% dei voti alla proposta di concordato, mentre per l’emissione Usa da 750 milioni non è stato raggiunto il quorum costitutivo del 42%: di conseguenza, la decisione dell’assemblea slitta alla prossima adunanza già prevista per il prossimo 10 marzo.
In particolare, il comitato dei bondholder contesta la valutazione della componente azionaria prevista dal concordato. Secondo il comitato, applicando all’Ebit 2020 – indicato nel piano a 99 milioni di euro – un multiplo di sei volte (lo stesso di Hochtief, un colosso del mercato) e aggiungendo la posizione finanziaria netta si arriva un miliardo di euro per la componente azionaria dell’offerta. Tradotto: per gli obbligazionisti il recupero sarebbe ci circa 43 milioni di euro, inferiore dunque al 5% e lontano dal 16% dichiarato nell’offerta.
Nelle contestazioni al piano si rileva anche che il valore di mercato di Astaldi è oggi di circa 66 milioni di euro e agli attuali azionisti verrà riconosciuto il 6,5% della nuova società: se davvero il valore fosse di un miliardo, la quota varrebbe esattamente 65 milioni di euro. Inoltre, a questi valori di mercato, Salini pagherebbe 225 milioni per una partecipazione di controllo del 65% che vale – sempre secondo le valutazioni del comitato – 650 milioni di euro.
A questo si aggiunga che la società ha stimato che “i creditori chirografari divengano soci di Astaldi con una percentuale complessivamente pari al 28,5% del capitale”, ma nelle note del piano si legge che la quota “non riflette gli effetti derivanti dal possibile esercizio di warrant premiali da parte degli istituti finanziatori di Astaldi, né gli impatti derivanti dall’eventuale esercizio dei warrant anti-diluitivi da parte di Salini Impregilo”. Come a dire che esercitando le loro opzioni Salini e le banche potrebbero salire ancora nel capitale proteggendo le loro quote a spese degli obbligazionisti che verrebbero ulteriormente diluiti. Inoltre restano i nodi relativi alla cessione delle attività estere.
Motivo per cui da inizio novembre gli obbligazionisti hanno inviato a Intesa Sanpaolo centinaia di lettere nelle quali si mette in discussione la figura di Gatti, sottolineando la mancanza di indipendenza dalla banca, tra i principali creditori del gruppo e finanziatrice del salvataggio attraverso Progetto Italia. Un fiume di proteste che ha portato Gatti prima a sospendersi, poi a dimettersi.