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Btp Italia a rischio “sboom” ma c’è il paracadute reale
Le cedole fissate dal Mef con le ultime emissioni sono piuttosto generose, un supporto con l’inflazione calante
l Btp Italia ai tempi dello sboom (dell’inflazione). Fino a qualche mese fa, questo titolo era considerato una sorta di gallina dalle uova d’oro e sicuramente di soddisfazioni ne ha date molte, ai sottoscrittori: sommando due cedole (magari a cavallo tra la fine del ‘22 e i primi mesi del ‘23) il rendimento complessivo a volte si è tenuto poco a ridosso del 10%.
Non è stato sempre così: dalla prima emissione – del 2012 – siamo ormai arrivati al diciannovesimo collocamento e nella sua lunga storia in passato è accaduto molte volte che i risparmiatori dovessero “accontentarsi” della cedola reale, quella fissata dal Mef al momento dell’emissione, un po’ come succede per i Btp nominali (quelli classici). A differenza di questi ultimi, però, la cedola reale di un Btp inflation linked è generalmente più bassa dei “cugini” di pari durata, perché per i Btp Italia dovrebbe rappresentare solo una componente del rendimento, cui si va ad aggiungere il tesoretto dell’inflazione. E ora, i risparmiatori rischiano di trovarsi di nuovo con la “sola” cedola reale?
Semplificando un po’ il ragionamento, diciamo subito che nell’immediato il rischio è abbastanza remoto, per non dire inesistente, anche se il periodo dell’abbondanza per questi bond è ormai alle spalle. Tra l’altro, occorre tener presente che il meccanismo di indicizzazione delle obbligazioni legate al costo della vita non è semplicissimo: ad esempio, per poter avere i benefici dell’indicizzazione occorre non solo che l’inflazione continui a salire, anche se a velocità più lenta rispetto al passato, ma c’è bisogno anche che nel momento in cui viene scattata la fotografia dell’indice Foi dell’inflazione (un numeretto che ora è intorno a 119) sia superiore a tutte le altre rilevazioni (ogni sei mesi) che hanno fatto scattare le altre cedole. Insomma, è importante l’andamento dell’inflazione, ma rileva anche il periodo di indicizzazione.
Anche nell’inflazione infatti c’è una certa stagionalità e il fenomeno diventa tanto più rilevante quando la velocità della corsa dei prezzi rallenta: un conto è passare da 100 a 98, un altro da 5 a 0 all’ora (stare fermi) o peggio ancora andare indietro. Bisogna ricordare che i Btp legati all’inflazione italiana pagano comunque la cedola reale, a differenza di quelli europei, che in caso di deflazione azzerano i pagamenti. Ovvio comunque che l’incognita chiave sia il futuro costo della vita. Ma anche in un trend in discesa possono esserci momenti più opportuni per entrare sul mercato. «A dicembre e gennaio potremmo continuare ad avere un’inflazione molto contenuta in Italia, anche grazie alla favorevole base di confronto di un anno fa – spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte – credo che sia il caso di aspettare un paio di mesi prima di riaffacciarsi sul Btp Italia, quando magari il calo dei prezzi potrebbe raggiungere l’apice».
Con il calo delle aspettative di inflazione (non con l’inflazione reale ma con le scommesse che fa il mercato sugli andamenti futuri) anche i prezzi di questi bond si adeguano al ribasso, aumentando i guadagni assicurati dal titolo per chi li compra ora (ma anche le perdite potenziali, se si deve vendere proprio adesso). E comunque occorre tener presente che, al momento, le stime di inflazione 2024 per l’Italia sono per una discesa, non per un precipizio: 2,7% per la Commissione Europea e 2,4% nelle stime Bloomberg. I tassi forward di mercato sono più ottimisti, ma non necessariamente più accurati.
«Comunque, facendo assunzioni molto prudenti – con un’ipotesi di inflazione al 2% per il 2024, cioè molto al di sotto di tutti i centri di ricerca – gli ultimi Btp Italia emessi dovrebbero offrire un flusso cedolare 2024 compreso tra il 3 e il 4%: molto dipende della cedola reale e dalla periodicità delle cedole di ciascun Btp Italia».
L’ultima cedola nota, già fissata ma non ancora erogata, è quella del Btp Italia che scade il 28 giugno 2030: subito dopo Natale staccherà un “dividendo” complessivo (tra cedola e rivalutazione del capitale) pari all’1,526% semestrale (il doppio su base annuale, ma non è detto che la prossima cedola sia di pari importo). Un contributo non indifferente viene in questo caso dalla cedola reale (1,6% annuo), la stessa del Btp che scade nel novembre del ‘28. Appena meno, l’1,4% è la cedola reale del maggio ‘25 mentre l’ultima emissione, il Btp Italia del marzo ‘28, offre addirittura il 2% annuo reale.
Tassi importanti – altri Btp Italia hanno cedole molto ridotte, di poco superiori al mezzo punto percentuale – conseguenza diretta del momento in cui sono stati collocati dal Mef: al momento dell’emissione, infatti, è chiaro che il rendimento atteso non può scostarsi troppo da un Btp tradizionale di pari durata, anche se nel caso dell’Italia il guadagno complessivo è dato dalla somma della cedola reale e delle aspettative di inflazione. Ovvio quindi che le ultime emissioni abbiano tassi piuttosto alti.