ilfughi
Quel che dico è IMHO
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@ EnricoR
Ti chiedo perdono se non ho letto attentamente tutto il chilometrico post iniziale. Se ho frainteso ovviamente niente di quello che dirò in seguito vale più.
Da una lettura sommaria e superficiale ho desunto che per "economista" intendiamo "colui che ha una carriera di tipo universitario nella facoltà di economia". Pare infatti (da quello che ho letto) che per fregiarsi del titolo di economista occorra essere più o meno in pari con uno in regola per fare il concorso di professore associato.
Ci vuole un dottorato di ricerca, ci vogliono le pubblicazioni, ci vogliono i seminari, e, dulcis in fundo ci vuole di aver insegnato nei seminari.
Un mio amico è professore associato (di altro) ed ha fatto tutta questa trafila.
Mi pare una definizione un pò troppo accademica e restrittiva di economista, ma se vogliamo accettarla, vediamo anche il rovescio della medaglia.
Nelle facoltà di economia non si fa vera ricerca. Nelle facoltà di ecinomia si venera la teoria neoclassica. Nel campo della finanza per esempio la fa da padrone la teoria del valore atteso di Von Neumann e Morgenstern.
Siccome mi piace fare il bastian contrario propongo qui un pochetto di "dubbi"...
In soldoni tale teoria dice che a determinate condizioni è possibile trovare una funzione di utilità che lega un qualunque "paniere" di lotterie a un fetentissimo numero reale. E che tale funzione è unica a meno di una funzione LINEARE. e che esiste un coefficiente di avversione al rischio calcolabile per ogni soggetto che non cambia con una trasformazione lineare della funzione. Molto peggio dunque della classica teoria dell'utilità che si studia in microeconomia dove tale funzione è unica al meno di una qualunqie funzione MONOTONA CRESCENTE. e non esiste il concetto di avversione al rischio
Occhio che è una dimostrazione, mica un assioma.
Gli assiomi sono altri (e ovviamente sono parecchio discutibili)...
si ipotizza la solita relazione di preferenza debole, fra (ATTENZIONE!) tutti i panieri di lotterie ESISTENTI E POSSIBILI.
si fa il solito assioma di razionalità, ossia proprietà riflessiva, transitiva e simmetrica.
L'assioma di razionalità nel mercato dei beni fa rabbrividire, ma in questo caso poichè parliamo di numeri magari la cosa ha un suo blando perchè.
Ovviamente nessuno ci garantisce che una qualche banca ci proponga una fetentissima combinazione fra le lotterie che vale un fetentissimo numero diverso dalla media dei suoi componenti (in genere minore) e che noi non ce ne accorgiamo, ma insomma la borsa è fatta per separare gli ****** dai loro quattrini e nel medio periodo ci si aspetta che lo faccia con una certa efficienza e lasci in piedi solo gli operatori che sono davvero razionali.
Turiamoci il naso e lasciamo perdere le critice all'assioma di razionalità che in genere sono più che sufficienti per buttare al tapppeto la funzione di utilità nel mercato dei beni.
Si suppone inoltre che se uno preferisca una lotteria a una lotteria b preferisca fra due combinazioni c1 e c2 di a e b quella che contiene una parte maggiore della sua lotteria preferita. è un passaggio meno scontato di quello che si crede in quanto magari una combinazione fra a e b si avvicina al rapporto fra rischio e rendimento dell'operatore in maniera "migliore" sia di a che di b...
poi abbiamo il solito elemento che fa da unità di misure e la solita ipotesi di chiusura del dominio.
Fin quì le stesse condizioni del mercato dei beni.
Nel mercato dei beni tali assiomi sono al di fuori del mondo.
Però siccome parliamo di numeri, ossia di qualcosa che per definizione è calcolabile, facciamo finta che, magari non un uomo, ma un algoritmo (tipo le macchinette...) possa operare rispettando questi assiomi.
Il problema è nell'ultima ipotesi, ossia che le lotterie devono essere stocasticamente indipendenti.
Stocasticamente indipendenti significa che gli elementi "base" delle lotterie (Attenzione non i panieri!) fra di lorosono scorrelati.
Si potrebbe dire che gli elementi base non sino quelli che noi compriamo in quanto (per esempio) un titolo azionario si può vedere come un paniere, ma le grandezze base (tipo oro e petrolio e le altre ********* alla base dell'economia come livello di produttività, tassazione media e via discorrendo) SONO FRA LORO INDIPENDENTI.
Se queste condizioni si verificano allora vale l'idea della funzione di utilità unica al meno di una trasformazione lineare (e i grafici con le rette significano qualcosa...) e per chiunque abbia una funzione di utilità si può calcolare un coefficiente di avversione al rischio.
A mio avviso è tutta roba buona per le corse dei cavalli, con la variante che siccome i rendimenti delle corse dei cavalli sono mediamente negativi ne consegue dunque che si dovrebbe giocare ai cavalli solo se si è propensi al rischio. Nel lungo periodo infatti si perde. Si paga dunque per giocare.
Però siccome l'economia è interconnessa, lo sono anche le lotterie. E siccome non sono stocasticamente indipendenti tutta la teoria di Von Neumann e Morgenstern va a donnine di facili costumi...
Un economista dunque è uno che studia qualcosa che non esiste. E per definizione dell'operatore logico implicazione quando la premessa è falsa l'implicazione è sempre vera, in quanto la relazione fra premessa e conseguenza non è smentibile.
Un economista dunque è molto più simile a un prete che a uno scenziato, e il fatto di usare (a vuoto) uno strumento quale la matematica in se non lo eleva al rango di scenziato, in quanto si incaponisce nello studio di un sistema economico che non è il nostro.
E un economista che si occupi di finanza è anche peggio, in quanto applica un sistema buono per (convincersi a non giacare al) le corse dei cavalli all'economia.
Come ti hanno fatto notare il mix è deleterio, in quanto mettere un economista in posizioni di comando in genere non porta a niente di buono (vedi monti o tremonti...)
Ti chiedo perdono se non ho letto attentamente tutto il chilometrico post iniziale. Se ho frainteso ovviamente niente di quello che dirò in seguito vale più.
Da una lettura sommaria e superficiale ho desunto che per "economista" intendiamo "colui che ha una carriera di tipo universitario nella facoltà di economia". Pare infatti (da quello che ho letto) che per fregiarsi del titolo di economista occorra essere più o meno in pari con uno in regola per fare il concorso di professore associato.
Ci vuole un dottorato di ricerca, ci vogliono le pubblicazioni, ci vogliono i seminari, e, dulcis in fundo ci vuole di aver insegnato nei seminari.
Un mio amico è professore associato (di altro) ed ha fatto tutta questa trafila.
Mi pare una definizione un pò troppo accademica e restrittiva di economista, ma se vogliamo accettarla, vediamo anche il rovescio della medaglia.
Nelle facoltà di economia non si fa vera ricerca. Nelle facoltà di ecinomia si venera la teoria neoclassica. Nel campo della finanza per esempio la fa da padrone la teoria del valore atteso di Von Neumann e Morgenstern.
Siccome mi piace fare il bastian contrario propongo qui un pochetto di "dubbi"...
In soldoni tale teoria dice che a determinate condizioni è possibile trovare una funzione di utilità che lega un qualunque "paniere" di lotterie a un fetentissimo numero reale. E che tale funzione è unica a meno di una funzione LINEARE. e che esiste un coefficiente di avversione al rischio calcolabile per ogni soggetto che non cambia con una trasformazione lineare della funzione. Molto peggio dunque della classica teoria dell'utilità che si studia in microeconomia dove tale funzione è unica al meno di una qualunqie funzione MONOTONA CRESCENTE. e non esiste il concetto di avversione al rischio
Occhio che è una dimostrazione, mica un assioma.
Gli assiomi sono altri (e ovviamente sono parecchio discutibili)...
si ipotizza la solita relazione di preferenza debole, fra (ATTENZIONE!) tutti i panieri di lotterie ESISTENTI E POSSIBILI.
si fa il solito assioma di razionalità, ossia proprietà riflessiva, transitiva e simmetrica.
L'assioma di razionalità nel mercato dei beni fa rabbrividire, ma in questo caso poichè parliamo di numeri magari la cosa ha un suo blando perchè.
Ovviamente nessuno ci garantisce che una qualche banca ci proponga una fetentissima combinazione fra le lotterie che vale un fetentissimo numero diverso dalla media dei suoi componenti (in genere minore) e che noi non ce ne accorgiamo, ma insomma la borsa è fatta per separare gli ****** dai loro quattrini e nel medio periodo ci si aspetta che lo faccia con una certa efficienza e lasci in piedi solo gli operatori che sono davvero razionali.
Turiamoci il naso e lasciamo perdere le critice all'assioma di razionalità che in genere sono più che sufficienti per buttare al tapppeto la funzione di utilità nel mercato dei beni.
Si suppone inoltre che se uno preferisca una lotteria a una lotteria b preferisca fra due combinazioni c1 e c2 di a e b quella che contiene una parte maggiore della sua lotteria preferita. è un passaggio meno scontato di quello che si crede in quanto magari una combinazione fra a e b si avvicina al rapporto fra rischio e rendimento dell'operatore in maniera "migliore" sia di a che di b...
poi abbiamo il solito elemento che fa da unità di misure e la solita ipotesi di chiusura del dominio.
Fin quì le stesse condizioni del mercato dei beni.
Nel mercato dei beni tali assiomi sono al di fuori del mondo.
Però siccome parliamo di numeri, ossia di qualcosa che per definizione è calcolabile, facciamo finta che, magari non un uomo, ma un algoritmo (tipo le macchinette...) possa operare rispettando questi assiomi.
Il problema è nell'ultima ipotesi, ossia che le lotterie devono essere stocasticamente indipendenti.
Stocasticamente indipendenti significa che gli elementi "base" delle lotterie (Attenzione non i panieri!) fra di lorosono scorrelati.
Si potrebbe dire che gli elementi base non sino quelli che noi compriamo in quanto (per esempio) un titolo azionario si può vedere come un paniere, ma le grandezze base (tipo oro e petrolio e le altre ********* alla base dell'economia come livello di produttività, tassazione media e via discorrendo) SONO FRA LORO INDIPENDENTI.
Se queste condizioni si verificano allora vale l'idea della funzione di utilità unica al meno di una trasformazione lineare (e i grafici con le rette significano qualcosa...) e per chiunque abbia una funzione di utilità si può calcolare un coefficiente di avversione al rischio.
A mio avviso è tutta roba buona per le corse dei cavalli, con la variante che siccome i rendimenti delle corse dei cavalli sono mediamente negativi ne consegue dunque che si dovrebbe giocare ai cavalli solo se si è propensi al rischio. Nel lungo periodo infatti si perde. Si paga dunque per giocare.
Però siccome l'economia è interconnessa, lo sono anche le lotterie. E siccome non sono stocasticamente indipendenti tutta la teoria di Von Neumann e Morgenstern va a donnine di facili costumi...
Un economista dunque è uno che studia qualcosa che non esiste. E per definizione dell'operatore logico implicazione quando la premessa è falsa l'implicazione è sempre vera, in quanto la relazione fra premessa e conseguenza non è smentibile.
Un economista dunque è molto più simile a un prete che a uno scenziato, e il fatto di usare (a vuoto) uno strumento quale la matematica in se non lo eleva al rango di scenziato, in quanto si incaponisce nello studio di un sistema economico che non è il nostro.
E un economista che si occupi di finanza è anche peggio, in quanto applica un sistema buono per (convincersi a non giacare al) le corse dei cavalli all'economia.
Come ti hanno fatto notare il mix è deleterio, in quanto mettere un economista in posizioni di comando in genere non porta a niente di buono (vedi monti o tremonti...)
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