Pozzi in fiamme in Iraq e combattimenti in Libia non risollevano il petrolio - Il Sole 24 ORE
Pozzi in fiamme in Iraq e combattimenti in Libia non risollevano il petrolio
di Sissi Bellomo6 marzo 2015
Pozzi di petrolio dati alle fiamme dai guerriglieri dell’Isis in Iraq e stato di forza maggiore per undici giacimenti in Libia non sono bastati a far correre le quotazioni del greggio, che - con il dollaro debole e gli Stati Uniti ben decisi a negoziare un accordo con l’Iran - hanno vissuto la solita giornata volatile, ma con variazioni modeste. Alla fine il Brent ha chiuso stabile a 60,48 $/barile e il Wti ha perso l’1,5% a 50,76 $.
Sia le vicende irachene sia quelle libiche hanno in teoria un potenziale rialzista. Finora lo Stato Islamico non aveva distrutto, ma solo sequestrato giacimenti petroliferi, al fine di sfruttarli per autofinanziarsi. Gli impianti di Ajil, a 35 km da Tikrit, sarebbero stati incendiati per oscurare col fumo la visuale alle truppe sciite che preparavano un attacco. I pozzi erano fuori dal controllo di Baghdad dallo scorso giugno e probabilmente avevano rallentato la produzione rispetto al potenziale di 25mila barili al giorno di greggio (più 150 milioni di metri cubi di gas).
Anche in Libia le milizie islamiche hanno seminato il caos nell’industria petrolifera, tanto da spingere la National Oil Company (Noc) - essa stessa contesa tra i governi rivali di Tripoli e Tobruk - a dichiarare lo stato di forza maggiore per 11 giacimenti nelle regioni centrali del paese. Tra questi figurano Mabrouk e Bahi, da poco finiti in mano a guerriglieri vicini all’Isis.
Il ricorso alla clausola di forza maggiore è un passaggio tecnico, che libera Noc dagli obblighi di consegnare petrolio ai clienti, perché impossibilitata da eventi fuori dal suo controllo: in questo caso, ha specificato la compagnia, il deteriorarsi delle condizioni di sicurezza dopo i ripetuti attacchi a giacimenti e porti.
La decisione potrà essere materia di contese legali, ma non avrà probabilmente impatti rilevanti su un mercato petrolifero tuttora afflitto da un eccesso di produzione e comunque abituato alla scarsità e all’incertezza delle forniture libiche. Dai giacimenti in questione, nessuno dei quali è partecipato da Eni, si estrae in prevalenza petrolio e il gas libico acquistato dall’Italia proviene dalle regioni orientali del paese, dove la situazione è più tranquilla.
Libia a parte, per gli approvvigionamenti di gas non mancano comunque motivi di inquietudine. A pochi giorni dall’accordo mediato dalla Commissione europea, Gazprom è già tornata a minacciare un’interruzione delle forniture all’Ucraina, affermando che il prepagamento di 15 milioni di $ appena versato da Kiev basterà si e no per rifornirla fino a mercoledì mattina.
Intanto i flussi dalla Norvegia, decisamente ballerini quest’anno, si stanno di nuovo riducendo: un fermo imprevisto al giacimento Gudrun e un guasto a una conduttura costringeranno a tagliare temporaneamente la produzione di 14 milioni di metri cubi.
L’Europa sta anche sopportando una riduzione di un quinto delle forniture dall’Olanda, dove il governo ha imposto di frenare l’attività nel maxigiacimento di Groningen, sospettato di provocare terremoti. E dall’Algeria - che una decina di anni fa era il primo fornitore dell’Italia, con più di 25 milioni di mc/giorno - dal 2013 continuano ad arrivare nella penisola non più di 7 milioni di mc al giorno.