il mondo è cosi bello! perché distruggerlo? geopolitica, storia, analisi militari. niente è come sembra.

è da decerebrati cronici pensare una cosa del genere.

anche se da un punto di vista non è cosi errato pensare ad una questione del genere e assimilarla ad un'altra.

come Israele così l'ucraina ( intendendo non il popolo israelita o ucraino ) ma la governance di ambedue gli Stati, se cosi possiamo definirli, visto che qualche decennio fa non esistevano neanche, non siano le vittime ma i colpevoli delle atrocità altrui.

Quindi smettiamo di fare i moralisti, e incominciamo a chiamarli con i loro vero nome ........

Anche l'Ucraina, come Israele, combatte per la sopravvivenza. Parla Nirenstein - Formiche.net
 
Il legame con gli Usa e le riforme. Il governo è coeso secondo Castellani - Formiche.net

vedremo ......

I ringraziamenti che arrivano da oltreoceano sembrano confermare un posizionamento sempre più da protagonista del nostro Paese. Come interpreta le parole del presidente Usa, Biden?

Gli americani vedono in Meloni un alleato affidabile. Di più: tra i più affidabili in Europa. Questo esecutivo ha il merito di aver dimostrato chiarezza e coerenza sulle questioni geopolitiche internazionali in particolare: il sostegno all’Ucraina (senza se e senza ma) e i rapporti con la Cina. Il governo americano, pur avendo sensibilità politiche diverse da quello italiano, è paradossalmente più preoccupato dalla possibile svolta anti-Nato che potrebbe assumere il Pd in ottica di alleanza con Conte.

Anche la congiuntura economica sembra essere avviata a una stabilizzazione.

Sì, ma anche in questo il ruolo del governo non è secondario. Meloni è un elemento di rassicurazione per i mercati finanziari internazionali proprio perché garantisce stabilità.
 
Corea del Nord. Kim Jong-un condanna gli Usa per la fornitura di carri armati all’’Ucraina | Notizie Geopolitiche

di Alberto Galvi

Kim Jong-un ha condannato attraverso dichiarazioni riportate dalla sorella la decisione degli Stati Uniti di fornire all’Ucraina carri armati avanzati per aiutare a combattere le forze russe. La Corea del Nord ha incolpato gli Stati Uniti per la crisi in Ucraina, insistendo sul fatto che la “politica egemonica” dell’occidente ha costretto la Russia a intraprendere un’azione militare per garantire la propria sicurezza.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato che gli Stati Uniti invieranno 31 carri armati M1 Abrams in Ucraina, ribaltando mesi di argomentazioni di Washington secondo cui erano troppo difficili da utilizzare per le truppe ucraine e per mantenerli. La decisione degli Stati Uniti ha fatto seguito all’accordo della Germania di inviare 14 carri armati Leopard 2 A6.
La Corea del Nord è anche l’unica nazione oltre a Russia e Siria a riconoscere l’indipendenza di Donetsk e Lugansk, le due regioni separatiste sostenute dalla Russia nell’Ucraina orientale, e ha anche accennato a piani per inviare lavoratori per aiutare negli sforzi di ricostruzione.
Gli Stati Uniti hanno accusato la Corea del Nord di aver inviato grandi rifornimenti di proiettili di artiglieria e altre munizioni alla Russia per sostenere la sua offensiva in Ucraina, sebbene la Corea del Nord abbia ripetutamente negato l’accusa.
La Corea del Nord ha anche utilizzato la distrazione creata dalla guerra per accelerare lo sviluppo delle proprie armi, testando più di 70 missili nel solo 2022, comprese armi potenzialmente nucleari ritenute in grado di colpire la Corea del Sud e la terraferma degli Stati Uniti.
 
Ucraina. La pace che nessuno vuole: in arrivo i Leopard 2 | Notizie Geopolitiche

Ancora una volta Washington comanda e dall’Europa si ubbidisce. Così, invece di cercare la quadratura della pace, vera mission naturale dell’Unione Europea, nel conflitto ucraino arrivano ora i carri armati pesanti, cosa che comporterà senza dubbio l’azione simmetrica di Mosca. E’ da diverso tempo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky implora le corti europee, gli Usa e la Nato di essere fornito dei Leopard 2A5 di produzione tedesca, ed oggi finalmente il presidente Usa Joe Biden e il cancelliere tedesco Olaf Scholz lo hanno accontentato. Il governo di Giorgia Meloni si è già adeguato.
Il tavolo della pace resta quindi una chimera nel conflitto ucraino, iniziato ben prima dell’aggressione russa del 24 febbraio dello corso anno e comunque destinato a durare a lungo, visto che c’è un evidente interesse da entrambe le parti a tenerlo vivo, a spese ovviamente degli ucraini. Tant’è che, com’era successo con l’approvazione alla conferenza di Bucarest del 2008, la Nato ha ribadito per bocca del segretario generale Jens Stoltenberg la sua ferma intenzione di portare l’Ucraina nell’alleanza militare, potenzialmente quindi di costruire basi militari ai confini con la Russia.
La prima reazione di Mosca alla notizia della fornitura dei carri armati Leopard 2 è stata una pioggia di missili sulle città ucraine, con infrastrutture colpite ad Odessa e a Kiev, ma ora potrebbero arrivare nel conflitto i moderni T14 Armata della divisione Taman, veicoli del peso di 48 tonnellate e muniti di radar per intercettare i missili, di una corazza in metalli compositi e di una protezione passiva, cioè in grado di esplodere disintegrando il proiettile in arrivo; sono dotati di due cannoni, il principale è un 2A82 da 125 mm.
Il Leopard 2, nelle diverse versioni, è invece il carro più diffuso in Europa (in Italia viene utilizzato il C1 Ariete di produzione propria), ed è prodotto dall’azienda tedesca Krauss-Maffei Wegmann: pesa 62 tonnellate, ha una corazza composita e monta un pezzo da 120 mm Rheinmetall. Apprezzato per la sua velocità (72 km/h) ed autonomia (550 km), gode di ottimi sistemi di puntamento.
Da Berlino dovrebbero arrivare entro un anno 80 carri armati Leopard 2, ma i dati sui numeri e sui tempi non sono precisi; li Usa invieranno nel teatro ucraino una trentina di Abrams M1.
Dal momento che armi ed armamenti non sono certo un regalo all’Ucraina, più il conflitto dura, più l’industria bellica si strofina le mani. Forse a Volodymyr Zelensky sarebbe convenuto di più dare seguito agli accordi di Mins-2 (sottoscritti da Kiev nel 2015) e tenere l’Ucraina lontana dalla Nato, invece di chiudere i giornali e le scuole in lingua russa e mandare i neonazisti dell’Azov a fare massacri nel Donbass.
 
Algeria e Cina firmano il piano di cooperazione strategica


Il Ministero degli Affari Esteri algerino ha annunciato, in un comunicato, la firma del secondo piano quinquennale di cooperazione strategica globale tra i due paesi per il periodo 2022/2026, indicando che lo stesso è il secondo del suo genere.

Nel comunicato si sottolinea che “questo piano mira a intensificare lo scambio e la cooperazione tra Algeria e Cina, in tutti i campi, inclusi economia, commercio, energia, agricoltura, scienza e tecnologia, spazio, salute, comunicazione umana e cultura, e a promuovere un allineamento tra le strategie di sviluppo dei due Paesi”.

Algeria e Cina intendono, sempre secondo il comunicato, cogliere l’opportunità di attuare un piano quinquennale per approfondire la cooperazione pratica tra loro in tutti i campi, in un modo che assicuri il continuo arricchimento delle relazioni globali di partenariato strategico tra i due paesi e porti beneficio ai due paesi e ai due popoli amici.


A maggio, la compagnia petrolifera statale algerina, Sonatrach, una delle principali aziende petroliere al mondo e la più importante società per azioni africana, aveva firmato ad Algeri un contratto di partnership con la cinese Sinopec, la più grande compagnia al mondo nel settore della raffinazione, del valore di 490 milioni di dollari. Il contratto prevede la condivisione della produzione di petrolio e gas a Zarzaitine, nel comune di In Amenas, in provincia di Illizi, Algeria orientale.

In base al contratto, le due società si impegnano, ad attuare il programma di lavoro di sviluppo e sfruttamento previsto dal piano di sviluppo approvato, che mira al recupero e alla massimizzazione del valore dei combustibili del giacimento di “Zarzaiten”.

Il contratto include il rinnovamento dell’unità di estrazione del gas, la perforazione di dodici nuovi giacimenti di sviluppo, il rinnovo di sei vecchi pozzi, il collegamento di nuovi pozzi di sviluppo, la manutenzione delle strutture esistenti, il recupero dei gas bruciati e la riduzione delle emissioni di carbonio.

L’accordo é frutto delle trattative avvenute nell’ambito del protocollo d’intesa firmato tra le due società il 20 maggio 2021, ed esprime la volontà delle due parti di proseguire la loro tradizionale partnership e rafforzare la loro cooperazione nel campo della produzione di idrocarburi.
 
BRICS. Argentina e Iran si candidano ad aderire | Notizie Geopolitiche

Il presidente argentino Alberto Fernandez ha ribadito nei giorni scorsi il desiderio che l’Argentina si unisca ai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). L’Argentina spera di diventare un membro BRICS il prima possibile, perché il sistema di cooperazione BRICS sarebbe anche favorevole all’ulteriore sviluppo delle relazioni tra Cina e America Latina.
La Russia ha spinto a lungo per stringere legami più stretti con l’Asia, il Sud America e il Medio Oriente, ma ha recentemente intensificato i suoi sforzi per resistere alle sanzioni imposte dall’Europa, dagli Stati Uniti e da altri paesi per l’invasione dell’Ucraina.
L’Iran ha formalmente presentato la sua domanda per diventare un membro della famiglia BRICS, ed è pronto a offrire tutte le sue risorse e vantaggi, comprese le riserve energetiche, le risorse umane e i risultati scientifici per aiutare i paesi BRICS a raggiungere i loro obiettivi.
La Cina con la presidenza BRICS di quest’anno, sostiene attivamente l’espansione verso questi paesi, e sono in fase di discussione le procedure per favorire l’ingresso di altri paesi in quella che vorrebbe essere un’alternativa al blocco nord occidentale. Poiché BRICS non è un trattato, qualsiasi domanda di adesione deve essere discussa e approvata tra i cinque membri fondatori: una delle prossime decisioni procedurali da prendere è quella di stabilire se i candidati dovranno essere accettati all’unanimità, se dovranno rivestire in un primo momento il ruolo di osservatori o se dovranno essere sottoposti ad altri protocolli
 

USA: dal Congresso richiesta di sanzioni contro l’Algeria​

Per il suo acquisto di armi dalla Russia​

Da Washington si registrano richieste di sanzioni nei confronti dell’Algeria per il suo acquisto di armi dalla Russia. Il sito web ufficiale del Congresso degli Stati Uniti ha pubblicato il testo della lettera inviata da un gruppo bipartisan di 27 membri del Congresso degli Stati Uniti, guidato dalla deputata repubblicana Lisa McClain, al Segretario di Stato USA, Antony Blinken, nella quale si lancia l’allarme contro le crescenti relazioni dell’Algeria con la Russia, che costituiscono una minaccia per tutte le nazioni del mondo. I firmatari della lettera hanno chiesto sanzioni immediate e significative contro i membri del governo algerino coinvolti nell’acquisto di armi russe, sottolineando che gli Stati Uniti devono inviare un messaggio chiaro al mondo che il sostegno a Vladimir Putin e ai barbari sforzi bellici del suo regime non sarà tollerato.

è ben sottinteso che è anche per via della richiesta di adesione nei brics
 

Probabilità "molto alte" di conflitto militare degli Stati Uniti con la Cina, dice il principale repubblicano​


WASHINGTON, 29 gennaio (Reuters) - Un alto repubblicano negli Stati Uniti Il Congresso ha detto domenica che le probabilità di conflitto con la Cina su Taiwan "sono molto alte", dopo che un generale degli Stati Uniti ha causato costernazione con una nota che avvertiva che gli Stati Uniti avrebbero combattuto la Cina nei prossimi due anni.

Sia gli Stati Uniti che Taiwan terranno elezioni presidenziali nel 2024, creando potenzialmente un'opportunità per la Cina di intraprendere un'azione militare, ha scritto Minihan.

Odds 'very high' of U.S. military conflict with China, top Republican says

ne dubito seriamente che gli Stati Uniti possano riuscire, volendo o nolente, fronteggiare una guerra contro la Cina nei prossimi anni.
 
Kremlin: Putin open 'to contacts' with Germany's Scholz, RIA reports

Putin e Scholz hanno parlato per l'ultima volta al telefono all'inizio di dicembre. Il leader russo ha detto all'epoca che la linea tedesca e occidentale sull'Ucraina era "distruttiva" e ha invitato Berlino a ripensare il suo approccio.

La Germania è il secondo più grande donatore di hardware militare all'Ucraina dopo gli Stati Uniti, secondo l'Istituto di Kiel per l'economia mondiale, davanti ad altre potenze europee come la Francia e la Gran Bretagna.

Russia's Putin tells Germany's Scholz that Western line on Ukraine is 'destructive' - Kremlin
 
Russia and Ukraine Battle for Control of Villages Near the Key City of Bakhmut

L'area è un punto di infiammabilità in un'offensiva che Mosca considera cruciale per il suo obiettivo di cogliere la regione del Donbas nell'Ucraina orientale.


Le forze russe stavano lottando per il controllo dei villaggi dell'Ucraina orientale vicino alla città assediata di Bakhmut durante il fine settimana, l'ultimo punto di infiammabilità in una battaglia che Mosca considera cruciale per la sua spinta a cogliere l'intera regione orientale del Donbas.
Lo stato maggiore dell'Ucraina ha detto domenica che i suoi soldati avevano respinto gli attacchi al piccolo villaggio di Blahodatne e a diversi altri insediamenti della zona. La dichiarazione è arrivata il giorno dopo che il gruppo russo Wagner, una compagnia militare privata che ha condotto gran parte dei combattimenti intorno a Bakhmut per conto di Mosca, ha affermato che le sue forze avevano catturato Blahodatne.
"Blahodatne è sotto il nostro controllo", ha detto sabato Yevgeny Prigozhin, un uomo d'affari russo e capo del gruppo Wagner, in una dichiarazione pubblicata su un sito web per una delle sue aziende. Il ministero della difesa russo non ha confermato il rapporto e l'affermazione non ha potuto essere verificata in modo indipendente. Prigozhin ha cercato di lanciare i suoi mercenari come la forza combattente più efficace della zona e in precedenza ha rivendicato il merito per i progressi del campo di battaglia prima della conferma del Cremlino.
Blahodatne si trova tra Soledar, una città di estrazione salina che le forze russe hanno recentemente catturato dopo settimane di intensi combattimenti, e una strada che corre a nord dalla città di Bakhmut. La strada funge da linea di approvvigionamento cruciale per le forze ucraine che difendono la città.

Dall'estate, Bakhmut è diventato un punto focale dei combattimenti nell'Ucraina orientale e l'obiettivo dell'offensiva più significativa di Mosca. Mosca mira a circondare Bakhmut, tagliare le sue rotte di approvvigionamento e poi costringere i difensori della città a ritirarsi. Nonostante alcuni recenti successi, i progressi della Russia nella campagna, iniziata durante l'estate, sono stati molto lenti ed entrambe le parti hanno subito pesanti perdite in intensi combattimenti.

Ma da quando ha catturato Soledar questo mese, le forze russe hanno intensificato il bombardamento dei villaggi appena a ovest di esso, incluso Blahodatne.
Molti civili hanno seguito una direttiva del governo di Kiev di lasciare Donetsk, che ospita Bakhmut e una delle due regioni che compongono la regione del Donbas. I civili che sono rimasti rimangono vulnerabili ai bombardamenti e agli attacchi di artiglieria, con decine di morti nelle ultime settimane. Pavlo Kyrylenko, il capo dell'amministrazione militare di Donetsk, ha detto domenica che cinque civili erano stati uccisi un giorno prima nella regione.
Quasi un anno dopo che la Russia ha iniziato la sua invasione su vasta scala dell'Ucraina, entrambe le parti dovrebbero lanciare nuove offensive nei prossimi mesi, poiché Kiev mette a utilizzare le pesanti armi inviate dall'Occidente e la Russia schiera l'enorme numero di uomini che ha scelto l'anno scorso.
Tra gli avvertimenti che le forze russe si stavano raggruppando per un'attesa offensiva primaverile, gli alleati dell'Ucraina hanno promesso nuove armi sofisticate per la lotta.

La Germania e gli Stati Uniti hanno annunciato la scorsa settimana che avrebbero inviato carri armati in Ucraina, una mossa che è arrivata dopo settimane di tesi negoziati back-channel tra i funzionari occidentali. Ma potrebbero passare mesi prima che i carri armati rovistano sul campo di battaglia.
Il ministero della difesa britannico ha detto domenica che i primi soldati ucraini erano arrivati in Gran Bretagna per l'addestramento sui carri armati Challenger 2 che sono stati promessi questo mese.
In un discorso di sabato, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso gratitudine per gli ultimi voti di aiuto militare, ma ha affermato che gli alleati del suo paese dovrebbero ancora fare di più.
"L'Ucraina ha bisogno di missili a lungo raggio, in particolare, per rimuovere questa possibilità per gli occupanti di posizionare i loro lanciatori di missili da qualche parte lontano dalla linea del fronte e distruggere le città ucraine con loro", ha detto in un discorso notturno.
La città di Kherson, nel sud dell'Ucraina, ha affrontato ripetuti scioperi nelle ultime settimane. Domenica, i bombardamenti hanno ucciso almeno tre persone e ne hanno ferite altre sei, tra cui un'infermiera, secondo l'amministrazione militare regionale.
"I residenti di Kherson, andate al rifugio più vicino o rimanete a casa", ha detto in un post sull'app di messaggistica Telegram. "In nessun caso rimanete fuori".
Le forze russe hanno bombardato Kherson quasi quotidianamente dal loro ritiro dalla città a novembre.

Ma il Cremlino ha stabilito il pieno controllo del Donbas, dove ha tenuto un terreno considerevole dal 2014, come obiettivo militare immediato. A tal fine ha mobilitato decine di migliaia di nuove reclute, anche se non è riuscito a ottenere ampi guadagni territoriali nella regione negli ultimi mesi.
Le autorità militari in Ucraina affermano che i progressi di Mosca nella regione del Donbas sono venuti a scapito di pesanti perdite, non da ultimo tra i ranghi della compagnia militare privata Wagner. Alcuni analisti del conflitto dicono che il fallimento di Wagner nel proteggere Bakhmut, anche dopo mesi di combattimenti, ha oscurato la sua stella in alcuni circoli militari russi.
L'Institute for the Study of War, un think tank con sede a Washington, ha detto in un rapporto di sabato che le forze russe convenzionali stavano "probabilmente sostituendo le forze esauste" di Wagner "per mantenere l'offensiva a Bakhmut" dopo la cattura di Soledar.
Ma la Russia potrebbe essere meno disposta a subire pesanti perdite tra i coscritti regolari che tra i combattenti di Wagner, ha detto il rapporto. "La capacità dei russi di eseguire offensive rapide su larga scala su più assi questo inverno e primavera è quindi molto discutibile", afferma il rapporto.
 
Gli attacchi a Teheran sono un messaggio a Mosca
Si è trattato di attacchi ad alta precisione contro target "parlanti", come luoghi per la produzione di droni, su falsariga di precedenti sabotaggi israeliani e che ricordano le fragilità dell'Iran, un paese con gravi problemi di quinte colonne e di controllo del territorio.
Si rincorrono indiscrezioni riguardanti il fatto che la flottiglia di droni potrebbe essere partita dall'estero vicino, magari dall'Azerbaigian (in tal caso la firma sarebbe israeliana), ma è possibile che le difese iraniane siano così scarse?
Allora, secondo me, si fa largo la pista interna: un'operazione di quinte colonne svolta con aiuto esterno. A questo proposito, è doveroso ricordare al pubblico che Esfahan è uno dei grandi ventri molli dell'Iran: città e dintorni sono state epicentro degli scontri dell'anno scorso, di un fallito sabotaggio lo scorso luglio e di un ciclo di sabotaggi riusciti tra il 2020 e il 2021.
L'area di Esfahan pullula di zone grigie utili come nascondigli per armi (monti e baraccopoli) e nelle quali sguazzano quinte colonne, in particolare nella comunità curda.
E viene adesso la domanda fatidica: chi potrebbe essere stato e perché?
Israele nel classico contesto della proxy war con Iran? O forse gli Stati Uniti nella cornice negoziale degli accordi sul nucleare? O, forse, Stati Uniti ed Israele, insieme o separatamente, nel quadro della guerra in Ucraina?
È possibile, in breve, che lo sciame di attacchi sia da leggersi come una rappresaglia per il supporto iraniano agli sforzi bellici del Cremlino in Ucraina?
Le dichiarazioni ucraine, vedasi i tweet di Mikhail Podolyak, sembrano corroborare la direzione della pista interna.
Se di ritorsione israeliana (con ok americano?) per il coinvolgimento iraniano alla cd "operazione militare speciale" si fosse trattato, però, la Russia potrebbe interpretarla come un affronto personale e, sentendosi parte in causa, rispondere pan per focaccia.
Attacchi cibernetici/sabotaggi agli sponsor militari dell'Ucraina (non dimentichiamo le esplosioni lungo il gasdotto baltico di questo gennaio). O sostegno alle operazioni di Teheran nella sua proxy war con Tel Aviv?
Certo è che si va verso un'ulteriore internazionalizzazione del conflitto. E altrettanto certo è che questa guerra verrà ricordata come l'evento catalizzatore di uno dei grandi trend da monitorare dell'attualità: la rottura russo-israeliana.
La domanda è lecita: la rottura russo-israeliana si ricomporrà? Penso di sì. Come penso anche, però, che gli amici si vedono nel momento del bisogno e che Mosca non dimenticherà il sostegno ricevuto da Teheran in questi mesi.
Lo spettro brzezinskiano di una coalizione antiegemonica sino-russo-iraniana, accompagnato da quello huntingtoniano di un asse sino-islamico, diventerà mai un poltergeist in grado di travolgere il sistema unipolare a guida americana?
Dallo sviluppo di questo trend dipenderanno le sorti della "nuova guerra fredda".

 
I dubbi americani sui carri Abrams all'Ucraina


La mossa di Joe Biden ha il sapore più politico che tattico. La decisione di inviare gli Abrams all’Ucraina, infatti, sembra essere stata più utile a sbloccare il negoziato con la Germania che importante sotto il profilo bellico. E il peso di questa scelta – tutt’altro che facile per Washington – lo dimostra il fatto che l’annuncio è arrivato dopo settimane di tentennamenti e comunque con il freno a mano tirato da parte di Pentagono e Casa Bianca, che non hanno voluto esaltare troppo questa mossa.

I problemi dietro la scelta Usa​

Washington ha voluto mostrare l’unità e la compattezza del fronte atlantico nella sfida all’invasione russa. E la scelta dei tank a Kiev è sicuramente un messaggio non secondario nella logica con cui gli Usa si impegnano in questo conflitto. Ma dietro a questa mossa ci sono diversi problemi che inducono gli stessi statunitensi a mostrare una certa moderazione nelle aspettative su questo invio di carri.
Innanzitutto, dalla Casa Bianca continuano a ripetere che ci vorranno “molti mesi” prima dell’arrivo dei mezzi a Kiev e dintorni. Il Washington Post dava come possibile periodo di arrivo l’autunno, ma è probabile che la data possa anche slittare a fine anno. I funzionari statunitensi non hanno dato delle indicazioni precise sui tempi, ma appare chiaro che la fornitura di carri armati non sarà rapida né tantomeno “a cuor leggero”.

La questione dell’addestramento​

Gli analisti americani hanno più volte sottolineato che per questi mezzi occorre molto addestramento, cosa che gli ucraini necessariamente non possono avere, ma che risulta fondamentale per far sì che questi mezzi siano efficaci. Le forze di Kiev hanno certamente dimostrato di poter superare ostacoli imponenti – come conferma del resto l’andamento della guerra – ma questo non autorizza a pensare che alcune decine di carri male impiegati possano rivoluzionare le sorti di un’invasione realizzata da un esercito che, al contrario, conosce perfettamente i primi (molti) carri armati.

John Kirby, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha detto che ci vorranno settimane solo per “definire i dettagli e iniziare a mettere in atto il regime di addestramento”. Poi inizierà il training vero e proprio, per il quale ci vorranno mesi e che dovrà essere composto sia di fasi per l’impiego operativo sia di addestramento per la manutenzione.

Il problema dei rifornimenti​

Il secondo tema – sottolineato anche da Newsweek – è poi quello del carburante. Inviare un carro Abrams significa infatti inviare un mezzo che si basa sul consumo di un’enorme quantità di carburante. Alcuni esperti sottolineano che l’ostacolo del tipo di carburante potrebbe essere superato dal fatto che i mezzi possono impiegare anche il cherosene comune usato dall’esercito statunitense.

Tuttavia c’è sempre il tema di avere un flusso di carburante adeguato, una rete che lo consegni in modo sicuro alle basi e soprattutto che la logistica si muova insieme ad essi anche lungo il fronte. In una situazione come quella ucraina in cui le forze Usa non sono presenti sul campo come avvenne per esempio nella Guerra del Golfo, tutto questo diventa molto complicato.

I rischi per la sicurezza​

Un altro tema è poi quello eminentemente legato alla sicurezza interna americana. Cosa che può sembrare secondaria nell’invio di un’arma per sostenere un alleato ma che non lo è in un meccanismo estremamente preciso come quello che combina industria bellica, intelligence e forze armate. Come analizzato dal portale The Drive, esistono diversi problemi legati alle componenti degli Abrams, dal momento che quelli utilizzati direttamente dai reparti dello Us Army sarebbero impossibili da esportare. Qualsiasi “breccia” nella rete di sicurezza – si pensi anche a uno solo di questi mezzi catturati o distrutti – può essere usata dai russi per studiare il mezzo e quindi analizzarne tutte le componenti secretate.

Inoltre, tra parti classificate e parti che legalmente sono difficili da impiegare all’estero, il dubbio è che i tank a Kiev possano essere necessariamente modelli specifici riconvertiti per essere mandati al fronte. Il che comporta anche l’assegnazione dell’appalto ad aziende specifiche con tempi tecnici legati al tipo di appalto e compensi. Anche in questo caso, l’invio di un mezzo aggiornato per essere poi mandato alle forze ucraine richiederà tempo che, anche se non eccessivo, comporterà dei ritardi che sono però considerati fondamentali per la sicurezza nazionale.

Sempre Joseph Trevithick su The Drive ipotizza che gli Usa possano chiedere ai propri clienti di inviare i carri armati già esportati, in modo da evitare ulteriori lavorazioni. Tuttavia sembra difficile che gli Stati partner di Washington non direttamente coinvolti nella Nato si possano impegnare nel mandare carri che sarebbero visti come un affronto da parte della Russia o come un netto spostamento del baricentro politico verso Occidente.

Il messaggio Usa agli alleati​

Fatte queste premesse, è opportuno quindi scindere il tema politico da quello tattico e strategico. Dal punto di vista diplomatico, l’atteggiamento Usa è apparso quello incline al negoziato con gli alleati europei e convinto della bontà della causa ucraina. Biden e il suo entourage hanno capito di avere ceduto alla richiesta tedesca per convincere Olaf Scholz a consegnare i Leopard a Kiev e, d’altro lato, hanno mostrato all’Alleanza Atlantica di essere non solo il vertice di essa ma anche interessati allo sforzo collettivo per sostenere Kiev.

Dal punto di vista materiale, però il freno a mano tirato dai funzionari Usa manifesta anche un estremo realismo che rende anche l’idea di come questa mossa sia stata non solo estremamente ponderata, ma anche considerata nei suoi ostacoli. Tutti, dalla Casa Bianca al Pentagono fino agli analisti più esperti della materia, sono consapevoli delle criticità e delle conseguenze di questa scelta.
 
Tank e sanzioni
Per quanto in Occidente non si possa dire apertamente e si debba continuare con la retorica del "tutto va secondo i piani" (esattamente ciò che sostiene anche la Russia), la decisione di inviare carri armati di produzione occidentale all'Ucraina è indiscutibilmente un segnale di debolezza della strategia Nato e soprattutto dell'inefficacia delle sanzioni contro la Russia.
I vari pacchetti di sanzioni, lo ricorderanno i più attenti, sono stati introdotti come forma di ritorsione contro Mosca che avrebbero dovuto giustappunto mettere al tappeto la Russia senza il bisogno di intervenire militarmente per difendere l'Ucraina.
La Russia avrebbe dovuto essere messa in condizione di rinunciare all'offensiva militare per via di crollo della borsa, immobilismo industriale, crisi economica con rivolte sociali interne, incapacità di produrre e fornire armi all'esercito.
Invece, dopo un anno ci ritroviamo con la Russia che ha problemi economici relativamente "gestibili", con il tessuto produttivo convertito in industria di guerra, con i missili balistici Kh-22 prodotti da meno di un anno che piovono sull'Ucraina, con una mobilitazione parziale fatta di decine di migliaia di persone già al fronte armate, equipaggiate e che avanzano.
Insomma, di fronte a questo scenario l’Occidente non ha inviato i tank (e prima i Patriot, e prima i Mig, e prima di Himars) per scelta, ma per la necessità di fronteggiare una situazione che a sentire i leader non si sarebbe mai dovuta verificare grazie allo straordinario impatto delle sanzioni. Questa lettura occidentale, bisogna ammetterlo, si è rivelata sbagliata a prescindere da ciò che succederà all'economia russa tra 3/5/7 anni. Perché le sanzioni avrebbero dovuto rendere innocuo un gigante che invece è più combattivo che mai e che ora per essere fermato sta richiedendo all'Occidente uno sforzo economico, politico e militare immane.
Le sanzioni non sono state funzionali allo scopo.
Chi non lo ammette è in malafede.

 
The tanks pledged to Kyiv alone won’t turn the tide in the war.

WASHINGTON — Per tutta la fanfara sui carri armati avanzati che l'Ucraina ha ottenuto dall'Occidente questa settimana, non saranno il proiettile d'argento che permetterà a Kiev di vincere la guerra. Invece, l'esercito degli Stati Uniti, ancora una volta, tenterà di rifare un esercito a propria immagine per dare all'Ucraina la migliore possibilità di sfondare le difese russe radicate.

Per farlo, gli Stati Uniti e i loro alleati non dovranno solo fornire i carri armati, i veicoli blindati e le munizioni avanzate appena promessi, ma anche espandere quello che è stato una sorta di programma di addestramento ad hoc per insegnare ai militari ucraini a usare tutte le nuove attrezzature insieme. Sarà un corso accelerato in quella che l'esercito americano chiama guerra d'armi combinata, qualcosa che richiede mesi se non anni per padroneggiare le unità americane.

Le decisioni sui nuovi aiuti militari sono un delicato atto di bilanciamento per la Casa Bianca e l'alleanza della NATO: mentre vogliono fornire a Kiev nuove capacità che hanno il potenziale per superare uno stallo sul campo di battaglia, non vogliono nemmeno provocare il presidente Vladimir V. Putin della Russia per intensificare la lotta in una guerra più ampia.

Di conseguenza, il fatto che i carri armati occidentali producevano un notevole hand-wring. Ma finora Mosca è stata scoraggiata dall'espandere la guerra, e la creazione di unità ucraine più nuove e più forti rappresenta la migliore possibilità di evitare uno stallo.

Mentre le immagini satellitari hanno rivelato i russi che costruiscono linee primarie e secondarie di trincee difensive lungo le linee del fronte, gli analisti del governo americano hanno iniziato l'anno prevedendo uno stallo mortale come probabile risultato per il 2023. Preoccupato che un conflitto congelato favorisca la Russia, gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno iniziato discussioni più sere nelle ultime settimane su come cambiare le dinamiche del campo di battaglia a favore dell'Ucraina.

"Vogliamo metterli nella migliore posizione possibile in modo che se questa guerra finisce sul campo di battaglia, se finisce con la diplomazia o qualche combinazione, che siano seduti su una mappa che è molto più vantaggiosa per il loro futuro a lungo termine e che Putin senta il fallimento strategico", ha detto giovedì Victoria Nuland, un alto funzionario del Dipartimento di Stato, al Senato.
 
‘We have to make time our weapon,’ Zelensky says.

KYIV, Ucraina — Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha implorato gli alleati di accelerare la consegna di armi mentre la Russia intensifica i suoi assalti a città in tutta l'Ucraina orientale, inviando ondate di truppe nel tentativo di sfondare linee ucraine pesantemente difese.
 
Armi all’Ucraina, reindustrializzazione degli Stati Uniti e desertificazione dell’Europa


Lo scorso 20 gennaio, i 40 Paesi riunitisi presso la base Nato di Ramstein hanno definito quantità e tipologie di sistemi d’arma da fornire all’Ucraina. Nello specifico, gli Stati Uniti si sono impegnati a consegnare sistemi mobili Avenger, veicoli a ruota Stryker, Mrap e Hummer, mezzi corazzati M-2 Bradley più quasi 300.000 proiettili per i cannoni di cui sono dotati, missili anticarro Tow, munizioni per i sistemi Nasams e Himars, mine antiuomo M-18 Claymore e decine di migliaia di proiettili d’artiglieria da 105, 120 e 155 mm. Il controvalore – 2,5 miliardi di dollari – delle armi inviate nell’ambito di questo nuovo pacchetto porta l’ammontare complessivo dell’assistenza militare assicurata dagli Stati Uniti all’Ucraina a qualcosa come 24,7 miliardi di dollari. Nel computo occorrerà peraltro inserire i 31 carri armati di fabbricazione statunitense M-1 Abrams che, stando alle dichiarazioni del Pentagono e del presidente Biden, dovrebbero arrivare in Ucraina entro l’autunno del 2023.
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Altrettanto imponente si rivela l’entità del sostegno predisposto dalla Gran Bretagna, comprensivo di 14 carri armati Challenger-2, mezzi corazzati Crarrv, cingolati da combattimento Bulldog e Spartan, elicotteri Sea King, droni, missili Starstreak, Araam e Brimstone, obici semoventi da 155 mm e munizionamento di vario genere.

Attorno alla Polonia va tuttavia emergendo una folta schiera di comprimari, a partire dai Paesi baltici: l’Estonia ha predisposto l’invio di obici da 155 e 122 mm, oltre a un cospicuo numero di munizioni e di armi anticarro; la Lettonia ha assunto l’impegno non solo a fornire missili Stinger, elicotteri Mi-17, droni, mitragliatrici e pezzi di ricambio, ma anche ad addestrare ulteriori 2.000 soldati ucraini, che vanno a sommarsi ai 1.000 formati lo scorso anni; la Lituania invierà invece cannoni antiaerei da 40 mm, elicotteri Mi-8 e pezzi di ricambio. Il contributo della Repubblica Ceca verte sulla fornitura di obici semoventi da 155 mm, mentre quello del Canada sulla consegna di 200 veicoli Senator, più una batteria di difesa aerea Nasams. L’Olanda, dal canto suo, ha messo a disposizione dell’Ucraina due batterie di Patriot, mentre la Svezia, che vede le proprie prospettive di ingresso nella Nato frustrate dall’irremovibilità provvisoria della Turchia, ha pianificato l’invio di cingolati Cv-90, obici da 155 mm e lanciarazzi Nlaw. La Finlandia, la cui adesione all’Alleanza Atlantica rimane anch’essa appesa a un filo, ha invece specificato soltanto il controvalore (400 milioni di euro) delle attrezzature belliche consegnate a Kiev senza entrare pubblicamente nel merito delle tipologie di armi fornite. Un po’ come l’Italia, che non ha fornito dettagli circa l’assortimento dell’ultimo pacchetto di assistenza militare all’Ucraina, che dovrebbe comunque includere il sistema di difesa aerea Samp-T. La Danimarca, al contrario, si è addirittura spinta a privarsi di tutti i propri 19 semoventi da 155 mm Caesar che erano stati ordinati dalla Francia per sostituire gli obici dello stesso calibro che erano già stati consegnati nel corso dei mesi precedenti all’Ucraina. «Si tratta del primo caso in cui un esercito della Nato si priva totalmente delle sue capacità in un settore specifico (in questo caso l’artiglieria) per fornire la totalità dei suoi mezzi a Kiev», evidenzia «Analisi Difesa».

Quello della Danimarca è un caso estremo ma altamente rivelatorio circa le enormi difficoltà in cui tutti i Paesi membri della Nato schieratisi a favore di Kiev stanno imbattendosi nel reggere i ritmi forsennati che scandiscono il conflitto russo-ucraino. Vale a dire una guerra sostanzialmente simmetrica, considerando il contributo determinante in termini militari e di intelligence assicurati all’Ucraina dall’Alleanza Atlantica, e ad altissima intensità, implicante cioè una gigantesca profusione di mezzi e risorse. Stando alle confidenze reseda un alto rappresentante della Nato al «New York Times» in merito alla situazione vigente lungo la “linea di contatto” nel Donbass nell’estate del 2022, gli ucraini sparavano qualcosa come 6-7.000 colpi di artiglieria al giorno; i russi, 40-50.000. Nel corso della ventennale operazione militare Nato in Afghanistan, sono stati esplosi non più di 300 colpi di artiglieria al giorno. Allo stato attuale, con i suoi 15.000 proiettili d’artiglieria fabbricati ogni mese, nemmeno il poderoso “complesso militar-industriale” statunitense riesce a stare al passo con l’andamento del conflitto. Figurarsi le nazioni europee, la cui inadeguata produzione industriale a fini bellici le ha costrette ad attingere alle riserve strategiche fino a mettere a repentaglio la propria capacità difensiva per soddisfare l’insaziabile domanda di armi da parte di Kiev. Ad essere sacrificati non sono infatti soltanto “ferrivecchi” da cui vengono comunque prelevate componenti da riciclare come parti di ricambio per mezzi maggiormente avanzati, ma anche sistemi d’avanguardia di limitata disponibilità come i Samp-T italiani. Per non parlare dei carri; alla vigilia dello scoppio della guerra, Germania, Francia e Italia combinate disponevano di meno di 4.000 carri armati (di cui 800 operativi), a fronte degli oltre 10.000 (di cui 3.330 operativi) in dotazione alla Russia.


Il PUNTO DI VISTA (MILITARE) DEGLI USA

Non è un caso che gli Stati Gli Stati Uniti abbiano implementato la fabbricazione ex novo dei carri armati Abrams da inviare in Ucraina, in conformità al duplice obiettivo di foraggiare l’influentissimo “complesso militar-industriale” e preservare allo stesso tempo scorte di sistemi d’arma giudicati vitali per la gestione di altre crisi internazionali come quella incentrata su Taiwan. Coniugandosi con la disarticolazione delle catene di approvvigionamento globali verificatasi sulla scia della pandemia da Covid-19, la necessità di rimpinguare gli arsenali ucraini ha del resto comportato l’accumulo di forti ritardi nella fornitura di materiale bellico a Formosa. Si parladi mancate consegne per un valore complessivo pari a 14,2 miliardi di dollari, comprensive di caccia F-16, velivoli da ricognizione Ms-110, obici Paladin e missili Patriot, Stinger, Harpoon e Slam-Er.

Si vengono così a creare le condizioni per quel sostanziale incremento della produzione industriale invocato con forza dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg non soltanto in un’ottica di fiancheggiamento dello sforzo militare ucraino, ma anche di ricostituzione delle riserve strategiche dei Paesi membri dell’Alleanza Atlantica, visto l’esaurimento delle scorte di sistemi d’arma, munizioni e pezzi di ricambio di fabbricazione sovietica da inviare a Kiev. In questa direzione si sono già orientati i membri europei della Nato, i quali hanno votato compattamente l’allineamento della spesa militare al limite minimo previsto dal Patto Atlantico (la Germania ha addirittura varato un aumento della spesa militare di 100 miliardi di euro). Anche compagnie belliche del “vecchio continente” quali Krauss-Maffei Wegmann, Rheinmetall e Leonardo-Finmeccanica si sono mosse, disponendo un incremento della produzione di carri armati e radar sulla scia degli ottimi risultati conseguiti in seguito allo scoppio del conflitto russo-ucraino.
 
La Nato significa guerra totale: siete pronti?

“L’idea che invieremo dell’equipaggiamento offensivo e faremo arrivare aerei, carri armati e treni con piloti americani ed equipaggi americani, capisci… si chiama Terza Guerra Mondiale, ok? Andiamo, dai, ragazzi […] non combatteremo la terza guerra mondiale in Ucraina”. Così Biden, lo scorso marzo, rispondendo alla sollecitazione di un cronista.
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I carri armati sono arrivati e ora, come riferisce Politico, è iniziato il prossimo step, cioè si inizia a parlare di inviare jet. L’Olanda ha già dato la sua disponibilità a inviare degli F-16, i velivoli richiesti da Kiev, ma soprattutto ad annunciare di essere pronta a fornire tali jet è la casa produttrice, la Lokheed Martin (Financial Times).

Sia i carri armati che i velivoli da combattimento necessitano di personale specializzato e le dichiarazioni sull’addestramento di personale ucraino suonano alquanto bizzarre. Davvero qualcuno può credere che in quattro-sei mesi si può fare di un maestro di scuola, di un avvocato o di un contadino un pilota di un carro armato moderno o di un F-16?

A pilotare i nuovi armamenti sarà personale Nato in incognito (per i carri armati forse basterà uno per equipaggio, ma poco cambia). E così siamo letteralmente nella drammatica situazione che Biden aveva escluso categoricamente.

Un diniego ribadito con determinazione tre giorni fa dal capo della Nato Jens Stoltenberg, il quale ha dichiarato che la Nato non avrebbe inviato “truppe o jet”, aggiungendo che tale possibilità è del tutto “fuori discussione”. Il che significa che saranno inviati.

Non genio, ma follia​

Ma prima di parlare delle truppe, val la pena riferire quanto riporta Politico, secondo il quale nelle Cancellerie occidentali le consultazioni sull’invio dei jet sono “già in corso, sotto la spinta dei funzionari ucraini, supportati dagli aggressivi stati baltici”. Nella prossima riunione di Ramstein, che si terrà il mese prossimo, tale tema “sarà al centro dell’attenzione”.

Ma ci sono forti resistenze. Così “alcuni funzionari ritengono che l’incontro del prossimo mese a Ramstein sarà focalizzato sull’elaborazione di un piano di emergenza, nel caso in cui i caccia urgessero in futuro, piuttosto che sulla ricerca di un accordo per delle forniture a breve”.

“Gli alleati europei dell’Ucraina prevedono che il conflitto potrebbe durare dai tre ai cinque anni, se non più, e si teme che l’Occidente sia prossimo al limite di ciò che può fornire a Kiev senza innescare una risposta estrema da parte di Mosca”.

Tale considerazione va messa in relazione a quanto si legge successivamente, quando il giornale americano accenna al fatto che il supporto all’Ucraina è stato modulato secondo una studiata “costante escalation”.

Per Politico, se l’Occidente avesse fornito subito a Kiev quanto richiesto, avrebbe rischiato una reazione spropositata dei russi. Invece, “l’idea era che l’Occidente fornisse il proprio supporto gradualmente, valutando ad ogni passo la risposta russa”. Ciò serviva anche a “far abituare Putin” ai vari passi (sic).

In realtà, questa escalation modulata che vedrebbe gli strateghi d’Occidente infusi di un genio senza pari è, invece, frutto di un conflitto più o meno segreto, che a volte affiora anche sui media mainstream, tra la ragionevolezza di un certo potere occidentale, che sta tentando (inutilmente) di chiudere questa pericolosa deriva, e la follia dei falchi, supportati dall’apparato militar-industriale Usa.

E la costante escalation evidenzia le varie vittorie conseguite da questi ultimi. Non genio, dunque, ma follia. Non solo, l’escalation deriva anche dagli sviluppi del conflitto. Dal momento che la propaganda non ha mai mutato la sua narrazione sulle gloriose, e certamente vincenti, gesta delle forze ucraine, si pone il problema di far coincidere tali astrusità con la realtà.

Perché ciò avvenga, l’Occidente si deve impegnare sempre più nel conflitto, man mano che tale narrazione si scontra con una realtà di segno opposto, dal momento che i russi per ora stanno vincendo la guerra. O, come nel caso dell’invio dei carri armati, anche per nascondere le sconfitte, nascondendole con annunci iperbolici, che servono anche a evitare che i media si soffermino sulle notizie dal fronte, che negli ultimi giorni sono disastrose.

Morire per Kiev?​

A Bakhmut, infatti, le forze ucraine sono state accerchiate, con prospettive nefaste. E qui veniamo all’ultimo punto, cioè al possibile invio di truppe.

Purtroppo, dopo un anno di guerra, l’esercito ucraino è degradato. Dei 600mila militari ucraini iniziali, tanti saranno morti – una cifra spropositata, dal momento che nessun media ne parla, per paura di indurre l’opinione pubblica a chiedere la fine del conflitto – e una cifra molto più spropositata non è più abile al combattimento (feriti gravi e mutilati).

Ciò anche per le direttive dei generali ucraini, che chiedono ai loro uomini di tenere a tutti i costi anche posizioni indifendibili (Mariupol e Bakhmut sono solo due esempi).

Non solo per ragioni patriottiche, ma anche per tentare di non vanificare la narrativa vincente dei media atlantisti (nonché per “indebolire la Russia“, come da esplicitazione del Segretario alla Difesa Lloyd Austin, cosa che richiede di uccidere – “far sanguinare” – i russi, anche a costo di sacrifici umani; ucraini, ovviamente).

Il punto è che il degrado di un esercito, se anche procede lentamente, si manifesta di schianto quando si supera un certo limite. Nel caso dell’esercito ucraino il rischio è reale, data anche l’ampiezza del fronte e la fuga di tanti ucraini all’estero, che limita la coscrizione.

Né possono sopperire i mercenari provenienti da tutto il mondo. Attualmente ce ne sono tanti: oltre al gruppo Mozart, composto da veterani Usa, The Week dà notizia “di una serie di gruppi di volontari guidati da veterani occidentali […]. Gruppi come Trident Defense Initiative, Ghosts of Liberty o Backyard Camp [che] accettano ‘pagamenti tramite PayPal, Bitcoin o cash'”.

Il punto è che i mercenari, benché efficaci a supporto di un esercito, non possono da soli “fare” un esercito. Così, per evitare il collasso del fronte, chi vuol far proseguire questa guerra dovrà prima o poi spingere per inviare delle vere e proprie truppe Nato, in forme da decidere. Insomma, prima o poi potrebbe riproporsi la fatidica domanda: morire per Kiev?

In Polonia iniziò la Seconda guerra mondiale. In Ucraina – metà della quale era parte della Polonia – sembra sia iniziata la quarta.
 
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