Luciano Fabro

LUCIANO FABRO

Pavimento-Tautologia, 1967

“[…] La superficie […] deve essere tenuta pulita, lucidata [e] costantemente coperta con carte e giornali. È necessaria una assidua manutenzione perché vengano mantenute le condizioni postulate. Del resto ogni esperienza che riguardi questo manufatto è limitata alla manutenzione.”

Luciano Fabro, Pavimento (tautologia), in “Bit”, n. 5, ED 912 Edizioni di cultura contemporanea, Milano, novembre 1967, p. 7.
 
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LUCIANO FABRO

Pavimento-Tautologia, 1967

“[…] La superficie […] deve essere tenuta pulita, lucidata [e] costantemente coperta con carte e giornali. È necessaria una assidua manutenzione perché vengano mantenute le condizioni postulate. Del resto ogni esperienza che riguardi questo manufatto è limitata alla manutenzione.”

Luciano Fabro, Pavimento (tautologia), in “Bit”, n. 5, ED 912 Edizioni di cultura contemporanea, Milano, novembre 1967, p. 7.
 
ironia, sbeffeggi, insulti, rutti, che cosa vuoi di più.
Questo è il forum gente, avanti un'altro.
 
ironia, sbeffeggi, insulti, rutti, che cosa vuoi di più.
Questo è il forum gente, avanti un'altro.

Dici tutto tu...ho solo messo una foto ecchessara mai. Prendi le cose con più leggerezza altrimenti ti ammali.Consiglio.
 
Uno scritto dell'Artista Paolo Canevari dedicato a Luciano Fabro e all'importanza che ha avuto per la sua generazione

Paolo Canevari | The Brooklyn Rail

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(tradotto con Googl Traduttore)


Era un'Italia rovesciata, appesa come un impiccato, come uno straccio appeso ad asciugare e abbandonato; era il mio paese; preso e capovolto ... Ero un giovane artista e mi sono chiesto chi fosse quel visionario. Quale artista poteva esprimere un gruppo così profondo di concetti e significati in modo così semplice, elegante e assoluto, quella cultura profondamente italiana fatta di genio e contraddizioni? Con quella prima immagine di Luciano Fabro, ho incontrato quello che sarebbe stato un padre surrogato, una presenza costante nel mio percorso di pensiero creativo come uomo e artista. Erano gli anni '80 e stavo facendo i miei primi passi da studente presso l'Art Academy nella foresta del contemporaneo. Era un periodo popolato da persone oscene, una brutta pittura e critici aggressivamente ambiziosi che avrebbero trasformato la percezione dell'arte negli anni a venire e che avrebbero annunciato la vittoria del materialismo globalizzato che ci stava aspettando nel ventunesimo secolo. Quell'artista ha lasciato in me qualcosa che non mi ha mai abbandonato; una sensazione di intimità e, allo stesso tempo, la sensazione di una distanza incolmabile, qualcosa che ho percepito di frequente quando si entra in quei luoghi sacri che chiamiamo musei. In quell'Italia capovolta ho sentito la statura incombente di un artista ma anche il sorriso, ironico e fiducioso, che un maestro ha nel vedere il suo giovane allievo. Ho incontrato Fabro personalmente molti anni dopo. Grazie ad un altro grande artista dell'Arte Povera, Jannis Kounellis, sono entrato a far parte della storica galleria di Christian Stein. Nel 2004, mentre montavo una mostra nella mia galleria, ho visto Fabro entrare, guardarmi e sorridere. Fu in questo modo che ci presentammo l'un l'altro.

L'ho visto di nuovo in altre occasioni - ho vissuto tra New York e Roma ei contatti con altri artisti italiani erano rari e formali; ma sono stato particolarmente grato a Fabro per avermi trasmesso una visione del ruolo dell'artista in una società contemporanea attraverso una raccolta di libri delle sue lezioni come professore all'Accademia d'Arte di Brera di Milano e le sue conferenze in musei e istituzioni.

Quel ruolo non si fermava a fare arte, ma ampliava le responsabilità dell'insegnamento, come un modo di pensare morale ed etico, un bisogno sociale che Fabro aveva percepito e compreso, e che si era posto come un problema. Il mio essere un artista oggi e un professore all'Accademia d'arte di Roma deve molto alla sua idea di trasformazione e all'aiuto che un artista può e deve dare ai più giovani.

Il pensiero di Fabro è stato fondamentale per la mia generazione, artisti come me, Liliana Moro, Stefano Arienti e Bruna Esposito sono riusciti a crescere nel generoso patrimonio intellettuale dell'Arte Povera, lontano dal conformismo contemporaneo e dal modo in cui la società induce a pensare in termini restrittivi senza vere visioni e prospettive.

Attraverso gli occhi dei miei studenti vedo come l'insegnamento - che non accetta i sistemi didattici istituzionali: la propaganda, il messaggio subdolo della pubblicità e tutto ciò che giace sotto un'idea di profitto e sfruttamento - può creare un'intimità nell'opera e un valore perché può anche essere raccolto nella sua dimensione fisica, non imponente o travolgente, ma possibile e comprensibile. La traccia che l'arte può lasciare può essere profonda e può essere seguita e utilizzata come indicazione per gli altri.

Penso che Fabro ci abbia insegnato come l'arte è conoscenza e, senza conoscenza, l'arte non può esistere.
 
Dovete sapere che l’arcobaleno è l’opera in natura che più assomiglia all’opera d’arte, perché:
– Si stacca con violenza da ciò che lo circonda
– Abbraccia sia ciò che contiene sia ciò che lo circonda
– Ha una consistenza materica omogenea
– Ha una struttura luminosa elementare
– Ha una luce assai differenziata
– Dall’alto volge versa la terra ma senza premere
– Non sale mai tanto in alto da essere inafferrabile
– Unisce due punti ma senza creare una relazione
– Va dalla luce all’ombra ma di sbieco
– Riempie il mondo ampliandolo
– Giunge quando gli animali escono dalle loro tane e riprendono la voglia di vivere.

in Luciano Fabro, Aufhänger, Verlag der Buchhandlung Walther König, Köln 1983, p. 294
 

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Mostra "Chambres d'amis", Gent a cura di Jan Hoet 21 giugno 21 settembre 1986

Luciano Fabro:
“.. è il lavoro legato a Chernobyl (26 aprile 1986), l’ho fatto subito dopo, quasi di getto.
La città di Gand aveva offerto a una cinquantina di artisti altrettante case private, di ogni tipo, dalla ricca alla poverissima, da quella borghese a quella occupata. Anch’io dovevo andare a vedere in quale casa mi sarebbe piaciuto lavorare, e ci volevo andare.
Poi ho pensato che non mi interessava vedere la casa, ma che ci poteva essere una ragione in una casa e su questo volevo lavorare: ho chiesto quella dove abitava l’ultimo nato tra queste famiglie, la mia ospite era una bambina di tre anni. Pensavo di fare qualcosa per lei. Chernobyl! Nella mia mente non trovo più nessuno spazio che mi configuri né una decorazione, né un arredo per uno che sta aprendo gli occhi sul mondo. Prendo una grande tela, più lunga della casa, non poteva mai essere distesa, ne taglio i bordi in maniera irregolare – il disegno è quello del grafico di Lawrence Sterne quando descrive lo sviluppo del suo romanzo Tristram Shandy, una specie di scarabocchio, non c’è simmetria, il bordo è tutto frastagliato, la sua forma non è prendibile. Lo titolo: “C’est la vie” e come didascalia scrivo: “Quando mi proposi di lavorare nella casa del neonato c’era sottintesa un’idea genealogica dello spazio e del senso delle cose. Dopo Chernobyl tutto ciò risulta comico. La mutazione genetica azzera ogni volontà umanistica.

Gli dèi daccapo nascondono la ragione della follia.

L’immagine di questa bambina e di questo straccio, che non si riesce mai a vedere nel suo insieme, diventano inscindibili".
 

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I miei passi hanno bucato il cielo. I miei
passi hanno bucato la terra. Io sono Zoppo.


Luciano Fabro, Shinjuku-I-Land, Tokyo 1994
 

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"VALORI ETERNI DELLA SPECIE.

E' la messa in pratica di un concetto la cui esistenza in natura viene legittimata dalla forza di gravità.
Causa-effetto mimano la ripetizione della storia, rappresentata come un fenomeno fisico o come lo sgambetto a se stesso."


infatti :
ll moto del reazionario
se il tuo piede sinistro sta spostandosi in avanti, anticipalo, calciandolo con il destro.
la piroetta che farai sarà la danza dei valori eterni della specie.

;)
 
"Succede a volte che dai crogioli di Murano nasca un vetro che il diamante non intacca, il fuoco non può sciogliere né gli acidi attaccare, trasparente più dell' aria, più fine, a soffiarlo, d'una bolla di sapone; ma nessuno ha saputo dirmi quanto dura: quel poco per farsi riconoscere, poi, con un suono simile al trillo di un bimbo, torna sabbia.

A ogni generazione, un maestro vetraio brucia la sua vita per fermare quel momento.
Ciò io chiamo lavoro".

Luciano Fabro, Da "Aptico"

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