Mamma.....

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“Mia mamma mi parlava spesso della sua terra quando ero bambino... I ricordi, com’è comprensibile, sono molto contrastanti.

Sergio Marchionne parla con gioia della madre Maria Zuccon, veneto-istriana, e della sua infanzia a Zucconi, dei bei momenti che ha trascorso con la famiglia,
di quando andava al mare con la sorella Anna e, dopo lunghe camminate, raggiungevano finalmente la spiaggia e le ‘loro’ grotte.
Ne parla con amore quando racconta dell’incontro della madre Maria Zuccon, veneto-istriana, con il padre, che dall’Abruzzo si era
trasferito proprio in Istria per dirigere

la stazione dei Carabinieri di Carnizza. Si erano conosciuti nell’emporio che il nonno Giacomo aveva aperto in piazza, a Zucconi,
praticamente sotto casa, e dove la madre trascorreva molto tempo ad aiutare.
Parla con profondo dolore se pensa al periodo delle pulizie etniche e delle foibe. Quando nel 1943 arrivarono i partigiani di Tito
a rastrellare i ‘nemici del popolo’, l’emporio venne distrutto e il nonno fu catturato e fatto sparire, insieme ad altre persone perbene
del paese. Anche lo zio Giuseppe, il fratello più grande della madre, che partì alla ricerca del padre, non fece mai più ritorno a casa.

Qualche anno più tardi, i genitori di Sergio, Concezio e Maria, lasciarono l’Istria, per sposarsi e andare a vivere in Italia.

La sua famiglia materna ha provato sulla propria pelle la tragedia delle foibe e dell’esodo.
Il rancore non è uno dei sentimenti che mia madre mi ha trasmesso. In lei ho sempre visto una donna estremamente forte e sensibile,
due elementi che possono convivere solo in chi è stato messo duramente alla prova dalla vita. Quando parla della terribile esperienza
che lei e la sua famiglia hanno dovuto passare, sento dolore e commozione nella sua voce, non vendetta
”.



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Mia mamma era una mamma che non sapeva cucinare, era una mamma gelosa e provo dei brividi, e non sopporto
quelli che "Però come faceva le tagliatelle mia madre...". C'è il mito di come faceva bene da mangiare la mamma,
le cose che diceva la mamma, donne delimitate nel ruolo di cuoche, mamme che poi erano considerate ignoranti
come talpe. Avevano solo una qualità, amavano i bambini. E va be', ma dico, non è una qualità rara, è del tutto naturale.
E poi se andiamo a ben guardare, le tagliatelle che facevano le mamme erano delle porcate, erano incapaci il 99 per
cento delle madri, per affetto facevano cose terrificanti, hanno avvelenato molti mariti e molti bambini.
Non sopporto il mammismo, è una retorica tipicamente latina, molto italiana. Be'! ...le mamme italiane sono considerate
sante donne, "le tagliatelle e gli spaghetti che fa la mia mamma...". Orribile.

Paolo villaggio


Paolo e Piero Villaggio il primo giorno di scuola, nel 1938.

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"Pensate diversamente, siate diversi. E via da quei telefonini!"

Iris Apfel è nata da padre americano e madre russa nel lontano 29 Agosto 1921, è esperta d’arte, interior design, business-woman e per non farsi mancare nulla: fashion icon.
Iris sostiene di aver pronunciato all’età 8 anni, una delle frasi più utilizzate da noi donne davanti all’armadio: “non ho niente da mettermi”.

La sua musa ispiratrice è stata la mamma che riusciva a rendere un semplice abito nero, un vestito da cocktail
Destino ha voluto che Iris diventasse a sua volta musa, è stata infatti proprio lei con il suo personaggio alla “Woody Allen” ad ispirare il mondo del cinema.

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La sua parola preferita? Amore. Il suo sogno? Visitare l’India, ma non sa se riuscirà a farlo. Il piacere più peccaminoso? Andare per mercatini delle pulci. Cosa ha ereditato dai genitori? La curiosità, il senso dell’avventura, lo humor.

“Mamma era all’avanguardia per i suoi tempi, molto intelligente, sempre elegante … mi ha
anche insegnato a fare shopping nei negozi con gli sconti e a contrattare sul prezzo.
Ho imparato da lei che conta il valore di una cosa, non quanto costa”
.

Eppure la signora Apfel, così rivoluzionaria e dalla vita straordinaria, ha avuto nel privato qualcosa di felicemente e incredibilmente “ordinario”: un matrimonio durato 67 anni e concluso nel 2015 con la morte dell’amato Carl, che di anni, al momento della scomparsa, ne aveva 101.


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"Mia madre era un genio, analfabeta, ma con una forza primordiale, e mio padre era psichicamente potente,
oltre a essere stato un uomo bellissimo. Aveva un fascino maschio d’antan, ma non era un selvatico, anzi,
era piuttosto sofisticato nella sua crudeltà mentale, e leggeva parecchi giornali.

(...) Mia madre... lei ti diceva no per qualsiasi cosa. Se non avevi guadagnato da mangiare non ti accettava in casa.
Da bambino, avrò avuto 7 o 8 anni, mi costringeva ad andare a rubare l’erba per i conigli. C’era una contadina
con una frusta lunga, di salice piangente che ti faceva malissimo se ti trovava col sacco in mano. Dai quattro anni
mia madre mi dava da ricamare, esattamente come poteva ricamare il Delfino di Francia, una cosa da maschi.
Ma io ricamavo per vendere i centri. Pensare a cosa avrebbe fatto lei in certe situazioni mi ha salvato spesso, perché
io ho corso tutti i pericoli, ma allora avevo le antenne, sapevo essere temerario e guardingo allo stesso tempo. Adesso
le antennine contro la pugnalata alle spalle non le ho più, semmai vado incontro al pericolo perché da vecchio sono
molto distratto e non so riconoscerlo, non più perché mi dilettano le situazioni estreme anche in Paesi sudamericani
o australiani e gli incontri al buio anche a Lambrate come una volta. Io non ho mai rappresentato un pericolo per nessuno,
sono sempre stato amorevole e pacifico erotomane, senza fantasmi cattivi da far sfogare su una vittima ignara o
accondiscendente che fosse. Insomma, come amante non sono mai stato un granché, cercavo di ammazzare un po’
di tempo tra un foglio e l’altro».

ALDO BUSI


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Da bambino stavo vicino alla stazione di Rifredi e andavo a vedere i treni, ancora col fumo, come nel film di Greta Garbo...
rivedo dalla parte di là il fumo...E poi vedevo le gambe della mia mamma che faceva la maestra e andava a Prato,
Firenze-Prato era un viaggio allora...E poi quando il treno era andato via lei attraversava, non c'era il sottopassaggio.
E quindi i primi ricordi di mia madre sono quando torna dal lavoro e si leva le calze. Perché i bambini non vedono i visi,
vedono prima di tutto i piedi, le gambe e mia mamma si levava le calze. Diceva "Ohi, ohi", la stanchezza, perché partiva
la mattina presto e tornava la sera, tutto il giorno là.

(Paolo Poli)


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Ero una campagnola tedesca
dagli occhi azzurri, rosea, robusta e felice.
E il primo posto dove lavorai fu da Thomas Greene.
Un giorno d’estate che lei era fuori,
Thomas s’infilò in cucina e mi prese
stretto tra le braccia e mi baciò sulla gola,
distogliendo io la faccia. Nessuno di noi due
ebbe l’aria di accorgersi di quello che avvenne.
E io piangevo per il mio avvenire,
e piansi quando il mio segreto si vide.
Un giorno lei mi disse che aveva capito,
e non avrebbe fatto chiasso
e, poichè era senza figli, avrebbe adottato il mio.
(Thomas le aveva dato una cascina perchè se ne stesse tranquilla).
Così lei si nascose in casa e mandò in giro voci
come se ciò che accadeva accadesse a lei.
E tutto andò bene, e il bimbo nacque. Furono così gentili con me!

Più tardi sposai Gus Wertman, e passarono gli anni.
Ma – alle adunanze politiche quando il pubblico credeva che io
piangessi
all’eloquenza di Hamilton Greene –
non era questo.
No! Avrei voluto gridare:
“Quello è mio figlio! mio figlio!”

EDGAR LEE MASTERS


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«In famiglia eravamo 4 figli. Papà era un apprezzato musicista del Teatro San Carlo di Napoli. Ma ci lasciò presto.
Io avevo 8 anni, Aldo 12. Mamma non lavorava , di soldi non ne giravano e cosi io, che ero il più piccolo dei figli
maschi, venni mandato in collegio. Non avevo neanche le scarpe, e me la cavavo con gli zoccoli, andavo a
mangiare dagli zii. Aldo spesso mi veniva a trovare. Era in carne, all’epoca, e con spietatezza i miei compagni di
collegio lo prendevano in giro: “Maronna quanto si chiatto, madonna quanto sei grasso”, gli dicevano in coro.
Io soffrivo per lui, lo difendevo dai loro attacchi . Però andavo anche orgoglioso della sua voce. Che gli aveva
consentito, dopo tanta gavetta, di sfondare nel mondo teatrale, regalandogli dagli studi rai, anche la gioia di dare
l’annuncio a tutti gli italiani, della fine della seconda guerra mondiale, il 25 aprile del 1945». «Una volta vidi mia
madre chiedere l’elemosina e compresi quanto le doveva esserle costato quel gesto fatto per noi, per i suoi figli»
(ad Antonio Gnoli) [Rep, 20/1/2013].

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«Ma ebbi un forte spirito di sopravvivenza. E lì accettai qualsiasi cosa: suonavo la tromba, feci teatro con un atto
unico di Marchesi e Metz, coi personaggi di Timiducci (ero io) e Franconi«Quando ero giovane ho fatto qualche film,
poi mi sono concentrato solo sul palcoscenico. Mario Monicelli non mi ha mai perdonato di aver rifiutato di interpretare
con lui Speriamo che sia femmina: mi disse che avevo commesso un grave errore, così come quando rifiutai una
parte importante nell’altro suo filmAmici miei, perché ritenevo che fosse un personaggio volgare, poco adatto alle mie corde» ».

CARLO GIUFFRE' (Napoli, 3 dicembre 1928 – Roma, 1º novembre 2018):bow:


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A mia madre,

grazie per avermi mostrato

che ogni donna è una storia d'amore,

grazie per avermi insegnato

l'intelligenza del cuore...


Alessandro D'Avenia
 

Allegati

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“… La parte inferiore del suo corpo era come un ammasso di fibre di cotone lasciate in ammollo in un otre d’acqua,
si sentiva così appesantita da non riuscire a muoversi. Stava quasi accarezzando l’idea di lasciarsi morire in quella
distesa di grano, e invece continuò a sorreggersi alla sua sorprendente forza di volontà. Rovescia il grano! Rovescia!
L’aia era una distesa abbacinante. Le spighe sembravano aver preso vita, s’ammassavano una sull’altra, si ordinavano
in squadre, si agitavano come una miriade infinita di pesciolini dorati, come una moltitudine di serpenti in una danza
festosa. Mia madre rovesciava il grano e nel cuore le si andava addensando un velo di profonda tristezza.
Dio del cielo, apri i tuoi occhi! Vicini di casa, dirimpettai, aprite i vostri occhi! Guardate la moglie della famiglia Shangguan,
ha appena finito di partorire sua figlia, si trascina sul corpo insanguinato, l’hanno fatta venire sull’aia, sotto i raggi infuocat
i del sole che le incendiano la testa, sta qui a rovesciare il grano. Mentre il suocero e il marito, due omuncoli, se ne stanno
seduti all’ombra a far chiacchiere o a digrignare i denti nel sonno. A scorrere tremila anni di storia, non si troverebbero
giorni così amari."

MO YAN

Mo Yan, pseudonimo di Guan Moye, è uno scrittore e saggista cinese, autore del romanzo Sorgo rosso, a cui il regista
Zhang Yimou si è ispirato per girare l'omonimo film. Nel 2005 ha vinto il premio per la letteratura internazionale Nonino.
Nel 2012 Mo Yan è stato premiato con il premio Nobel per la letteratura


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"La mamma da noi era anche l'organizzatrice dei soldi, i miei genitori lavoravano tutti e due e c'era un mobiletto con tutte
le buste: gas, luce, erano tutte le spese fisse, e poi c'era un fondo per le eventualità, le malattie e gli accadimenti che
non si possono prevedere...C'era un bel rapporto con i miei...io non sapevo tenere un segreto, come si dice in Toscana
"non reggevo neanche il semolino"...Mia nonna...era analfabeta, ma poi aveva imparato a leggere e scrivere, e scriveva
"camiscia", come in Toscana si dice "basciarsi" come nel Boccaccio, perché si scrive come si pronuncia: "il bascio", la "camiscia", carina!"

(Paolo Poli)



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Mia madre dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto…
Le parti integre e quelle compromesse si mischiavano di continuo ed era arduo distinguerle. Nonostante fosse afflitta
da una notevole mancanza di memoria, vi erano particolari che ricordava perfettamente…
(…)era come se avesse incominciato a cancellare a ritroso, con una gomma, la lunga linea della sua vita”, del tutto
inconsapevolmente, “perché a tenere in mano la gomma era quell’evento ineluttabile che è la vecchiaia”.

Inoue Yasushi - Ricordi di mia madre


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La vita no non è uno scherzo ma ha la sua ironia
Io sorridevo per mestiere ma era una bugia
È più che una famiglia io volevo l’anarchia
Ma adesso asciugo tutti con la tua fotografia
avevo perduto fiducia nel mondo
senza nemmeno rendermene conto
il lavoro andava a gonfie vele
La casa una barca che andava giù a fondo
Sai che la mamma aspettava un bambino ma dopo l’ha perso

Io paralizzato come un brutto sogno
Mentre lei piangeva e cadeva in ginocchio
E in quel momento mi si è rotto qualche cosa dentro
per la prima volta mi sono sentito vecchio
Vittima di una fattura una stregoneria
tu hai rotto il sortilegio
Perché sei una magia

E ti porterò lontano con la forza di un missile

e ti prenderò per mano
ti porterò a giocare su un prato
E il telefono l’ho buttato
e ho buttato tutte le pare
per fortuna assomigli a tua madre
per fortuna sei tutto tua madre
Quand’è che ci fate un figlio?
tutti la stessa domanda
Io trattenevo la rabbia
Perché avrei voluto spaccargli la faccia
Avevo perso da mò la speranza
Non sopportavo più tutto quel dramma
Ad avere coraggio ci pensava mamma
tra medicine e le punture in pancia
Messo alle corde anch’io
Pensavo alla religione
Se un figlio è un dono di Dio
Forse questa era la mia punizione
Ma quelli che mi amano
Con il biglietto per il mio spettacolo
Chissà se si immaginano

Che hanno pagato le cure e i dottori che hanno realizzato un miracolo

ora so che dietro il caos c’è un senso più profondo
sei nato a Febbraio lo stesso giorno del nonno
mamma incredula temeva che fosse un miraggio
E i primi mesi ti ha tenuto giorno e notte in braccio

E ti porterò lontano con la forza di un missile

e ti prenderò per mano
ti porterò a giocare su un prato
E il telefono l’ho buttato
e ho buttato tutte le pare
per fortuna assomigli a tua madre
per fortuna sei tutto tua madre
Da mamma hai preso il nasino
la forma degli occhi e del viso

l’abilità di cambiarmi l’umore soltanto facendo un sorriso

quando non dormi mai fino al mattino
quando fai casino rido perché

la testa dura e la voglia di urlare quelle le hai prese da me

Le hai prese da me

E ti porterò lontano con la forza di un missile

e ti prenderò per mano
ti porterò a giocare su un prato
E il telefono l’ho buttato
e ho buttato tutte le pare
per fortuna assomigli a tua madre
per fortuna sei tutto tua madre



 
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Il suo primo obiettivo con mia madre era stato quello di conquistarla.
Poi, di assicurarsi che la vita alla quale lei aspirava, qualunque fosse, non interferisse con gli altri obiettivi della sua.
La corteggiò con assoluta dedizione e la sposò meno di sei mesi dopo averla conosciuta.
La natura dell’attrazione che esisteva tra di loro è ancora un mistero, per me. Non mi sembra che mia madre sia
stata una bellezza. L’ho sentita descrivere, una volta, come una ragazza vivace. Forse era questo ad averlo attratto.
Comunque, nel mio ricordo della sua delicata presenza non c’è traccia di vivacità. So che dipingeva, da ragazza.
Alcuni dei suoi acquerelli decoravano le pareti della casa della mia infanzia. Ma smise. All’improvviso.

Non ho mai saputo perché. La natura del legame Il che li univa, perché un legame indubbiamente c’era, continua a sfuggirmi.

Sono un figlio unico. Dopo la mia nascita i miei genitori cominciarono a dormire in camere diverse.
Forse la mia nascita fu all’origine di un trauma. Qualunque ne fosse il motivo, c’era la stanza di mio padre,
e c’era la stanza di mia madre, ed erano due stanze separate.

Il Danno - Josephine Hart


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GIULIANA - Mia madre vive in Romagna, in un paese che si chiama Pieve di Montesecco. Io sono nata lì.
È una casetta piccola, buia, umida, e mia madre l'ha riempita tutta di mobili, che dentro non ci si muove.
Dormivo, io con mia madre, in un lettone enorme, sotto una trapunta gialla. Mia madre fa la pantalonaia
.

VITTORIA - La pantalonaia? sua madre?

GIULIANA- Sì.

VITTORIA - Ma allora lei è una quasi come me! di nascita, lei è una povera!

GIULIANA - Solo che noi non avevamo il maiale. Non avevamo nemmeno una gallina o un coniglio. Non
avevamo niente di niente. Facevamo una gran miseria, e mia madre ogni tanto attraversava il paese e
andava a chiedere un po' di soldi a mio padre, che aveva una drogheria. Mio padre stava con un'altra donna,
e aveva, con questa donna, un mucchio di bambini. così di soldi ne aveva pochi anche lui. Litigavano, lui e
mia madre, nella drogheria, e c'erano là tutti quei bambini di mio padre spaventati, e quell'altra donna, magra,
alta come una stanga, con una gran tignazza di capelli neri crespi, che anche lei si metteva a gridare contro
mia madre, e agitava certe braccia lunghe, lunghe... Mia madre se ne andava via tutta infuriata, piccola piccola,
storta, con l'ombrello infilato sotto il braccio, con la borsa piena di caffè e di zucchero, perché pasta e zucchero
e caffè gliene dava mio padre, ma lei voleva anche un po' di soldi. Tornava a casa, ancora tutta arrabbiata, rossa,
e si metteva a trafficare per casa, piccola piccola, con una vestaglietta giapponese che le aveva regalato mio
padre quando ancora stavano insieme..
. cucinava certe minestrine di semola al latte, per che mio padre gliene
dava sempre tanta di semola, e poi certi intrugli, certe composte di prugne e di mele, e tutte le cose che aveva
cucinato e che avanzavano, le metteva in tanti pentolini e tazzine sul davanzale della finestra. Sempre ha sul
davanzale della finestra una fila di pentolini. E poi ha anche la mania dei giornali vecchi, conserva tutti i giornali,
ne ha un mucchio sotto il letto, sotto i tavoli, e le pagine e le fotografie che le piacciono le ritaglia e le appiccica
sulle pareti. A capo del letto ha tutti i ritagli di giornale con le fotografie di Pierino Gamba, il fanciullo prodigio
direttore d'orchestra. Io, a diciassette anni, sono scappata.
Mi ha dato i soldi mio padre.

TI HO SPOSATO PER ALLEGRIA
Commedia in tre atti di NATALIA GINZBURG


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Nata nel 1903 a Bruxelles da una famiglia franco-belga di antica nobiltà, Marguerite Cleenewerck de Crayencour a dieci giorni di vita perse la madre, Ferdinande de Carier de Carchienne, a causa delle febbre puerperale che a quel tempo mieteva ancora moltissime donne.

Fin da piccola mostrò di avere un’intelligenza fuori dal comune con uno spiccato interesse per le materie classiche. A soli 8 anni iniziò ad appassionarsi alle opere di Racine e Aristofane, a 10 anni imparò il latino e a 12 il greco. Dieci anni dopo, sotto lo pseudonimo di Marguerite Yourcenar (anagramma di Crayencour), pubblicò la sua prima raccolta di poesie. Durante il Secondo conflitto mondiale, si trasferì negli Stati uniti, con la sua amata Grace Frick, insegnante di letteratura inglese, finché raggiungerà la fortuna con la pubblicazione delle Mémoires d’Hadrien.


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Nel successivo “Care Memorie“, l'autrice inizia con: “L’essere che chiamo io venne al mondo un certo lunedì 8 giugno 1903…”; .... “la neonata fu lavata, una bambina robusta con il cranio coperto da una peluria nera simile a quella di un topo… e messa nella bella culla di raso celeste sistemata nella stanza accanto”. Relegata, abbandonata nella stanza attigua dove “ogni tanto Barbara o Madame Azélie vengono a dare un’occhiata, poi ritornano in fretta dalla Signora”, la bambina scompare dal racconto e tutto converge verso Fernande, la madre, che dopo un parto molto difficile, sta morendo di “febbre puerperale“; ricomparirà fuggevolmente solo alla fine del capitolo quando M.de C., il padre, ormai vedovo, ritorna a Mont-Noir, la casa di famiglia.

Così l’obiettivo si è focalizzato su Fernande, e Marguerite Yourcenar incomincia a raccontare la storia del suo matrimonio fino al tragico epilogo. Appoggiandosi a “briciole di ricordi ricevuti da seconda o decima mano”, frammenti di lettere, foglietti dimenticati qua e là nei cassetti, vecchie fotografie che si mette a “rabboccare“, e soprattutto grazie a quella “magia simpatica”, va incontro a sua madre, si cala nella sua psicologia e tenta di farla rivivere.


Alla giovane madre Fernande, Marguerite dedica l’intera opera. La immagina attraverso i ricordi di chi l’ha vissuta e le foto recuperate, come quella nella quale indossava un costume, con fini ricami e da contadina napoletana, portato dall’Italia da uno dei suoi fratelli. Ne descrive dapprima l’infanzia con le sorelle e i fratelli, erano sette in tutto come nei racconti di Dickens; poi le giornate da adolescente trascorse tra l’impegno nello studio della religione, nella quale eccelleva, storia, francese, il ricamo, la musica suonata al pianoforte, fino agli anni del primo amore. Le sue illusioni, delusioni e infine la conoscenza di Michel, il giovane vedovo già padre di un figlio, l’uomo che l’avrebbe chiesta in moglie.

Se fosse vissuta, come sarebbe stata la sua vita? Il legame con il marito l’avrebbe resa libera dalle melanconie di una signora del ‘900? Sono alcuni degli interrogativi che la grande scrittrice francese si pone nella narrazione.


(dal web)
 
Ultima modifica:



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"Io ho avuto una mamma meravigliosa. telegraficamente: la mia mamma faceva l'infermiera,
aveva solo la seconda o terza elementare, parlava solo in dialetto, era un po' 'il sindaco di
rione Sanità', la Pina, era famosa...E' rimasta vedova a trentadue, trentatré anni, con tre figli:
io avevo nove mesi e non ho conosciuto mio padre...
Mia madre non mi avrebbe voluto perché mio padre poverino è morto alcolizzato, giovanissimo..."

(Glauco Mauri)


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"Accadeva dopo che negli anni, per odio, per paura, avevo desiderato di perdere ogni radice in lei,
fino alle più profonde: i suoi gesti, le sue inflessioni di voce, il modo di prendere un bicchiere o bere
da una tazza, come ci si infila una gonna, come un vestito, l’ordine degli oggetti in cucina, nei cassetti
,
le modalità dei lavaggi più intimi, i gusti alimentari, le repulsioni, gli entusiasmi, e poi la lingua,
la città, i ritmi del respiro. Tutto rifatto per diventare io e staccarmi da lei. […]
Nessun essere umano si sarebbe staccato mai da me con l’angoscia con cui io mi ero staccata da
mia madre soltanto perché non ero riuscita mai ad attaccarmi a lei definitivamente”.

L’amore molesto di Elena Ferrante
 

Allegati

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