Mamma.....

ATTILA JÓZSEF (1905-1937)*Il poeta ungherese ebbe un'infanzia difficile: nato nel 1905 a Budapest, a tre anni la Protezione per l’Infanzia
lo inviò a Öcsöd, presso genitori adottivi, dopo che il padre aveva abbandonato la famiglia per emigrare.

Là visse alcuni anni, lavorando in campagna a badare i maiali come tutti i bambini poveri. Al compimento del settimo anno, la madre lo riportò
a Budapest e lo iscrisse alla seconda elementare.
Lei faceva la lavandaia e le pulizie per mantenere Attila e le sorelle.
A lei dedicò tanti suoi versi. La poesia che segue fu salutata da Benedetto Croce, critico esigente, come «grande, infinita e sublime».
Correva l’anno 1942 e il poeta ungherese era, in Europa, pressoché sconosciuto.

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MIA MADRE

Una domenica sera mia madre è tornata
fra le mani recando due pentolini:
sorrideva in silenzio e s’è fermata
un po’ nella penombra.
Nelle pentole c’erano gli avanzi
della cena dei nostri padroni;
anche a letto, dopo, io pensavo
che quelli ne mangiano pentole piene.
Mia madre, esile, scarna, è morta giovane:
le lavandaie muoiono presto.
Le gambe non reggono ai carichi,
la testa duole dallo stirare.
Ed è il bucato la loro montagna!
Per allietanti giochi di nuvole,
il denso vapore, e per cambiare aria
le lavandaie hanno, su, la soffitta.
La vedo: sta con il ferro da stiro.
Il capitalismo ha spezzato il suo fragile corpo;
si fece sempre più striminzita
– pensateci, proletari.
Si aggobbì per lavare:
ed io non sapevo che era ancora giovane.
Sognava di avere un grembiule pulito
e allora il postino la salutava.

(trad. di Folco Tempesti)*


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Mia madre m’insegnò l’anticonsumismo più intransigente: invece del “Nulla si crea e nulla si distrugge”, lei praticava
il “Nulla si compra e nulla si butta via”.
Conservava qualsiasi cosa fosse entrata in casa e riempiva i cassetti di oggetti inutili: rocchetti di cotone senza cotone,
scatole di medicine scadute, mozziconi di matite, pile consumate, boccettine di profumo senza profumo, agendine obsolete,
pezzi di spago di varie dimensioni e via dicendo. Su una delle scatole degli spaghi era scritto: “Spaghi troppo corti per essere usati”.
A chi le contestava la mania del conservare, rispondeva sorridendo: «Pò servì», e la sua felicità raggiungeva il culmine quando
qualcuno della famiglia le chiedeva:«Tieni per caso un pezzetto di pelle marrone?»«Di vitello o scamosciato?»«Scamosciato.»
«Ce l’ho, ce l’ho: vedi tu stesso nel secondo cassetto del comò, in fondo a tutto, sotto la scatola dei calendari scaduti.»

LUCIANO DE CRESCENZO


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Albert Camus è nato a Mondovi (Dréan) in Algeria. Suo padre (contadino, riforniva di uva i vinai locali) che non conosceva la Francia, inviato a combattere sulla Marna muore, straziato da una granata, quando il figlio non ha ancora un anno. Egli scrisse in seguito che suo padre era morto "per un Paese che non era il suo". Il giovane Albert rimane quindi con la madre, affettuosa, la nonna (la severità di quest'ultima rivestirà un ruolo molto importante nella sua educazione) uno zio e un fratello, in un appartamento a Belcourt, dove viveva in tre stanze, senza elettricità né acqua corrente.


La madre diventa una figura centrale nella vita di Camus: emigrata spagnola (minorchina), analfabeta, divenuta sordastra per una malattia che l’ha colpita in gioventù, vive in grande miseria facendo la domestica e , nasconde in un silenzio quasi totale la sua dignità e il suo spirito di sopportazione della crudeltà del mondo, fiera, perchè non invidia nessuno. A lei Camus è legato da un rapporto di struggente tenerezza, nello stesso tempo frustrato dalla difficoltà di confidarle aspirazioni ed esperienze letterarie che lei non può capire . A lei Camus dedica Il Primo uomo, "il libro che lei non potrà mai leggere”, per lui era l’incarnazione dell’innocenza. Tutto quello che Albert ha scritto nacque dal desiderio d'intepretare i silenzi della mamma, sempre calma. Il loro sarà un amore di sguardi, intenso, con poche parole.

“Solo col silenzio, col riserbo, con la naturale e sobria fierezza, questa famiglia, che non sapeva nemmeno leggere, m’ha dato allora le lezioni più alte, che durano sempre”.



Camus ha sempre ribadito la propria dimensione "mediterranea", più che francese. E in effetti, aveva tentato di entrare nel giornalismo in Algeria; ma, avendo scritto un articolo contro il governo, questo si adoperò perché nessun giornale algerino gli desse più la possibilità di lavorare; e quindi fu letteralmente costretto a trasferirsi in Francia. Ne L'uomo in rivolta egli dedica un ampio capitolo conclusivo a Il pensiero meridiano, inteso come il pensiero del mezzodì, il pensiero mediterraneo, il pensiero della luce, del colore, della vita, c'è una sensualità nella sua dimensione mediterranea, anche a livello narrativo.

La sua famiglia ebbe grossi problemi economici, lui poté studiare a fatica, con problemi di salute tanto che dovette pure abbandonare il calcio, dove giocava portiere, che era la sua grane passione. Ma disse che anche un bambino povero dove ci siano il mare e il sole, non trascorrerà mai un'infanzia veramente misera.



(dal web)



 
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Tua madre ti ha vestita di tante gelosie
ti ha messo chiuse in testa, amare fantasie...
in te ha riversato le proprie delusioni,
gli uomini - ti ha detto -
son tutti dei ********...
Così tu sei cresciuta in quella diffidenza
fra un uomo e l'altro - pensi -
non c'è la differenza,
di ogni tenerezza... la più completa assenza
il vuoto del tuo cuore rasenta la demenza...

No, mai, un sorriso, non so,
una parola di più, no, mai
un'occhiata, chissà
un po' di complicità...
Come fisarmonica ti lasci
stringere ogni volta, ma
c'è un silenzio chiuso in te,
come un sogno che non c'è,
o un pensiero già svanito...

Tua madre ti parlava lavandoti le spalle,
bambina tu ascoltavi le sue infinite balle

PAOLO CONTE
 

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Allora erano donne
la generazione di mia madre
con voce pesante — piede fermo
con pugni oltre che mani
come sfondavano le porte
e stiravano
camicie bianche inamidate
Generali con cappelli di stracci
come guidavano le armate
attraverso campi minati
fossati pieni di azzardi
per scoprire libri
banchi di scuola
un luogo per noi
Conoscevano benissimo
ciò che noi dovevamo imparare
loro non sapevano leggere
neppure una pagina.

Alice Walker
 


"Mia madre mi ha dato tutto quello che mi serviva per avventurarmi nel mondo. Lei ha una testa incredibile.
Da giovane avrebbe potuto essere una grande ginnasta, ma la sua famiglia le ha sempre negato tutto. A me,
invece, lei non ha negato nulla.
Avevo sei anni quando mi ha incoraggiato a diventare una ballerina perché lo
volevo e quando, a 16 anni, ho vinto un concorso di modella e un contratto a Milano, mi ha aiutato a fare i
bagagli. Ho imparato a fare la fotomodella proprio in Italia...Un agente mi ha visto litigare in una banca di Los
Angeles, non mi volevano far incassare un assegno. Mi ha detto che ero molto convincente e mi ha offerto un
contratto, ho studiato, fatto qualche particina e due anni dopo ero la moglie di Keanu Reeves in*L’avvocato del
diavolo*con Al Pacino...Penso di essere una creatura molto sexy...So che devo usare le carte che mi sono state
date. Mai buttare i talenti. Per fortuna non sono cresciuta con una madre che non mi diceva che sotto i vestiti
non sono certo brutta. Il nudo, se usato bene, è estremamente potente...Dobbiamo essere consapevoli del nostro
valore, del nostro corpo, della nostra sessualità. È la nostra forza».

*Charlize Theron


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Kathia Buniatishvilii


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"Mio padre e mia madre sono i miei eroi, ci hanno insegnato a amare i veri valori. In casa c’era un vecchio pianoforte e ho cominciato a suonarlo da bambina. Erano anni in cui era pericoloso camminare per strada, potevano spararti; erano anni in cui un’ora di elettricità e di acqua in 24 ore erano vissute come un lusso».



Residente da anni a Parigi, la pianista georgiana ha ricevuto dalla madre non solo lezioni di musica, fin dall'età di tre anni. Natalie Buniatishvilii, che all'epoca era programmatrice di computer, l'ha guidata nel tempo ed ora ne cura anche gli stupendi abiti di scena per i concerti.

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L’hanno paragonata (Le Figaro) a Betty Boop, la pioniera sex symbol dei fumetti , reincarnata in una stella del pianoforte. Ha un modo di porsi libero, suona con il gruppo pop dei Coldplay, si fa fotografare a un evento glamour accanto a Sharon Stone. Di sicuro è una giovane donna consapevole della sua avvenenza.

"Che cosa risponde a chi le rimprovera di usare la sensualità come parte della sua personalità artistica?
«Non voglio dare un’immagine definita di me stessa, mi piace vivere in tutta la complessità dell’esistenza».


Khatia Buniatishvili, la Marilyn del pianoforte che sfida Putin - Corriere.it
 
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Come le mele cadono lontano

A mia madre – Maria Żyburtowicz


Quando sei lontana (e adesso è sempre così),
il ragazzo corre al mare, in esso il ragazzo aspetta
tutti i sonnolenti cutter, là dove tu ti trovi,
sfiori le mie labbra con un dito, mi accarezzi come la neve,
sento la minestra della domenica che mangiavo come una bestia
e la pioggia rosata nel giorno della donna –
(il tuo pianto sorridente)
quando sei lontana (e adesso è sempre così),
a ogni altra madre rubo un pezzetto
e lo metto lungo la riva da cui ti allontani
prima dell’alba, cogliendo le mele –
di solito la mattina dopo la tua scomparsa
mi sveglia a letto proprio il loro profumo.

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Dominik Żyburtowicz ( uno dei più apprezzati giovani poeti polacchi, è nato a Drawsko Pomorskie nel 1983).*

 

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Novembre 1974. A quasi quattro anni dalla morte di Henriette Brull, madre allora novantenne di Georges Simenon,
esce uno dei titoli forse più famosi del romanziere "Lettre à ma mère", un'opera biografica molto sofferta.
Il libro non è stato scritto, ma come i*Dictées, è stato dettato al registratore.Un libro non facile* da scrivere.
Simenon è di fronte ad uno degli elementi più importanti della sua vita: il difficilissimo rapporto con la propria genitrice.
Fin da quando Gorges era bambino,* la madre gli preferiva smaccatamente il fratello minore Christian, e, anche nel tempo
e a distanza, quando Simenon era ormai adulto e famoso.
Per lui fu un sforzo doloroso.*"Maman, pourquoi ne m’as-tu jamais aimé ?". "Tout le monde m’admire, sauf toi…".
Questo è il tono delle domande che Simenon, morta la madre, ancora si poneva.
Anche l'incipit del libro è illuminante. Scrive Georges: "*Cara mamma, tre anni e mezzo sono passati da quando sei morta,
e ora soltanto comincio a capirti. Ho trascorso l'infanzia, l'adolescenza insieme a te, sotto lo stesso tetto e quando a diciannove
anni ti ho lasciata, sono partito per Parigi, eri ancora un'estranea per me. Del resto ti ho chiamato madre, mai ti ho chiamato mamma...
Perché?....".


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D'altronde la madre lo aveva accusato della morte del fratello Christian. Il ragazzo si era arruolato nelle squadre filo-naziste belga e finita
la guerra dovette scappare, perché inseguito da una sentenza di condanna a morte. La madre chiese aiuto al figlio ricco e famoso.
Georges riuscì a farlo "sparire" facendolo arruolare nella Legione Straniera. Ma in uno scontro a fuoco nel Tonkino Christian*fu*colpito a morte.
Era la fine dell'ottobre 1947 ed Henriette accusò Georges di avere la responsabilità di quella morte, perché era lui che lo aveva fatto entrare
in quel corpo militare.*Questa incomunicabilità andò avanti fino alla fine.* Georges andò a trovare la madre* a Liegi nell'agosto del '69 , a
ll'Hôpital de Bavière dove era ricoverata, ma lei appena lo vide gli chiese: "Georges che sei venuto a fare'".


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SACRIFÉIZI
Se mè ò studié
l'è stè par la mi ma,
ch'la fa una cròusa invéci de su nóm.S'a cnòss tótt al zità
ch'u i è in chèva e' mònd,
l'è stè par la mi ma, ch'la n'à viazè.E ir a l'ò purtèda t'un cafè
a fè du pas, ch'la n' vàid bèla piò lómm.
- Mitéiv disdài. Csa vléiv! Vléiv un bignè?*

I SACRIFICI
Se ho potuto studiare
lo devo a mia madre
che firma con una croce.Se conosco tutte le città
che stanno in capo al mondo
è stato per mia madre, che non ha mai viaggiato.Ieri l'ho portata in un caffè
a far due passi
perché quasi non ci vede più niente
- Sedetevi, qua. Cosa volete? Un bignè?

TONINO GUERRA


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«Le due creature che amavo di più. Le amavo tanto che dividere il mio amore per loro era una fatica quasi drammatica;
voglio dire, il tempo che passavo con l’uno mi sembrava rubato a quello che avrei dovuto passare con l’altra e… Una delle scale,
tra piano terreno e primo piano, nella mia casa di campagna, è quella che unisce l’appartamento dove viveva la mamma e
l’appartamento dove vivevamo io e Alekos. Ebbene, quando ero lì con entrambi, era tutto un correre su e giù per quelle scale…
Su e giù, su e giù. Poi, di colpo, nel giro di pochi mesi, l’immobilità. Se ne erano andati tutti e due.»*
( Oriana Fallaci)

Il ricordo della madre, cui s’intrecciano i giorni trascorsi insieme a Panagulis, l’uomo, poeta e martire di*Un Uomo*(1979),
cui la scrittrice è stata legata sentimentalmente
.


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Trent'anni fa, la meravigliosa attrice e cantante OK! della Valle della Marna era l'uccello del paradiso per lo spot Chanel.
Girato da Jean-Paul Goude, la sifflante Vanessa Paradis infine s'affacciava direi in place Vendome con aria sognante.


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Sua figlia Lily-Rose Deep oggi interpreta a propria volta la mannequin della celeberrima maison parigina, fondata nel 1909 dalla stilista Gabrielle in arte Coco.


Maman Vanessa nega qualsiasi implicazione nel successo di sua figlia, di cui evita accuratamente di parlare nelle interviste. «Il mio rapporto con Lily-Rose appartiene alle cose molto intime nella mia vita.

Lily-Rose racconta : "Ho un rapporto meraviglioso con entrambi i miei genitori, con loro mi confronto sui film che faccio, ne parliamo. ... Ma loro hanno una grande fiducia nei miei confronti e io sono comunque indipendente, scelgo a modo mio. Il più grosso insegnamento artistico che ho ricevuto da loro è il fatto di scegliere film e ruoli seguendo solo l'istinto, mi hanno cresciuto così. Sono estremamente selettiva”. Ma non competitiva “no, non lo sono per natura. Ma sono molto determinata.
Vive divisa tra Parigi e Los Angeles “sono a casa in tutti e due i luoghi, in entrambi ho pezzi di famiglia”.

La sua grande passione è anche la moda: “Amo i vestiti, li trovo una forma di espressione e di arte, un abito e un quadro sono entrambi una forma d'arte e mi piace lavorare nella moda con grandi maison, lavorare con Chanel è un sogno che avevo da bambina. Mi piace lavorare con artisti che ammiro e che mi ispirano."


 
Rifece il suo numero, chiuse gli occhi
e provò a far finta che fosse semplicemente partita
per uno dei suoi viaggi di lavoro.
"Ciao mamma", disse piano.
"Mi manchi. Vero che torni presto?".*

VIVECA STEN*
 

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Avevo 14-15 anni quando in via Ponte alle Mosse, a Firenze, vidi mia madre picchiare una mascalzona, che maltrattava i prigionieri tedeschi.
Prigionieri incatenati e ammassati su un camion aperto.
Il camion s'era fermato accanto al marciapiede e la mascalzona, peraltro moglie
d'un ex-federale fascista (cosa che la dice lunga sugli italiani voltagabbana) s'era messa a colpirli con schiaffi e con pugni.
Bè non so immaginare una donna che a quel tempo odiasse i tedeschi più di mia madre. [...] Non so immaginare nemmeno una signora più garbata,
quindi meno manesca, di mia madre. Eppure appena s'accorse che nessuno reagiva allo scempio si gettò su quella donna come un gatto infuriato.

La agguantò per il collo e prese a picchiarla selvaggiamente. In faccia, sulla testa, sullo stomaco. E picchiandola ruggiva: -Miserabile, iena vigliacca!
Non si tocca un uomo in catene! Un uomo in catene è sacro anche se è un sudicione come te!-. Non l'ho mai dimenticato.

*Oriana Fallaci*


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Il giorno della foto, mia madre lo indica così: dice quel giorno senza specificare la data,
che è il decimo anniversario del suo matrimonio. So che mio padre aveva cercato un tavolino libero al Bar Motta,
in piazza Duomo, e aveva guidato la Vespa con la caparbietà dei suoi anni giovani.
So pure che aveva litigato con il vigile perché faceva schiamazzi con il clacson, ma poi, sfrontato e ribelle, aveva
chiesto un chinotto al barista e l’aveva bevuto alla salute dei presenti, compreso il vigile che nel frattempo s’era
allontanato e papà lo salutava con un paio di corna.Mamma lo aveva redarguito.
«Non si fa, Louis, non si fa…»Della loro differenza anche i ciechi si sarebbero accorti: lui un po’ rude e spaccone,
lei cittadina dalle unghie smaltate e con un mestiere da parrucchiera già avviato.

GIUSEPPE LUPO


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Ti chiedo scusa se non ti ho mai detto
Quanto ti voglio bene

Tu che hai trovato sempre un posto
Dove nascondere le mie paure
È che l’orgoglio a volte è un mostro
Che ci fa solo allontanare
E se un giorno sarò una mamma
Vorrei essere come mia madre
Nel tuo sorriso mi sentivo apposto
E non serviva più stare male
Ma l’amore non è solo un posto,
è il tuo modo di fare.
Ti chiedo scusa se non ti ho mai detto
Quanto ti voglio bene

Tu che hai trovato sempre un posto
Dove nascondere le mie paure
È che l’orgoglio a volte è un mostro
Che ci fa solo allontanare
E se un giorno sarò una mamma
Vorrei essere come mia madre
Sei tu il regalo dei miei compleanni
La luce accesa quando torno tardi
Il cuore più grande dove ripararmi
Stringimi forte a te*

*COME MIA MADRE - GIORDANA ANGI
 

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