Mamma.....



.




“Schegge di R.” di Roberta Camerino, è la storia di una “figlia d’arte” di una madre geniale, potente e famosa, Giuliana Coen Camerino, stilista che ha segnato la storia della moda in tutto il mondo e prima donna italiana ad essere premiata con il Neiman Marcus Award, conosciuto ai più come l’Oscar della moda.

L’autrice, Roberta Camerino, oggi affermata imprenditrice, stilista e designer, è “ l’unica figlia che ha dato il nome alla mamma”, la quale aveva usato appunto quello della figlia inventando il famoso marchio.

01-00181112000008h_MGZOOM.jpg
dal%C3%AC_MGZOOM.jpg



"Quanto era difficile convivere con questo genio. La vita lavorativa procedeva tra dispetti, disappunti, tragedie greche, momenti belli e divertenti. Così continuava, trovando talvolta un certo equilibrio, questa mia vita di Roberta con Giuliana, Giuliana chiamata Roberta. Ogni giorno c'era sempre qualcuno che preso dalla curiosità si interrogava sul perché e per come mi chiamavo Roberta e quanto fossi fortunata a portare un nome così famoso. E pensare che avevo un semplice "di" per distinguermi da Roberta di Camerino, io sono invece Roberta Camerino. Quanto avrei voluto ogni tanto gridare al mondo: "Sono io Roberta, Roberta di Camerino non è una persona fisica".


Il libro è accompagnato da diverse foto d’epoca; ci accorgiamo, così, di tanti tasselli di una vita, quella di Giuliana Coen, che ha attraversato la storia del nostro paese. Le amicizie di Roberta di Camerino con tanti personaggi importanti del mondo della cultura, della politica, dello spettacolo, sono tantissimi. Tra queste c’è quella di Salvador Dalì che ha definito Arte la sua moda; di Grace Kelly che amava sfoggiare le sue borse nelle uscite pubbliche; dell’attrice hollywoodiana Joan Crawford; dell’americano Stanley Marcus che le ha conferito, nel 1956, il premio come miglior stilista; di Walter Matthau; di Madonna; di Alberto Sordi e di tanti altri.

2072519_rr3081.jpg


Giuliana Coen viene anche ricordata per l’originalità delle sfilate: le sue erano musicate e ballate, originali e a volte strabilianti, interpretate da artisti di varia natura(ballerini, mimi) oltre che dalle classiche modelle. L’essenza della maison è sicuramente nella ricercatezza dei colori: blu, verdi, rossi come nei quadri dei grandi pittori veneti del 500. Per Giuliana Coen “Tutti i colori sono belli e stanno bene tutti insieme, perché-se due, messi vicini, magari sembrano stonare-basta che ne affianchi un terzo e nasce l’armonia” . Quei colori che diventano forma, tessuto, accessorio ed opera tangibile, da indossare per testimoniare che l’Arte è un tempo che non scorre, non vola via come la vita.

grace-kelly-bagonghi-bag.jpg
ap05092401775-3085007_0x420.jpg



Ma fra le righe affiorano i ricordi e i sentimenti fra le due protagoniste. Se per Roberta l’ammirazione verso la stilista è sempre stata sconfinata ricordando per noi, nel suo libro, gran parte dei successi, invece è più tiepido il ricordo di Giuliana mamma che ha amato tantissimo i suoi figli, ma “a modo suo”. Per la figlia, c’era da scontare il prezzo di tanta genialità; annuire al volto di una mamma autoritaria, stare al passo anche nella quotidianità, in famiglia come nel lavoro svolto dietro le quinte, per oltre trenta anni, senza chiedere mai un riconoscimento. E offrire, al contrario, ogni giorno, dedizione e amore per l’azienda e l’artista veneziana.
 
Ultima modifica:
Mamma, sono venuto a dirti che non ce la faccio più. Quello che mi hai insegnato… Non esiste…
niente di tutto quello… Da dove l’hai preso?… E non è che l’inizio. Come farò a continuare a vivere?”


“Di che colore è il grido? Che sapore ha? E di che colore è il sangue? In ospedale è rosso, grigio sulla
sabbia asciutta, turchino sulla roccia verso sera, quando non più vivo…”

“No, dalla guerra non tornano degli eroi… Non da laggiù, non da quella guerra…

Ragazzi di zinco – Svetlana Aleksievic
 

Allegati

  • f688f61e9eda0447cf9db9871ab819ce.jpg
    f688f61e9eda0447cf9db9871ab819ce.jpg
    162,3 KB · Visite: 43
«Se io e la mia famiglia siamo sopravvissuti è stato grazie a zio Vitale... e a mio padre, Leone, che ha preparato
la nostra fuga nei minimi dettagli ed è riuscito a mandarci via, al sicuro, nonostante ci fosse uno sciopero dei treni
in corso, alla stazione Termini. E grazie a mamma Speranza, che è partita senza indugio, sola con due figlie e le
promesse di un marito, anche se sapeva che, dopo, niente sarebbe più stato lo stesso.
Me la ricordo ancora mia madre quel giorno: la testa alta, i vestiti nella borsa, le mani mie e di mia sorella Enrica
strette nelle sue come se stessimo semplicemente andando al mercato»
.


Il sabato nero di Roma <<Cosi sono scampata al rastrellamento al Ghetto>> - L'Aquila - Il Centro

120528842-65b2ffc8-fc05-4acd-83dc-5a4a71f6ad8e.jpg


c3757a57-919d-46b7-bc5e-b2352217818e_large.jpg
 
"Ed eccovi me a quattro, cinque anni in uno spazio fangoso che trascino un pezzo di legno immenso.
Non ci sono né alberi né case intorno, solo il sudore per lo sforzo di trascinare quel corpo duro e il bruciore acuto delle palme ferite dal legno.
...Mi trovo ora nel buio della stanza dove si dormiva, si mangiava pane e olive, pane e cipolla. Si cucinava solo la domenica. Mia madre con
gli occhi dilatati dal silenzio cuce in un cantone. Non parla mai, mia madre. O urla, o tace.”

GOLIARDA SAPIENZA
 

Allegati

  • 3208592.jpg
    3208592.jpg
    35,4 KB · Visite: 128



"All’ora di cena ho telefonato ai miei genitori: come al solito, ha risposto mamma.
Tutto bene, per il lavoro ci sono novità? Mi raccomando, mangia!
Quando vuoi passa a trovarci,
ti fermi a pranzo, va bene mamma, va bene, non preoccuparti. Ci sentiamo presto, saluta babbo.
Soltanto quando ti manca l’amore ti accorgi che non puoi farne a meno.
Non l’amore dei discorsi generali e vaghi, l’amore per una persona concreta.

Non ho bisogno che me lo ricordi Mike Rosenberg, però la sua melodia flautata e un po’ dolciastra coglie nel segno.
Saranno i suoi ripetuti passaggi dalla tonalità minore ai caldi cori del ritornello a ricordarmelo con più acutezza?
Saranno gli arpeggi folk di chitarra e il nostalgico violino a far vibrare le segrete corde della malinconia? Può darsi."

Christian Floris - Canzoni D'inverno
 

Allegati

  • tumblr_n4k0iyQIM31tv9pdho1_1280.jpg
    tumblr_n4k0iyQIM31tv9pdho1_1280.jpg
    194,4 KB · Visite: 18



Nell’estate del 1955 avevo nove anni e la nostra famiglia traslocò di nuovo. Ci trasferimmo vicino a Pickering,
in Ontario, a circa cinquanta chilometri da Toronto, in un nuovo bungalow rivestito in legno che mamma e
papà si erano procurati in Brock Road. In seguito mio padre scrisse che quel trasloco doveva essere un nuovo
inizio per la famiglia, riferendosi ai problemi che covavano nella casa di Toronto.
Mia mamma dipinse di persona tutto l’esterno della casa di un bel bianco. Dipinse anche tutto ciò che c’era all’interno.
Amava molto quel posto e piantò degli alberi nel campo davanti a casa e che in seguito diventò il prato che io e Bob
tagliavamo con un tosaerba a benzina. Mia madre riversò il suo amore su quell’edificio, rendendolo bellissimo e
facendo tutto ciò che poteva affinché desse la sensazione di essere una buona casa. Oggi mi rendo conto che stava
cercando di fare tutto ciò che le era possibile per far funzionare la nostra famigliola.

NEIL YOUNG


JBNY70.jpg
 
Mamma quando ero piccolo mi teneva la mano per attraversare,
anche quando non c'erano macchine.

[Gio Evan]


brigittebardot.jpg
 
Lucia è così. Bella, quasi sempre. Bella soprattutto quando è nel Suo Mondo e il brutto del mondo per lei non esiste. O lo vive a modo suo.

Lucia non si chiama Lucia, da piccola rispondeva così a chi si chinasse a chiederle il nome, chissà perché.
Lucia a volte salta per strada, abbraccia e bacia chi incrocia, penetra con occhi curiosi e – “Tu ti chiami…” – perché Lucia non sa fare domande. Alterna frasi e gesti in modo ossessivo, a volte – poche, in verità – sbalordisce per proprietà di linguaggio ed eleganza nei modi.
Questo è il periodo dei baci a gambe e piedi. I suoi, per fortuna. Sì, in casa, per strada, non fa differenza: se le viene di farlo, lo fa. Semplicemente lo fa.

Lucia ha vent’anni, io sono sua madre, “la mamma”.
È il frutto di un amore mai esistito. Quando ho saputo che c’era, sono diventata una leonessa: forte, fiera, orgogliosa, bella. Bella come tutte quelle donne che per fortuna nutrono dentro un figlio senza difficoltà né sofferenze. È nata, latte abbondante, mai una notte in bianco, mai. Cresceva un fiore. Una bambina da pubblicità, suggerivano molti. Consiglio sempre snobbato per felicità e pienezza.
Capiva, era abile e forte di corpo, furba da lusingare me e l’ego materno già ampiamente massaggiato. Poi il dubbio che si insinua, dentro era già certezza, fuori stranezze mascherate da originalità.
Diagnosi d’attesa, inutili etichette, una sola realtà: il treno di Lucia non portava ritardo, solo seguiva un altro binario. E sempre l’avrebbe seguito.
Nulla di singolare il mio calvario di madre, identico a quello di molte altre. La coppia non esiste più, nemmeno di facciata, suo padre va via.

Avete mai provato che cosa significa amare e detestare insieme? Io sinceramente sì.
Non ho mai pensato che le difficoltà di Lucia fossero una benedizione, né ho mai ringraziato il cielo di avere scelto lei e me per tanta prova. Al contrario dico che è tutto maledettamente difficile e complicato: uscire, andare a fare la spesa, passare una giornata in spiaggia, lavorare in tranquillità, insomma vivere. E con un po’ di vergogna, ma neanche troppa, grido che a volte Lucia è insopportabile e in alcuni momenti sono tanto stanca da non riuscire a mettere insieme due pensieri: questa è la realtà.
E che a volte la pazienza sfuma, come il vino in padella e tutto ciò che è il peggio di me è esibito a Lucia e al resto del mondo.
Risparmio, per pudore e fretta, le nostre coccole e i rari sorrisi d’intesa.

Lucia è questo. E molto altro ancora.
Io l’ho messa al mondo, è mia e non solo, tutti se ne devono curare, esattamente come accade a chi percorre binari consueti.
E nel mondo c’è posto per tutti, Lucia compresa, con le sue Imperfezioni e la sua Bellezza.
La perfezione non è Bellezza, spesso non ha anima, cuore e quelle innumerevoli piccole e grandi stonature che fanno ciascuno autentico e amabile.
Rabbia, fatica, smarrimento, senso d’impotenza, angoscia colorano i minuti più bui dei giorni e delle notti insieme a pensieri foschi che talvolta attraversano la mente.
Ma, anzi, e Lucia c’è, preziosa in sé.
E in me. E in noi.

“la mamma
 

Allegati

  • tina-modotti-7-491x590Madre con figlio (photo by Tina Modotti) 1927.jpg
    tina-modotti-7-491x590Madre con figlio (photo by Tina Modotti) 1927.jpg
    63,9 KB · Visite: 73
Giorgia: «Quel che conta è innamorarsi ogni giorno»
Le parole bucano il cuore.




“Le tasche piene di sassi”, di Jovanotti, di cui ho girato anche il video è stato il primo concerto di mio figlio, a due anni.
Mi ricordo il suo faccino quando Jovanotti l’ha cantata. Samuel, che è molto attratto dalle cose ritmiche, per la prima
volta era affascinato dalla poesia. Ognuno ci può trovare il momento in cui sei solo davanti a scuola e pensi di non potercela fare.
È una dichiarazione di fragilità. Non è semplice dire “vienimi a prendere, arriva subito”.
Io non sono abituata a chiedere aiuto, ma a fare da sola. Ho una mamma che mi ha insegnato l’importanza di essere donna,
indipendente. È sempre stata gentilmente femminista... non ha mai perso la grazia, ma mi ha inculcato che dovevo lottare per
la parità. Anche troppo. A 20 anni, volevo sempre pagare io la cena. Infatti, povero mio figlio, gli esalto molto la figura delle donne.
Gli dico che le streghe sono invenzioni di uomini che temevano le donne forti…
Solo che, un giorno, mi fa: ma tu preferisci le femmine ai maschi? E io: no, rifacciamo da capo…"


Giorgia.jpg
 
Si trovava nell’appartamento di mia zia in via Qemal Stafa, dove l’avevano portata alcune settimane prima, per accudirla nel migliore dei modi.
Mio cugino di primo grado, Besnik Dobi, colui che l’aveva portata in braccio fino a casa di sua sorella, dopo avermi spiegato perché avevano scelto questo metodo di trasporto per coprire la distanza da via Dibra all’inizio di Qemal Stafa, aggiunse queste parole: perché era leggera.

Cercando di spiegarsi meglio ripeté quasi la stessa cosa: incredibile quanto fosse leggera! Come se fosse di carta.
Come una bambola di carta.


Non ero sicuro se le ultime parole fossero sue o frutto della mia immaginazione, ma ebbi la sensazione di non essere stupito più di tanto. Come se fossi già a conoscenza di tutto quello che stavo ascoltando.
Mi passò per la testa una scena familiare ripetuta spesso nella nostra abitazione quando le nostre figlie giocavano con le bambole insieme a mia madre. Lei, paziente, stava tra loro mentre le mettevano nei capelli fiocchi e mollette, senza dimenticare di ripeterle: “Nonna, non muoverti!”

Helena ovviamente si sentiva in imbarazzo davanti a una scena simile, ma le figlie non le davano ascolto. “Nonna è d’accordo” ripetevano. “A lei piace, tu che vuoi?”

Leggera... Le scale di legno della casa, generalmente rumorose, non scricchiolavano mai quando lei ci camminava sopra. E, così come i suoi passi, ogni cosa era leggera: il modo di vestirsi, il modo di parlare, il modo di sospirare.
Nel quartiere, e più tardi a scuola, avevamo imparato tutti i versi dedicati alla mamma. C’erano anche versi e canzoni per quelli che non ne avevano una, dove le parole “senza mamma” si ripetevano in un modo che dilaniava il cuore. Non sapevo se qualche compagno di classe non aveva la mamma, forse ce n’erano alcuni ma non lo dicevano. Secondo un nostro compagno non avere la mamma era una vergogna, mentre un altro ragazzo della sezione B lo contraddiceva, perché secondo lui era vergognoso non avere il papà, non la mamma. Due nostre compagne, Ylberja e Ela Laboviti, si divertivano ad ascoltare entrambe le versioni, perché secondo loro i ragazzi non solo confondevano la parola “vergogna” con la parola “pietà”, ma non capivano di cosa stessero parlando.

Tuttavia, la questione della madre non sembra meno complicata, e non era sufficiente averla per tenere tutto in ordine. Potevi cantare tutto il giorno “cara madre, madre mia, la migliore del mondo, che buon profumo intorno a te, trallallero trallallà”, e comunque essere scontento. Alcuni, a prescindere dal fatto che non lo dicevano, si disperavano perché al confronto con le altre, le loro madri non sembravano giovani, per non dire che parevano vecchiette.

ISMAIL KADARE'

Ismail Kadare è il più grande scrittore della letteratura albanese contemporanea
ed è una grande personalità conosciuta a livello mondiale, non solo in campo letterario,
ma anche sul piano politico, sociale e un grande difensore dei diritti umani
.


mother-baby-daughter-getty-57520400.jpg
 
"Non hai mai smesso di chiamarla mamma anche ora che è scomparsa.
Quando esclami: “Mamma!” vuoi credere che mamma è sana e salva. Che mamma è forte.
Che mamma non è turbata da nulla. Che mamma è la persona che vuoi chiamare ogni volta
che qualcosa ti angoscia in questa città... Dopo che mamma è scomparsa ho capito che
c’è una risposta per ogni cosa. Tutto ciò che mi chiedeva avrei potuto farlo.
Non importa. Non so perché, ma ora la capisco.”

Kyung-sook Shin - Corea del Sud.


Mother-Bong-Joon-Ho-20091.jpg
 



Mia madre rimaneva a letto fino a tardi perché dormiva male. Fin da bambina, mi confessò una volta che le avevo portato il suo bicchiere d’acqua del mattino. Aspettavo di sentire che mi addormentavo, mi disse mentre mi appollaiavo sulla sponda del letto; e aspettavo e aspettavo, diceva, perché volevo prendere al volo il momento in cui succedeva, come con il topolino dei denti. Non puoi prendere il sonno, dissi io, facendo ruotare il bicchiere sul sughero del sottobicchiere. Lei mi sorrise, con le palpebre appesantite. Ragazzina in gamba, mi disse.

La sentivo, a volte, quando mi rigiravo nel letto in piena notte; alle due non era raro sentir scattare l’interruttore della luce in cucina e il brusio del bollitore che si scaldava. Un accenno di luce in fondo al corridoio che gettava un flebile chiarore sulla parete di camera mia. Quei rumori davano conforto: rammentavano la presenza di mia madre, davano una sensazione di attività ed efficienza, anche se sapevo che una volta arrivato il mattino ciò si sarebbe tradotto in una madre dall’aspetto stanco, dagli occhi erranti, in cerca di riposo.

Di tanto in tanto, scendevo piano dal letto nel cuore della notte e la trovavo sulla grande poltrona a strisce arancione, una coperta sulle ginocchia. Io, a cinque o sei anni, mi arrampicavo fin sulle sue cosce, come un gatto. Lei mi accarezzava i capelli, come se fossi un gatto. Mi accarezzava e beveva qualche sorso. Non parlavamo mai, e io mi addormentavo in fretta fra le sue braccia, nella speranza che il mio peso, la mia sonnolenza le si potessero in qualche modo trasmettere. Mi risvegliavo sempre nel mio letto, così non ho mai saputo se lei tornasse in camera sua o se restasse lì tutta la notte, a guardare fisso le pieghe delle tende alle finestre.


Aimee Bender
L’inconfondibile tristezza della torta al limone



500649-istock-649121536.jpg
 
festa-della-mamma-poesie-scuola-primaria-e1493714629627.jpg





Un caro augurio a tutte le Mamme ;)

festa-della-mamma.jpg
 




Il grande amore di mia madre è morto oggi.
Era una vecchia quercia, sano fino al midollo anche in punto di morte. È crollato per terra mentre sfogliava, chino sul leggio,
una pagina della Sinfonia in Sol minore di Mozart.
Quando lo hanno trovato, stringeva nella mano rigida un brandello della partitura, gli squilli dei corni all’inizio dell’Adagio.
Una volta aveva detto a mia madre che la Sinfonia in Sol minore è il più bel brano musicale mai composto.
– Leggeva da sempre le partiture come altri leggono i libri. Di qualsiasi opera gli capitasse tra le mani, arcaica o frivola che fosse.
Ma soprattutto andava a caccia del nuovo. Solo in età avanzata, verso i novant’anni, sentì il bisogno di rivivere un’altra volta quel
che già conosceva, in modo diverso, alla luce di un sole che si andava spegnendo.
Rilesse dunque il Don Giovanni che aveva divorato con occhi affamati da ragazzino, e La creazione.
Era musicista, direttore d’orchestra. Tre giorni prima di morire aveva diretto il suo ultimo concerto alla Stadt-halle. György Ligeti,
Bartók, Conrad Beck.
– Mia madre lo ha amato per tutta la vita. Né lui né gli altri se ne sono mai accorti. Nessuno sapeva della sua passione, lei non ne
fece mai parola. «Edwin» sussurrava però in riva al lago da sola, con il suo bambino per mano. Circondata da anatre starnazzanti
sulla sponda in ombra, guardava la riva opposta, splendente di sole. «Edwin». Il direttore d’orchestra si chiamava Edwin.

Urs Widmer


bambino_3_26021.jpg
 
Indietro