«Il vino italiano regge bene la crisi economica correlata al Covid-19. Tuttavia, visto che i consumi interni non aumenteranno in modo significativo, occorre spingere sulla domanda e aprire nuovi mercati». Lo ha sottolineato Tiziana Sarnari, analista di mercato dell’Ismea nella quinta videoconferenza su Facebook del dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Verona, nell'ambito di un ciclo sull'economia legata al Covid-19 che, come spiega Sergio Noto, docente di Storia economica e coordinatore dell’iniziativa, «durerà fino al 17 dicembre per offrire informazioni corrette a tutti». I NUMERI IN ITALIA. Se l’anno scorso in Italia, Paese leader mondiale per la produzione vitivinicola, il fatturato generato da 46.000 aziende su 666mila ettari vitati era di 13 miliardi di euro, pari al 10% di quello agroalimentare, la produzione di 47,5 milioni di ettolitri (per il 49% legata a Indicazioni geografiche) era in decremento del 13% rispetto al 2018 e calerà quest’anno a 46,5 milioni di ettolitri. I consumi di 37,5 litri pro capite hanno generato +2,2% sulle vendite a valore di vini e +6,1% di spumanti nella grande distribuzione organizzata, l'export valeva 6,4 miliardi di euro (+3,2%). «Il tendenziale calo dei consumi interni, insieme all’incremento della domanda statunitense, ci ha portati al terzo posto tra i Paesi consumatori», ha spiegato Tiziana Sarnari. I DATI DEL VENETO. In questo contesto il Veneto è la locomotiva nazionale, con una quota del 17,8% di superficie a Indicazione geografica, 10,95 milioni di ettolitri di cui 6,6 Doc e Docg ed è la prima regione italiana per esportazioni di vino a volume (7,4 milioni di ettolitri) e a valore (2,2 miliardi di euro). I SEGNI DELLA PANDEMIA. Ma la pandemia ha lasciato il segno nel 2020: nel primo semestre l'export ha registrato un calo a valore del 3,2%. «Durante il lockdown gli spumanti sono crollati del 12% ma tra maggio e luglio hanno segnato +22% con punte del 38%», ha continuato l’esperta. «Parte dei vini di fascia media Doc e Igt da enoteca si è ricollocata nella Gdo, ne hanno sofferto quelli di fascia alta e le aziende che basavano la distribuzione sull’Horeca, negli Stati Uniti o in Germania». La crisi, che ha spinto gli italiani ad acquistare nella grande distribuzione organizzata, ha comportato fino all’80% di perdite nell'Horeca, aumento del delivery e delle vendite online e flessione dell’export per la prima volta in dieci anni. Il comparto ha resistito puntando su e-commerce e su degustazioni virtuali. «Nuove opportunità potranno nascere dalla nuova Pac e dalla rimodulazione dell’Ocm vino, ma anche dalla capacità di attuare strategie differenziate per supportare l’eterogeneo tessuto imprenditoriale vitivinicolo italiano», ha sottolineato. «In base a rilevazioni Tradelab per Federvini di fine settembre, il consumo fuori casa è in calo del 27%, tendenza che durerà fino a fine anno e che se si verificheranno nuove restrizioni sulla ristorazione sarà più che diminuita», ha testimoniato Sandro Boscaini, presidente di Federvini. «A soffrire sarà non solo la quantità ma anche l'elevata qualità, mancando occasioni conviviali. Il quadro sarà molto pesante per le aziende medio-piccole con prodotti di nicchia. Oggi più che mai occorre dimostrare non solo di saper fare ma anche di saper vendere». CASE HISTORY DI MASI AGRICOLA. In questo contesto, come presidente di Masi Agricola ha messo in luce assieme all’amministratore delegato Federico Girotto la case history del gruppo, espressione di vini moderni dal cuore antico, del territorio e dei valori delle Venezie. Una visione globale sul mercato e strategie di marketing avanzato hanno permesso il salto da impresa di famiglia nata nel 1772 a realtà leader quotata in Borsa. Con un fatturato 2019 di 64,8 milioni di euro e redditività Ebitda di 11,1, ha una quota export del 77%, i suoi vini sono distribuiti in 138 Paesi nel mondo e «punta a una crescita sia organica sia attraverso aggregazioni, Masi Wine Experience ed e-commerce», ha concluso Girotto. • © RIPRODUZIONE RISERVATA