Milano, apre il museo del '900. Il più bello del mondo?

Allora sono io che non caspico, il quadro oggetto mi dice tutto e nulla. Io pensavo che un tema di una collezione fosse, non so, l'astrattismo geometrico, l'optical art, lo spazialismo, l'arte povera, il concettuale, la pop-art italiana, gli anni '90 italiani, la fotografia concettuale...
Va beh, allora adesso comprendo meglio il museo del '900.
Se gli orizzonti si allargano così tanto, da ora in poi il mio tema sarà "artisti sfigati che non hanno mercato" :p

Non confondere "stili" o "periodi". Certo che anche quelli sono temi! Ma per "tema" si intende il "filo conduttore" che unisce tra loro le opere della collezione e stabilendo una rigorosa coerenza impedisce immotivati salti di palo in frasca. I temi possono essere i più vari: conosco collezioni di piccoli formati (30x30 per esempio), di artisti anni 80 (una specie di panoramica per età e indipendente dagli stili), di progetti, di carte, di arte fatta con la plastica...
Vedo quindi che ho perorato per anni la causa della "coerenza dell'insieme" senza riuscire a spiegarmi :'(
 
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Non confondere "stili" o "periodi". Certo che anche quelli sono temi! Ma per "tema" si intende il "filo conduttore" che unisce tra loro le opere della collezione e stabilendo una rigorosa coerenza impedisce immotivati salti di palo in frasca. I temi possono essere i più vari: conosco collezioni di piccoli formati (30x30 per esempio), di artisti anni 80 (una specie di panoramica per età e indipendente dagli stili), di progetti, di carte, di arte fatta con la plastica...
Vedo quindi che ho perorato per anni la causa della "coerenza dell'insieme" senza riuscire a spiegarmi :'(
Ti aspettavo :D

Sai, Acci, il mio stile è totalmente diverso, cerco cose che in primis siano belle, di qualità, e già questo è raro, poi anche significative rispetto a qualcosa del mondo reale, quindi ci sta l'acquaforte di Pio Penzo, che fu una degna persona, a fianco con l'acquerello dello svizzero semifamoso, che mostra una ricerca tutta sua, quindi personalità. Ciò mi basta. La mia non sarà una collezione come la tua, però non ho bisogno che l'insieme valga più della somma dei singoli pezzi, anche perché l'acquisto è regolarmente a prezzo stracciato o quasi ;). Il riferimento? sono io-me, con tutte le varietà legate alla mia esistenza. E vedo che i pochi che guardano le opere trovano sempre momenti di grande interesse anche per loro.
Però quando entro in un museo ho piacere che l'arco delle cose visibili non sia troppo ampio, e non per pigrizia, ma per una questione di economia (di energie e di tempo). Dunque in questo una collezione (raccolta, accumulo, magazzino, accozzaglia ... :p ) è cosa ben diversa dall'esposizione museale, e proprio per questo spesso i musei dominati da certe collezioni lasciano un po' insoddisfatti, si percepisce proprio l'unilateralità del collezionista, i cui criteri personali possono raggruppare opere assolutamente diverse, sino all'esasperazione. O anche talmente uniformi da produrre spesso noia (penso alla collezione di quadretti tutti uguali di Benetton, una pizza). Per esempio, un collezionista potrebbe donare quadri relativi alla magia, fumetti storici relativi alla magia, attrezzi antichi di magia ... e tutto ciò non basterebbe affatto nemmeno per un museo della magia, dove l'esposizione dovrebbe prevedere, per esempio, opere africane, o egizie antiche, magari il cui commercio è impossibile, ecc.

Che poi poco sia meglio di nulla, va bene. Ma spesso vi sono pigrizia e blocchi mentali che impediscono in ambito museale di compiere scelte sufficientemente approfondite. Perché occorre scegliere, per esempio tra opere difficili e opere di cassetta, e questo riguarderà il bilancio economico dell'istituzione. Oppure tra rispettare una donazione o un certo deposito invece che pianificare una modalità di costruzione continua. Per esempio, il museo di Treviso, che avrà naturalmente anche lui le sue difficoltà, è costretto ad un accumulo di autori trevigiani tra 8 e 900, salvo scoprire che ben metà dell'esposizione riguarda Arturo Martini, il che per un museo è sicuramente troppo, per bello che sia. Viceversa, il singolo collezionista accipicchiano sarebbe orgoglioso di quella infinita serie di Martini, potrebbe dire proprio "guarda che collezione, così la volevo".

Come si vede, sia l'eccessiva varietà, sia l'eccessiva uniformità possono danneggiare il godimento dello spettatore. Questo non accade con la collezione, dove ciascuno mette in atto le proprie strategie in funzione della propria storia e personalità (per dire, la tua modalità non è l'unica, ma questo appare ormai chiaro).

Questo intendevo stimolare, come riflessione e consapevolezza. I poveri borborigmi inizialmente ricevuti in risposta vanno dunque messi in conto solo a chi li ha emessi.
 
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Per esempio, il museo di Treviso, che avrà naturalmente anche lui le sue difficoltà, è costretto ad un accumulo di autori trevigiani tra 8 e 900, salvo scoprire che ben metà dell'esposizione riguarda Arturo Martini, il che per un museo è sicuramente troppo, per bello che sia. Viceversa, il singolo collezionista accipicchiano sarebbe orgoglioso di quella infinita serie di Martini, potrebbe dire proprio "guarda che collezione, così la volevo".

Come si vede, sia l'eccessiva varietà, sia l'eccessiva uniformità possono danneggiare il godimento dello spettatore. Questo non accade con la collezione, dove ciascuno mette in atto le proprie strategie in funzione della propria storia e personalità (per dire, la tua modalità non è l'unica, ma questo appare ormai chiaro).

Non conosco la Collezione a cui fai riferimento, ma da come la descrivi posso dire che non ha proprio nulla di accipicchiano. Se mi fossi dato il tema "autori trevigiani tra 8 e 900" ovviamente non avrei 'accumulato' opere di un solo autore. Se il tema fosse "Arturo Martini", tutto il resto sarebbe fuori tema e mi sarei limitato al massimo a poche opere molto significative di autori a lui vicini. Questo per ribadire la sostanziale differenza tra Collezione privata, che per me deve concentrarsi sul tema senza lasciarsi fuorviare da acquisti fuori tema, e il Museo che espone con la miglior logica possibile quello che ha (in gran parte per effetto di donazioni e ben poco per acquisizioni). Metterei anche in evidenza il fatto che il Collezionista esprime la sua personalità. E' molto bello che la collezione esprima personalità: io sono rigoroso e la mia collezione è rigorosa, tu sei certamente più onnivoro e la tua collezione sarà probabilmente più confusa (NB non parlo di qualità, ma di impostazione). Il Museo invece espone quello che ritiene più interessante tra quello che possiede nei magazzini ed è espressione di volta in volta dei vari Curatori che si succedono. Non ritengo che le due situazioni siano sovrapponibili: in linea di massima la Collezione per il Collezionista rimane un fatto assolutamente privato e non apre le porte al pubblico se non, a volte, quando raggiunge un'importanza davvero ragguardevole. Il Museo deve attirare il maggior numero di visitatori, anche a costo di rivolgersi a semplici "curiosi" da "incuriosire" appunto spesso con scelte nazional-popolari (vedi il Mastro bigliettaio Goldin :D che quando organizza le mostre sa bene cosa funziona e cosa no: non fa cultura ma attira turisti insomma)
 
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Il filo conduttore della mia collezione è: "se mi piace mi piace" :D
E sono piuttosto soddisfatto :yes:
 
pensa se non piacesse neanche a te...
 
Abbiamo chiesto ad Anna Maria Montaldo, direttrice del Polo di Arte Moderna e Contemporanea del museo, cosa ci sia dietro a questo traguardo: “È il frutto di due anni di lavoro della direzione e del comitato scientifico. A nove anni dall’apertura, il percorso del museo doveva essere rinnovato e questo è il primo step. Ma non per correggere eventuali errori, più semplicemente perché un museo ha in sé diverse storie e deve saperle raccontare, come deve saper offrire punti di vista differenti” ha raccontato la direttrice ad Artribune. “In fondo, selezionando gli artisti e le opere in un ordinamento museale si sceglie di rappresentare una narrazione che può essere più o meno significativa o più o meno completa, e comunque sempre parziale. Perciò credo che non si possa e non si debba considerare un punto di arrivo ma piuttosto un processo di arricchimento che mette in luce e in relazione nuovi dialoghi della ricerca artistica, attraverso opere che erano nei depositi e altre più recentemente acquisite”. Una narrazione che prosegue quindi il racconto del Novecento, affondando da una parte le radici all’inizio del secolo con Marino Marini, e dall’altra ampliando la collezione degli ultimi decenni con l’analisi di pittura, installazione e fotografia, tra Pop Art, arte povera e concettuale. Il progetto è parte di un programma di rivisitazione che interessa la sfera museografica, museologica e storico-artistica, e che giungerà a compimento nel 2020, in occasione del decimo anniversario dall’inaugurazione del Museo.

I PROTAGONISTI DELL’ULTIMO NOVECENTO
Che ne sarà, dunque, delle sale rimaste orfane di Marini? Il Museo del Novecento riparte da questi spazi per ripensare l’allestimento del periodo compreso tra gli inizi degli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Tante le new entries, grazie a prestiti e comodati d’uso concessi da una rete di fondazioni, archivi e collezionisti, oltre all’esposizione parziale della Collezione Bianca e Mario Bertolini, donata al Comune di Milano nel 2015. Si parte con la pittura: i lavori di Mario Ceroli, Renato Mambor, Mario Schifano e Bepi Romagnoni vengono presentati accanto a Andy Warhol, Robert Rauschenberg e Richard Hamilton; lo scenario italiano e quello internazionale vengono messi in dialogo, come tra le superfici monocrome di Giulio Paolini e le carte di Sol Lewitt, le linee di Giorgio Griffa e quelle di Daniel Buren. Gioca da solista invece la torinese Carol Rama, alla quale viene dedicata una saletta monografica con l’installazione Presagi di Birnam (1970), acquisizione museale del 2012.
John Baldessari, Marcel Broodthaers, Joseph Kosuth, Vincenzo Agnetti, Giuseppe Penone, Ugo La Pietra e Michele Zaza sono alcuni dei nomi dell’arte concettuale che utilizzano la fotografia con declinazioni disparate. Le ultime sale, per finire, sono dedicate all’arte italiana: Luciano Fabro (anche lui con una sala a parte), Giovanni Anselmo, Amalia Del Ponte, Jannis Kounellis, Eliseo Mattiacci, Fabio Mauri, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio, sono gli autori attraverso i quali si interroga il concetto di installazione, considerando i diversi esiti formali e impiego di materiali. Un percorso che termina negli anni Ottanta, il decennio in cui il concetto di narrazione e di soggettività torna al centro della produzione artistica: una dimostrazione data dalle opere di Paolo Icaro, Mimmo Paladino e Giuseppe Spagnulo.
 
Scusa Lory, le teoria è bella, si sono sprecate paginate intere a favore dell'omogeneità della collezione. Mi spiegate allora qual è il filo conduttore che lega Sassolino a Griffa?

Non ti so proprio rispondere perchè mi incuriosisce la ricerca di Sassolino ma non so se lo sceglierei per una collezione. Credo di averlo anche scritto che mi pongo nei suoi confronti "a metà del guado". ;)... Come mi sento un pò a metà del guado tra le posizioni di Gino ed Acci in questo senso credo sia forse un bene non essere passata dalla teoria alla pratica!

Già è stato scritto ma anch'io interpreto il "filo conduttore" in modo "largo e inclusivo", del resto è solo una delle componenti del collezionare, l'altra è la ns. "impronta" che nel mio caso nasce da un'esigenza di colore e armonia essenziale un pò zen, dove il rigore di geometrie/materiali convive con quello emotivo/poetico di una tavolozza dai colori chiari, gentile e luminosa, non disdegnerei come "focus" gli acquerelli.
Del resto se dopo un liceo classico sono finita ad ingegneria... :eek:

P.S. A volte qui si ragiona da cultori un pò "schizzinosi" cedendo ad un facile "benaltrismo". Non credo che la scelta anche "nazional-popolare" a scopo divulgativo e di "educazione" sia da osteggiare, per creare la consapevolezza del ns. straordinario patrimonio e avvicinare anche i profani ai nuovi linguaggi.
 
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P.S. A volte qui si ragiona da cultori un pò "schizzinosi" cedendo ad un facile "benaltrismo". Non credo che la scelta anche "nazional-popolare" a scopo divulgativo e di "educazione" sia da osteggiare, per creare la consapevolezza del ns. straordinario patrimonio e avvicinare anche i profani ai nuovi linguaggi.

Non la osteggiavo infatti, la constatavo e giustificavo ampiamente nel nome della necessità di attirare turisti e curiosi in massa. Spesso però è più botteghino che operazione culturale. E va bene che sia così, però almeno chi di arte né mastica un pochetto, se ne rende conto :cool:
 
Non la osteggiavo infatti, la constatavo e giustificavo ampiamente nel nome della necessità di attirare turisti e curiosi in massa. Spesso però è più botteghino che operazione culturale. E va bene che sia così, però almeno chi di arte né mastica un pochetto, se ne rende conto :cool:

Forse ti sei riconosciuto nello "schizzinoso" ma non mi riferivo a te mon amour piuttosto al tuo "sparring partner" Gino che ho trovato molto più tranchant... strano a dirsi visto il confronto :cool:, ultimamente sempre a "marcare le differenze" con un certo puntiglio.
Ormai S. Valentino è passato non farmi dichiarare sempre la sintonia che ci lega che finiamo per diventare stucchevoli! :p
 
Forse ti sei riconosciuto nello "schizzinoso" ma non mi riferivo a te mon amour piuttosto al tuo "sparring partner" Gino che ho trovato molto più tranchant... strano a dirsi visto il confronto :cool:, ultimamente sempre a "marcare le differenze" con un certo puntiglio.
Ormai S. Valentino è passato non farmi dichiarare sempre la sintonia che ci lega che finiamo per diventare stucchevoli! :p
(Veramente, già da un po' ... :p )

Il fatto è che la contemporaneità entra nei musei non per ragioni culturali, ma meramente commerciali. Ovviamente sarebbe più equilibrato astenersi dall'inserire a forza gente che potrebbe essere il nuovo Picasso, ma anche il nuovo Bidonetti - anzi, per ragioni statistiche, più facilmente quest'ultimo - in un ambiente che, immagino, vuole raccontare "una storia" e comunicare un sentimento. A suo tempo vidi a Brescia una mostra sulla pittura americana: l'ostico argomento era piacevolmente e proficuamente preparato da foto d'epoca, cartelli illustrativi, brevi filmati ecc. E a nessuno dei curatori era venuto in mente di inserirvi un De Kooning o un Rotko (magari perché disponibili presso un collezionista) per poter dire "Guardate, è finita così".

Qui non è questione di essere schizzinosi. Sempre parlando di mostre (e non di musei, un attimino :D ) si sarà notato che ormai non c'è esposizione che non preveda le sue belle tavole storico-esplicative, ovviamente dedicate al grosso pubblico. Talora fatte bene, talaltra coi piedi o col birignao, non è questione. Il fatto è che così si fa il tentativo di "creare un ambiente, di proteggere il sentimento della visita. Cosa che non si ottiene né con la mera esposizione delle donazioni, né con l'accumulo delle opere in senso cronologico "che tutti vedano e traggano le proprie conclusioni, noi abbiamo fatto vedere tutto". E' la stessa differenza che c'è tra il prof. appassionato che può stare un'ora a spiegare un certo punto e quello che chiude con "per casa, leggetevi il capitolo otto".

Tornando dunque al museo, affastellare per mera documentazione "di tutto il periodo" opere assolutamente eterogenee, come un Segantini ed un Isgrò, vuol dire ignorare che il museo è per prima cosa l'Isola del Tesoro, non l'Isola dei Famosi. Ho già scritto che troppa uniformità e troppa varietà sono ambedue eccessi controproducenti. Perché? Come al solito, mi invento un esempio.
Si immagini di entrare in un "Museo di arte romana", antica dunque. E, ripeto, ARTE. Non STORIA. C'è un limite al numero di lapidi che mi posso "godere" come visitatore, se me ne metti 300 perché 300 sono in magazzino, mi sfianchi, o mi annoi. Infatti io entro per "capire" e per "sentire", in un giusto equilibrio. Se invece mi fai il museo dell'epoca romana, e mescoli la ricostruzione di un accampamento di Galli, il bicchiere di Cleopatra, le pietre miliari della Via Appia, sarò spinto a trascurare l'aspetto artistico, che può essere un'opzione, ma non per un museo di arte. Perché io entro sempre in un museo con una aspettativa, che lo stesso museo mi porge, proponendosi così come guida del visitatore con l'accordo implicito di essere coerente con quanto proposto.

Alla fine è soprattutto una questione di ritmi, di tempi, di stacchi, di percorsi attenzionali. Lì sta l'arte, nel vero senso della parola, del curatore. Non si è schizzinosi se si chiede, o si pretende, che il curatore sprema il meglio dal materiale a disposizione. Perché il curatore agisce sul vissuto del visitatore, che può anche essere un po' provocato, risvegliato, ma se violentato il risultato è negativo, o svuotato di rilevanza. Insomma, un museo organizzato con criteri errati può essere addirittura controproducente. Così, se alla stagione del primo Novecento si fa seguire una stagione come la presente dove i valori sono ancora in discussione, e soprattutto la lettura delle opere è talmente differente da far sentire allo spettatore un vissuto come se si fosse entrati in un'altra dimensione, probabilmente più che una piccola provocazione si ottiene una grande irritazione - o indifferenza. Perché, a quel punto, caro curatore, perché non mi hai messo anche Hayez o Albani prima di Previati, e il Foppa prima di Hayez, come hai messo Zorio dopo Boccioni o Isgrò dopo Severini? Perché non ci stanno nel XX secolo? Cioè, i numeretti prima degli artisti? La comoda (per il curatore) ma scomoda (per il visitatore) scelta del puro criterio della numerazione "oggettiva"? Tutti quelli che c'erano in quegli anni? Già si è visto che un tale criterio, dopo la fine del 700, ha perso ogni suo valore.

Magari dillo che i contemporanei sono entrati per promozionarne le quotazioni, visto che vi è più sostanza di rapporto tra Previati e Carlo Corsi che tra questi e Penone, anche se le distanze calcolate in decenni sono equivalenti.

Chiedo scusa se troppo lungo. Forse meglio i borborigmi di chi "non si deve paragonare" e finisce là.

:rolleyes:
 
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Se ho ben capito in una galleria di arte contemporanea non bisogna metterci i contemporanei.
 
Se ho ben capito in una galleria di arte contemporanea non bisogna metterci i contemporanei.

Alla cena della terza liceo trent'anni dopo non si invitano le madri (ora nonne), ma nemmeno i figli (ora rompip@lle)
 
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@ginogost @accipicchia
Non potevo andare peggio :wall: :D

Il vs approccio è senza dubbio ineccepibile in un'ottica culturale (non popolar) anche se irrealizzabile a livello imprenditoriale.

Ma veniamo dalla parte del fruitore che vuol riposare il cervello, vedere cose belle che non potrà mai certo avere in casa, camminare per qualche ora e ripassare la storia dell'Arte (tutta).
È così disdicevole?

Lasciare da parte l'impegno e staccare ogni tanto non è così malvagio. Per le tematiche ci sono sempre i libri ed anche lì ci vuole tempo.
 
@ginogost @accipicchia
Non potevo andare peggio :wall: :D

Il vs approccio è senza dubbio ineccepibile in un'ottica culturale (non popolar) anche se irrealizzabile a livello imprenditoriale.

Ma veniamo dalla parte del fruitore che vuol riposare il cervello, vedere cose belle che non potrà mai certo avere in casa, camminare per qualche ora e ripassare la storia dell'Arte (tutta).
È così disdicevole?

Lasciare da parte l'impegno e staccare ogni tanto non è così malvagio. Per le tematiche ci sono sempre i libri ed anche lì ci vuole tempo.

Bravo bravissimo:bow::bow::bow::bow:
__________________________________;)

dal Museo del Novecento : comunque ci vuole tempo:p per capire certe cose:rotfl::rotfl::rotfl::rotfl::rotfl:
 

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Non ti so proprio rispondere perchè mi incuriosisce la ricerca di Sassolino ma non so se lo sceglierei per una collezione. Credo di averlo anche scritto che mi pongo nei suoi confronti "a metà del guado". ;)... Come mi sento un pò a metà del guado tra le posizioni di Gino ed Acci in questo senso credo sia forse un bene non essere passata dalla teoria alla pratica!

Già è stato scritto ma anch'io interpreto il "filo conduttore" in modo "largo e inclusivo", del resto è solo una delle componenti del collezionare, l'altra è la ns. "impronta" che nel mio caso nasce da un'esigenza di colore e armonia essenziale un pò zen, dove il rigore di geometrie/materiali convive con quello emotivo/poetico di una tavolozza dai colori chiari, gentile e luminosa, non disdegnerei come "focus" gli acquerelli.
Del resto se dopo un liceo classico sono finita ad ingegneria... :eek:

P.S. A volte qui si ragiona da cultori un pò "schizzinosi" cedendo ad un facile "benaltrismo". Non credo che la scelta anche "nazional-popolare" a scopo divulgativo e di "educazione" sia da osteggiare, per creare la consapevolezza del ns. straordinario patrimonio e avvicinare anche i profani ai nuovi linguaggi.

Io ritorno ancora alla compattezza della collezione visto che sono pragmatico “come” te.
Sono anni che si spendono parole per teorizzare che bisogna studiare, ricercare, avere una collezione frutto di scelte storiche e via discorrendo. Poi, in concreto, intuisco che nelle collezioni di chi scrive qui ci sono Griffa e Sassolino, De Marchi e Spalletti, Pistoletto con i Frattali e Uncini e altri ancora sempre più quotati: così io vado in tilt, mi crollano i postulati teorici tanto enunciati. Molte collezioni pubbliche importanti che ho visto, ne cito un paio al volo, Rossini e Boschi di Stefano, non sono coerenti, spaziano dal passato al loro presente storico, si muovono tra generi e stili. Allora non sarebbe più semplice dire che il “collezionista professionista” ha come filo conduttore il mercato (e i musei sono il riflesso del mercato e delle scelte dei grandi collezionisti-investitori) e che la sua ricerca è atta a trovare ciò che di meglio esso offre come investimento? Poi, se vogliamo elevare, o giustificare, la collezione attraverso dei presupposti teorici comuni che io, con i nomi degli artisti sopra citati faccio fatica a legare, a me va bene, l’arte serve anche per confrontarsi.
Io, ad esempio, sto cambiando il filo conduttore della mia mia collezione da: “artisti sfigati senza mercato” a: “artisti che usano la tela per esprimersi”. ;p

p.s. acci sei sei stato chiaro, io continuo a non capire, abbi pazienza. :D
 
(Veramente, già da un po' ... :p )

Il fatto è che la contemporaneità entra nei musei non per ragioni culturali, ma meramente commerciali. Ovviamente sarebbe più equilibrato astenersi dall'inserire a forza gente che potrebbe essere il nuovo Picasso, ma anche il nuovo Bidonetti - anzi, per ragioni statistiche, più facilmente quest'ultimo - in un ambiente che, immagino, vuole raccontare "una storia" e comunicare un sentimento. A suo tempo vidi a Brescia una mostra sulla pittura americana: l'ostico argomento era piacevolmente e proficuamente preparato da foto d'epoca, cartelli illustrativi, brevi filmati ecc. E a nessuno dei curatori era venuto in mente di inserirvi un De Kooning o un Rotko (magari perché disponibili presso un collezionista) per poter dire "Guardate, è finita così".

Qui non è questione di essere schizzinosi. Sempre parlando di mostre (e non di musei, un attimino :D ) si sarà notato che ormai non c'è esposizione che non preveda le sue belle tavole storico-esplicative, ovviamente dedicate al grosso pubblico. Talora fatte bene, talaltra coi piedi o col birignao, non è questione. Il fatto è che così si fa il tentativo di "creare un ambiente, di proteggere il sentimento della visita. Cosa che non si ottiene né con la mera esposizione delle donazioni, né con l'accumulo delle opere in senso cronologico "che tutti vedano e traggano le proprie conclusioni, noi abbiamo fatto vedere tutto". E' la stessa differenza che c'è tra il prof. appassionato che può stare un'ora a spiegare un certo punto e quello che chiude con "per casa, leggetevi il capitolo otto".

Tornando dunque al museo, affastellare per mera documentazione "di tutto il periodo" opere assolutamente eterogenee, come un Segantini ed un Isgrò, vuol dire ignorare che il museo è per prima cosa l'Isola del Tesoro, non l'Isola dei Famosi. Ho già scritto che troppa uniformità e troppa varietà sono ambedue eccessi controproducenti. Perché? Come al solito, mi invento un esempio.
Si immagini di entrare in un "Museo di arte romana", antica dunque. E, ripeto, ARTE. Non STORIA. C'è un limite al numero di lapidi che mi posso "godere" come visitatore, se me ne metti 300 perché 300 sono in magazzino, mi sfianchi, o mi annoi. Infatti io entro per "capire" e per "sentire", in un giusto equilibrio. Se invece mi fai il museo dell'epoca romana, e mescoli la ricostruzione di un accampamento di Galli, il bicchiere di Cleopatra, le pietre miliari della Via Appia, sarò spinto a trascurare l'aspetto artistico, che può essere un'opzione, ma non per un museo di arte. Perché io entro sempre in un museo con una aspettativa, che lo stesso museo mi porge, proponendosi così come guida del visitatore con l'accordo implicito di essere coerente con quanto proposto.

Alla fine è soprattutto una questione di ritmi, di tempi, di stacchi, di percorsi attenzionali. Lì sta l'arte, nel vero senso della parola, del curatore. Non si è schizzinosi se si chiede, o si pretende, che il curatore sprema il meglio dal materiale a disposizione. Perché il curatore agisce sul vissuto del visitatore, che può anche essere un po' provocato, risvegliato, ma se violentato il risultato è negativo, o svuotato di rilevanza. Insomma, un museo organizzato con criteri errati può essere addirittura controproducente. Così, se alla stagione del primo Novecento si fa seguire una stagione come la presente dove i valori sono ancora in discussione, e soprattutto la lettura delle opere è talmente differente da far sentire allo spettatore un vissuto come se si fosse entrati in un'altra dimensione, probabilmente più che una piccola provocazione si ottiene una grande irritazione - o indifferenza. Perché, a quel punto, caro curatore, perché non mi hai messo anche Hayez o Albani prima di Previati, e il Foppa prima di Hayez, come hai messo Zorio dopo Boccioni o Isgrò dopo Severini? Perché non ci stanno nel XX secolo? Cioè, i numeretti prima degli artisti? La comoda (per il curatore) ma scomoda (per il visitatore) scelta del puro criterio della numerazione "oggettiva"? Tutti quelli che c'erano in quegli anni? Già si è visto che un tale criterio, dopo la fine del 700, ha perso ogni suo valore.

Magari dillo che i contemporanei sono entrati per promozionarne le quotazioni, visto che vi è più sostanza di rapporto tra Previati e Carlo Corsi che tra questi e Penone, anche se le distanze calcolate in decenni sono equivalenti.

Chiedo scusa se troppo lungo. Forse meglio i borborigmi di chi "non si deve paragonare" e finisce là.

:rolleyes:

stavolta devo darti ragione! Troppo lungo!
 
@ginogost @accipicchia
Non potevo andare peggio :wall: :D

Il vs approccio è senza dubbio ineccepibile in un'ottica culturale (non popolar) anche se irrealizzabile a livello imprenditoriale.

Ma veniamo dalla parte del fruitore che vuol riposare il cervello, vedere cose belle che non potrà mai certo avere in casa, camminare per qualche ora e ripassare la storia dell'Arte (tutta).
È così disdicevole?

Lasciare da parte l'impegno e staccare ogni tanto non è così malvagio. Per le tematiche ci sono sempre i libri ed anche lì ci vuole tempo.

Allora non sono l'unico che va in un museo per divertimento!

Andate al museo del 900 davanti alla parete di Boetti il divertimento è assicurato!
 
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