(Veramente, già da un po' ...
)
Il fatto è che la contemporaneità entra nei musei non per ragioni culturali, ma meramente commerciali. Ovviamente sarebbe più equilibrato astenersi dall'inserire a forza gente che potrebbe essere il nuovo Picasso, ma anche il nuovo Bidonetti - anzi, per ragioni statistiche, più facilmente quest'ultimo - in un ambiente che, immagino, vuole raccontare "una storia" e comunicare un sentimento. A suo tempo vidi a Brescia una mostra sulla pittura americana: l'ostico argomento era piacevolmente e proficuamente preparato da foto d'epoca, cartelli illustrativi, brevi filmati ecc. E a nessuno dei curatori era venuto in mente di inserirvi un De Kooning o un Rotko (magari perché disponibili presso un collezionista) per poter dire "Guardate, è finita così".
Qui non è questione di essere schizzinosi. Sempre parlando di mostre (e non di musei, un attimino
) si sarà notato che ormai non c'è esposizione che non preveda le sue belle tavole storico-esplicative, ovviamente dedicate al grosso pubblico. Talora fatte bene, talaltra coi piedi o col birignao, non è questione. Il fatto è che così si fa il tentativo di "creare un ambiente, di proteggere il
sentimento della visita. Cosa che non si ottiene né con la mera esposizione delle donazioni, né con l'accumulo delle opere in senso cronologico "che tutti vedano e traggano le proprie conclusioni, noi abbiamo fatto vedere tutto". E' la stessa differenza che c'è tra il prof. appassionato che può stare un'ora a spiegare un certo punto e quello che chiude con "per casa, leggetevi il capitolo otto".
Tornando dunque al museo, affastellare per mera documentazione "di tutto il periodo" opere assolutamente eterogenee, come un Segantini ed un Isgrò, vuol dire ignorare che il museo è per prima cosa l'Isola del Tesoro, non l'Isola dei Famosi. Ho già scritto che troppa uniformità e troppa varietà sono ambedue eccessi controproducenti. Perché? Come al solito, mi invento un esempio.
Si immagini di entrare in un "Museo di arte romana", antica dunque. E, ripeto, ARTE. Non STORIA. C'è un limite al numero di lapidi che mi posso "godere" come visitatore, se me ne metti 300 perché 300 sono in magazzino, mi sfianchi, o mi annoi. Infatti io entro per "capire" e per "sentire", in un giusto equilibrio. Se invece mi fai il museo
dell'epoca romana, e mescoli la ricostruzione di un accampamento di Galli, il bicchiere di Cleopatra, le pietre miliari della Via Appia, sarò spinto a trascurare l'aspetto artistico, che può essere un'opzione, ma non per un museo di
arte. Perché io entro sempre in un museo con una aspettativa, che lo stesso museo mi porge, proponendosi così come guida del visitatore con l'accordo implicito di essere coerente con quanto proposto.
Alla fine è soprattutto una questione di ritmi, di tempi, di stacchi, di percorsi attenzionali. Lì sta l'arte, nel vero senso della parola, del curatore. Non si è schizzinosi se si chiede, o si pretende, che il curatore sprema il meglio dal materiale a disposizione. Perché il curatore agisce sul vissuto del visitatore, che può anche essere un po' provocato, risvegliato, ma se violentato il risultato è negativo, o svuotato di rilevanza. Insomma, un museo organizzato con criteri errati può essere addirittura controproducente. Così, se alla stagione del primo Novecento si fa seguire una stagione come la presente dove i valori sono ancora in discussione, e soprattutto la lettura delle opere è talmente differente da far sentire allo spettatore un vissuto come se si fosse entrati in un'altra dimensione, probabilmente più che una piccola provocazione si ottiene una grande irritazione - o indifferenza. Perché, a quel punto, caro curatore, perché non mi hai messo anche Hayez o Albani prima di Previati, e il Foppa prima di Hayez, come hai messo Zorio dopo Boccioni o Isgrò dopo Severini? Perché non ci stanno nel XX secolo? Cioè, i numeretti prima degli artisti? La comoda (per il curatore) ma scomoda (per il visitatore) scelta del puro criterio della numerazione "oggettiva"? Tutti quelli che c'erano in quegli anni? Già si è visto che un tale criterio, dopo la fine del 700, ha perso ogni suo valore.
Magari dillo che i contemporanei sono entrati per promozionarne le quotazioni, visto che vi è più sostanza di rapporto tra Previati e Carlo Corsi che tra questi e Penone, anche se le distanze calcolate in decenni sono equivalenti.
Chiedo scusa se troppo lungo. Forse meglio i borborigmi di chi "non si deve paragonare" e finisce là.