L’Ipo di Aramco e il nuovo incubo di Wall Street: se fa flop, esplode la bolla dei corporate bond – Business Insider Italia
E i presupposti per una delusione crescono di giorno in giorno. Intervistato dalla CNBC, il generale David Petraeus, ex capo della CIA, non ha infatti soltanto dichiarato chiaro e tondo che l’IPO di Aramco deve obbligatoriamente andare bene ma, senza troppi giri di parole, ha definito l’operazione e il suo timing “una possibile scorciatoia posta in essere da un regime sotto stress finanziario. Gradualmente, l’Arabia Saudita sta terminando le proprie riserve e ha necessità di denaro per finanziare le riforme contenute nel piano Vision 2030 del principe bin Salman”.
A detta di molti, due sono le ipotesi: o
l’intera operazione è una farsa e si intende rinviarla all’ultimo momento, blindando però i titoli attraverso pre-acquisti sul book operati tutti da sauditi e loro proxie oppure oltre alla fame disperata di denaro di Aramco, occorre sommare anche l’aggravante di una incipiente scarsezza di liquidità residua e potenziale del mercato.
Siamo una dinamica totalmente news-driven come questa può essere strumentale a indici in continuo rialzo? Semplice,
quando occorre innescare un mini-rally è sufficiente far prevalere le notizie positive, siano essere vere, false o verosimili, operando un martellamento a tappeto. Quando poi, obbligatoriamente, la realtà irrompe e spezza l’incantesimo, dopo qualche flessione basta che sulla scena irrompa una news positiva più eclatante del solito per innescare
il secondo contrafforte dei mercati, dopo i buybacks: lo short squeeze, ovvero la ricopertura forzata – e a qualsiasi prezzo – di posizioni ribassiste aperte proprio in ossequio all’ondata di informazioni di carattere negativo.
Quegli acquisti obbligati non solo spingono gli indici ma alimentano il più classico dei riflessi pavloviani, ovvero l’acquisto sui minimi. Tutti a comprare, spesso senza un motivo reale. Ma la giostra continua a girare. Il secondo grafico, però, ci mostra come anche questo trucchetto da gioco delle tre carte abbia ormai il fiato corto, visto che dall’inizio di novembre il mercato azionario e il Cboe Volatility Index, detto anche “indice della paura“, abbiano cominciato a muoversi in tandem, un qualcosa che va contro ogni legge di mercato.
Se infatti la Borsa sale, la paura dovrebbe scendere. Da un mese a questa parte, invece, vanno di pari passo. Come dire,
si resta a ballare sul ponte del Titanic ma con la crescente consapevolezza di dover correre alle scialuppe, più prima che poi. E se le equities cominciano a mostrare sintomi di debolezza e rughe di preoccupazioni sempre più profonde sotto il maquillage pesante della retorica, altrove le sirene d’allarme stanno già suonando: il mercato obbligazionario corporate sta parlando.