Tobin Tax o Capital gain al 45%...

Cosa "preferireste?"

  • Tobin Tax

    Voti: 9 34,6%
  • Capital a 45%

    Voti: 17 65,4%

  • Votanti
    26
Ma scherziamo..nessuno dei due assolutamente!

Purtroppo in Italia siamo troppo abituati alle tasse e pensiamo che di qualche morte dovremmo pur morire...No assolutamente!
Paghiamo mi sembra già tantissimo su tutto...glielo dicessimo agli americani penso proprio che ci fucilerebbero!

Neanche prenderle in considerazione certe cose..che poi passaparola ce la mettono davvero un'altra tassa.
 
Ma basta con le tasse,bastaaaaaaaaaaa
 
Certamente è meglio una tassazione sul CG, che almeno sai che la paghi su un guadagno, ma pagare il 45% per una professione che non è riconosciuta, che non ti dà diritto a nulla, sgravi, detrazioni, che non ti consente di accedere al credito, mutui, leasing. Insomma non si può essere solo bastonati di tasse come un dipendente qualunque, e non avere TFR, pensione, ferie e permessi retribuiti, status sociale, tutele sindacali, e chi più ne ha più ne metta
 

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La gente voterebbe se questo sondaggio avesse senso.

1) La Tobin all'italiana non la puoi volere. Puoi solo non averla o chiudere.

Per cui ovviamente no.

2) Imposizione al 45%? Tipo dipendende? Certo, ma allora dove sta la mia copertura INAIL, i diritti agli sgravii, la maternità (per le donne) e le tante altre cose che avevo quando lavoravo da dipendente?

Quello che si prende, si paga. Se non si prende un belino di prestazioni / servizi ecc, perché dovrei pagare come quelli che li prendono?


Quindi, quello che manca è l'opzione 3 e 4:

3) Nessuno dei due.

4) Te ne vai dal paese e sbatti la porta.
 
anche il 20% sul capital gain è troppo , se sul medio termine tassa l' inflazione

29 giugno 2011
....

2. i risparmiatori sono stati i più svantaggiati nella redistribuzione del reddito degli ultimi anni, tra rendimenti reali negativi, crollo della new economy, crisi dei subprime, crack di società quotate (Parmalat, Cirio, Ferruzzi…), aumenti di capitale che annacquano il valore delle azioni, crollo dei titoli bancari e assicurativi; nel contempo i prezzi degli immobili, anche delle più scassate bicocche, sono saliti eccessivamente gonfiati dai tassi ai minimi del secolo;

3. il risparmio è denaro, moneta, e come tale è soggetto ad inflazione, cioè a perdita di potere di acquisto, ovvero a perdita di valore. Questa perdita di valore va a favore dello stato, uno stato debitore in quanto è lui che emette, direttamente o indirettamente, tale moneta. Quindi l’inflazione è una tassa, è il più pesante e subdolo tributo che colpisce la classi meno abbienti, famiglie, lavoratori, anziani. Tutti sperimentiamo quotidianamente che in Italia c’è un’inflazione ben superiore a quella ufficialmente dichiarata dall’ISTAT; il risparmio è quindi già di per sé pesantemente tassato dall’inflazione;

4. decine di migliaia di risparmiatori nei decenni scorsi hanno ripopolato Svizzera, Montecarlo e Austria, fuggendo dall’Italia, portando via i loro sudati soldi anche quando il farlo costituiva reato, pur di difenderli e salvarli; far fuggire anche gli ultimi rimasti sicuramente non aiuta l’Italia a risalire la china dello sviluppo economico. Se verrà elevata l’aliquota sui redditi finanziari l’Italia avrà perso per tali risparmiatori l’ultima attrattiva che le era rimasta. Di paradisi fiscali sparsi per il mondo (o neanche troppo lontani) che li aspettano a braccia aperte, e già pieni di Italiani, ne trovano quanti ne vogliono. E gli anni ’60 e ’70 hanno ampiamente dimostrato che i capitali in fuga non possono essere fermati;

5. in Italia i redditi da risparmio costituiscono comunque, se non altro a livello psicologico, una parte consistente del potere d’acquisto e di consumo delle famiglie; la diminuzione di tali redditi, annientati dalla tenaglia bassi rendimenti – aumento della loro tassazione, ha devastanti effetti depressivi su economia e consumi, innestando una spirale di stagnazione che può durare decenni, come è successo in Giappone;

6. la fuga dagli investimenti finanziari spingerebbe la gente non a consumare bensì ad investire ancora di più in immobili, e quindi causerebbe un aumento dei prezzi degli immobili già ora insostenibili, rendendo impossibile ai meno abbienti e alle nuove coppie l’acquisto della prima casa;

7. sotto il profilo quantitativo, il beneficio per le finanze dello stato derivante dall’aumento della tassazione sui redditi finanziari è miserabile, irrisorio, con più svantaggi che vantaggi: per poche centinaia di milioni di euro da racimolare in bilancio si va a infliggere un danno irrimediabile a un settore vitale per l’economia e lo sviluppo del Paese. E’ ben chiara la creduta valenza politico-demagogica del “tassiamo il risparmiatore perché ricco”, nettamente obsoleta in relazione all’attuale composizione del patrimonio della maggioranza degli Italiani: i risparmiatori non sono i ricchi, ma le famiglie, i lavoratori, i pensionati, chiunque con rinunce e sacrifici mette da parte qualcosa per il futuro suo e della sua famiglia;

8. chi ha risparmi da investire in strumenti finanziari, ha tali risparmi perché, rinunciando a consumarli, ha messo da parte una quota dei suoi redditi: redditi già tassati dall’imposta sul reddito nei periodi fiscali in cui sono stati percepiti; i risparmi sono quindi reddito già tassato;

9. i dividendi, in quanto utili societari, sono già tassati in capo alla società, la quale li distribuisce al netto dell’imposta societaria ai risparmiatori-azionisti, i quali poi, nuovamente, pagano l’imposta sostitutiva su di essi; i dividendi sono quindi già doppiamente tassati;

10. le plusvalenze e gli interessi sono guadagni per chi li percepisce, ma perdite per chi li paga: il saldo finale per l’intera economia è zero, non vi è valore aggiunto assoggettabile equamente a tassazione, né motivi equi per cui il fisco si intrometta tra chi perde e chi guadagna;

11. se certi industriali non sono buoni a fare profitti non è per il carico fiscale che subiscono, di fatto bassissimo: l’aliquota sul reddito d’impresa è fittizia, visto che si applica non su tutto il reddito, ma solo sul reddito imponibile, e qualsiasi commercialista è in grado di decimare l’imponibile del reddito d’impresa. Le aliquote sui redditi finanziari, invece, si applicano su tutto il reddito, fino all’ultimo centesimo, non essendovi alcuna possibilità di dedurre costi e spese dall’imponibile. Quindi il paragonare l’imposta sul reddito d’impresa o le aliquote irpef alla ben diversa imposta sostitutiva del 12,5% sui redditi finanziari (l’imposta sostitutiva non ammette detrazioni né deduzioni) è ipocrita e pretestuoso. Il vero problema, insormontabile, è che il costo del lavoro italiano è dieci volte quello cinese o indiano;

12. è semplicemente una presa per i fondelli l’affermazione che l’aumento dal 12,5% al 20% dell’aliquota su BOT e guadagni di borsa verrebbe compensato dalla diminuzione dal 27 al 20% della tassazione sui conti correnti (in questo consisterebbe la famigerata ”armonizzazione delle aliquote”): sappiamo tutti che i conti correnti non rendono praticamente nulla, anzi, spesso danno rendimenti infinitesimali ben inferiori al loro costo;

13. per i risparmiatori le perdite finanziarie (minusvalenze) sono deducibili dal reddito imponibile solo per quattro anni, quando i cicli economici e di borsa durano ben più di quattro anni. Esemplificando molto, se nell’arco di dieci anni il risparmiatore ha guadagnato 10 e perso 20, con un risultato finale netto negativo (perdita) di –10, ha comunque buone probabilità di pagare tasse come se avesse guadagnato +5 (può sembrare assurdo, ma è così, questa è la legge in vigore);

14. il risparmio è il principale mezzo per la mobilità sociale. Le famiglie meno agiate possono sperare di elevarsi dalla loro posizione sociale semiservile solo mettendo da parte risparmi e costruendosi pian piano un proprio patrimonio familiare. Tassare il risparmio delle famiglie, dei lavoratori, vuol dire condannarli a una semischiavitù perenne, il che probabilmente è proprio quello che certe caste di ricchi potentati vogliono quando pretendono l’aumento della tassazione sui rendimenti del risparmio popolare. Proprio a tutela delle possibilità di mobilità sociale per le classi meno abbienti, la nostra Costituzione agli articoli 42 e 47 tutela la proprietà privata degli immobili e il risparmio in tutte le sue forme.

Nell’ultimo secolo di “riformismo”, la pressione fiscale non ha fatto altro che salire, depredando i cittadini, i lavoratori, le famiglie, squilibrando il mercato, soffocando l’economia, distorcendo la libera concorrenza, foraggiando apparati pubblici clientelari, parassiti e vessatori. Oggi, se vogliamo rimanere un paese produttivo, libero e democratico, dobbiamo assolutamente invertire tale tendenza, seguendo fedelmente un unico semplice principio: nessuna nuova tassa deve essere creata, nessuna tassa esistente deve essere aumentata, tutte le tasse esistenti devono essere diminuite o, se possibile, abolite. Meno spesa pubblica e meno sprechi, e non più tasse a questo o a quello.

La tassazione italiana sui risparmi può benissimo essere lasciata così com’è, perché è già equilibrata e sopportabile. Se la si vuol cambiare, e si vuol esser giusti, si tassino i rendimenti netti, effettivi, veri, cioè i rendimenti lordi depurati dalla perdita di potere d’acquisto dei risparmi: vediamo se oggi sottraendo l’inflazione ai rendimenti lordi rimane qualcosa da tassare.

Le classi agiate possono permettersi di chiedere più tasse sul risparmio delle persone: il regime fiscale aziendale detto PEX e la possibilità di creare holding in paradisi fiscali consente ai grandi patrimoni e tesoretti degli imprenditori di non pagare quasi nulla allo stato italiano. La tassazione del 12,5% imputabile alle persone fisiche è quella che invece le persone comuni, famiglie, lavoratori, anziani, pagano. Ed è questa che a gran voce il grande padronato e le corporazioni della casta chiedono di alzare, anzi, di raddoppiare: più tasse su azioni, titoli di stato, fondi; ma si badi bene più tasse solo sulle attività finanziarie dei singoli individui, non sulle società o su scatole finanziarie. Anche i sindacati partecipano volentieri al banchetto. Tasse più alte sul risparmio delle famiglie significano maggiori vantaggi per i loro fondi pensione, fiscalmente privilegiati.

......


Piu’ tasse sui nostri risparmi? No, grazie | BorsaPlus – Giornale dei mercati finanziari
 
Ultima modifica:
con la Tobin muore il trading di breve, con il 45% di cg muore un po' tutto
 
Buondi',ma se passa la tobin poi il capital gain da pagare si abbassa.
 
Continuare a mantenere fiscalità diverse a seconda che i redditi siano da lavoro o da capitale, secondo me è piuttosto antiquato.
Per alcune persone il reddito da capitale è solo un "arrotondamento" dello stipendio o della pensione.. per altri è il reddito principale.. ma sempre di redditi personali si tratta (a patto che si stia parlando di persone fisiche, ovviamente).

Sarà un mio limite, ma non ho mai capito perché non si può semplificare la fiscalità su questo punto, raggruppando nell'IRPEF tutte le forme di reddito individuale.

Questo, oltretutto, darebbe progressività alla tassazione dei redditi da capitale (che oggi è fortemente regressiva), applicherebbe una "no tax area" e consentirebbe di accedere a qualche detrazione.
 
poi mi fanno scaricare le spese per i computer e via dicendo?

Bè, questo dipende da chi legifera..
Già l'argomento in sé è considerato "eretico" da una parte della società e della politica.. tu vuoi saltare subito alle detrazioni... :D
 
Bè, questo dipende da chi legifera..
Già l'argomento in sé è considerato "eretico" da una parte della società e della politica.. tu vuoi saltare subito alle detrazioni... :D

e ma scusa, qui si parla sempre di mettercela in quel posto :angry:

bisogna far capire che non è che siamo tutti alla Maldive a far due click dalla spiaggia, che poi non ho capito perchè allora non fanno tutti trading se sono realmente convinti che prendiamo i soldi dagli alberi
 
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