Dogo, se mi parli di ricchezza, ti parlo di ricchezza. L'italia è un paese feudale che non innova ma come l'Ancient Regime, sta diventando anno dopo anno legato al passato e scivolando nel nulla.
In Italia non si ereditano solo aziende, quelle i figli incapaci le chiudono o le svendono, si è sempre fatto, ma soprattutto case e rendite.
Bisogna avere visione sistemica, non guardare solo al proprio portafoglio, altrimenti si finisce davvero in una rivoluzione.
Guarda che la differenza tra noi e gli USA non è solo materiale (anche se mi fa sorridere vederti scrivere di "moneta forte da 500 anni"), è soprattutto di mentalità. Qui il centro vitale è la Famiglia proprio perchè non abbiamo mai superato la fine del Feudalesimo. Mentre non solo in USA ma anche in Francia o in Svezia ci si rimbocca le maniche e ci si mette in gioco, da soli, va o la spacca (dubito che mr. Facebook o mr. Nokia abbiano contato su risorse naturali per sviluppare le loro aziende).
C'è un bellissimo articolo che ho discusso qualche giorno fa sul perchè in Italia è così improbabile la crescita di startup. Va proprio a fagiolo.
Ciao
Considerazioni sulla scarsità di startup in Italia
The Real Reason Italy Sucks at the Startup Game
Considerazioni sulla scarsità di startup in Italia
7 November 2011 A cura di Antonio Cangiano 26 Comments
13
In tempi di caos politico ed economico, l’Italia ha bisogno di molti cambiamenti per poter ripartire. Avrebbe bisogno di una nuova classe dirigente che avesse a cuore i veri problemi del Paese e della gente comune. Servirebbe una riforma del sistema educativo, delle tasse, del lavoro e una riduzione drastica della burocrazia ad ogni livello.
Nel celebre discorso inaugurale del 1961, John F. Kennedy chiese ai cittadini americani di domandarsi, non cosa potesse fare l’America per loro, ma cosa potevano fare loro per l’America. Nello stesso spirito mi domando come sia possibile modernizzare, snellire e riavviare il nostro Paese.
Non esistono soluzioni facili, ma c’è senza dubbio qualcosa che gli italiani possono fare: avviare startup. Negli ultimi 30 anni, le startup americane hanno creato 44 milioni di posti di lavori. La creazione di aziende è forse l’atto più nobile che i giovani italiani possono fare per migliorare il Paese, la propria condizione economica e creare lavoro.
So che non è facile in Italia. Il processo d’avvio di un’azienda è burocratico, ci sono mille leggi, le tasse sono esagerate e il sistema fiscale è molto inefficiente e iniquo. Inoltre non ci sono molti investimenti da parte di angel o venture capitalist, anche se, a dire il vero, stare ancora a casa con mamma e papà può essere visto come una forma di angel investment da parte della famiglia.
L’esistenza di ostacoli non è un buon motivo per non provarci del tutto. Quando non hai nulla da perdere, perché un lavoro comunque non ce l’hai, perché non provarci? È chiaro che senza fondi o disponibilità di credito da parte di banche e istituzioni finanziare, non puoi avviare una fabbrica, un negozio, o un prodotto fisico che richiede un capitale iniziale.
Ma grazie a internet è oggi possibile creare aziende che hanno costi mensili marginali. L’unico vero capitale richiesto è la conoscenza, liberamente acquisibile in rete e la capacità di rimboccarsi le maniche.
Con la disoccupazione rampante che esiste in Italia, particolarmente nel mezzogiorno, ci si aspetterebbe una miriade di startup tecnologiche in Italia che fanno bootstrapping. Gente che studia e lavora fino alle tre di notte per il proprio sogno. Ci si aspetterebbe una generazione di self-employed. E invece tutt’altro.
Il vero limite è la mentalità di molti giovani italiani.
C’è paura di rischiare. Anche se c’è ben poco da perdere. Anche se si ha 20-25 anni e non si ha una famiglia da mantenere. Moltissimi ragazzi con aspirazioni da imprenditori hanno lasciato temporaneamente il loro Paese per andare in Cile a formare una startup, con l’aiuto di $40,000 a fondo perduto. Gli americani, nonostante tutti i fondi disponibili localmente, ci si sono buttati a capofitto. Gli italiani, che ne avrebbero avuto bisogno come il pane, si contano invece sulle dita delle mani.
C’è paura di fallire. La società italiana non ha ancora accettato che il fallimento è un’opportunità per crescere e riprovarci. Se fallisci una volta, in Italia sei un fallito. In Nord America, si sa che statisticamente fallirai un po’ di volte prima di trovare la strada giusta. Nessuno ti affibbierà un’etichetta negativa per averci provato. Anzi, sarai sempre considerato con maggior rispetto degli spiriti timidi che non c’hanno mai provato. I veri esperti sono gente che ha fallito più di tutti e imparato lezioni importanti ad ogni nuovo errore o fallimento. E questo è dimostrato universalmente, non sono nel campo dell’imprenditoria.
C’è l’aspettativa che tutto sia dovuto. C’è ancora gente che essendosi laureata, si aspetta il posto fisso per 40 anni alle poste o al comune. Ho intervistato diversi candidati che si aspettavano li assumessi qui all’estero solo perché italiani come me e laureati recentemente. Molti di questi non avevano scritto una riga di codice al di là del minimo richiesto dagli esami universitari. Eppure erano delusissimi che io avessi tradito un connazionale, assumendo una persona di un altro Paese.
C’è fatalismo. In Italia, c’è la convinzione che il proprio futuro non dipenda dai propri sforzi, ma sia soprattutto influenzato da forze esterne inespugnabili. Quando non sei convinto che puoi prendere in mano le redini del tuo futuro, ti risulta poi molto difficile fare i salti mortali richiesti per avere successo. Perché lavorare come un mulo, se non hai la speranza nel cuore di cambiare la tua vita e vivere il sogno americano italiano? (Mi rifiuto di credere che il sogno italiano sia di diventare calciatori o vallette, o trovare il posto fisso di cui sopra.)
Il seguente grafico mostra il risultato di una ricerca da parte dell’Hoover Institution presso la Stanford University. Gli americani, svedesi e inglesi rispondono per lo più con un no, alla domanda: Il successo dipende da forze esterne al di fuori del nostro controllo? Gli italiani mostrano il loro fatalismo con più del 70% dei rispondenti che dicono di sì.
(Ringrazio per l’immagine e per aver notato questa ricerca, Fabrizio Capobianco.)
Capisco la concezione popolare del se Dio vuole e l’idea che si vada avanti a raccomandazioni, ma deve essere veramente triste vivere una vita in cui non si crede nella propria abilità di cambiare il proprio destino. Il cambiamento deriva dall’ambizione di migliorare la propria condizione.
C’è cinismo. In Italia, se qualcuno prova a farcela di suo, c’è l’abitudine di deriderlo, invidiarlo, o comunque mostrare sfiducia invece che supporto e solidarietà. Una generazione di cinici e sfiduciati non solo fa fatica a produrre qualcosa di valore di suo, ma ha tutto l’interesse a vedere altri fallire per non apparire incapace o pigra a confronto.
Gli italiani sono gente sveglia e, nel campo tecnico, generalmente brava. Forse l’Italia non avrà mai una Silicon Valley, ma ha un potenziale umano enorme che andrebbe sfruttato. Il cambiamento e l’innovazione nel nostro Paese partono dal basso, dall’atteggiamento e attitudine dei suoi giovani. Lottiamo contro queste tendenze negative e smettiamo di trovare scuse.
Basta solo provarci davvero. Non abbiamo molto da perdere.
In Italia non si ereditano solo aziende, quelle i figli incapaci le chiudono o le svendono, si è sempre fatto, ma soprattutto case e rendite.
Bisogna avere visione sistemica, non guardare solo al proprio portafoglio, altrimenti si finisce davvero in una rivoluzione.
Guarda che la differenza tra noi e gli USA non è solo materiale (anche se mi fa sorridere vederti scrivere di "moneta forte da 500 anni"), è soprattutto di mentalità. Qui il centro vitale è la Famiglia proprio perchè non abbiamo mai superato la fine del Feudalesimo. Mentre non solo in USA ma anche in Francia o in Svezia ci si rimbocca le maniche e ci si mette in gioco, da soli, va o la spacca (dubito che mr. Facebook o mr. Nokia abbiano contato su risorse naturali per sviluppare le loro aziende).
C'è un bellissimo articolo che ho discusso qualche giorno fa sul perchè in Italia è così improbabile la crescita di startup. Va proprio a fagiolo.
Ciao
Considerazioni sulla scarsità di startup in Italia
The Real Reason Italy Sucks at the Startup Game
Considerazioni sulla scarsità di startup in Italia
7 November 2011 A cura di Antonio Cangiano 26 Comments
13
In tempi di caos politico ed economico, l’Italia ha bisogno di molti cambiamenti per poter ripartire. Avrebbe bisogno di una nuova classe dirigente che avesse a cuore i veri problemi del Paese e della gente comune. Servirebbe una riforma del sistema educativo, delle tasse, del lavoro e una riduzione drastica della burocrazia ad ogni livello.
Nel celebre discorso inaugurale del 1961, John F. Kennedy chiese ai cittadini americani di domandarsi, non cosa potesse fare l’America per loro, ma cosa potevano fare loro per l’America. Nello stesso spirito mi domando come sia possibile modernizzare, snellire e riavviare il nostro Paese.
Non esistono soluzioni facili, ma c’è senza dubbio qualcosa che gli italiani possono fare: avviare startup. Negli ultimi 30 anni, le startup americane hanno creato 44 milioni di posti di lavori. La creazione di aziende è forse l’atto più nobile che i giovani italiani possono fare per migliorare il Paese, la propria condizione economica e creare lavoro.
So che non è facile in Italia. Il processo d’avvio di un’azienda è burocratico, ci sono mille leggi, le tasse sono esagerate e il sistema fiscale è molto inefficiente e iniquo. Inoltre non ci sono molti investimenti da parte di angel o venture capitalist, anche se, a dire il vero, stare ancora a casa con mamma e papà può essere visto come una forma di angel investment da parte della famiglia.
L’esistenza di ostacoli non è un buon motivo per non provarci del tutto. Quando non hai nulla da perdere, perché un lavoro comunque non ce l’hai, perché non provarci? È chiaro che senza fondi o disponibilità di credito da parte di banche e istituzioni finanziare, non puoi avviare una fabbrica, un negozio, o un prodotto fisico che richiede un capitale iniziale.
Ma grazie a internet è oggi possibile creare aziende che hanno costi mensili marginali. L’unico vero capitale richiesto è la conoscenza, liberamente acquisibile in rete e la capacità di rimboccarsi le maniche.
Con la disoccupazione rampante che esiste in Italia, particolarmente nel mezzogiorno, ci si aspetterebbe una miriade di startup tecnologiche in Italia che fanno bootstrapping. Gente che studia e lavora fino alle tre di notte per il proprio sogno. Ci si aspetterebbe una generazione di self-employed. E invece tutt’altro.
Il vero limite è la mentalità di molti giovani italiani.
C’è paura di rischiare. Anche se c’è ben poco da perdere. Anche se si ha 20-25 anni e non si ha una famiglia da mantenere. Moltissimi ragazzi con aspirazioni da imprenditori hanno lasciato temporaneamente il loro Paese per andare in Cile a formare una startup, con l’aiuto di $40,000 a fondo perduto. Gli americani, nonostante tutti i fondi disponibili localmente, ci si sono buttati a capofitto. Gli italiani, che ne avrebbero avuto bisogno come il pane, si contano invece sulle dita delle mani.
C’è paura di fallire. La società italiana non ha ancora accettato che il fallimento è un’opportunità per crescere e riprovarci. Se fallisci una volta, in Italia sei un fallito. In Nord America, si sa che statisticamente fallirai un po’ di volte prima di trovare la strada giusta. Nessuno ti affibbierà un’etichetta negativa per averci provato. Anzi, sarai sempre considerato con maggior rispetto degli spiriti timidi che non c’hanno mai provato. I veri esperti sono gente che ha fallito più di tutti e imparato lezioni importanti ad ogni nuovo errore o fallimento. E questo è dimostrato universalmente, non sono nel campo dell’imprenditoria.
C’è l’aspettativa che tutto sia dovuto. C’è ancora gente che essendosi laureata, si aspetta il posto fisso per 40 anni alle poste o al comune. Ho intervistato diversi candidati che si aspettavano li assumessi qui all’estero solo perché italiani come me e laureati recentemente. Molti di questi non avevano scritto una riga di codice al di là del minimo richiesto dagli esami universitari. Eppure erano delusissimi che io avessi tradito un connazionale, assumendo una persona di un altro Paese.
C’è fatalismo. In Italia, c’è la convinzione che il proprio futuro non dipenda dai propri sforzi, ma sia soprattutto influenzato da forze esterne inespugnabili. Quando non sei convinto che puoi prendere in mano le redini del tuo futuro, ti risulta poi molto difficile fare i salti mortali richiesti per avere successo. Perché lavorare come un mulo, se non hai la speranza nel cuore di cambiare la tua vita e vivere il sogno americano italiano? (Mi rifiuto di credere che il sogno italiano sia di diventare calciatori o vallette, o trovare il posto fisso di cui sopra.)
Il seguente grafico mostra il risultato di una ricerca da parte dell’Hoover Institution presso la Stanford University. Gli americani, svedesi e inglesi rispondono per lo più con un no, alla domanda: Il successo dipende da forze esterne al di fuori del nostro controllo? Gli italiani mostrano il loro fatalismo con più del 70% dei rispondenti che dicono di sì.
(Ringrazio per l’immagine e per aver notato questa ricerca, Fabrizio Capobianco.)
Capisco la concezione popolare del se Dio vuole e l’idea che si vada avanti a raccomandazioni, ma deve essere veramente triste vivere una vita in cui non si crede nella propria abilità di cambiare il proprio destino. Il cambiamento deriva dall’ambizione di migliorare la propria condizione.
C’è cinismo. In Italia, se qualcuno prova a farcela di suo, c’è l’abitudine di deriderlo, invidiarlo, o comunque mostrare sfiducia invece che supporto e solidarietà. Una generazione di cinici e sfiduciati non solo fa fatica a produrre qualcosa di valore di suo, ma ha tutto l’interesse a vedere altri fallire per non apparire incapace o pigra a confronto.
Gli italiani sono gente sveglia e, nel campo tecnico, generalmente brava. Forse l’Italia non avrà mai una Silicon Valley, ma ha un potenziale umano enorme che andrebbe sfruttato. Il cambiamento e l’innovazione nel nostro Paese partono dal basso, dall’atteggiamento e attitudine dei suoi giovani. Lottiamo contro queste tendenze negative e smettiamo di trovare scuse.
Basta solo provarci davvero. Non abbiamo molto da perdere.