Una realtà che sfugge ai nostri sensi, ma che esiste.

Credo che postare solo i link, faccia morire ogni tipo di discussione. Scusate se mi sono permessa.
 
Fenomeni non ripetibili

La meccanica quantistica ha sconvolto fin dalle radici i dettami classici della fisica e le conseguenze di questa nuova teoria sono ancora ben lungi dall'essersi rivelate in pieno.
Metto ora in luce quello che sono considerati i cardini della scienza: i concetti di ripetibilità e di oggettività.
Per la prima volta nella storia del pensiero scientifico si parla di probabilità di trovare a una particella sub-atomica, l'elettrone, in un determinato punto dello spazio e che il fenomeno è influenzato da come viene fatta questa osservazione.

- un evento solo probabile non esclude che se io osservo a lungo il verificarsi di un determinato fenomeno, possa avvenire anche l'accadimento meno probabile, minando appunto la sua ripetibilità

- la maniera con la quale osservo condiziona il fenomeno stesso che da oggettivo diventa soggettivo.

C'è né abbastanza per sconvolgere tutto e mettere in profonda crisi il mondo della scienza.
Eppure ci sono tecnologie molto diffuse come i laser e i semiconduttori che hanno la loro spiegazione teorica proprio nella teoria dei quanti.

Alla luce di quanto detto sopra ci sono dei fatti così detti "strani" di cui spesso siamo stati protagonisti noi o nostri conoscenti e la scienza "oggettiva" si rifiuta di accettare perché non ripetibili, lasciandoli purtroppo in mano ai ciarlatani che se ne approfittano per gabbare la gente.

FR
 
Scritto da dozrb
Appunto…il Tempo…la massima e magica illusione…

Slurp…


Il presido(z)

Luigi Tenco:Lontano,lontano..........Twist anni 60...od attualissima salsa???....
 
Scritto da dozrb
Appunto…il Tempo…la massima e magica illusione…

Slurp…


Il presido(z)

PS: Complimenti FR stupendo thread!


Ciao dozrb:),

ti propongo questo articolo, è lungo ma proprio per questo esauriente. Dorato è uno dei massimi studiosi sul concetto di tempo, a livello internazionale.

stele




Natura statica o dinamica?
di Mauro Dorato, professore associato di Filosofia della Scienza all'Università Roma 3

Nell'interrogarsi sulla natura del tempo, è di fondamentale importanza rendere esplicito l'approccio metodologico che si intende seguire. Poiché del tempo, come dell'essere di aristotelica memoria, si può parlare in molti modi, i risultati della nostra indagine verranno a dipendere in modo essenziale dall'approccio filosofico che si intende adottare. Per un filosofo analitico, interrogarsi sulla natura del tempo significa essenzialmente interrogarsi sulla natura del linguaggio temporale. Se si ritiene invece che il mistero del tempo non sia nascosto solo nelle strutture linguistiche che utilizziamo per parlare di esso, un'altra opzione è quella di privilegiare il metodo fenomenologico di derivazione husserliana, o l'analitica dell'esistenza di Heidegger, o le filosofie contemporanee che si richiamano in vario modo a questi due maestri. Ancora differente è la rotta di coloro che con titanica energia optano per una ricognizione nello sconfinato e variegato regno dell'empiria, con il prevedibile risultato di partire con una nozione di tempo apparentemente unitaria, e approdare alla fine del viaggio con una frammentazione in tanti "tempi" quante sono le scienze naturali e sociali, dal tempo della fisica a quello della biologia, dal tempo della psicologia a quello della storia e della sociologia, fino ad arrivare al tempo della finzione letteraria.



Di quale tempo dobbiamo allora indagare la natura? Dobbiamo forse concludere che l'interrogarsi sulla natura del tempo sia un problema mal posto, per il semplice fatto che non esiste alcun concetto di tempo le cui caratteristiche essenziali si ritrovino immutate in ognuna di queste prospettive filosofiche? Nell'intrico di strade che si è doverosamente segnalato, è per fortuna possibile rintracciarne una metodologicamente assai significativa, che illumina e percorre tutte le altre, e che è stata proposta in ambito analitico. Pur postulando l'unità fondamentale del concetto di tempo, tale strada ci conduce a riflettere sulle conseguenze metafisiche generate da due diverse modalità di discriminazione degli eventi nel tempo: il modo statico del prima e poi - che specifica rapporti tra eventi che sono immutabili in quanto indipendenti dalla posizione temporale del parlante - e il modo dinamico, che invoca invece la distinzione tra passato, presente e futuro, e che serve a specificare proprio tale mutevole posizione nei confronti degli eventi a cui ci riferiamo. La differenza tra tali due modi di discriminare gli eventi nel tempo è presto chiarita. Un evento M che avverrà domani e al quale ci riferiamo oggi, sarà futuro solo per un giorno, dato che domani sarà presente, e dopodomani passato. La dinamicità delle distinzioni temporali in questione consiste allora nel fatto che non possiamo ripetere domani, salva veritate, che quel particolare evento M è futuro. Al contrario, se è vero affermare che "l'evento M è prima di N", questo enunciato sarà sempre vero nel futuro, è vero nell'istante presente, ed è sempre stato vero nel passato. Di qui la staticità delle discriminazioni temporali che fanno riferimento alla simultaneità, alla precedenza e alla successione temporale.



Tre questioni sulla natura del tempo


Tale distinzione ci aiuta a circoscrivere in modo chiaro alcune tradizionali questioni legate all'enigma della natura del tempo. In primis, c'è il problema della realtà del tempo, strettamente legato a quello della sua natura: che cos'è dunque il tempo, si chiedeva già Agostino nella Confessioni? La sua risposta era, più o meno, "se non me lo chiedi, lo so; se me lo chiedi, non lo so più". Un modo per superare l'empasse segnalata da Agostino consiste nel cercare di stabilire se il tempo sia parte dell'universo naturale, oppure sia uno schema necessariamente presupposto dalla mente umana allo scopo di organizzare l'esperienza. Da questo punto di vista, la questione filosofica centrale intorno al tempo è appunto quella di appurare se esso sia una proprietà del mondo fisico del tutto indipendente dall'esistenza di esseri coscienti, o se invece sia solo un qualcosa di puramente psicologico e "interno", che noi proiettiamo sul mondo "esterno".



Il problema se la natura del tempo sia (anche) fisica o solo mentale riguarda da vicino anche due grandi questioni della filosofia del tempo, ovvero la questione del divenire temporale, che coinvolge la natura della differenza tra passato e futuro, e la questione dell'irreversibilità del tempo, che coinvolge la natura della differenza tra prima e poi. Coloro che difendono l'oggettività del divenire o dello scorrere del tempo sostengono che gli eventi futuri siano irreali e che divengano reali solo nel presente per poi recedere sempre più nel passato. Anche in quest'ambito di problemi, la difficoltà concettuale maggiore è quella di stabilire se un evento possa essere presente, passato e futuro in modo indipendente dalla mente, oppure se, al contrario, la distinzione tra passato e futuro non abbia radici ontologiche, e dipenda solo dall'esistenza di esseri coscienti dotati di memoria.



Il problema dell'irreversibilità o asimmetria del tempo riguarda invece l'oggettività o indipendenza dalla mente della differenza tra 'prima' e 'poi'. Alcuni tipi di eventi sono in genere sempre seguiti e mai preceduti da altri, nel senso che il loro l'ordine non può mai essere rovesciato. Mentre una goccia di latte nel caffé tende sempre a mischiarsi con esso, noi non osserviamo mai il latte separarsi spontaneamente dal caffé in una miscela preventivamente costituita, malgrado le leggi di natura che regolano le interazioni molecolari dei due liquidi siano compatibili con entrambi i processi. Poiché nel problema dell'irreversibilità del tempo la difficoltà principale consiste nello spiegare l'origine di questa asimmetria osservata su un sfondo costituito da leggi di natura temporalmente simmetriche, alcuni fisici e filosofi hanno avanzato l'ipotesi che anche in questo caso la spiegazione abbia a che fare con la mente umana.




Il tempo come sostanza o come relazione


Poiché in tutte e tre le questioni che abbiamo introdotto il problema cruciale è quello di stabilire se il tempo abbia una natura solo mentale o anche fisica, non si può non osservare che tale problema è solo un caso particolare di quella bipartizione del mondo tra qualità primarie e qualità secondarie con cui iniziò la scienza moderna. Dal punto di vista di coloro che ad esso negano una qualunque realtà extramentale, il tempo sarebbe allora perfettamente analogo ai colori. Fisicamente o oggettivamente, i colori sono radiazioni elettromagnetiche caratterizzate da una certa lunghezza d'onda. Soggettivamente invece, il loro status ontologico è stato spesso spiegato, da Galileo in poi, attraverso la nozione di qualità secondaria. Come noto, tali qualità hanno delle "basi" fisiche negli oggetti - nel nostro esempio, nella disposizione delle superfici dei corpi a riflettere radiazioni di lunghezza d'onda data - ma sono però, in senso rilevante, costituite dalla mente, essendo frutto dell'incontro o dell'interazione tra le qualità primarie degli oggetti, che appartengono a questi ultimi indipendentemente da noi, e la mente stessa. Così come gli oggetti fisicamente intesi non risultano né colorati né dolci né profumati, sulla scorta di questa posizione filosofica anche il tempo potrebbe essere - al pari dei colori, dei sapori, degli odori e dei suoni- una specie di qualità secondaria, prodotta dalla mente grazie all'incontro con una qualche proprietà atemporale o non temporale del mondo fisico.



In filosofia come in ogni disciplina empirica, un buon test per la sensatezza di un problema è che quest'ultimo, se ben posto, deve contenere qualche indicazione sia sulla strada da percorrere per risolverlo, sia sulle caratteristiche di una sua possibile soluzione. Nel nostro caso però, nell'ipotesi in cui il tempo fosse reale, non è ancora chiaro cosa significherebbe attribuirgli una realtà extramentale. Né, nel caso in cui il tempo fosse irreale, si possiede una minima idea su quale potrebbe essere la proprietà atemporale del mondo che costituisce la base fisica della nostra temporalizzazione dell'esperienza, nello stesso senso in cui le radiazioni elettromagnetiche di una certa lunghezza d'onda sono la base fisica del nostro interpretare il mondo come colorato.



In altre parole, supponendo che si riesca ad appurare che il tempo esiste indipendentemente da noi esseri senzienti, ci troveremmo di fronte al problema di come esso esiste, ovvero se esiste al modo di una sostanza, di una proprietà, di una quantità, o di una relazione. Tali dibattiti non solo caratterizzarono la nascita della scienza e della filosofia moderne, ma ebbero anche il merito di porre per la prima volta in maniera chiara la questione della natura del tempo all'interno del discorso scientifico. Qui basterà ricordare che se Newton e il suo seguace Clarke difendevano l'idea che spazio e tempo esistevano indipendentemente dagli oggetti e gli eventi in esso collocati, Leibniz li considerava invece alla stregua di pure relazioni, di coesistenza e di successione rispettivamente.



Seguire la complicata discussione sul sostanzialismo o relazionismo fino ai nostri giorni implicherebbe un excursus in teorie fisiche assai complesse, come quella della relatività generale e della gravità quantistica. Per fortuna, allo scopo di chiarire l'enigma della natura del tempo, è possibile aggirare queste difficoltà, attenendosi all'idea guida che dalla natura delle proprietà del tempo si possa concludere qualcosa sulla natura del tempo stesso. Se pur infatti potessimo risolvere il tradizionale dibattito sostanzialismo-relazionismo concludendo per la natura relazionale del tempo, con ciò non avremmo ancora chiarito se il tempo inteso come 'relazione' sopravvenga solo su proprietà intrinseche di eventi fisici, o coinvolga invece inevitabilmente una ingrediente psicologico o mentale. In una parola, se non sapessimo qualcosa in più dei relata delle relazioni temporali 'prima di' o 'è futuro al tempo t'- relazioni da cui il tempo è costituito - il nostro problema sulla natura del tempo non sarebbe ancora risolto.



È proprio il tentativo di chiarire la natura del tempo attraverso le sue proprietà che rende preziosa la distinzione tra tempo statico e tempo dinamico sopra accennata. Per comprendere le proprietà del tempo, è importante stabilire se esso possa genuinamente scorrere o passare, come il senso comune e il linguaggio tendono a farci credere, oppure abbia una natura statica, costituita essenzialmente dalle relazioni prima e poi. Contrariamente a quanto affermano McTaggart (1908) e Gödel (1949) se si potesse stabilire che due eventi sono legati dalla relazione temporale prima di in modo indipendente da qualunque osservatore cosciente, avremmo con ciò stabilito la realtà del tempo, anche se il divenire avesse solo a che fare con il nostro modo di esperire il mondo. Poiché è logicamente possibile affermare che il divenire sia dipendente dalla mente e sostenere al tempo stesso la realtà delle relazioni statiche, se nel mondo fisico gli eventi e i processi si succedono oggettivamente in un ordine temporale che è indipendente dall'esistenza di osservatori coscienti, non si vede quale argomento potrebbe costringerci a negare la realtà del tempo.



Si può allora stipulare che difendere l'irrealtà del tempo ci impegni ad affermare che sia la distinzione tra prima e dopo che quella tra passato e futuro sono dipendenti dalla mente. Il tempo tout court dovrebbe essere inteso come irreale solo se risultassero soggettivi entrambi i suoi aspetti, ovvero sia quello dinamico che quello statico. La credenza che uno solo di tale due aspetti del tempo sia indipendente dalla mente deve essere invece considerata sufficiente a conferire realtà al tempo tout court.(1)
Questo modo di porre la prima questione sulla natura del tempo sembra fare di esso piuttosto una proprietà o una relazione esemplificabile dal mondo fisico che una sostanza. Si noti però che ipotizzando che una modalità di esistenza di tipo relazionale basti alla realtà del tempo, non si sta con ciò riducendo le determinazioni temporali dinamiche a relazioni statiche tra eventi e istanti temporali. In altre parole, non si sta affermando che "E è futuro all'istante t" sia equivalente in significato a "E è dopo t". Per il teorico dinamico del tempo, la prima asserzione comporta un impegno ontologico (riguardo all'irrealtà di E a t) che la seconda non contempla affatto, mentre è importante tener presente che per il teorico statico del tempo - che ritiene che il futuro sia reale proprio come il passato - le due asserzioni hanno lo stessa portata ontologica.



A questo punto, rimane da chiederci se la strada più breve per cercare di chiarire il problema della natura del tempo sia quella di partire dalla realtà della distinzione tra passato e futuro o da quella tra prima e poi. Intanto c'è da considerare che sulla questione della realtà del divenire, è assai plausibile ritenere che il responso delle teorie fisiche sia negativo. Indipendentemente da considerazioni relativistiche, la fisica infatti non ha bisogno di presupporre l'esistenza di un istante privilegiato, il presente, che separi dinamicamente ciò che è definito (il passato) da ciò che è ancora irreale (il futuro). Ci troveremmo allora comunque costretti a dover passare all'analisi della realtà dell'irreversibilità del tempo (la freccia del tempo). Inoltre, mentre il problema della dipendenza dalla mente delle determinazioni dinamiche, e dunque della realtà del futuro, è stato già discusso (Dorato 1997), la questione della realtà delle relazioni statiche è rimasta tuttora poco esplorata. Infine, il problema del divenire chiamerebbe in causa teorie fisiche quali quella della relatività che non possiamo certo introdurre in questa sede.



Affronteremo perciò il problema della realtà del tempo considerando esclusivamente l'oggettività della relazione 'prima di', tenendo presente anzitutto le motivazioni che storicamente possono aver condotto a negarla, e che hanno a che fare soprattutto con il fatto che il tempo, come affermava Kant, è la forma del senso interno. In base a quanto detto sopra, l'indipendenza dalla mente della irreversibilità del tempo sarebbe in ogni caso sufficiente a conferire realtà a quest'ultimo.



Il tempo come forma del senso interno


Malgrado nel linguaggio ordinario si dica a volte che avvertiamo in modo più o meno rapido il passaggio del tempo, il tempo in sé, assai più dello spazio, appare al senso comune come una non-cosa o un non-ente. Noi infatti non osserviamo direttamente il tempo o le sue proprietà come osserviamo un albero o un tavolo: il tempo non può essere toccato, e ovviamente non emette né suoni né odori. Apparendo privo di proprietà percepibili, al senso comune esso appare anche privo di poteri causali: visto che il tempo 'non fa nulla', perché non considerarlo anch'esso come un nulla, al pari dello spazio vuoto degli atomisti antichi?



In effetti, in un eventuale libro sulla storia del concetto di tempo nel pensiero occidentale- un libro che ancora non è stato scritto e che forse, data la complessità dell'argomento, non si scriverà mai (2) - si dovrebbe certamente mettere in risalto una perdurante tendenza a confinare il tempo alla mente umana e a considerarlo dunque, in base alla nostra stipulazione, come irreale. Da Parmenide a Platone, da Plotino ad Agostino, da Cartesio a Spinoza, arrivando fino agli idealisti tedeschi e al logico del Novecento Kurt Gödel, la vera realtà (la Realtà) è stata vista come atemporale o sottratta al cangiamento, una tesi che almeno in parte può essere spiegata dal desiderio profondamente umano di negare il mutamento, la decadenza e la morte.



Il tempo, insieme allo spazio, costituisce uno dei principali, se non il principale, criterio di realtà di un oggetto o di un evento concreto. La differenza tra un entità fittizia, come Babbo Natale o le guerre stellari di un romanzo di fantascienza e la mia scrivania o la seconda guerra mondiale, è che le prime, a differenza delle seconde, non sono né nello spazio né nel tempo. Lasciando da parte il problema della esistenza dei numeri - che potrebbe coinvolgere entità reali ma non spazio-temporalmente estese, e dunque astratte - si può anzi affermare che un oggetto o un evento concreto X è reale se e solo se occupa una porzione di spazio e di tempo. Tenendo presenti questi presupposti, sorge spontaneo un interrogativo, che nella letteratura sterminata sul tempo è stranamente passato sotto silenzio: come può un non-evento o una non-cosa come il tempo costituire il più importante criterio di realtà di eventi e cose senza essere reale esso stesso?



Un'importante risposta (antirealistica) a questa paradossale domanda venne data da Immanuel Kant, il quale, nella Critica della Ragion Pura, ipotizzò che spazio e tempo fossero forme intuitive a priori, da noi necessariamente presupposte per organizzare concettualmente le sensazioni del mondo esterno e interno. Anche nell'ottica criticista kantiana però, il tempo applicato al mondo (alle cose) in sé non è nulla, ed esso può essere considerato reale solo se riferito ai fenomeni, cioè alle cose come appaiono ad esseri senzienti quali noi siamo, dotati di categorie pure a priori. È la famosa formula kantiana per cui il tempo è empiricamente reale ma trascendentalmente ideale.



Curiosamente, rispetto alla res extensa, nella res cogitans la gerarchia tra spazio e tempo è completamente rovesciata. Sia per Cartesio che per Kant, il tempo nel mondo fisico in sé non esiste. Se per Cartesio l'estensione è l'unica proprietà essenziale di un corpo materiale, e per Kant il concetto della prima è analiticamente contenuto in quello del secondo, all'interno della mente lo spazio è invece quasi completamente assente, ed è il tempo a giocare un ruolo essenziale. L'ordinamento degli eventi della mente - la quale nella filosofia di Cartesio è rappresentabile come un punto inesteso - è, come, aveva compreso Kant, di natura temporale. Ogni nostra esperienza interna o mentale è nel tempo ma non, almeno intuitivamente, nello spazio: mentre gli eventi mentali intuitivamente non occupano spazio e - con la dovuta eccezione delle immagini mentali - non hanno proprietà spaziali di sorta, essi sono certamente nel tempo. Non ha senso dire che il mio intenso mal di testa in questo momento è sopra o a sinistra dell'immagine mentale di una mela, ma l'uno deve essere dopo l'altro o simultaneo con l'altro.



È questa la ragione principale della tesi kantiana per cui il tempo, organizzando sia gli eventi esterni (che devono essere comunque mediati dalla soggettività) che quelli interni, possiede una specie di primato rispetto allo spazio, in quanto "è la condizione formale a priori di tutti i fenomeni in generale". Esso è la forma del senso interno perché riguarda "l'intuizione di noi stessi e del nostro stato interno", ed è dunque strettamente legato alla nostra identità. La sintesi tra due diverse esperienze temporalmente distanti ma unificate in un'unica rappresentazione è infatti alla base della costruzione del sé di cui parlano i filosofi dell'identità personale (Nozick 1981). È stato per esempio osservato che mentre possiamo spostarci da un luogo o da una casa all'altra senza mutare identità, il cambiamento di tempo sembra più legato alla nostra personalità: noi non siamo certo uguali da fanciulli a da adulti (Agazzi 1995, p.22). È forse per questo che il poeta afferma "El tiempo es la sustancia de que estoy hecho. El tiempo es un río que me arrebata, pero yo soy el río; es un tigre que me destroza, pero yo soy el tigre; es un fuego que me consume, pero yo soy el fuego". (Borges 1984, p.1089). (3)



In sintesi, da una parte l'influenza della tesi kantiana - che sottolinea la stretta connessione tra tempo, vita mentale e identità del sé - e dall'altra la possibilità di descrivere il mondo fisico facendo a meno della nozione dinamica di 'essere presente', sono sicuramente tra le ragioni più importanti che hanno spinto molti filosofi a negare la realtà del tempo tout court. Per approfondire la valutazione del fenomenismo di Kant, che costituisce un argomento importante contro la realtà (trascendentale) del tempo, è necessario cercare di comprendere quale possa essere il fondamento oggettivo dei giudizi che implicano le relazioni temporali statiche 'prima di' e 'dopo di' nell'ambito della vexata questio sulla irreversibilità (o direzione) del tempo. (continua sotto)
 
La successione temporale psicologica e quella fisica


Si noti anzitutto che quando percepiamo due eventi come temporalmente successivi, noi attribuiamo l'ordine temporale delle percezioni all'ordine degli eventi fisici percepiti. Come ha notato Hugh Mellor (1981), in genere questo non accade con le proprietà delle altre nostre percezioni nel loro rapporto con le proprietà degli oggetti percepiti. La percezione di un oggetto quadrato non è quadrata, né la percezione di un oggetto giallo è gialla, ma l'ordine temporale percepito è, nella stragrande maggioranza dei casi, l'ordine temporale degli eventi percepiti.



La qualificazione "stragrande maggioranza dei casi" serve a parare possibili obiezioni alla tesi, che qui si sostiene, in base alla quale gli eventi fisici e quelli mentali condividono lo stesso ordine temporale. Eccezioni a tale tesi, discusse in un recente articolo di Vicario (1997), non sembrano intaccare l'ovvia constatazione che se ci fosse una frequente discrepanza tra l'ordine temporale degli eventi fisici e quello degli eventi mentali, la nostra sopravvivenza biologica sarebbe impossibile: se una tigre si avvicina a noi piuttosto che allontanarsi, e noi non potessimo percepire tale processo fisico nell'ordine in cui avviene, è facile immaginarsi quale sarebbe stata la sorte della nostra specie.



In definitiva, le tesi di coloro che, come Vicario, sottolineano le diversità del tempo psicologico rispetto a quello fisico, sembrano avanzate più per giustificare l'autonomia del primo dal secondo, che per profonde esigenze concettuali. Separando le proprietà statiche da quelle dinamiche del tempo, è legittimo sostenere sia (1) che solo gli eventi mentali (e non quelli fisici) esemplificano le proprietà dinamiche dell'essere passato, presente e futuro, sia (2) che gli eventi fisici e quelli mentali condividono il loro ordine temporale perché sono, e non possono che essere, causalmente connessi. Infatti, il suono di un campanello che precede l'abbaiare di un cane, è, nella stragrande maggioranza dei casi, dato da, condiviso da, o addirittura identico a, l'ordine temporale delle percezioni di questi due eventi. Tali percezioni, a differenza degli eventi fisici che le hanno prodotte, sono eventi o esperienze mentali a tutti gli effetti, e forniscono in effetti solo la condizione epistemica (o conoscitiva) necessaria per attribuire un ordine temporale agli eventi fisici percepiti. Esse sono però caratterizzate dall'esemplificare la stessa relazione statica (prima di, simultaneamente a, o dopo di) che viene esemplificata dagli eventi fisici.



La priorità epistemologica della relazione temporale percepita 'prima di' è data dal fatto che se io non percepisco a prima di b, e in più non ricordo di aver visto o udito a quando vedo od odo b, non posso giudicare i due eventi fisici in questione come successivi (Mellor 1981, cap.9). Qui non si tratta solo di mettere in luce il ruolo della memoria a breve termine, e probabilmente della causalità (operante nel concetto di traccia mnestica), nel determinare la nostra percezione dell'ordine temporale dei fenomeni. Più importante ancora ai nostri scopi è sottolineare il motivo fondamentale per il quale si è spesso ritenuto che il tempo (inteso come ordine o successione) fosse un qualcosa di puramente soggettivo, o irreale nel senso visto. Storicamente, è spesso avvenuto che la condizione epistemicamente necessaria per poter attribuire un ordine agli eventi fisici sia stata confusa con il fatto che quegli eventi avessero un ordine temporale oggettivo e indipendente dalla mente. È quindi della massima importanza tener presente che la condizione epistemica per poter attribuire un ordine temporale agli eventi (il poter percepire gli eventi uno prima dell'altro e aver traccia del primo quando percepiamo il secondo) e il problema se i fenomeni fisici percepiti abbiano o meno un ordine temporale oggettivo sono da tenersi rigorosamente distinti.



Ciò che, come direbbe Kant, "rende possibile" l'attribuzione di un ordine temporale agli eventi fisici, è sicuramente il fatto che qualcuno li percepisca (lo si chiami F1). Ma la questione se gli eventi abbiano o meno quell'ordine in modo oggettivo (indipendente dalla mente) è un fatto ulteriore (F2) il cui darsi o meno è indipendente dall'esistenza di esseri senzienti. Tale fatto - che consiste in pratica nello stabilire se c'è qualcosa nel mondo fisico in sé che fondi la nostra percezione dell'ordine temporale, ovvero che la spieghi costituendo una base di sopravvenienza o di riduzione - non può essere stabilito con l'indagine trascendentale, ma deve essere accertato con l'indagine empirica, in particolare con la fisica, con la neurofisiologia e le scienze cognitive in generale.



Non è implausibile supporre che questa distinzione tra condizioni epistemiche (F1) e fatti oggettivi (F2), che è davvero cruciale per il problema della realtà del tempo, possa essere stato frainteso persino da Kant e dai suoi seguaci contemporanei. Se, tanto per fare un esempio, ogniqualvolta noi percepiamo che un evento fisico a è prima di un altro evento fisico b in un sistema isolato, si ha che l'entropia associata ad a è minore dell'entropia associata a b, allora si potrebbe senz'altro concludere che l'ordine temporale dei due eventi è oggettivo (indipendente dalla mente). A meno che, ovviamente, non si voglia sostenere che la crescita dell'entropia da a a b sia a sua volta un fenomeno solo dovuto alla presenza di essere senzienti che percepiscano quegli eventi. Ma questo, come è evidente, è un problema del tutto diverso da quello precedente, e che ha a che fare con la possibilità e la plausibilità (i) di dare in generale un fondamento oggettivo alla crescita o alla diminuzione dell'entropia nel tempo (Denbigh and Denbigh 1985, Savitt 1995, Sklar 1995); (ii) di dare un fondamento oggettivo ad altri fenomeni fisici de facto se non nomologicamente irreversibili, nel caso in cui l'entropia non possa essere la base riduttiva o di sopravvenienza della relazione percepita e soggettiva 'prima di'; (iii) di ridurre la relazione percepita 'prima di' a qualche processo fisico de facto o nomologicamente irreversibile.



Il problema che rimane da indagare per stabilire se l'ordine temporale di due eventi fisici sia oggettivo, e dunque il tempo sia reale nel senso detto, viene dunque "ridotto" alle tre questioni di cui sopra. Ma dovrebbe essere evidente che tali questioni, che nella filosofia della fisica contemporanea sono ancora assai aperte e dibattute, ci impongono di riesaminare la soluzione che al problema diede Kant. Per far progressi su una questione ontologica come quella della realtà del tempo, diviene allora necessario studiare seriamente il complesso di questioni che hanno a che fare con la freccia del tempo, ovvero con il problema di spiegare l'ordine di dipendenza dei vari fenomeni irreversibili che marcano il nostro senso di direzionalità del tempo.



Tra le varie frecce del tempo, o fenomeni fisici il cui ordine sembra irreversibile, ne indichiamo quattro: (1) il fatto che l'entropia cresce nella vasta maggioranza dei sistemi chiusi, (2) che le onde elettromagnetiche in generale divergono da un punto di emissione iniziale, ma non convergono armoniosamente verso tale centro, (3) che l'universo è finora in espansione e (4) che alcune particelle presenti nelle interazioni deboli, dette kaoni, decadono in modo da violare la simmetria temporale.



Conclusione


La connessione di tali fenomeni con la freccia psicologica del tempo non è ancora nota, ma non è implausibile sostenere che ogniqualvolta noi percepiamo un evento come successivo a un altro, una delle quattro frecce fisiche si manifesti tra gli eventi fisici percepiti. Ciò malgrado, il fatto che non sia ancora disponibile una teoria che spieghi e metta in relazione tutti questi fenomeni, non depone a sfavore di una concezione realistica del tempo nel senso detto. Come si è accennato sopra, è certamente vero che l'irreversibilità fisica in questione in (1)-(3) è solo de facto, e non nomologica. Questo in pratica significa che l'irreversibilità dipende da condizioni iniziali accidentali e non da leggi temporalmente asimmetriche, il che comporta che l'inversione temporale di un tipo di processo normalmente osservato, simbolizzato con c --b --a, per quanto estremamente improbabile, è consentita dalle leggi di natura, tanto quanto è consentito il processo normalmente osservato a --b --c. Per esempio, la diminuzione dell'entropia o la convergenza delle onde nella direzione del tempo che va dal passato-futuro è improbabile, ma non è assolutamente proibita dalle leggi di natura.



Si tenga però presente che se, oltre al divenire temporale, anche la successione temporale fosse soggettiva, il mutamento, comunque definito, risulterebbe anch'esso dipendente dalla mente. Affinché il mutamento sia reale, il tempo deve esserlo, dato che l'oggettività del primo presuppone quella del secondo. Se il mondo in sé non mutasse, e il mutamento fosse un fenomeno puramente mentale, dovremmo almeno ammettere che c'è un mutamento in ciò che appare, che non avrebbe alcuna possibile spiegazioni in termini fisici. Solo un radicale e implausibile dualismo tra mente e mondo fisico giustificherebbe una tale ipotesi.



La presenza di tali fenomeni fisici macroscopici irreversibili è quindi sufficiente a conferire oggettività alla percezione soggettiva dell'ordine temporale, dato che sembra assai implausibile supporre che, per esempio, il fatto che la nascita della vita sulla Terra preceda la comparsa della specie homo sapiens dipenda dal nostro possedere una mente o un linguaggio, se non nel senso banale per cui qualunque fatto scientifico, come l'esplosione di una stella, per poter essere descritto o conosciuto, deve essere prima rappresentato e reso significativo da qualche essere pensante e parlante. Tenendo presente la separazione tra condizioni epistemiche per asserire un fatto e il fatto asserito, è possibile distinguere tra il darsi di una percezione di una successione temporale tra due stati di un sistema fisico, legati da una grandezza crescente come l'entropia, e l'essere quei due stati legati da una relazione fisica irreversibile, è esemplificato dal sistema indipendentemente dalla presenza di un osservatore. È in questo senso che possiamo concludere che il tempo è reale, dato che esso lega insieme il mondo della mente e quello della materia, imponendo a entrambi lo stesso ordine oggettivo.




Bibliografia


Agazzi, E. (1995) (a cura di), Il tempo nella scienza e nella filosofia, Napoli, Morano.


Borges J. L. (1984), "Nueva refutatión del tiempo", in Otras inquisiciones, (trad. it. F. Tentori Montalto, Opere complete, a cura di D. Porzio, Milano, Mondadori, vol. I).



Denbigh, K. and Denbigh, J. (1985), Entropy in relation to incomplete knowledge, Cambridge, Cambridge University Press.


Dorato M. (1997), Futuro aperto e libertà. Un introduzione alla filosofia del tempo, Roma-Bari, Laterza.


Horwich, P. (1987), Asymmetries in Time, Cambridge, The MIT Press.


Libet, B. et. al. (1979), "Subjective referral of the timing for a conscious sensory experience", Brain, 102, p. 193-224.


McTaggart, J. (1908), "The Unreality of Time", Mind, 68, pp. 457-474.


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Reichenbach, H. (1956), The Direction of Time, Berkeley, California University Press.


Savitt, S. (1995), Time's Arrows Today, Cambridge, Cambridge University Press.


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Sorabji, R. (1983), Time, Creation and the Continuum, Ithaca, Cornell University Press.


Vicario, G. (1997) , "Il tempo in psicologia", Le Scienze, n. 347, pp. 43-51.



Note


1) In seguito a questa stipulazione, 'reale' usato in funzione aggettivale rispetto al tempo equivale a 'indipendente dalla mente', un'equivalenza che comunque non deve essere interpretata come se il lato soggettivo o mentale di tutto ciò che esiste debba essere considerato inesistente.


2) Per la storia del concetto di tempo nella filosofia antica, si veda Sorabji (1983).


3) "Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco".



Una diversa versione di questo articolo è
apparsa in MONTAG vol.4, Fahrenheit 451, Roma, 1998, con il titolo "La natura della natura", pp.99-113.
 
Alla fine di tutto questo possiamo rispondere alla domanda che piu' preme a ciascuno di noi:
esiste una vita dopo la morte ?
la vita terrena è una prova ,un esame per la vita furura ultraterrena ??

Cosa ne pensate ??
Golden
 
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Scritto da golden
Alla fine di tutto questo possiamo rispondere alla domanda che piu' preme a ciascuno di noi:
esiste una vita dopo la morte ?
la vita terrena è una prova ,un esame per la vita furura ultraterrena ??

Cosa ne pensate ??
Golden

Onestamente non so risponderti se esiste una vita dopo la morte, e non è improbabile che possa arrivare in fondo alla mia esistenza con questo dubbio.

Questo aspetto non condiziona la mia vita terrena, in quanto, qualsiasi siano gli eventi futuri sono proteso nella direzione della conoscenza e della ricerca della verità, ed il mio comportamento è comunque condizionato dall'etica morale che ne consegue.
FR
 
Scritto da FR
Onestamente non so risponderti se esiste una vita dopo la morte, e non è improbabile che possa arrivare in fondo alla mia esistenza con questo dubbio.

Questo aspetto non condiziona la mia vita terrena, in quanto, qualsiasi siano gli eventi futuri sono proteso nella direzione della conoscenza e della ricerca della verità, ed il mio comportamento è comunque condizionato dall'etica morale che ne consegue.
FR

Io ,invece,arrivato all'eta' matura e alle soglie della vecchiaia ,mi rendo conto che è la sola domanda che conta veramente .
Tutto il resto mi sembra illusorio ,l'arte,la politica ,la storia .
una volta morti non contiamo piu' nulla ,forse qualcuno ci ricordera' ancora per qualche tempo e poi piu' niente.
Come se non fossimo neppure esistiti.
Chi si ricorda dello scoiattolo del Gran Paradiso morto 100 anni fa ?
E la nostra sorte è identica.
Solo la nostra sopravvivenza dopo la morte puo' dare un senso alla nostra vita.
Io purtroppo non ci credo e tutto mi sembra cosi' contingente e inutile.
Golden
 
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Il tempo con le sue contraddizioni…….

Se in un bicchiere d'acqua versiamo dell'inchiostro, questo dopo un certo tempo, si diffonde in maniera omogenea per tutto il bicchiere. Possiamo fotografare le immagini nella loro sequenzialità dall'inizio alla fine. Fotografare tale processo nel senso inverso appare poco probabile. L'inchiostro non si separerà dall'acqua.
Dall'ordine verso il caos (entropia) il processo è spontaneo, non altrettanto lo è l'operazione contraria. Ecco allora che l'entropia ci fornisce una direzione positiva del tempo.

Se fossimo in grado di fare sequenze fotografiche su processi atomici, vedremo che i fotogrammi degli accadimenti possono essere visti in entrambi i sensi.
Per cui "a livello microscopico la direzione negativa e positiva del tempo non può essere definita".

Se un essere vivente, ad esempio un gemello intraprende un viaggio interplanetario con un mezzo che viaggia ad una velocità vicina a quella della luce, mentre il proprio gemello rimane sulla terra, troverà al suo rientro che il suo gemello, è scomparso per sopraggiunti limiti di età mentre lui è rimasto giovane.

Se noi guardiamo il cielo in una notte serena e vediamo migliaia di punti luminosi non immaginiamo che questi corrispondono a sorgenti luminose che hanno storie diverse tra loro.
Certe stelle si trovano ad un'enorme distanza da noi, e la luce che ci arriva è stata emessa qualche milione di anni fa, mentre la luce di Venere, ad esempio, corrisponde ad una distanza piccola.
Il nostro cervello ricostruisce il cielo stellato in una maniera non fedele senza tenere conto degli abissi temporali che ci sono tra le varie sorgenti luminose.

FR
 
Scritto da golden
Io ,invece,arrivato all'eta' matura e alle soglie della vecchiaia ,mi rendo conto che è la sola domanda che conta veramente .
Tutto il resto mi sembra illusorio ,l'arte,la politica ,la storia .
una volta morti non contiamo piu' nulla ,forse qualcuno ci ricordera' ancora per qualche tempo e poi piu' niente.
Come se non fossimo neppure esistiti.
Chi si ricorda dello scoiattolo del Gran Paradiso morto 100 anni fa ?
E la nostra sorte è identica.
Solo la nostra sopravvivenza dopo la morte puo' dare un senso alla nostra vita.
Io purtroppo non ci credo e tutto mi sembra cosi' contingente e inutile.
Golden



Potrei risponderti come possono risponderti migliaia di libri e migliaia di anni di ricerche sull'argomento, ma ciò a cosa ti servirebbe, visto che fino ad oggi "tutto ti sembra cosi' contingente e inutile" ?.

La realtà vista da un punto di osservazione puramente materiale in effetti non può non sembrare senza senso ed inutile. Ciò crea dolore e questo di solito spinge ad allargare gli orizzonti in cerca di nuovi significati e di nuove scoperte.
La morte poi è la massima costruttrice perchè ti costringe ad abbandonare tutto ciò che non dura conservando solo ciò che riesce ad andare oltre la morte stessa



Quello che conta in effetti è la " Coscienza " ed il tuo ambito di percezione : ne abbiamo fatta di strada da quando eravamo bambini ad ora che siamo adulti.
Per allargare il concetto c'è una bella differenza dalla coscenza dell'animale a quella del primitivo a quella dell'uomo evoluto e forse ci sono altri stadi molto superiori.

Come ci insegna la scienza non è possibile andare aldilà dell'ambito dei nostri strumenti di percezione della realtà e da mille anni a questa parte questo ambito si è allargato moltissimo.

E' evidente che nell'ambito del materialismo non esiste risposta alla tua domanda e pertanto o allarghi il tuo ambito affinando le tue capacità ed anche svegliando nuovi sensi ( se ci sono) o non potrai avere le risposte per te veramente valide.


La realtà frattanto continuerà in ogni caso a macinare le sue leggi e la sua essenza sia che noi ne siamo consapevoli che se non lo siamo e la natura con i suoi mille alleati ( uno dei quali è la morte), comunque tu la pensi ora, ti spingerà verso nuovi lidi che oggi non puoi immaginare.
 
Tu sai leggere ,scrivere ,hai letto ,hai studiato usi internet e mi comunichi il tuo pensiero .
Noi siamo dei privilegiati rispetto alla stragrande maggioranza degli uomini che ci hanno preceduto e anche di quelli che popolano il pianeta.
Non abbiamo nessun merito particolare ,il caso ci ha fatto nascere
in un'epoca privilegiata e ina situazione socio-economica altrettanto felice.
Pero' io penso che miliardi di persone sono vissute come animali o sono morte precocemente per le malattie,le guerre ,la crudelta' degli altri simili.
E perche' io o te dovremmo arrogarci la presunzione di sapere quale sara' il loro destino dopo la loro morte.
Questi uomini probabilmente son morti prima ancora di poter pensare alla loro vita ultraterrena.sono morti bambini o uccisi o il loro stato di coscienza era quello istintuale della sopravvivenza materiale.
Eppure facevano parte della razza umana.
Temo che ci illudiamo di avere un destino luminoso ,una vita diversa ed eterna ,di godere dell'immortalita'.
Tutti avranno l'immortalita' ?
Anche lo sfortunato malato di mente che non riconosce i suoi simili,o colui che ha passato la sua vita a far guerra e uccidere ,magari a torturare altri essere umani ?
Anche Hitler sara' immortale ?
Forse è meglio cosi' .è meglio tornare atomi e ricostruirsi in altri esseri aminali o vegetali.
Non vedo una logica nella credenza in una forma di sopravvivenza.
Tu mi parli di coscienza.
Sei cosciente quando dormi,quando sei sotto anestesia per una operazione,quando un trauma ti fa svenire ?
La coscienza è il prodotto delle cellule organizzate del nostro cervello e basta poco sai per annullarla.
Basta un vaso di fiori che ti cade in testa,un piccolissimo accidente e anche questa cosa cjhe a te pare cosi' grande scompare .
Purtroppo non credo ,non riesco a credere all'immortalita' dello spirito e il fatto che ne parli significa che la cosa mi da dispiacere .
Ma tant'è.
Golden .
 
Re: Il tempo con le sue contraddizioni…….

Scritto da FR
[...]
Se un essere vivente, ad esempio un gemello intraprende un viaggio interplanetario con un mezzo che viaggia ad una velocità vicina a quella della luce, mentre il proprio gemello rimane sulla terra, troverà al suo rientro che il suo gemello, è scomparso per sopraggiunti limiti di età mentre lui è rimasto giovane.
[...]

Attento.
Detto così offre il fianco alla famosa obiezione.

Chi o cosa decide qual è il gemello che "viaggia" e quale quello che sta "fermo" ?
Infatti nel sistema di riferimento del gemello che "viaggia" è il gemello che "rimane" sulla Terra ad allontanarsi ad una velocità prossima a quella della luce, mentre lui, il gemello che "viaggia", rimane, ovviamente, fermo.

Eppure, come dici tu, uno invecchia e l'altro no.
E allora uno dei due sistemi di riferimento ha il sopravvento.
E quale ?
E perchè ?

Enig Mistico
 
Quindi la coscienza è ciò che ci contraddistingue dall'essere vegetale, ed è cosa diversa dall'intelligenza. A parte che non si può neppure definire in modo esaustivo il significato di intelligenza, non per nulla si parla di sette intelligenze. Torno a una mia domanda precedente, e vi chiedo se gli animali abbiano una coscienza, se essa è "è il prodotto delle cellule organizzate del nostro cervello", come dice golden.
Non sono riuscita a seguire e capire tutti i vostri precedenti interventi, e, per mia natura, sono poco speculativa e molto terra terra, per cui non mi chiedo chi dei due gemelli stia fermo o viaggi, ma mi interesso degli effetti derivanti dallo star fermo o dal viaggiare.
E per quanto riguarda l'immortalità, ho bisogno di crederci.

Masca
 
Re: Re: Il tempo con le sue contraddizioni…….

Scritto da Enig Mistico
Attento.
Detto così offre il fianco alla famosa obiezione.

Chi o cosa decide qual è il gemello che "viaggia" e quale quello che sta "fermo" ?
Infatti nel sistema di riferimento del gemello che "viaggia" è il gemello che "rimane" sulla Terra ad allontanarsi ad una velocità prossima a quella della luce, mentre lui, il gemello che "viaggia", rimane, ovviamente, fermo.

Eppure, come dici tu, uno invecchia e l'altro no.
E allora uno dei due sistemi di riferimento ha il sopravvento.
E quale ?
E perchè ?

Enig Mistico
Avevo semplificato.

Parlando con il rigoroso linguaggio della fisica:

La relatività ristretta nega l’osservabilità di un moto assoluto, asserisce che tutti i sistemi di riferimento inerziali siano equivalenti e, in particolare, per questi sistemi le leggi fisiche si scrivono alla stessa maniera. Come ultima cosa richiede che la velocità della luce sia costante; questa velocità e’ uguale in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

Ma non credo che rimarrai soddisfatto....
FR
 
Re: Re: Re: Il tempo con le sue contraddizioni…….

Scritto da FR
Avevo semplificato.

Parlando con il rigoroso linguaggio della fisica:

La relatività ristretta nega l’osservabilità di un moto assoluto, asserisce che tutti i sistemi di riferimento inerziali siano equivalenti e, in particolare, per questi sistemi le leggi fisiche si scrivono alla stessa maniera. Come ultima cosa richiede che la velocità della luce sia costante; questa velocità e’ uguale in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

Ma non credo che rimarrai soddisfatto....
FR

Eh eh, no.

L'ultima volta che mi "hanno" soddisfatto è stato, come sanno tutti, nel 1984.
Da allora più nulla...

Enig Mistico
 
Proviamo a semplificare?

"Se un organismo vivente, dopo un volo arbitrariamente lungo ad una velocità approssimativamente uguale a quella della luce, potesse ritornare nel suo luogo d'origine, egli sarebbe solo minimamente alterato, mentre i corrispondenti organismi rimasti, già da tempo avrebbero dato luogo a nuove generazioni." (Einstein, 1911)

Verso la fine dell'Ottocento, i fisici Albert Michelson (premio Nobel per la fisica nel 1907) e Edward Morley misero a punto un esperimento di interferometria, tra i più celebri della storia della fisica, nel tentativo di evidenziare differenze nella velocità della luce, a causa del moto della Terra attraverso l'ipotetico etere, che si supponeva riempisse tutto lo spazio.

Il risultato inaspettatamente nullo di tale esperimento, oltre a evidenziare l'inesistenza dell'etere cosmico, dimostrava che la velocità della luce non dipendeva dal modo in cui si muoveva l'apparecchio di misurazione.

La velocità della luce nel vuoto era una quantità incredibilmente costante, indipendente dal moto della sorgente luminosa o dell'osservatore.

Durante i primi anni del secolo XX, mentre Wilhelm C. Röntgen scopriva i raggi X e i coniugi Curie studiavano le emissioni provenienti da sostanze radioattive, Albert Einstein (1879-1955) giungeva a considerare la costanza della velocità della luce non un risultato paradossale, bensì il punto di partenza per ribaltare i concetti newtoniani di "spazio" e "tempo" assoluti.
 
Con grande intuito, qualità che permette di capire anche quando non si dispone di un numero sufficiente di prove sperimentali, Einstein scriveva che la luce si propagava nel vuoto con velocità costante, negando la possibilità che questa potesse superare il valore di 300.000 chilometri al secondo, limite massimo per tutte le velocità dell'universo.

Ma allora, se la luce viaggiava nel vuoto sempre a velocità costante, cosa sarebbe accaduto alle ben note leggi della meccanica classica?

Tra le numerose, sorprendenti, conseguenze, Einstein avanzò l'ipotesi rivoluzionaria che lo scorrere del tempo variasse a secondo dello stato di moto (o di quiete) dell'osservatore, dipendendo dalla velocità con la quale quest'ultimo si muoveva.

Cosa intendeva dire Einstein?
 
Il tempo misurato da un orologio in movimento scorre più lentamente rispetto al tempo misurato da un orologio fermo, in modo tanto più evidente quanto più velocemente l'orologio si muove.
In altre parole, il tempo misurato da una persona che corre rallenta, in modo tanto più evidente quanto più veloce essa corre.

Questo rallentamento dello scorrere del tempo corrisponde a una dilatazione dei tempi, ossia degli intervalli di tempo misurati, per cui due eventi, contemporanei per un osservatore in quiete, non lo saranno più per un osservatore che si muova rispetto al primo.


Ciascun osservatore non noterà alcun effetto sul "proprio" tempo, vale a dire per ciascuno di essi il tic-tac del "proprio" orologio batterà sempre con la consueta velocità; ma tanto maggiore sarà la velocità relativa dei due osservatori, tanto più lento apparirà marciare all'uno l'orologio dell'altro.

Paradossalmente, al raggiungimento della velocità limite della luce, i due osservatori, in moto relativo, vedranno fermarsi l'uno l'orologio dell'altro, pur continuando a veder camminare regolarmente il "proprio" orologio.

In sostanza, se i due osservatori sono in moto relativo uniforme fra di loro, senza accelerare, né rallentare, né cambiare direzione, e hanno con sè orologi identici, ognuno dei due osserverà l'orologio dell'altro funzionare più lentamente.

Vale a dire: esiste una perfetta simmetria tra i due osservatori, per cui ognuno dei due darà una descrizione analoga, ugualmente valida, del fenomeno.

Ma cosa succede se il moto non è più uniforme?
 
A tale proposito, Einstein suggerì l'ormai famoso "paradosso dei gemelli" (anche se in realtà non si tratta di un "paradosso", in quanto viene spiegato completamente nel contesto dei due postulati della teoria della Relatività Ristretta). Ci sono due gemelli, inizialmente nello stesso posto e dotati di due orologi uguali, sincronizzati. Uno dei due gemelli rimane a Terra, mentre l'altro parte per un viaggio interstellare a bordo di un'astronave, la cui velocità, molto elevata, raggiunge l'80% di quella della luce. Al suo ritorno a Terra, l'orologio del gemello astronauta segna che son trascorsi 30 anni (di tempo "proprio") dalla partenza, mentre quello del suo gemello, rimasto a Terra, ne segnerà ben 50 dalla partenza dell'astronave.

Poiché nel veicolo spaziale, in movimento ad altissima velocità, tutti i fenomeni scorrono più lentamente, nell'ipotesi che gli orologi biologici (ad esempio, le pulsazioni ritmiche del cuore, i battiti del polso) si comportino come gli ordinari segnatempo, anche l'invecchiamento avverrà con un ritmo più lento.

In altri termini, dopo avere fatto questo viaggio a velocità elevatissime, ritornando sulla Terra, l'astronauta ritroverà il fratello gemello più vecchio di lui di ben 20 anni!

In questo caso, poichè il gemello astronauta non compie un moto uniforme, ma deve necessariamente accelerare e decelerare per effettuare l'andata e il ritorno, la situazione non è più simmetrica: l'astronauta avrà, in effetti, vissuto di meno rispetto al suo gemello rimasto a Terra.

Teoricamente, dunque, la Relatività favorisce l'esplorazione cosmica, in quanto nell'arco della propria vita un astronauta potrebbe intraprendere un viaggio verso una stella lontana per poi ritornare sulla Terra e scoprire che sono trascorsi alcuni secoli ... dalla sua partenza!!

(Rosa M. Mistretta)
 
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