Vendesi penisola vista mare

Evadono l’Iva perché lo Stato non paga: il giudice assolve imprenditore e onlus | Blitz quotidiano

Evadono l’Iva perché lo Stato non paga: il giudice assolve imprenditore e onlus

ROMA – Evasori fiscali perché lo Stato non paga: per fortuna esistono due giudici a Milano, che assolvono sulla base del principio che una pubblica amministrazione che da anni non paga i suoi fornitori non può poi processarli se non riescono ad onorare i loro obblighi fiscali. Due sentenze fanno giustizia nei confronti di questo assurdo andazzo per cui, lumaca nel pagare e lepre nell’incassare, lo Stato danneggia le imprese e i cittadini. In un caso la Sintea Plustek, azienda del biomedicale di Assago (Mi) avrebbe dovuto versare al Fisco quasi 180 mila euro di Iva mentre, allo stesso tempo, vantava crediti non riscossi per un milione e 700 mila euro.

Sintea Plustek, presa tra l’incudine di due Asl e un ospedale della Campania che non pagano dal 2005 e il martello delle banche che negano un anticipo di quei crediti nemmeno a tassi enormi, Sintea nel 2008 non aveva materialmente la liquidità necessaria per versare al Fisco 180 mila euro di Iva. L’Agenzia delle Entrate, nel 2012, è stata costretta ad avviare le procedure di riscossione di tasse evase con relative sanzioni e interessi e un procedimento penale nei confronti del legale rappresentante dell’azienda: un giudice lo ha infine assolto perché “il fatto non costituisce reato”. Tasse e multe dovrà invece pagarle.

Stessa cosa (cioè stesa odissea con lieto fine giudiziario) è successa alla cooperativa di recupero e sostegno ai tossicodipendenti fondata da Mauro Rostagno. La comunità Saman è un’associazione no-profit, una onlus che intesse rapporti con Asl e ministeri. Riassume la vicenda Giuseppe Guastella sul Corriere della Sera: “Nel 2007 la cooperativa ha emesso fatture per 895 mila euro a fronte delle quali avrebbe dovuto versare 85 mila euro nel 2008 quando, però, non li aveva e il debito dello Stato era salito a un milione e 750 mila euro”. Tecnicamente un “omesso versamento delle ritenute”. Il pm, al culmine di una vicenda grottesca se non ci fosse di mezzo la galera, aveva chiesto anche 3 mesi di carcere per il titolare. Per fortuna c’è un giudice a Milano: se il suo collega invoca la “causa di forza maggiore”, lui si è limitato a prendere atto che non esistevano elementi di dolo. Non è poco, non solo a livello etico, considerando che la norma che avrebbe consentito di compensare almeno in parte i crediti non riscossi con le imposte da versare è stata dapprima promessa e poi ovviamente messa da parte.
 
http://finanzanostop.finanza.com/20...le-commissioni-di-massimo-scoperto-sul-conto/

Banche marciano sulle commissioni di massimo scoperto sul conto

Drammatica la situazione bancaria e ad accorgersi della cosa sono le imprese che si sono viste abbassare i fidi, e si cari lettori, la situazione è gravissima!

Molti di noi non fanno caso al prorpio conto corrente e non immaginano quanto costa sconfinare senza un fido.

La situazione è molto grave, più di quanto uno possa immaginare.

Molte volte ho la sensazione che le banche marcino su questa cosa, non concedono i fidi ma applicano tassi da usurai sugli scoperti ed ora vi farò degli esempi, con l’aiuto di un pò di fonti.

Le commissioni previste dagli istituti bancari sullo scoperto di conto sono, di norma, poco trasparenti e i clienti tendono a non leggere le postille del contratto o a sottovalutarle.

Bisogna, invece, sottolineare che andare a secco con il proprio conto corrente può arrivare a costare 50 euro anche per un solo giorno. source

Il passato decreto dell’ex ministro Bersani ha sostituito le vecchie commissioni sul massimo scoperto con norme atte ad attenuare il peso sul cittadino.

Ad oggi non sembra, però, che sia cambiato molto rispetto a dieci anni orsono, anzi.

Andare in rosso sul conto corrente, quindi, costa molto.

In merito è stata sviluppata un’indagine dall’Università Bocconi di Milano (pubblicata sul Corriere Economia), che ha preso in considerazione le prime sei banche italiane, analizzando due casi di sconfinamento extra-fido e senza-fido. In quest’ultimo caso si nota come i tassi nominali arrivino al 17% (Intesa Sanpaolo) mentre invece nel primo oscillano fra il 13,5% (Intesa) e il 16,6% (Unicredit).

Il conto scoperto sul conto corrente, quindi, costa maggiormente se non si ha un fido e, come sottolinea la ricerca della Bocconi, andando in negativo di 500 euro per un giorno, gli oneri arrivano a essere pari, ad esempio, a 50,23 euro con Montepaschi e a 25,19 euro con Bnl.

Costi importanti, quindi, che possono aumentare anche per i clienti che godono di un fido ma lo superano: per 500 euro di rosso si arriva a pagare 25,19 euro se si sconfina per un giorno.
Insomma indisturbati e spalleggiati dal governo le banche continuano a fare il bello e cattivo tempo e sono i primi in classifica come responsabili di questa gravissima crisi economica, non dando credito alle imprese e quindi bloccando l’economia… e nessuno interviene per bloccarli… TUTTO E’ LEGALE E TUTTO VA BENE!
 
Rapinano banca,lasciano pensione anziana - Cronaca - ANSA.it

rispetto ai nostri politici questi 2 rapinatori sono dei signori:D


(ANSA) - MASSA CARRARA, 14 GEN - Rapina in una filiale del Monte dei Paschi di Siena a Massa: due uomini a volto coperto hanno mostrato le pistole e si sono fatti consegnare poche migliaia di euro dalla cassiera, incinta e che poi ha accusato un lieve malore. Un'anziana cliente parla però di "ladri gentiluomini": "Avevo in mano la mia pensione, un rotolo di soldi molto vistoso. Uno dei due mi ha preso per la spalla e mi ha condotto nell'ufficio del direttore con gli altri clienti, dicendomi 'Non si preoccupi'".
 
Vaticano, conto «sospetto» da 40 milioni dietro al blocco di bancomat e carte - Corriere.it

Scoperta l'entità dei flussi dei Pos: Sul deposito alla Deutsche Bank non è possibile applicare la norma antiriciclaggio

ROMA - La Banca d'Italia ha bloccato tutti i pagamenti elettronici attraverso Pos e attraverso il circuito mondiale delle carte di credito nello Stato della Città del Vaticano. Anche quelli per pagare i biglietti dei Musei Vaticani, che ogni anno sono visitati da cinque milioni di turisti. Fonti di Palazzo Koch hanno spiegato che il Vaticano può avere tutti i Pos che vuole ma non con banche italiane, perché - ai sensi della normativa antiriciclaggio - la piccola Città Stato è considerata Paese extracomunitario «non equivalente» a fini di vigilanza e, per l'appunto, di antiriciclaggio.

Deutsche Bank Italia che è la banca provider dei moltissimi Pos presenti sul territorio vaticano - hanno spiegato le stesse fonti di Bankitalia - è un soggetto di diritto italiano e quindi vigilato da via Nazionale, ma li aveva aperti senza richiedere la necessaria autorizzazione alla stessa Banca d'Italia. Solo nel corso dello scorso anno, il 2012, ha presentato un'istanza in questo senso, che però è stata respinta da via Nazionale. Ed è per questo che ha dovuto disattivare tutti i Pos in Vaticano: da quelli dei Musei Vaticani a quelli della farmacia internazionale (dove è possibile entrare anche ai cittadini italiani muniti di ricetta e documento), dal supermercato alimentare e ai magazzini di vestiti e tecnologia (dove l'ingresso è limitato ai possessori di determinate tessere). Per non considerare numismatica e filatelia. Scatenando così un nuovo «affaire» sulle finanze vaticane.

Il blocco dei pagamenti elettronici è certo una prassi molto grave che, spiegano gli esperti, viene messa in pratica in presenza di situazioni sospette, appunto come operazioni di riciclaggio. «È un nodo che è venuto al pettine» hanno commentato a Via Nazionale. Del resto non più tardi di quindici giorni fa rispondendo ad un'interrogazione parlamentare, il sottosegretario al Tesoro Vieri Ceriani aveva sottolineato anche la natura extracomunitaria e non equivalente della cosiddetta «banca vaticana», lo Ior, «che non è autorizzato ad operare in Italia».

Il problema dell'antiriciclaggio é particolarmente sensibile: la Santa Sede ha svolto nell'ultimo anno un lavoro di adeguamento giuridico complesso per entrare a pieno titolo tra i Paesi che ottemperano alle regole internazionali. Tanto che nel luglio scorso nell'Assemblea plenaria del Comitato Moneyval di Strasburgo, ha ricevuto un significativo riconoscimento («La Santa Sede ha percorso una lunga strada in un periodo di tempo assai breve», scrive il Consiglio d'Europa) ma anche l'invito a «rafforzare il proprio regime di vigilanza». Un nuovo esame è previsto tra sei mesi. L'avviso del blocco dei Pos apre l' home page del sito ufficiale dei Musei Vaticani sotto il titolo «No pagamenti elettronici dal 1 gennaio», con la formula di rito: «Ci scusiamo per i possibili disagi».

 
Per Fiorito processo il giorno di San Valentino - Corriere Roma

ROMA - Non più il 19 marzo ma il 14 febbraio. Franco Fiorito accelera e ottiene che il suo processo inizi prima della data fissata. L'anticipazione è la conseguenza della richiesta di rito abbreviato, con cui l'ex capogruppo Pdl alla Regione Lazio ed ex sindaco di Anagni otterrà lo sconto di un terzo della pena.


PENA CON LO SCONTO - Per Fiorito, accusato di peculato per aver utilizzato circa un milione e 400 mila euro di fondi destinati al gruppo, la procura aveva chiesto e ottenuto il giudizio immediato. Un sistema per accorciare i tempi, visto che il processo in aula sarebbe iniziato senza il filtro dell'udienza preliminare. Ma in questo caso Fiorito avrebbe rischiato una condanna più severa (il codice penale prevede da tre a dieci anni di carcere), poiché non avrebbe avuto lo sconto del rito abbreviato. Si comincerà dunque il giorno di San Valentino e nella stessa udienza saranno vagliate le posizioni di Bruno Galassi e Pierluigi Boschi (ex capi segreteria di Fiorito), che hanno chiesto il patteggiamento.

LA DIFESA - L'ex capogruppo del Pdl, arrestato il 2 ottobre 2012, ai domiciliari nella sua casa in Ciociaria dal 27 dicembre, ha sempre respinto le accuse. «Ho usato i soldi solo per le attività politiche», ha ribadito negli interrogatori. Anche adesso l'avvocato Carlo Taormina, che lo difende con il collega Enrico Pavia, spiega: «Riteniamo che ci siano i presupposti per una radicale riforma della contestazione a carico del nostro assistito».
 
Il piano di Bologna: far pagare un ticket per i giochi dei bimbi - Corriere.it

BOLOGNA - Nascerà il business del pinco panco? E ci sarà almeno uno sconto per l'altalena? Maledetto il genitore che dimenticherà il portafoglio: no monetina, no party, pardon, niente scivolo. Qualcuno, sotto i portici, già inorridisce: «Tra un po' ci faranno pagare anche la Madonna di San Luca...». Altri scomodano il mitico Giuseppe Dozza, sindaco comunista, che qui venerano come un santo per aver rimesso in piedi la città nel dopoguerra, non solo le case, ma pure pezzi importanti di welfare: «Ma vi immaginate le urla se vedesse che vogliono far pagare ai bambini anche i giochi dei parchi pubblici?».


L'assessore comunale Patrizia Gabellini, che nella giunta del pd Virginio Merola si occupa di urbanistica, ambiente, città storica e qualità urbana, aveva messo in conto le proteste, «e anche qualche fraintendimento», e ora sfodera tutta la sua esperienza di docente, di tecnico prestato alla politica (insegna urbanistica al Politecnico di Milano), per spiegare che «sì, è vero, stiamo prendendo in considerazione l'idea di privatizzare alcuni dei giochi per bambini nei parchi pubblici, abbiamo già ricevuto alcune proposte da parte di imprenditori e, qualora andassero in porto, sarebbe previsto un ticket di 1 o 2 euro, dipende...». Detto ciò, aggiunge, «è però assolutamente improprio parlare o solo ipotizzare una privatizzazione totale dei giochi per bambini: il piano che stiamo elaborando prevede anche altre strade (dall'autogestione da parte di genitori a forme di sponsorizzazione) e ognuno di questi strumenti può benissimo convivere con gli altri».

Ci vorrà un po' per far digerire la questione ai bolognesi, abituati per tradizione politica (e per qualità dei servizi) a vedere nel «pubblico» una sorta di totem dai poteri vagamente taumaturgici. Ma che la direzione sia segnata, non c'è dubbio. «Il Comune - afferma l'assessore Gabellini - non ce la fa a sostenere le spese per la manutenzione straordinaria dei giochi per bambini nei parchi pubblici. I soldi non ci sono. I continui atti di vandalismo (una vera piaga), oltre alla fisiologica usura delle strutture, richiedono una spesa annua di 800 mila euro: un decimo del budget annuo per la manutenzione ordinaria, che è di 8 milioni». Il patrimonio verde bolognese è di quelli da serie A: 128 parchi con quasi 1.300 tra scivoli e piccole giostre.
Tutto gratis, per ora. Il piano che l'assessore sta mettendo in piede assieme ai quartieri prevede tre passaggi. E un unico obiettivo: «Risparmiare soldi senza intaccare la dotazione e la sicurezza dei giochi».

Il primo passo è una mappa di tutte le aree verdi per individuare le più frequentate, quelle che servono un maggior bacino di utenza e quelle più facilmente accessibili: «Così da poter utilizzare le risorse al meglio, in certi casi potenziando la dotazione di giochi, in altri riducendola». Ma il problema resta la gestione e conseguenti costi. L'idea della privatizzazione è concreta («Si sono già fatte avanti due aziende»), ma non è l'unica. Le altre non prevedono ticket. C'è la strada della sussidiarietà: «Si è pensato - spiega l'assessore - di affidare a gruppi di genitori la gestione dei giochi: niente spese per noi e la garanzia per i cittadini di strutture efficienti. O di puntare sugli sponsor: le aziende donano i giochi, li gestiscono e in cambio vengono pubblicizzate, come avviene per le rotonde». Si vedrà. Il tema è delicato. In famiglia e sul web se ne parla. C'è chi propone ingressi ai parchi con tessera nominativa per scoraggiare i vandali. Chi invita ruvidamente il Comune a risparmiare in altri settori. L'idea di pagare per due spinte all'altalena scatena più di un'orticaria: «Allora tanto vale andare al luna park...».
 
:D

Ilona Staller torna in politica, fonda il “DNA” e partecipa alle elezioni | il Fatto Nisseno


ROMA – Ilona Staller, 62 anni, torna nell’agone politico e presenta la lista ‘DNA Democrazia Natura Amore’, con il suo volto nel simbolo. Il programma prevede, tra l’altro, la riapertura delle ‘case chiuse’, la creazione di un contratto collettivo nazionale per le prestazioni lavorative sessuali, controlli sanitari contro la diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili, incremento della sicurezza al fine di evitare lo sfruttamento della prostituzione, protezione e tutela dei diritti degli omosessuali. La lista DNA vuole anche abolire l’Imu e sospendere il recupero crediti sui finanziamenti e mutui bancari a causa della crisi economica.
 
un po' di politica moderna:D

 
Se il Sud punta sulla «logica industriale» - Il Sole 24 ORE

Il Mezzogiorno d'Italia dovrebbe essere uno dei principali temi nei programmi politico-economici elettorali perché dal suo sviluppo dipenderà in buona parte anche quello dell'Italia ben oltre il quinquennio di una legislatura. Il dualismo del nostro Paese è infatti una delle principali cause della bassa crescita italiana alla quale si associano squilibri socio-economici che non hanno pari in altri Stati dell'Eurozona.
Anche perché il Sud continua a indebolirsi per l'emigrazione verso il Nord (italiano e non) di risorse umane molto qualificate che hanno rafforzato le economie di destinazione. Eppure nei programmi elettorali i riferimenti al Mezzogiorno sono per ora scarsi o generici o monotematici.

Sono quindi opportune delle riflessioni e delle richieste ai vari partiti non perché ci spieghino come prendono "i voti del Sud" ma per dare risposte all'Italia. O, quanto meno, per evitare estremi molto dannosi: quello della "rivendicazione sudista"; quello del "separatismo nordista"; quello della rinuncia conoscitiva; quello dell'indifferenza operativa. Come riferimento storico e di attualità consideriamo la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) che dal 1946, anno di fondazione, ad oggi ha studiato i problemi del sud proponendo soluzioni fuori dagli interessi di parte (o di partito).

La prima riflessione è di natura storica, anche per un richiamo di metodo. La Svimez fu fondata da grandi personalità quali Rodolfo Morandi, Giuseppe Paratore, Francesco Giordani, Giuseppe Cenzato, Donato Menichella e Pasquale Saraceno. Tutti (salvo Menichella) sono stati in successione presidenti della Svimez. Chi ha oggi responsabilità politiche e non conosce le loro opere per lo sviluppo del nostro Paese dovrebbe studiarle bene per capire l'impegno di italiani del Nord (Morandi, Cenzato, Saraceno) e del Sud (Paratore, Giordani, Menichella) per l'unificazione economica nazionale.
Sono personalità queste alle quali l'Italia deve molto anche per l'uscita dal disastro della dittatura e per la ricostruzione alla quale molto dettero anche altri, a cominciare da Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni con i quali vari dei personaggi citati avevano rapporti ideali e politici molto stretti. Eppure non si trattava di personalità appartenenti tutte allo stesso partito politico ma tutte dotate di alta etica civile, competenza, concretezza. Esse erano convinte che la Svimez dovesse propugnare una "logica industriale" applicata a tutti i settori per lo sviluppo del Sud: dall'agricoltura alla manifattura, dalle infrastrutture ai servizi.

La "logica industriale" è per noi quella espressa dall'impostazione "politecnica" alla Carlo Cattaneo alla quale si sono ispirate tante personalità della imprenditoria, della tecnologia, delle istituzioni. L'economia non è qui ridotta solo al mercato perché contano molto gli investimenti a rendimenti differiti e la progettazione a lungo termine per imprese, infrastrutture, piani regolatori e altro. È una impostazione che comporta necessariamente la collaborazione tra pubblico e privato, tra autonomie locali e coerenze nazionali collocate (adesso) in un contesto europeo. Quindi vi era e vi è un forte tasso di politica nel progetto di "logica industriale" della Svimez che, purtroppo, mancò
l'obiettivo non perché sbagliato ma perché distorto da "logica di sistema" a multiforme pratica clientelare e assistenzialista anche per alcune imprese scese dal nord al sud. È una storia che molto può insegnare anche oggi.
 
La stupida austerità messa alla berlina dal Fondo Monetario Internazionale | Gustavo Piga

Negli anni novanta, alla Columbia University, quando studiavo per il dottorato, era appena uscito un libro di Macroeconomia sul quale studiavamo tutti. Era la grande moda, se volete. Scritto da due economisti del MIT di Boston, Olivier Blanchard e Stanley Fischer, che consideravamo allora il “top” della macroeconomia. Li includevamo, come una buona parte degli economisti del MIT, nella scuola keynesiana, degni allievi di Modigliani.

Non deve stupire dunque che abbiano poi deciso ambedue di accettare posti importanti e di prestigio nelle istituzioni sovranazionali. Stanley Fischer, dal 1994 al 2001 fu il vice capo (Deputy Managing Director) del Fondo Monetario Internazionale (FMI), a Washington. Istituzione di cui oggi Olivier Blanchard, cittadino francese, è capo economista.

Quando un ricercatore del FMI vuole pubblicare un suo lavoro deve passare per l’approvazione di Olivier Blanchard. Raramente di questi tempi Blanchard ha tempo di scrivere lui un lavoro presso il Fondo, troppo impegnato, troppa crisi in giro per il mondo da gestire, specie in Europa. Quindi quando esce un lavoro del FMI firmato tra gli altri da Blanchard, che autorizza se stesso, c’è da drizzare le orecchie. Perché vuol dire che il lavoro scotta, a livello politico, e che l’istituzione tutta si impegna al suo massimo livello a confermare la bontà dei contenuti del lavoro.

Un lavoro sui moltiplicatori della politica fiscale nel mondo. Specie nell’area euro.

E già, perché sarà più di un anno che su questo blog parliamo, tanto, quasi fino alla nausea, dei moltiplicatori fiscali, chiedendo che siano messi al centro del dibattito di politica economica in Italia ed in Europa, protestando perché non capendo che moltiplicatori di grande dimensione, come noi abbiamo sempre sostenuto essi siano in questa fase unica della storia economica moderna dei paesi occidentali e in particolare dell’Europa, fanno sì che l’austerità generi recessioni così ampie da minare la coesione sociale di un Paese e, ancor di più, quella di un giovane Paese in divenire, l’Unione europea.

“Se tagliate la spesa pubblica, cosa avviene al PIL ed alla disoccupazione?”. Nulla! Anzi, le cose andranno meglio!, ci hanno detto per mesi Alesina, Giavazzi e tanti altri. Ho insistito nel dire che nessuno che ha studiato economia e conosce la storia economica taglierebbe mai la spesa pubblica in un periodo così recessivo. Che questa andava aumentata e certo mai tagliata, se non in quegli sprechi, una volta identificati, che spesa non sono (non ci si compra nulla di più con essi) ma meri trasferimenti di denaro dalla gente onesta che paga le tasse a gente disonesta che viene pagata più di quanto sia necessario per quello che vende al settore pubblico. Ma invece abbiamo fatto tutto il contrario: non abbiamo cercato gli sprechi, ed abbiamo tagliato domanda pubblica vera che creava lavoro ed occupazione.

“Se aumentate le tasse, cosa avviene al PIL ed alla disoccupazione?”.Qui eravamo un po’ tutti d’accordo. Fa male all’economia. Ma io ho continuato a dire che a PIL ed occupazione in questa recessione incredibile faceva più male il taglio alla spesa pubblica, perché la gente, tassata, quelle maggiori tasse imposte sul reddito non le avrebbe spese così tanto, per paura del domani, se le avessimo lasciate nelle loro tasche. Detto in altro modo tecnico, che il moltiplicatore della spesa pubblica - quanto una diminuzione (o un aumento) di questa genera di diminuzione (aumento) del PIL – è più ampio del moltiplicatore delle tasse. Apriti cielo se ce n’era uno d’accordo ai tavoli della politica economica e delle prime pagine di Corriere e Repubblica!



Così arriviamo a Blanchard ed al suo studio, assieme a Daniel Leigh, sull’impatto dell’austerità su PIL ed occupazione. Che affronta con un qualche coraggio la critica rivolta al FMI che quando questo ha stimato gli impatti dell’austerità ha sottostimato sistematicamente l’impatto recessivo di questa su PIL e disoccupazione. Il sospetto che i due hanno voluto verificare è che gli errori nelle previsioni FMI di (de)crescita dopo misure austere provenisse dai loro modelli econometrici che non hanno incorporato durante la crisi un moltiplicatore sufficientemente alto.

Un po’ come il nostro Ministero dell’economia e delle finanze che da qualche anno a questa parte, a seguito delle sue politiche di austerità, deve poi costantemente rivedere le sue stime sulla crescita, rivedendole drammaticamente al ribasso.

Se ciò fosse vero, abbiamo la perfetta spiegazione del perché il governo Monti ed il governo Berlusconi prima di lui, grazie al mirabile apporto dei tecnici europei, hanno generato recessione, disoccupazione e debito pubblico su PIL crescente (e sto contando il debito pubblico su PIL, Presidente Monti, senza tener conto degli aiuti italiani alla Grecia, per tener conto del suo intervento non proprio chiarissimo al riguardo ad Otto e mezzo l’altra sera): avrebbero pensato che la stupida austerità servisse a qualcosa perché avrebbero sottostimato la dimensione dei moltiplicatori.

Ecco cosa scoprono di incredibile Blanchard ed il suo coautore (tenetevi forte):

1. Se l’austerità attesa aumenta di 1% di PIL, nella crisi del 2010-11, il PIL cade di circa 1% in più di quanto non già previsto: “un’interpretazione naturale di questo risultato è che i moltiplicatori impliciti nelle previsioni erano sottostimati di 1 unità”. Ovvero, se come poi racconta Blanchard, il FMI ha usato in questa crisi un moltiplicatore di 0,5, quello vero era 1,5. Non bazzecole, come errore;

2. I risultati sono sorprendentemente robusti: non dipendono dai c.d. casi estremi (come Germania e Grecia), né dipendono dal considerare solo i paesi euro o anche altri paesi europei. Se però si inseriscono i dati di Paesi non in una crisi estrema come la nostra i risultati spariscono, a conferma che è in Europa OGGI che stiamo vivendo un momento eccezionale in cui particolarissima cura va adottata nel fare politica fiscale intelligente;

3. Mah, forse, mi direte, forse non è tanto che si è sottostimato l’impatto dell’austerità sulla crescita, ma di qualche altra variabile? Forse è l’alto livello del debito pubblico sul Pil che spiega perché la crescita è stata più bassa del previsto? Macché. Spiacenti per i declinisti del debito che pensano di salvare il Paese vendendo immobili: l’effetto dell’austerità permane, debito alto o debito basso.

4. C’è poi un passaggio che mi delizia nel lavoro di Blanchard e soci: un esempio che fanno. Che calza a pennello per il caso italiano. Loro non lo riferiscono all’Italia, lo dicono in generale, ed io ve lo riporto: “per esempio, un aumento degli spread potrebbe anche essere il risultato di una crescita inferiore a quella attesa e anche causa di minore crescita. In tal caso, una crescita economica inferiore a causa dell’austerità potrebbe generare un aumento degli spread, e tali aumenti di spread potrebbero, a loro volta, ridurre ulteriormente la crescita del PIL”. Wow. Avete mai pensato a ciò? Che tutte le manovre austere che abbiamo fatto potrebbero avere fatto aumentare lo spread e con ciò peggiorare ancora di più la crescita? Il FMI ci ha pensato.

5. Continuiamo, la cosa si fa sempre più interessante. Dove sono stati maggiori gli errori? Nel valutare gli effetti della spesa pubblica o delle tasse? Errori da ambedue le parti, ma maggiori … sul sottostimare il peso negativo del tagliare la spesa pubblica. Insomma al FMI non hanno usato modelli à la Alesina e Giavazzi che dicono che tagliare la spesa pubblica fa bene, per fortuna (avrebbero commesso errori ancora più giganteschi), ma anche usando modelli normali non hanno resistito a sottostimare la gravità del tagliare la spesa pubblica in una crisi eccezionale come questa.

6. Ma quando aumenti le tasse e diminuisci la spesa pubblica la recessione si … moltiplica appunto, via taglio dei redditi (le imprese non partecipano più agli appalti che sono stati cancellati, non si pagano le imprese, che smettono di investire, queste non pagano i dipendenti, che smettono di consumare…). Dove ha fatto più male l’austerità inaspettatamente? 4 volte più sul taglio degli investimenti che sul taglio dei consumi. E poi: molto più del previsto sulla disoccupazione e sulla domanda interna.

Insomma, povero Keynes, sempre così poco ascoltato a Washington.

Ora, lo ripeto, quando voterete questa o quella coalizione, per favore, chiedetegli, al leader: quale pensa sia il moltiplicatore della spesa pubblica in questa drammatica recessione? E cosa intende fare al riguardo? Se vi risponde: ancora austerità, saprete cosa fare. Spero. Ne sono certo.
 
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La Stampa - Fisco: Monti: Non voglio patrimoniale, ridurrò Imu su prima casa

Nessuna patrimoniale, ma riduzione dell'Imu sulla prima casa e abbassamento della pressionefiscale grazie ai risparmi della spending review finora bloccata dai partiti. Lo ha detto Mario Monti, durante la registrazione di 'Porta a Porta'.
In primo luogo, Monti ha chiarito che "al di là di qualche equivoco, io non penso assolutamente a imposte patrimoniali". Poi sull'Imu ricorda che "non è stata introdotta dal governo tecnico ma dal governo precedente. Noi abbiamo dovuto eseguire le volontà del governo precedente di portare a zero il disavanzo nel 2013. Voglio che l'Imu sulla prima casa venga ridotta, senza fare quelle giravolte che nel 2008 permisero a Berlusconi di vincere la campagna elettorale e poi creare una situazione che li ha costretti a rimetterla".
Dunque per Monti "perchè si riduca la pressione fiscale bisogna ridurre la spesa pubblica, continuando gli esercizi penosi di spending review che finora sono stati bloccati dai partiti. Per questo bisogna cambiare la composizione del Parlamento".
 
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