Boone (chief economist Ocse): in Europa inflazione da offerta, la Bce sia cauta sui tassi - 24+
«Occorre una cautela particolare da parte della Bce sui tassi perché l'aumento dei prezzi è trainato dall'offerta e non come negli Stati Uniti da una superdomanda"
Il titolo dell'editoriale del nuovo rapporto sulle prospettive economiche dell'Ocse è: “Il prezzo della guerra”. E la prima osservazione della capo economista Laurence Boone è semplicissima: il prezzo è pesante e condizionerà a lungo l'andamento dell'attività economica nei paesi industrializzati. «È un prezzo elevato che deve essere condiviso» perché l'effetto dell'aumento del costo dell'energia e dei beni alimentari (primari) varia a seconda dei paesi e a seconda dei redditi percepiti. Se si ha un lavoro, naturalmente.
La fase economica e politica è delicatissima, dice Boone in questa intervista a Il Sole 24 Ore Radiocor: se non sono più giustificate misure generalizzate di sostegno ai redditi, queste devono essere sostituite da misure più mirate senza diminuire il ruolo degli investimenti pubblici. Perché «al momento prevalgono i rischi di peggioramento dell'economia, non prevale la prospettiva di un miglioramento».
Per quanto riguarda la Bce, «non ci sono ragioni di avere una politica monetaria accomodante come quella che si è avuta negli ultimi anni ed è appropriato ritirarne una certa parte, però occorre una cautela particolare per l'area euro perché l'aumento dei prezzi è trainato dall'offerta e non come negli Stati Uniti da una superdomanda».
Sull'Italia, la capoeconomista Ocse ha questo messaggio: «L'obiettivo di fondo deve essere il recupero strutturale di una capacità di crescita superiore ai livelli del passato attuando il piano di riforme e investimenti senza ritardi». E soprattutto «occorre una certa stabilità delle politiche, che è la condizione per sostenere gli investimenti privati».
«Ci sono tre rischi principali per le prospettive economiche, che sono peggiorate a causa della guerra russa contro l'Ucraina: crisi alimentare nei paesi poveri; difficoltà ad uscire dalla dipendenza dal petrolio e dal gas russi; intoppi produttivi su scala globale derivanti dalla politica ‘zero Covid' della Cina. A questi tre rischi si aggiunge un'urgenza: fronteggiare gli effetti sociali dell'alta inflazione, che erode i redditi reali, i risparmi, il potere d'acquisto. L'alta inflazione rende necessaria una ripartizione equa delle conseguenze fra imprese e persone, fra profitti e salari».
Nel rapporto sull'economia pubblicato oggi l'Ocse insiste molto sulla gestione degli effetti sociali dell'aumento dei prezzi, che durerà più a lungo del previsto; Ciò riflette una forte preoccupazione sulla tenuta delle nostre società. È così?
«La cosa certa è che i gruppi di popolazione più poveri, vulnerabili si trovano in una condizione sempre molto difficile. Sono i lavoratori che spendono di più per l'elettricità, i bei alimentari, i trasporti. Questo è l'effetto concreto dell'aumento dei prezzi dell'energia e dei beni alimentari, che deriva dal fatto che Russia e Ucraina sono grandi esportatori di materie prime. L'inflazione può erodere anche i profitti e la capacità delle imprese di investire, per cui anche le imprese hanno interesse a contrastarla. Ma è evidente che occorrono negoziati fra imprese e lavoratori perché il costo sociale dell'alta inflazione sia ripartito in modo equo. D'altra parte, è chiaro che se le imprese ripercuotessero sui prezzi gli aumenti salariali che presumibilmente si materializzeranno verso fine anno in Europa, i lavoratori chiederanno di nuovo incrementi delle retribuzioni, avviando un circolo vizioso. Di qui la necessità che le imprese assorbano una parte di questi aumenti dei prezzi».
In quale misura è possibile evitare il rischio di un peggioramento dell'economia?
«Molto dipende da quanto durerà la guerra in Ucraina. Attualmente lo sforzo è, da un lato, limitare la capacità della Russia di finanziare la guerra, con le sanzioni economiche; dall'altro lato, fronteggiare, ridurre le conseguenze sociali devastanti della guerra. La prima urgenza è evitare la crisi alimentare partendo dalla constatazione che ci sono cereali per tutti nel mondo e il problema è che arrivino ai paesi che ne hanno bisogno. A prezzi ragionevoli. Per questo i governi degli stati Ocse devono occuparsi del trasporto dei cereali dalle diverse parti del mondo dove i beni alimentari sono prodotti e se i prezzi sono elevati occorre un aiuto supplementare ai paesi poveri. Bisogna procedere con acquisti comuni, raggruppati, occorre agire sui cereali come è stato fatto con i vaccini anti Covid-19. Poi l'energia: anche qui sappiamo che di petrolio ce n'è abbastanza in termini di capacità Opec. Se utilizzassimo queste capacità i prezzi del barile si ridurrebbero. Per il gas le cose sono più complicate perché occorre costruire nuove infrastrutture e forse occorre anche gestire la domanda».
A proposito di gas, è favorevole alla definizione di un tetto ai prezzi?
«La Commissione Europea sta studiando le soluzioni possibili e per ora non ci sono indicazioni sul modo in cui potrebbe funzionare. Intanto si può vedere se effettivamente possono realizzarsi acquisti comuni dei paesi dell'Unione Europea a un prezzo fisso: ciò permetterebbe di avere un prezzo visibile. Vedremo le conclusioni comunitarie. La cosa certa è che l'uscita dalla dipendenza dall'energia russa non può essere fatta in tempi brevi, di qui il rischio di prezzi ancora più alti o anche di problemi di approvvigionamento».
E il rischio Cina, particolarmente sentito dall'industria europea?
«Purtroppo non c'è tanto che si possa fare, la politica zero-Covid continua a pesare sia sull'economia cinese sia sulle catene globali di approvvigionamento, segno che dobbiamo aumentare più rapidamente possibile la resilienza delle nostre economie diversificando le fonti di approvvigionamento e prevedere un modello produttivo con stock più elevati».
Come i governi europei e la Commissione, l'Ocse insiste molto sulla capacità di agire con i bilanci pubblici e con la politica con un approccio che permetta di adattare le scelte con molta flessibilità, data l'estrema incertezza geopolitica e sulla reazione delle economie a una guerra prolungata.
«Politiche di bilancio e politiche monetarie devono tenere conto delle circostanze cambiate. Ciò implica sostegno degli Stati all'attività economica e ai redditi più mirati rispetto alla fase precedente (la pandemia – ndr) con molta attenzione alla tutela delle fasce più vulnerabili. E implica un cambiamento della politica monetaria perché sia gli elevati livelli di inflazione sia gli elevati livelli dell'occupazione mostrano che non è più necessario un accomodamento. Però l'Europa è l'epicentro della guerra ed è difficile far fronte a uno choc di offerta di fronte al quale la politica monetaria può solo inviare segnali che non lascerà che l'alta inflazione si diffonda ancora di più, si rafforzi. Quando la BCE interveniva con l'inflazione al ribasso dava indicazioni di politica monetaria in una prospettiva molto lunga, attualmente con i rischi di inflazione persistentemente al rialzo e con la guerra in Ucraina bisogna adattarsi tenendo conto dei fattori che attualmente conosciamo meglio. Di qui la cautela particolare necessaria nell'area euro».
Per esempio, non ci sono attualmente forti pressioni salariali…
«È così, anche per questo motivo non rivolgiamo alla BCE le stesse raccomandazioni che rivolgiamo alla Federal Reserve. Laddove l'inflazione è guidata a una domanda molto vivace, è il caso degli Stati Uniti appunto, la politica monetaria può essere serrata più rapidamente».
In questo contesto, qual è la posizione dell'Italia? Nel rapporto insistete molto sul fatto che anche in Italia prevalgono i rischi di un peggioramento della crescita quest'anno e che l'impegno politico a compensare le incertezze dovute alla guerra si fonda sull'effettiva attuazione del piano nazionale di investimenti e riforme. Per i primi segnalate che ci sono dei ritardi.
«Il tema della capacità di crescita per l'Italia resta centrale: lo era prima e lo è tanto più adesso. Intanto c'è un problema generale che riguarda l'Italia ma non solo l'Italia: per realizzare gli investimenti pubblici è necessario superare regolamentazioni complicate perché possano essere messi in opera. Da questo punto di vista l'azione del governo italiano per il coordinamento è molto positiva. Dovrebbe durare nel tempo. Poi c'è il lato degli investimenti privati e affinché questi si realizzino occorre fiducia, occorrono impegni che aiutino la stabilità delle politiche scelte: ecco il motivo per cui l'effettiva realizzazione del piano nazionale di investimenti e riforme è essenziale. La ragione è che aumenta la fiducia e la stessa resilienza dell'economia. In sostanza, penso che l'Italia dovrebbe continuare con le politiche decise visti i successi conseguiti nel contrasto della pandemia e nel fronteggiare gli effetti della guerra. Ci sono molti segnali positivi, per esempio il calo notevole del tasso di disoccupazione, l'aumento del tasso di impiego di donne e giovani. Direi che sull'Italia occorre avere fiducia…».
Sebbene abbiate rilevato che gli oneri del debito pubblico non aumenteranno in misura significativa, indicate che i rischi nel caso di tassi di interesse più elevati potrebbero essere sostanziali. Preoccupazioni per l'andamento dello spread?
«Intanto, va ricordato che le scadenze lunghe dei titoli pubblici costituiscono un fattore di stabilità per l'Italia. Poi è importante il contesto, sono importanti le politiche di riforma: deve essere chiara la direzione verso cui si muove il paese. Di qui la necessità di realizzare le strategie definite. Dal lato della politica monetaria, è tutta una questione di equilibrio: se la BCE acquista meno debito degli Stati è chiaro che emergono degli scarti tra i tassi per i vari paesi. Lo si vede per l'Italia e non solo. È evidente che la Banca centrale europea dovrebbe fare attenzione al possibile scarto fra i tassi. In ogni caso, per ora gli scarti per l'Italia non sono sproporzionati».