Architettura radicale

Noi non ci siamo mai chiamati Radicali”, dice Toraldo Di Francia, che ricorda (facendo svanire ogni tentativo di trovare una data precisa di inizio del movimento legato a fatti specifici: l’alluvione di Firenze del 1966 per esempio), che loro invece erano parte dell’occupazione dell’Università di Firenze nel 1963, che agli esami costringevano i professori a sorbirsi le loro performances e non i loro compiti, che se si guardavano intorno pensavano ai Pink Floyd ed alla ricerca sperimentale tra suono e immagine di Giuseppe Chiari. E Frassinelli che partendo da Marx ci dice che essere radicali significa “prendere i problemi alla radice”.

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A Milano facevamo squadra contro la Pop Art:D, dice Ugo La Pietra.

Sulla carta, un po’ tutto o niente, se uno registra solo le le etichette metodologiche ed i campi disciplinari della storiografia. E invece dalla sua narrazione si evince una tensione che va ben oltre i confini delle discipline e delle professioni, e che punta invece ad abbracciare la vita, il presente, ed esserne parte in maniera significante. “Radicale è una attitudine” dice ancora, “di chi ha un atteggiamento critico”. O ancora “di chi cerca gli strumenti da dare alla società per capire”.
 

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Sarebbe interessante sentirli ora questi radicali, se ritengono ancora che “gli strumenti da dare alla società per capire”, fossero quelli giusti.
Se l’unica soluzione per “prendere i problemi alla radice” fosse il marxismo.
La verità è che avete sbagliato tutto, come uomini, non avete visto la differenza tra totalitarismo e libertà. Non era facilissimo, le peggiori idee sono spesso portate avanti dai più intelligenti, ma questa non è un’attenuante.
Come architetti avete sostenuto il brutto, perché democratico, utile, equalizzatore, a scapito del bello che è per pochi, per chi se lo può permettere, capitalista e individualista. E avete toppato.
Ugo la Pietra, ammettilo che ci hai condannato al brutto, tanto ti collezioniamo lo stesso, se oggi gli italiani non hanno più un gusto per il bello, la colpa è anche un po’ la tua.
Con simpatia.
Neanche ho bevuto stavolta!
 
Ugo la Pietra, ammettilo che ci hai condannato al brutto, tanto ti collezioniamo lo stesso, se oggi gli italiani non hanno più un gusto per il bello, la colpa è anche un po’ la tua.
Con simpatia.
Neanche ho bevuto stavolta!

il tuo riferimento al "brutto" per uno come me che ama l'arte povera anni settanta, il concettuale anche più sfrontato e l'azionismo viennese,
oltre all'architettura radicale
ovviamente stride un pò.

"L’arte è l’unica forza veramente rivoluzionaria, che permette attraverso la creatività e la libertà di fare della vita una scultura vivente"
e pure Costui di opere "belle" non ne fece, sai?:D
 

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Beh @brix qualche opere bella l'ha fatta anche Beuys:
tra le varie mi piace ricordare una sua famosissima hit musicale (con una bellissima scultura vivente):
"Beuys Beuys Beuys" di cui allego il video. :D

 
La miglior risposta ad architetti radicali e “architette radicale”: voglio vedere i miei montagne! :D
 
erano utopie, si sa:o

come buona parte di quegli anni
Arte e contestazione
Arte in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta:
http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1567/825785-26920.pdf?sequence=2

se poi preferite chi non ha cavalcato arte e contestazione
potete sempre stare sui colori di Faccincani:D

Non darmi del fascista ora, ma qui ce lo vedo proprio bene. Si poteva essere utopisti e non ideologizzati.
“Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti. Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto”. Joseph Ratzinger 24 dicembre 1969.
 
in tema di Gillo Dorfles
consiglio questa lettura.
 

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http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1567/825785-26920.pdf?sequence=2
Dalla bella tesi riportata da artebrixia, estrapolo questo passaggio:
“La possibilità di sviluppare secondo regole precise la costruzione dell'immagine artistica è suggerita inoltre dall'arte programmata, diffusa in Italia a partire dai primi anni Sessanta. Ugo La Pietra compie nelle sue tessiture ricerche parallele a quelle condotte dai pittori che nello stesso periodo cominciano a programmare i propri procedimenti compositivi, dichiarando a priori le operazioni compiute nella costruzione dell'opera. (...) Si tratta di una serie di campioni di figure modulari, capaci di aggregarsi fra loro per costruire le opere. Il procedimento (...) procede poi in una successione di passaggi combinatori logicamente controllati, che articolano una serie di “rapporti alternati”. La pittura programmata stabilisce le operazioni da compiere prima di passare alla realizzazione e vi si attiene in modo rigoroso. Tuttavia le “Strutturazioni tissurali” contengono già nella propria stessa base compositiva il germe della crisi della forma programmata. Il segno di La Pietra è infatti confrontabile con quello di artisti che basano le proprie composizioni sul segno pittorico, come Carla Accardi o Piero Dorazio.”
Collezionisti di Accardi, Dorazio, Sanfilippo, Turcato, ecc. (quindi mi ci metto anch'io), forza con La Pietra!
P.S. I metacrilati si trovano?
 
Titolo: Le permis de penser (Licenza di pensare) Artista: Gianni Pettena Date di apertura: fino al 13 maggio 2018 Luogo: Galleria Salle Principale Indirizzo: 28 Rue de Thionville, Parigi
 
Tratto sempre da qui:
http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1567/825785-26920.pdf?sequence=2
Archizoom Diagrammi abitativi omogenei 1969

“La riflessione espressa in questi disegni nasce da una presa di posizione politica sullo statuto dell'architettura che, come disciplina volta a caratterizzare qualitativamente i manufatti urbani, viene considerata inadeguata alla società del tardo capitalismo, vista come un sistema produttivo omogeneo, basato sulla quantità.
Il rapporto fra i “Diagrammi abitativi omogenei” scritti a macchina e la città a cui rimandano infatti non si definisce come una rappresentazione. In altri termini, (...) al legame diretto fra l'oggetto, reale o immaginato, e la sua immagine,(...) si sostituisce la produzione di un secondo oggetto a se stante, analogo alla città, poiché figlio della stessa logica produttiva industriale,basata sulla quantità.
La logica compositiva della quantità e della ripetizione trova piena realizzazione dalla fabbrica, luogo della produzione per eccellenza, e dal supermercato, in cui il prodotto incontra il consumo di massa. Questi spazi non sono dotati di una forma esterna o di una tipologia, ma risultano dalla successione di cellule distributive funzionali alla produzione industriale o al commercio e, come i “Diagrammi abitativi omogenei”, potrebbero estendersi all'infinito. Ambiscono piuttosto a costituire un campo neutro e anonimo, su cui possa irrompere in tutta la sua carica figurativa e nella massima libertà l'estetica pop, incarnata nei segnali pubblicitari, nei prodotti stessi del consumo di massa e del disegno industriale”.
 
Ultima modifica:
eccomi qui, con un piccolo metacrilato del 1966OK!

I famosi pallini, volevo dire strutturazioni tissurali, in metacrilato!
Si vede l’intervento casuale e imprevedibile che interrompe un ordine programmato.
Mai banale e convincente anche in questi lavori OK!
 
"Dei bravi ragazzi, abbastanza cattivi per non lasciarsi inibire dai vecchi discorsi".
:D:D:p

Con queste parole, Ettore Sottsass introduceva il lavoro del celebre gruppo radicale italiano sulle pagine di Domus degli anni '60.
Archizoom, quei bravi ragazzi - Domus
 
La neo-avanguardia architettonica definita per le sue azioni e il suo pensiero radicale, ha caratterizzato il decennio 1963-73 in Italia e in particolare a Firenze, Torino, Milano.
Nelle recenti ricostruzioni storico-critiche si è sempre cercato di sminuire il ruolo dei gruppi/singoli che non erano fiorentini compiendo un grave errore storiografico. Per quarant’anni l’“architettura radicale” è rimasta nell’oblio a causa di una critica militante, zeviana o tafuriana non importa, che non l’ha considerata degna di apparire all’interno della storia ufficiale creando un buco nero, un’assenza. Questa ricerca svolta dal critico di architettura Emanuele Piccardo cerca di riempire un vuoto raccogliendo le testimonianze dirette dei protagonisti attivi in Italia, con l’obiettivo di contestualizzare le sperimentazioni teoriche e fisiche nello spazio pubblico della città, sia dal punto di vista storico, sia da quello culturale e politico. Ciò avviene nella modalità dell’intervista video in cui vengono fissati alcuni parametri come il contesto culturale degli anni sessanta: dalla contestazione al sistema alla musica rock inglese, dalla pop art alla protesta studentesca di Berkeley ’64; da ****-Up (1966) di Antonioni a 2001: Odissea nello spazio(1968) di Kubrick; dal Living Theatre all’Arte Povera.; dalla rivista Marcatre alla musica sperimentale di Giuseppe Chiari; dalle teorie di Architecture Principe (P.Virilio+C.Parent) all’utopia realizzata di Paolo Soleri; dalla Land-Art ai Metabolisti giapponesi; dai gonfiabili di Utopie Group alle fanzine degli Archigram, da Volterra ’73 a Contemporanea fino alla Biennale d’Arte di Venezia del ’76…Insomma il contesto sociale e artistico ha creato l’humus in cui si sono sviluppate le sperimentazioni degli architetti tra teoria e progetto, tra performance,installazione e happening.

Non considerare il contesto in cui questo movimento si è sviluppato significa fornire un’interpretazione superficiale della storia; ciò è avvenuto per le recenti ricerche francesi. L’ “architettura radicale”italiana nonostante fosse supportata da un’ideologia politica forte, con una sperimentazione teorico-progettuale costante, non è stata capace di trasformare tale apparato in architettura. Sono stati altri nei decenni successivi ad applicare il pensiero radicale è il caso del Pompidou di Piano e Rogers, delle architetture di Bernard Tschumi, Rem Koolhaas e Zaha Hadid,studenti all’Architectural Association di Londra proprio nel periodo del boom radicale. Un discorso a parte merita il pianeta Vienna dove figure come Hans Hollein e i Coop Himmelblau sono riusciti a costruire architetture espressione delle riflessioni radicali. Gli architetti radicali italiani invece hanno riversato il loro impegno, in una prima fase, nella creazione della Global Tools, un sistema di laboratori per la propagazione dell’uso di materie tecniche naturali e relativi comportamenti, ponendo come obiettivo stimolare il libero sviluppo della creatività individuale. Nella seconda fase hanno contribuito all’evoluzione del design italiano, alcuni di loro hanno abbandonato l’attività con l’avvento del post-modern altri hanno continuato a esercitare la professione di architetto o designer. Oggi ripercorrere le tappe di una straordinaria sperimentazione umana e culturale significa valorizzare il contributo che i radicali hanno dato all’architettura italiana ed internazionale mettendo in evidenza non solo il ruolo dei più conosciuti Archizoom, Superstudio e Gianni Pettena, ma soprattutto il ruolo di UFO, 9999, Zziggurat a Firenze, Gruppo Strum a Torino, Ugo La Pietra a Milano.

di Valentina Ciuffi
 

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Realizzazioni di Sottsass tratte da Domus.

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In tema di Piper (mi intriga sta cosa, eh?:rotfl::rotfl::rotfl::rotfl::hic:)

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L’architettura radicale è rimasta nell’ombra per un ventennio, fino a quando nel 1996 Hans Hollein viene nominato direttore della Biennale di Architettura di Venezia, e affida a Gianni Pettena la curatela della mostra Radicals. Un evento a cui partecipano gruppi radicali e gruppi o singole figure che assumevano comportamenti radicali rispetto allo status quo, ma che non potevano essere considerati fautori del movimento nato a Firenze nel 1966 (con la fondazione di Archizoom e a seguire Superstudio, UFO, Pettena, 9999, Remo Buti e Zziggurat), con la prerogativa di ribaltare il concetto di progetto, espresso dal movimento moderno. Ma l’architettura radicale si sviluppò in modo frammentario anche a Milano grazie a La Pietra e a Torino con Pietro Derossi e il futuro Gruppo Strum.

Non fu un movimento, né tanto meno un gruppo di architetti che parlavano la stessa lingua, bensì un coacervo di personalità diverse che, in un determinato periodo storico, si sono ritrovati a riflettere sul significato del progetto di architettura usando strumenti e media diversi. Da una parte chi, come Superstudio e Archizoom, era interessato unicamente al progetto teorico, mentre altri come gli UFO, Gianni Pettena, Ugo La Pietra e in parte Derossi sperimentavano le loro riflessioni teoriche nello spazio pubblico, rappresentato dalla piazza e dal piper/discoteca. Il 1999 (poi trasformatosi nel ’70 in 9999) verificava sui muri del Ponte Vecchio l’affermazione di McLuhan “il medium è il messaggio”. Qui il medium era la proiezione degli astronauti sulle case del Ponte, per coinvolgere sensorialmente quel pubblico che avrebbe invaso il piper-discoteca Space Electronic, progettato, realizzato e gestito dal gruppo a partire dal 1969; condizione analoga al primo Piper realizzato da Pietro Derossi (con Giorgio Ceretti) a Torino nel 1966.


Piper Chair - Anni '60 revival | La casa in ordine
 

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