Cos'è l'amore per te? (2)

Il vero amore non si riconosce per ciò che chiede, ma per ciò che offre.
La vita è un sonno, l'amore ne è il sogno, e avrete vissuto se avete amato.
Il vero amore consiste nell'accettare gli altri così come sono senza cercare di cambiarli.
Un vero amore non sa parlare.
 

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Nel simposio di Platone si riunirono alcuni filosofi per parlare d'amore. Tutti dissero la sua mentre Socrate ebbe una tesi diversa. Disse che solo le donne sanno parlare d'amore e in quella occasione si portò dietro Diotima di Mantinea.
 

Allegati

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You could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love

You could be the one who listens
To my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken
Pieces of the life I had before
First there was the one who challenged
All my dreams and all my balance
She could never be as good as you
You could be my unintended
Choice to live my life extended
You should be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken
Pieces of the life I had before

I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken
Pieces of the life I had before
Before you
Ooh, ooh, ooh, ooh, ooh
Ooh, ooh
 

Umberto Galimberti 2017​


Tra la mia ragione e la mia follia ci sei tu”


lectiodi Umberto Galimberti a partire dal Simposio di Platone


Le cose d’amore non appartengono al racconto dell’anima razionale perché, in loro presenza, l’anima si sposta, esce dal recinto umano della ragione e si ricongiunge alla follia degli dei. Ma non ci perdiamo in essa, perché ci accompagna l’amato, a cui siamo legati proprio perché ha colto e in qualche modo riflesso la nostra follia. Quando dico «ti amo» che cosa sto dicendo di preciso? E soprattutto chi parla? Il mio desiderio, la mia idealizzazione, la mia dipendenza, il mio eccesso, la mia follia? Eccome si trasforma questa parola quando il desiderio si satura, l’idealizzazione delude, la dipendenza si emancipa, l’ eccesso si riduce, la follia si estingue? Non c’ è parola più equivoca di«amore» e più intrecciata a tutte quelle altre parole che, per la logica, sono la sua negazione. Tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza che l’ amore si nutre di novità, di mistero e di pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’ idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’ amarezza della disillusione. Qui Freud ci pone una domanda: «Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza?». Quanti cambiamenti dell’altro ignoriamo per garantirci un partner prevedibile? L’ amore uccide il desiderio. E siccome in qualche modo lo sappiamo non è raro che trasformiamo in abitudini le persone che amiamo, e, attraverso questa degenerazione protettiva, ci garantiamo la sicurezza della casa e ci difendiamo dalla vulnerabilità intrinseca dell’ amore. Le caratteristiche adorate dell’ altra persona, che un tempo ci avevano fatto innamorare, possono anche non essere affatto illusorie, ma siccome perdere chi è «unico al mondo» è molto più doloroso che perdere uno qualsiasi, dall’ idealizzazione di solito ci si difende o troncando la relazione dopo il primo incontro, o aggrappandosi alle imperfezioni e ai difetti del partner per tenere a bada la fascinazione. Meglio spegnere subito una stella o offuscare la sua luce, piuttosto che correre il rischio che quella stella non splenda per noi. Brividi sì, ma brividi sicuri. Si sente dire che, in amore, desiderio da un lato e idealizzazione dall’altro giocano contro il «sano realismo» che forse, oltre a non essere più reale dei desideri e delle idealizzazioni che incendiano le nostre passioni, è solo l’ ultima illusione che costruiamo per difenderci anticipatamente dalla disillusione. Ma nelle regioni, abitate dalla prudenza scambiata per «esame di realtà», non è dato incontrare le case d’ Amore. E allora è molto più vero dire:« Ti odio perché ti amo. Ti denigro per poter continuare la convivenza con te». Davvero l’ odio è il compagno inevitabile dell’ amore? Se gettiamo uno sguardo nelle nostre menti, dove si verificano la maggior parte dei crimini passionali, parrebbe che le cose vadano proprio così. In effetti non c’ è nessuno che non abbia provato un profondo sollievo quando l’ amore sopravvive al primo litigio all’ ultimo sangue. Anzi di solito in simili circostanze «si fa l’ amore», quasi per celebrarne la profondità e la resistenza che non si sarebbe potuto verificare in nessun altro modo. Sembra quindi che l’ odio sia il compagno inevitabile dell’amore, la cui sopravvivenza forse non dipende tanto dalla capacità di evitare l’ aggressività, quanto dalla capacità di viverla e di oltrepassarla in nome dell’ amore. Ma c’ è anche chi non regge il gioco forte dell’ amore e dell’ odio perché, a un certo punto del percorso, l’ amore per sé confligge con l’ amore per l’altro. In questo caso non si prova aggressività, ma semmai«ambivalenza», per cui da un lato vogliamo essere con l’ altro, ma nello stesso tempo, per salvare la nostra individualità, vogliamo non esserci completamente. Di qui quell’ esserci e non esserci, quel rincorrersi e tradire, che fa parte della relazione amorosa.Perché amore è una «relazione», non una «fusione». Nel viaggio che si intraprende fuori dal «noi» e che prescinde dal «noi», è il «noi» che si tradisce, mai il «tu». Quel che si imputa al traditore è di essere diventato diverso e di muoversi non più in sintonia, ma da solo. Soltanto se si accetta il cambiamento dell’altro e lo si accoglie come una sfida a ridefinirsi e a ridefinire la relazione, il tradimento non è più percepito come tradimento. Ma ridefinirsi è difficile così come accettare il cambiamento. Per questo le vie più battute sono quelle della fedeltà, o in alternativa quelle del risentimento e della vendetta. Tutto questo accade perché siamo soliti pensare ad amore come a una vicenda tra uomini e non, come ci ha insegnato Platone, a una vicenda tra uomini e dèi. Proiezioni antropologiche di istinti e pulsioni che l’ io razionale «patisce» e perciò legge come «altro da sé». Gli dèi infatti sono dentro di noi e la loro follia ci abita. Per questo l’amore di cui parla Platone non ha la forma di un sentimento umano, ma quella più inquietante della possessione di un dio, per cui non è il nostro io a proferir parola, ma il dio che lo possiede. Quanto basta per farci capire che, in presenza di amore, il nostro io subisce una dislocazione che sposta la nostra riflessione, e ci obbliga a pensare a partire da amore, e non dall’ io che inaugura una storia d’ amore. Amore, infatti, non è qualcosa di cui l’ io dispone, ma semmai è qualcosa che dispone dell’ io, qualcosa che lo incrina, che lo apre alla crisi, che lo toglie dal centro della sua egoità, dall’ ordine delle sue connessioni, per nessi di tutt’altro genere e forma e qualità. Per questo Platone erge Amore a simbolo della condizione dell’ uomo, mai in possesso di sé, ma sempre dilaniato, ragion per cui Amore non è solo vicenda di corpi, ma traccia di una lacerazione, e quindi incessante ricerca di quella pienezza, di cui ogni amplesso è memoria, tentativo, sconfitta.
 
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Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti assieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.

(Dino Buzzati)

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Tutto ciò che è vuoto mentale è amore.
La chimica, la passione sono dei segnali che il cervello manda che non considero amore, ma ossessioni mentali karmike. Solo con il vuoto si conosce l'amore, ma non è facile arrivarci... Iniziare con bodhicitta per avere uno stato sano è solo il primo passo di un lungo viaggio.
 

Si può amare senza vivere, ma non si può vivere senza amare.
Giuseppe Caputo



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