Differenza tra guardare un figurativo o un astratto

Lo spunto mi viene da una peraltro pregevole osservazione di ppf: Matisse sarebbe un punto di equilibrio perfetto tra gli amanti del figurativo e quelli dell'astratto.
Io sostengo invece che al massimo si tratta di ambivalenza. Mi spiego. Ritengo che nel guardare un'opera come quadro astratto l'osservatore abbia un atteggiamento ben diverso da quello che ha chi la vede come figurativa.
Si ammetterà che i famosi lavori di Rotko danno una risposta ben diversa se li si guarda come opera astratta pura o come finestre.
Ritengo che la differenza possa consistere nell'attivazione o meno dei neuroni-specchio che sono, uscendo dall'anatomia pura, le parti del cervello che sembrano preposte al "riconoscimento" e all'empatia.
A molti di noi sarà capitato quell'episodio sconcertante, che consiste nel mostrare una tela astratta a qualcuno che subito inizia a dire: qui c'è il cielo, questo sembra un animale, ecc. :wall:
Dove lui cerca una risposta a qualcosa che potremmo provvisoriamente definire come un'attivazione da parte sua dei propri neuroni-specchio, noi vedevamo un puro gioco di forme ... e anche molti pittori, che pure lasciano capire nei loro lavori astratti di essere partiti da un qualcosa di figurativo, non chiedono poi che il quadro venga vissuto se non come puro gioco di forme e colori.
La famosa scoperta di Kandinskij del quadro rovescio che era bello lo stesso (se andò davvero così) NON va intesa come un giudizio riferito all'opera, BENSì nello stesso senso dell'esempio iniziale su Matisse: l'opera permette che io la goda, ne usufruisca SIA attivando il riconoscimento (per il momento indichiamolo solo così) CHE non attivandolo, limitandomi a forme+colori (il che da un lato porta la visione ad avere analogie con quella dell'architetto, dall'altra, opposta, a somigliare a quella del musicista).
Insomma, Kandinskij non scopre\inventa il quadro astratto, ma l'atteggiamento di non-riconoscimento dell'osservatore.

Storicamente molti artisti si trovarono ad oscillare tra i due poli, creando, come ho scritto sopra, immagini astratte chiaramente derivate da una o più figure. L'evoluzione di Mondrian, in questo senso, resta esemplare. Oppure, abbiamo l'astrattismo lirico di un Singier dove fin dal titolo la figura viene richiamata ("Bagnante mattutina" ...). Ma durante il XX secolo gli artisti hanno pian piano fatto chiarezza, chi tornando a rielaborare la figura anche in modi estremi (Appel, Jorn) chi invece oltrepassando le angoscianti colonne d'Ercole dell'aggancio al reale (Burri, Max Bill, ovvero Vasarely, dove però l'aggancio al reale diviene comunque aggancio alla reazione materiale, fisica, dell'occhio).
Da questo punto di vista Warhol, Koons, Liechtenstein, Hirst rappresentano una retroguardia stordita, gutai un'avanguardia nostalgica (del gesto), e forse solo autori come Dorazio o Hartung hanno gettato il cuore oltre l'ostacolo (peraltro con risultati abbastanza relativi, talora scarsi).

Naturalmente i "neuroni specchio" continuano ad essere stimolati da opere di artisti quali Picasso, Bonnard, Licini, Morandi, che però ne ampliano il campo di attività. E non è nemmeno detto che la strada "giusta" consista nell'abbandono del "riconoscimento". Ciò che in realtà è avvenuto sinora è stata un'acrobatica abilità di vari geniacci di saltare da qui a là e viceversa. Impegno folle ed angoscioso, che pure ha fatto le proprie vittime (De Stael). Unita all'opera perlopiù inconsapevole di astrattisti che credevano di creare il quadro astratto, ma dimenticavano che stavano creando l'"atteggiamento astratto". (Salvo eccezioni, che altri posteranno :D )

Mi sembra, in prima battuta, che guardare un'opera astratta e guardarne una figurativa sono due attività del tutto diverse tra loro.
L'artista autore dell'opera astratta compie un processo induttivo per cui arriva a rappresentare (ad esempio) forme geometriche a partire da enti reali mentre l'osservatore opera il processo contrario, quello deduttivo, cioè osservando le stesse forme geometriche ritiene soggettivamente di vedere enti reali che sono nella sua quotidianità ... o nella sua immaginazione.
Ora si da il caso che il secondo processo, quello compiuto dall'osservatore, possa condurre a riconoscere nell'opera 'cose' che l'autore nemmeno aveva immaginato.
Io personalmente aderisco infatti al concetto di opera aperta, intendendo con ciò dire che mi ritengo libero di vedere nell'opera quello che voglio (o meglio quello che mi suggerisce il mio spirito critico, il mio sentimento e così via senza dover 'dare conto' a quello che l'autore voleva rappresentare).
Si configura quindi idealmente un vero e proprio percorso che va dall'autore all'opera e dall'opera all'osservatore.
I soggetti indipendenti, quindi, sono tre (l'autore, l'opera e l'osservatore), e prendendo a prestito dalla semiologia possiamo dire che tre sono le intenzioni (intenzione dell'autore, intenzione dell'opera e intenzione dell'osservatore).
Ora prima dicevo che l'autore 'arriva a rappresentare' perchè non credo di sbagliare se dico che il percorso che conduce alla realizzazione dell'opera astratta è anche cronologico: soggettivamente, nel senso che, generalizzando un po', i maestri dell'astrattismo hanno iniziato col figurativo e poi col tempo sono arrivati all'astrazione, ma anche storicamente nel senso che ci sono voluti un paio di millenni per giungere alla pittura e all'arte astratta in senso stretto.
Su quest'ultimo punto, mi riservo di fare approfondimenti che ancora non ho avuto il tempo di fare (particolarmente su Kandisky).
In ogni caso questo percorso è comune ad altre discipline: la formulazione della teoria (del tutto astratta) dell'equilibrio economico generale ha avuto un percorso simile.
Vorrei aggiungere che questo percorso non è lineare. L'astrazione si può fermare prima di giungere a forme del tutto avulse da riferimenti alla realtà ... ma mi fermo dato che il post mi sembra già abbastanza lungo.
Infine vorrei dire che il quesito posto da ginogost è complesso come solo le domande in apparenza semplici sanno esserlo (anche su questo gli esempi si sprecano, pensare che la dimostrazione dell'ultimo teorema di Fermat ha richiesto alcuni secoli ... eppure il quesito era in apparenza banalissimo). Ma qui mi fermo davvero !
 
Ora si da il caso che il secondo processo, quello compiuto dall'osservatore, possa condurre a riconoscere nell'opera 'cose' che l'autore nemmeno aveva immaginato.
Io personalmente aderisco infatti al concetto di opera aperta, intendendo con ciò dire che mi ritengo libero di vedere nell'opera quello che voglio (o meglio quello che mi suggerisce il mio spirito critico, il mio sentimento e così via senza dover 'dare conto' a quello che l'autore voleva rappresentare).

Come ho già scritto nei primi post, dissento radicalmente da questa "libertà di interpretazione", dal concetto di "opera aperta". Ritengo all'opposto che esista praticamente una sola possibilità di lettura, quella che l'autore ha voluto intendere. Ammettere questa anarchia interpretativa per cui ognuno è libero di vedere quello che gli pare, con tutta probabilità equivale ad ammettere che tutto sommato artista e fruitore sono sullo stesso piano ma questo era negli intenti solo di alcune avanguardie politicizzate sull'onda degli anni 70 e un pochino troppo stravaganti. Alcune correnti miravano proprio a questo, a mettere in relazione il pubblico con l'artista, a spersonalizzare l'artista fino a metterlo a disposizione dei fruitori, ma questi sono rimasti (per fortuna aggiungo io) esperimenti abbastanza ristretti e datati. Molto più pragmaticamente l'artista fa, il pubblico guarda e critica. Se il pubblico vede qualcosa che l'artista non voleva esplicitare, a mio parere e non solo mio però, l'artista non è stato abbastanza bravo e incisivo nel trasmettere la sua idea.
Se in un'opera figurativa un artista "raffigura" qualcosa, ne dipinto si potranno cogliere per esempio delle allegorie ovviamente non casuali ma cercate e volute dall'artista. L'osservatore sarà in grado di leggere questi aspetti oltre la superficie solo se il suo grado di cultura glielo consentirà e solo grazie alla sua preparazione potrà quindi comprendere appieno lo sviluppo dell'opera e il pensiero dell'artista.
Similmente in un'opera astratta, l'artista crea secondo un "suo" percorso logico ed esegue l'opera secondo un "suo" modo espressivo non casuale ma (si spera) frutto di un impegno rigoroso e di criteri complessi che si esplicitano in un vero e proprio linguaggio. Chi guarda, o in qualche modo conosce e capisce proprio quel linguaggio, o non capirà l'opera. Punto. Se non capisce, è in errore. Se capisce di non aver capito e davvero vuole capire, torna a casa, approfondisce e studia. Non vedo altre strade. Altrimenti se ognuno è libero di interpretare come vuole, allora significa che il famigerato "secondo me" ha preso il sopravvento. Ma cosa vuol dire il "secondo me"? Che pensiamo di poter dire tutto e il contrario di tutto? Che siamo artisti quanto l'artista? Che capire vale quanto il non capire niente?
 
Come ho già scritto nei primi post, dissento radicalmente da questa "libertà di interpretazione", dal concetto di "opera aperta". Ritengo all'opposto che esista praticamente una sola possibilità di lettura, quella che l'autore ha voluto intendere. Ammettere questa anarchia interpretativa per cui ognuno è libero di vedere quello che gli pare, con tutta probabilità equivale ad ammettere che tutto sommato artista e fruitore sono sullo stesso piano ma questo era negli intenti solo di alcune avanguardie politicizzate sull'onda degli anni 70 e un pochino troppo stravaganti. Alcune correnti miravano proprio a questo, a mettere in relazione il pubblico con l'artista, a spersonalizzare l'artista fino a metterlo a disposizione dei fruitori, ma questi sono rimasti (per fortuna aggiungo io) esperimenti abbastanza ristretti e datati. Molto più pragmaticamente l'artista fa, il pubblico guarda e critica. Se il pubblico vede qualcosa che l'artista non voleva esplicitare, a mio parere e non solo mio però, l'artista non è stato abbastanza bravo e incisivo nel trasmettere la sua idea.
Se in un'opera figurativa un artista "raffigura" qualcosa, ne dipinto si potranno cogliere per esempio delle allegorie ovviamente non casuali ma cercate e volute dall'artista. L'osservatore sarà in grado di leggere questi aspetti oltre la superficie solo se il suo grado di cultura glielo consentirà e solo grazie alla sua preparazione potrà quindi comprendere appieno lo sviluppo dell'opera e il pensiero dell'artista.
Similmente in un'opera astratta, l'artista crea secondo un "suo" percorso logico ed esegue l'opera secondo un "suo" modo espressivo non casuale ma (si spera) frutto di un impegno rigoroso e di criteri complessi che si esplicitano in un vero e proprio linguaggio. Chi guarda, o in qualche modo conosce e capisce proprio quel linguaggio, o non capirà l'opera. Punto. Se non capisce, è in errore. Se capisce di non aver capito e davvero vuole capire, torna a casa, approfondisce e studia. Non vedo altre strade. Altrimenti se ognuno è libero di interpretare come vuole, allora significa che il famigerato "secondo me" ha preso il sopravvento. Ma cosa vuol dire il "secondo me"? Che pensiamo di poter dire tutto e il contrario di tutto? Che siamo artisti quanto l'artista? Che capire vale quanto il non capire niente?

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Come ho già scritto nei primi post, dissento radicalmente da questa "libertà di interpretazione", dal concetto di "opera aperta". Ritengo all'opposto che esista praticamente una sola possibilità di lettura, quella che l'autore ha voluto intendere. Ammettere questa anarchia interpretativa per cui ognuno è libero di vedere quello che gli pare, con tutta probabilità equivale ad ammettere che tutto sommato artista e fruitore sono sullo stesso piano ma questo era negli intenti solo di alcune avanguardie politicizzate sull'onda degli anni 70 e un pochino troppo stravaganti. Alcune correnti miravano proprio a questo, a mettere in relazione il pubblico con l'artista, a spersonalizzare l'artista fino a metterlo a disposizione dei fruitori, ma questi sono rimasti (per fortuna aggiungo io) esperimenti abbastanza ristretti e datati. Molto più pragmaticamente l'artista fa, il pubblico guarda e critica. Se il pubblico vede qualcosa che l'artista non voleva esplicitare, a mio parere e non solo mio però, l'artista non è stato abbastanza bravo e incisivo nel trasmettere la sua idea.
Se in un'opera figurativa un artista "raffigura" qualcosa, ne dipinto si potranno cogliere per esempio delle allegorie ovviamente non casuali ma cercate e volute dall'artista. L'osservatore sarà in grado di leggere questi aspetti oltre la superficie solo se il suo grado di cultura glielo consentirà e solo grazie alla sua preparazione potrà quindi comprendere appieno lo sviluppo dell'opera e il pensiero dell'artista.
Similmente in un'opera astratta, l'artista crea secondo un "suo" percorso logico ed esegue l'opera secondo un "suo" modo espressivo non casuale ma (si spera) frutto di un impegno rigoroso e di criteri complessi che si esplicitano in un vero e proprio linguaggio. Chi guarda, o in qualche modo conosce e capisce proprio quel linguaggio, o non capirà l'opera. Punto. Se non capisce, è in errore. Se capisce di non aver capito e davvero vuole capire, torna a casa, approfondisce e studia. Non vedo altre strade. Altrimenti se ognuno è libero di interpretare come vuole, allora significa che il famigerato "secondo me" ha preso il sopravvento. Ma cosa vuol dire il "secondo me"? Che pensiamo di poter dire tutto e il contrario di tutto? Che siamo artisti quanto l'artista? Che capire vale quanto il non capire niente?
I miei bollini per te, caro accipicchia!

°°°
 
Interessante thread.

Io credo che l'Artista esprime con un proprio linguaggio una parte della realtà che vive e che conosce: vuole fortemente rappresentarla.
L'osservatore coglie una rappresentazione mediata dalla propria cultura e conoscenza. (Tutto ciò mi ricorda schopenhauer:yes:)

Credo anche che una delle misure dell'Arte sia proprio la sua capacità oggettivante di arricchire il patrimonio culturale comune.

Un'opera può avere valenza diversa se si conoscono i propositi e la volontà dell'Artista, il valore dell'opera è nella sua riuscita di questo passaggio arricchente, concordo quindi sull'importanza di una visione 'autentica'.
A volte però il valore dell'opera (il suo significato, la sua rappresentazione) può sfuggire alla volontà dello stesso Artista.

Faccio un esempio personale chiarificante (scusate se uso un'opera di mio padre ma non ho la cultura adeguata per farlo con opere di Artisti che non conosco).

Domanda: quale significato ha quest'opera?
http://marioagrifoglio.it/ITA/images/Opere/Unite400/1978_154_60x70_g_g.jpg
Più tardi vi scrivo cosa significava per mio padre.
 
Interessante thread.

Io credo che l'Artista esprime con un proprio linguaggio una parte della realtà che vive e che conosce: vuole fortemente rappresentarla.
L'osservatore coglie una rappresentazione mediata dalla propria cultura e conoscenza. (Tutto ciò mi ricorda schopenhauer:yes:)

Credo anche che una delle misure dell'Arte sia proprio la sua capacità oggettivante di arricchire il patrimonio culturale comune.

Un'opera può avere valenza diversa se si conoscono i propositi e la volontà dell'Artista, il valore dell'opera è nella sua riuscita di questo passaggio arricchente, concordo quindi sull'importanza di una visione 'autentica'.
A volte però il valore dell'opera (il suo significato, la sua rappresentazione) può sfuggire alla volontà dello stesso Artista.

Faccio un esempio personale chiarificante (scusate se uso un'opera di mio padre ma non ho la cultura adeguata per farlo con opere di Artisti che non conosco).

Domanda: quale significato ha quest'opera?
http://marioagrifoglio.it/ITA/images/Opere/Unite400/1978_154_60x70_g_g.jpg
Più tardi vi scrivo cosa significava per mio padre.

La luce nella notte è più intensa di quella del giorno? :confused::confused:
 
3d veramente interessante sotto tutti i profli. I complimenti per coloro che stanno contribuendo sono d'obbligo.
Appena possibile leggero' tutti i contributi.
 
Interessante thread.

Io credo che l'Artista esprime con un proprio linguaggio una parte della realtà che vive e che conosce: vuole fortemente rappresentarla.
L'osservatore coglie una rappresentazione mediata dalla propria cultura e conoscenza. (Tutto ciò mi ricorda schopenhauer:yes:)

Credo anche che una delle misure dell'Arte sia proprio la sua capacità oggettivante di arricchire il patrimonio culturale comune.

Un'opera può avere valenza diversa se si conoscono i propositi e la volontà dell'Artista, il valore dell'opera è nella sua riuscita di questo passaggio arricchente, concordo quindi sull'importanza di una visione 'autentica'.
A volte però il valore dell'opera (il suo significato, la sua rappresentazione) può sfuggire alla volontà dello stesso Artista.

Faccio un esempio personale chiarificante (scusate se uso un'opera di mio padre ma non ho la cultura adeguata per farlo con opere di Artisti che non conosco).

Domanda: quale significato ha quest'opera?
http://marioagrifoglio.it/ITA/images/Opere/Unite400/1978_154_60x70_g_g.jpg
Più tardi vi scrivo cosa significava per mio padre.
E' proprio la domanda che mi pare errata! :no:
Non si può, di un'opera astratta, chiederne il significato. :no:
Consiglio di leggere bene i contributi degli ottimi accipicchia e ginogost! ;)
 
La luce nella notte è più intensa di quella del giorno? :confused::confused:

Dunque.. l'opera è illuminata a sinistra di luce solare e a destra di luce nera.
Cosa vuole mostrare l'Artista?
La capacità tecnica di ottenere da un rosso cinque colori diversi (Rosso, Grigio, Nero, Blu e Viola).
Cosa coglie l'Osservatore?
Dipende dalla sua cultura e conoscenza.
Ovvero dipende dalla sua conoscenza o meno del fatto che sotto luce nera le tecniche di mescolanza sottrattiva e additiva non sono valide.

Se sotto luce nera mescolando un giallo e un blu si ottenesse un verde o mescolando un rosso e un blu si ottenesse un viola la tecnica per realizzare quest'opera sarebbe semplicemente scolastica, purtroppo però non esistono leggi certe di mescolanza sotto luce nera e per ottenere una certa trasformazione (per esempio da rosso diurno a verde notturno) occorre sperimentare, ridurre in polvere dei minerali oppure miscelare certe sostanze chimiche (magari incolore) ecc. ecc.
Per qualche verso questa ricerca ricorda i pittori medioevali (o pre-medioevali) alla ricerca di minerali nei boschi e sostanze coloranti nei campi, stranamente un'opera astratta degli anni settanta riporta alle ricerche medioevali :D

Quindi l'osservatore che non conosce vede un esercizio scolastico, l'osservatore che conosce vede un dimostrazione tecnica complessa, diciamo che in questo caso si avvicina a quella che nel thread sopra veniva citata da vermeer71 come la rappresentazione 'autentica' voluta dall'Artista.

(portarlo alla comprensione "autentica" e, dunque, al godimento "pieno".)

Ma l'opera ha anche una valenza diversa perché realizzata al termine di un periodo usato dall'Artista proprio per affinare le tecniche di variazione da un colore a qualunque altro colore, le opere successive usano la tecnica, questa opera la mostra.
Qui la tecnica è un punto di arrivo, poi diventerà un mezzo per altro.
Ecco cosa intendevo con la frase che il significato dell'opera può sfuggire anche alla volontà dell'Artista stesso.
Per inciso adesso, usando un neologismo, io parlo sinteticamente di Wdivergenza rossa.
ps: come cavolo si fa ad inserire un'immagine invece che un link? :mmmm:
 
E' proprio la domanda che mi pare errata! :no:
Non si può, di un'opera astratta, chiederne il significato. :no:
Consiglio di leggere bene i contributi degli ottimi accipicchia e ginogost! ;)

Direi che non concordo :=) Prova a leggere la mia risposta.
 
3d veramente interessante sotto tutti i profli. I complimenti per coloro che stanno contribuendo sono d'obbligo.
Appena possibile leggero' tutti i contributi.

Molto tecnico ed "esploso"....io in questa sezione mi limito a leggere dal momento che non ne so nulla....:'(


Dunque.. l'opera è illuminata a sinistra di luce solare e a destra di luce nera.
Cosa vuole mostrare l'Artista?
La capacità tecnica di ottenere da un rosso cinque colori diversi (Rosso, Grigio, Nero, Blu e Viola).
Cosa coglie l'Osservatore?
Dipende dalla sua cultura e conoscenza.
Ovvero dipende dalla sua conoscenza o meno del fatto che sotto luce nera le tecniche di mescolanza sottrattiva e additiva non sono valide.

Se sotto luce nera mescolando un giallo e un blu si ottenesse un verde o mescolando un rosso e un blu si ottenesse un viola la tecnica per realizzare quest'opera sarebbe semplicemente scolastica, purtroppo però non esistono leggi certe di mescolanza sotto luce nera e per ottenere una certa trasformazione (per esempio da rosso diurno a verde notturno) occorre sperimentare, ridurre in polvere dei minerali oppure miscelare certe sostanze chimiche (magari incolore) ecc. ecc.
Per qualche verso questa ricerca ricorda i pittori medioevali (o pre-medioevali) alla ricerca di minerali nei boschi e sostanze coloranti nei campi, stranamente un'opera astratta degli anni settanta riporta alle ricerche medioevali :D

Quindi l'osservatore che non conosce vede un esercizio scolastico, l'osservatore che conosce vede un dimostrazione tecnica complessa, diciamo che in questo caso si avvicina a quella che nel thread sopra veniva citata da vermeer71 come la rappresentazione 'autentica' voluta dall'Artista.



Ma l'opera ha anche una valenza diversa perché realizzata al termine di un periodo usato dall'Artista proprio per affinare le tecniche di variazione da un colore a qualunque altro colore, le opere successive usano la tecnica, questa opera la mostra.
Qui la tecnica è un punto di arrivo, poi diventerà un mezzo per altro.
Ecco cosa intendevo con la frase che il significato dell'opera può sfuggire anche alla volontà dell'Artista stesso.
Per inciso adesso, usando un neologismo, io parlo sinteticamente di Wdivergenza rossa.
ps: come cavolo si fa ad inserire un'immagine invece che un link? :mmmm:
devi cliccare su inserisci immagine ;) ovvero l'icona che figurativamente rappresenta una cartolina con le montagne....:D
1978_154_60x70_g_g.jpg
 
Riprendo l'argomento cercando di vedere - MA SEMPRE BREVEMENTE :D - che cosa abbiamo dimenticato.
E mi torna in mente la mia esperienza in Somalia. Vi erano dei bravi artigiani che realizzavano borse in pelle. Ho un'idea, ne faccio il disegno a matita, poi lo mostro a uno di loro e gli dico di fare una borsa così.
- Così come?
- Come nel disegno.
- Ma dov'è la borsa?

Così mi resi conto che loro sapevano rifare bene una borsa reale, potevano copiare l'oggetto, ma non erano in grado di leggere un disegno, un progetto della stessa. :eek:

In pratica, scopersi che anche il disegno è un linguaggio non universale. I nativi non lo capivano proprio. E noi diamo per scontato, invece, che lo sia. Come balorda conseguenza, il mio disegno di una borsa, per loro era un disegno ... astratto.

Anche per i sostenitori dell'universalità della musica vi è materia di riflessione. Narra l'aneddoto, che corrisponde ad una storia reale, di alcuni dignitatri cinesi che assistettero alla rappresentazione di un'opera a Napoli. Dapprima l'orchestra provò gli strumenti, li accordò ecc., come si usa ancora adesso; poi si fece silenzio e l'opera incominciò, con una piccola ouverture.
Ma nella relazione che essi fecero al sovrano al loro ritorno in patria, stava invece scritto qualcosa del genere: "Entrammo in una grande sala e subito venimmo accolti da un insieme di musiche e melodie meravigliose, dolci, soavi. Poi il direttore chiese il silenzio, subito dopo si mise a gesticolare come un pazzo e cominciò un fracasso mai udito cui partecipavano praticamente tutti gli strumentisti: altri urlavano ecc ... "
 
Quanto al concetto di opera aperta, di cui alcuni han parlato.
Ho già scritto che anch'io ritengo non sia lecito andare in cerca di quanto l'autore non ci ha messo.
Peraltro, occorre riconoscere che non poche volte gli stessi autori credono di aver espresso complicati o profondi concetti, e pretendono che tutto il pubblico arrivi a vederli in opera. E invece l'opera vale al di là di tutti questi pseudo significati.
Che però un senso lo hanno: aiutano in privato l'artista, che può appoggiarsi ad essi per sostenere nel tempo l'ispirazione. Hanno cioè una funzione simile a quella, per esempio, delle forme musicali, quali la fuga, la sinfonia ecc.: aiutano a strutturare il lavoro.
Capire questi aspetti particolari può comunque aiutare l'ascoltatore, ma non dovrebbe essere indispensabile per apprezzare il lavoro musicale, o pittorico. Così come nell'esempio, che è stato portato, dell'Arco di Costantino, le qualità estetiche possono venir riconosciute anche da chi ignori il messaggio storico, ugualmente una donna nel bagno di Bonnard ce la possiamo godere anche senza sapere che si tratta di sua moglie.
 
Quanto all'attività del riconoscere.
Non si è ancora ricordato quanto essa sia biologicamente importante. Ci si riconosce da piccolini essere della stessa specie della mamma ... (viceversa, esistono i casi del ragazzo-lupo, che si è riconosciuto come facente parte di un branco di lupi) ... nella foresta occorre riconoscere l'animale pericoloso e l'erba velenosa ... capire l'espressione dolce e quella aggressiva ... insomma biologicamente siamo determinati al destreggiarci tra le forme (certo, usando i vari altri sensi, odori, suoni, ma, appunto, anche la vista).
In quel linguaggio visivo in progressione che è l'arte l'uomo ha perfezionato vari dialetti, in diverse regioni, con cui "indicare" all'altro i contenuti del mondo concreto.
Ma come a un certo punto un uomo smise di camminare e si chiese come diavolo facesse a camminare, quali attività muscolari fossero implicate;
così un giorno un grande pittore spostò l'attenzione dall'oggetto rappresentato all'attività di colui che guardava, comprendendo che questa attività era molto più libera se slegata dal risultato, cioè dal riconoscere qualcosa.
Esiste un termine per descrivere un'attività di questo tipo, e il termine è "gioco". Nelle lingue anglosassoni si gioca la musica. Ora si può giocare anche la pittura.

Lo strano gioco dell'arte astratta è dunque un gioco per adulti non più in pericolo, mentre i bambini non hanno ancora gli strumenti per arrivarci, essi hanno bisogno di riconoscere, un bisogno legato alla sopravvivenza, anche se lo fanno più per esperienza di forze, di simboli, di vissuti, che per il tramite dell'osservazione obiettiva, fotografica della realtà.
Non è allora strano che una vera disponibilità verso un'arte composta di soli ritmi possa per molti essere filogeneticamente difficile. Chi riconosce nell'astratto figure che il pittore non ci ha messo, si tiene legato alla sua condizione di uomo in pericolo, obbligato a riconoscere di quali pericoli si tratti.
E' dunque necessaria una strana qualità per godere di un'opera non figurativa. Si tratta della fiducia, dovuta al fatto di non voler dare sempre un volto ai pericoli veri o presunti che ci attorniano.
 
Ultima modifica di un moderatore:
Astratto e figurativo sono due linguaggi diversi ma interdipendenti , a mio parere . Quando sono di fronte ad un 'opera importante , che mi coinvolge , non ricordo mai questo collegamento .. ;)
 
Nel riconoscere che un nudo di modella rappresenta una unità esterna al quadro devo da una parte rifarmi alla percezione della mia individualità, dall'altra operare un processo di conoscenza fuori, nel mondo, sentendomi parte di quel mondo, spazialmente e non solo. Poiché la mia presenza nello spazio è legata al mio corpo, ecco che il riconoscimento di questa realtà esterna al quadro avviene tenendo come termine di paragone proprio quel mio corpo fisico. (magari il paesaggio è più rilassante in quanto lascia maggiore spazio al mio movimento immaginato, senza presenze umane che lo condizionino).

A farla breve: mi sembra probabile che in tutto ciò agiscano i neuroni specchio, ed agiscano non solo se vi è il dipinto di un corpo, ma anche per un semplice paesaggio. Perché io in quel paesaggio mi ci potrei muovere. Per il neurone specchio il solo immaginare l'azione è lo stesso che farla (e lo sapeva bene quel tale il quale sosteneva che commettere adulterio in cuor proprio è esattamente come commetterlo nei fatti :D).

L'ASTRAZIONE

Per capire un quadro astratto devo rinunciare all'uso dei neuroni specchio?
E prima ancora: nel creare un quadro astratto l'artista fa la stessa rinuncia?
Un quadro astratto dovrebbe essere un dipinto che si può (o: si deve) capire, apprezzare e valutare senza far riferimento a nulla di quanto esiste all'infuori di esso. Due linee leggermente convergenti non dovranno richiamare esplicitamente l'immagine di un palo o di una gamba, ma solo esprimere una situazione di rapporti all'interno del quadro-recinto. E' vero che inconsciamente certi frammenti di immagine possono continuare ad agire, e una specie di luna messa orizzontale potrà richiamare alla mia anima il segno o simbolo del sorriso. Questo ha a che fare con l'inconscio, con fattori subliminali, ma non naturali (per es. se un segno più volte ripetuto richiama una corona, ciò influenzerà il tono della mia lettura dell'opera in modo un po' magico..)

Il pittore astratto dunque normalmente ci chiede proprio di sospendere l'azione di quegli speciali neuroni. Però, attenzione, una simile cessazione avviene anche nello schizofrenico: occorrerà trovare una differenza.

Riprendo questo 3d perché ultimamente è venuto alla luce un aspetto che qui può essere utilmente inserito.
Si è visto che nel XX secolo l'arte ha comunque risentito dell'aumentata velocità nella vita quotidiana, intendendo proprio i plurimi aspetti della velocità, dal viaggiare in aereo al compiere azioni più velocemente in casa, magari con l'aiuto di "supporti" tecnici..
Ho notato come l'esecuzione "sommaria" delle opere moderne, in paragone con quelle dell'antichità, abbia una relazione stretta con questo aspetto. Ugualmente, anche i tempi di osservazione del pubblico si sono velocizzati.

In effetti, in stretto rapporto con tale velocizzazione sta il fatto che, non dovendo il pittore rappresentare un quid, né l'osservatore riconoscerlo, una grossa parte (metà?) del "lavoro" viene riparmiata. Si tratta di quello che avevo definito come "rinuncia all'uso dei neuroni-specchio". E il tutto diviene più veloce di conseguenza.
Gli impacci che notiamo nello spettatore "sprovveduto" (cui sembra sempre di riconoscere qualcosa dove proprio non è questione) non si pensi che non abbiano fatto capolino anche nell'artista: qui e altrove abbiamo citato molti nomi di pittori che crearono astratto o figurativo in alternanza, ovvero inserirono nelle loro opere contemporaneamente i due aspetti.

Se però si immagina di entrare in una sala di quadri del 6/700, e poi in una identica sala, ma con appese solo opere astratte, si noterà che mediamente, se soprattutto si vuole vedere ciò che l'artista ci ha messo, il percorso della seconda verrà compiuto in minor tempo. Perché l'artista figurativo ci chiede ogni volta di resuscitare in noi, rappresentandocela come un fantasma o come uno stampo cavo, la realtà originaria che egli riprodusse. Questa è attività che chiede tempo.
Eppure, si è anche notato che già molti secoli addietro, se pur la somiglianza e la resa del reale venivano apprezzati, vi era comunque coscienza del fatto che l'aspetto della qualità artistica fosse altra cosa.
Tutto si spiega meglio pensando alla nascita della fotografia, che permise di adempiere velocemente ed economicamente ad un compito che prima la pittura si sobbarcava in toto (vabbè, l'arte: c'è anche la scultura). Sottolineo quell'economicamente: finché la stampa di fotografie non divenne un processo molto più economico, nei cataloghi (di vendite, per esempio) le opere pittoriche furono ancora illustrate facendo uso di acqueforti di riproduzione :eek:

Bene: personalmente mi rendo conto che spesso osservo e valuto velocemente molti quadri figurativi (per es. nei mercatini), ma poi, se uno mi chiedesse quali fossero i soggetti rappresentati, balbetterei. Non lo so, o quasi. Capisco, cioè, che applico un modo di vedere che separa la rappresentazione-causa-accidentale dall'aspetto puramente artistico, ed è proprio per questo che riesco a farlo più velocemente. E' una questione di scelte: è più importante che cosa viene rappresentato oppure la qualità della rappresentazione? Per me buona la seconda: e mi concentro su quella, magari perdendo certi altri aspetti legati al soggetto, cui riservo sempre un secondo tempo eventuale (una volta presi una litografia non so di chi per certe sue qualità, solo dopo mesi accorgendomi che ritraeva un angolo assai noto di Venezia: cosa che invece fu la prima ad essere notata da chi quel pezzo ce l'ha ancora ;)).

Queste osservazioni sulla velocità ci fanno, spero, vedere perché il 900 sia stata epoca di pluralità stilistica mai vista. Se poi si considera che contemporaneamente o quasi la tecnica ha messo a disposizione "perfette" riproduzioni fotografiche (e filmiche!) e disponibilità di pigmenti (in tubetto) per tutti (mentre prima la cosa era molto più laboriosa), dalle logiche deduzioni, simili a quelle fatte osservando l'influenza di aspetti sociali ecc. sull'arte, arriviamo anche ad ottenere qualche strumento che ci permetta di leggere il contemporaneo.
 
Credo sia giunto il momento di riportare in vita questo 3d. Le questioni su quanto velocemente si guardano opere d'arte diverse mostrano che, in ogni caso, e solo statisticamente, il figurativo richiede più tempo per venire "letto".
Però non è detto che vedere l'astratto comporti le stesse operazioni del figurativo meno una, il riconoscimento.
Potrebbero essercene di nuove. Che a loro volta richiedono tempo per venire espletate.
Quali sarebbero queste operazioni che l'osservatore non compie con il figurativo, ma compie invece guardando un astratto?
 
Il thread giustamente deve essere alimentato. Io ritengo che per l'astratto si debba osservare la composizione, i volumi e gli accostamenti cromatici. Io personalmente passo molto tempo ad osservare un quadro astratto che mi colpisca per gli elementi sopra indicati. Prendiamo d esempio Afro. Rispetto al periodo figurativo iniziale la sua arte si è evoluta verso l'astrazione mantenendo però gli stessi stilemi compositivi. Credo che tu Gino possa esprimerti meglio di tutti noi al riguardo. Citando Klee l'opera deve far percepire l'invisibile rispetto a quanto la retina afferri ad una prima vista. In questo l'astratto richiede a mio modo di vedere maggiore impegno visivo ed intellettuale rispetto ad un'opera figurativa.
 
Intanto può essere opportuno fare il punto. Semplificando.
Nell'opera figurativa, anche vagamente figurativa, c'è un ri-conoscimento. Si da per certo il riferimento a forme e sostanze già conosciute, appartenenti al mondo reale. Il Surrealismo presenta rispetto a ciò solo una variante, consistente nell'estensione del riconoscimento, dove solamente l'accostamento tra le parti è nuovo e spiazzante. Il Simbolismo, così come certo Surrealismo, induce, attraverso operazioni che lavorano su suggestioni e immagini di una realtà estesa oltre i normali limiti del quotidiano, a percepire presenze, sentimenti o "fantasmi" non immediatamente ri-conoscibili.
Se non sono presenti questi aspetti "oltre il visibile", la pittura figurativa sempre più appare come un invito a valutare il "come" il soggetto sia stato reso. La pennellata, i rapporti di colore, la composizione ecc. Certo, anche l'espressività dell'insieme, l'impatto, diciamo.

Nell'opera astratta, che sia informale o geometrica ecc., il percorso appare almeno in parte invertito. Prima si percepisce l'impatto di queste forme "nuove", l'espressività dell'insieme, e poi ancora la composizione, i rapporti di colore, la pennellata. Possono interessare anche i simboli - ma solo i più pregnanti, quelli che appaiono anche nei sogni, come la corona, il cappio, la croce (Paladino non è un astrattista, ma opera ad esempio molto con queste simbologie) - però sin dall'inizio si è percepito che non c'è nulla da ri-conoscere. Nemmeno si può parlare di simbolismo o surrealismo, proprio perché questi due "atteggiamenti" richiedono un riconoscimento. A questo livello di percezione si può solo parlare di "atmosfera".

Ora è chiaro perché sono rimasto deluso quando una litografia, che credevo astratta, mi si rivelò essere almeno in parte figurativa. Per leggerla dovevo dunque percorrere la strada inversa. Una confusione ... ;)

Riassunto provvisorio:
figurativo: 1 riconoscimento 2 (quasi contemporaneo, direi in parallelo) impatto generale 3 percezione dei singoli aspetti, come ritmo, composizione, pennellata 4 riconoscimento della "narrazione", per esempio il santo tale ha una palma in mano perché ... il ritratto in basso a destra è il donatore ... questa battaglia all'epoca fu importante perché ...

astratto: 1 impatto dell'insieme, atmosfera e contemporanea informazione che non c'è nulla da ri-conoscere 2 percezione dei singoli aspetti, come ritmo, composizione, pennellata 3 ragionamento critico su come l'autore abbia ottenuto di comunicarci queste cose.
Questo nel figurativo si può anche fare, ma è il genere stesso che rende apparentemente superflua l'operazione. Si pensi a come l'antica critica non abbia sviluppato particolari strumenti di analisi perché attenta ad aspetti più in primo piano, come la "nobiltà dello sguardo" o "il sorriso enigmatico". In pratica ci si accorgeva solo di quanto proprio non era possibile ignorare: lo sfumato leonardesco, le lontananze in azzurro, l'allungamento delle figure nel manierismo ecc., tutti aspetti legati ai soggetti, che ne modificavano + o - fortemente il riconoscimento.
A quel punto era più difficile osservare come, per esempio, la velocità di tocco di un Tintoretto stimolasse una maggiore partecipazione dello spettatore, in virtù del necessario coinvolgimento nel costruire l'immagine relativamente incompleta. E viceversa accorgersi che la perfezione di un Ingres dava al classicismo il significato di: tutto il riconoscimento è lì, tu spettatore conti poco o nulla. Mettendosi così in contrasto con il movimento della storia, che doveva assegnare sempre più compiti al soggettivo, all'io dell'uomo, e sempre meno alla realtà "oggettiva", o presunta tale.
 
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