Ho letto tutto senza problemi, accipicchia
E mi sembra che più che contraddirmi tu abbia ben illustrato storicamente le situazioni cui mi riferivo.
Con alcuni distinguo. La prima e più significativa "critica" che porti è questa
Vorrei ribattere che i valori di certa pittura figurativa classica in realtà dipendevano eccome in grande parte da criteri di fedeltà e piacevolezza. Questo almeno fino all’impressionismo, una pittura più libera, che ha avuto il grandissimo merito storico di scardinare il disegno, di rompere le pennellate e di creare in buona parte i presupposti che avrebbe portato poi le naturali conseguenze dell’espressionismo e della grande rivoluzione astratta.
Il discorso non è inesatto, in effetti i criteri di fedeltà e piacevolezza contavano. Però c'è stato un percorso. Sino a Leonardo e Raffaello si cercò una forma di imitazione esatta, ma comunque piena di idealismo, una realtà idealizzata, come nelle madonne del Bellini, nei volti giotteschi, in Masaccio e Piero. La "scoperta" della prospettiva portò il dipinto ad essere una statua (una realtà) illusoria in massimo grado. Ma già con Michelangelo da una parte, Tintoretto dall'altra, si rinuncia coscientemente a questa ricerca, diciamo in sintesi che volutamente "si esagera". Corpi allungati, pennellate "sintetiche" ecc.: la pittura ha certamente piena coscienza di non essere solo imitazione. Le basta che dentro l'osservatore si formino delle conoscenze su cui appoggiare l'espressione artistica: riconosco che questo è un paesaggio, indi vedo che è un bel paesaggio. Ma non è "identico" al paesaggio visto nella realtà (questo resta solo un progetto dei pittori alla Baschenis, con le loro nature morte un po' trompe-l'oeil).
Tant'è vero che l'Impressionismo, contrariamente alla vulgata, voleva proprio rendere il reale così com'è, altro che libere pennellate: solo che si trattava della realtà nella luce, ancora più concreta di quella ricreata negli studi dei pittori, di una "realtà.2", non ricreata nella tela, ma nell'occhio da essa stimolato. Però la gente vide le ombre viola e le pennellate grasse, cioè l'oggetto-quadro, non il soggetto-occhio. Ed anche gli altri pittori videro questo, acquisendo nuovi strumenti per raggiungere nuovi e diversi obiettivi, e questo era il secondo punto che volevo notare.
Da qui in poi il tuo caratteristico parteggiare per il nuovo e l'attuale (lo dico senza criticare, anzi) trova nuovi argomenti: è il pubblico che deve imparare. Che cosa deve imparare? Poiché i linguaggi nuovi presuppongono regole e mete nuove, lo spettatore deve imparare a cercare e capire quali siano queste "leggi", questi percorsi.
Per capire i quadri futuristi deve concepire il movimento nel quadro stesso; e il movimento fa già parte della sua esperienza.
Per capire i simbolisti deve accettare che il quadro possa evocare qualcosa di non visibile, ma anche questo è qualcosa che ha già sperimentato. Per capire gli espressionisti deve rendersi conto che un quadro non guarda solo verso l'esterno, ma anche verso l'interno, dove vigono leggi diverse da quelle spaziali, e ciò pure trova appoggio sul suo vissuto.
Certamente per tutti questi movimenti rimane come viatico il riconoscimento di persone cose e animali, sia pure deformati, sia pure sintetizzati o ambigui. Mi pare che sin qui tu sia d'accordo.
Però già con l'astrattismo è arduo definire a quale tipo di esperienza personale precedente ci si debba riferire. Astrattismo significa, come ho già detto, che non si deve riconoscere più nulla. Una definizione in negativo. Ma, in positivo, qual è la proposta? Quale il riferimento al vissuto? Perché, se vuoi che lo spettatore ti venga dietro, un po' devi pur riferirti a lui, al suo vissuto.
Kandinskij fa esplicito riferimento all'esperienza musicale, ai ritmi, alle altezze dei suoni, alle durate, ma la cosa, questo parallelismo tra percezioni di sensi diversi, era all'epoca abbondantemente nell'aria.
Kandinskij, ma non Malevitch, che fa riferimento ad una "sensibilità plastica" che dovremmo immaginare vicina all'esperienza del tatto spiritualizzata ed organizzata. Certo, finché riconosco forme geometriche, non sono tutto fuori dall'attività, appunto, del riconoscere. Ma è anche vero che lo spettatore che dice: questo lo potrei fare anch'io, non ha tutti i torti. Insomma, siamo ancora nel campo dell'arte?
l problema vero non è l’artista, ma proprio lo spettatore che prima poteva guardare l’opera anche un po’ passivamente. D’ora in avanti lo spettatore deve “impegnarsi” di più.
Confermo che qui si complica anche la questione del giudizio, senza il quale qualunque "cosa" nuova o anche meno nuova può pretendersi artistica. Tu dici che purtroppo molti spettatori si perderanno per strada, non capiranno. Ciò sottintende un giudizio di questo tipo: l'arte ha una storia unilineare, c'è un progresso e chi è fuori da questo sviluppo esce dall'arte stessa. Per me è una visione troppo collegata con l'attualità, visto che invece a suo tempo sia le stampe giapponesi che l'arte negra hanno pesantemente influito sullo sviluppo dell'arte, ma non su tutta l'arte. Vuol dire collegare arte e società, ma negando la libertà dell'arte, non affermandola! Che cosa unisce in una stessa strada Dubuffet, Warhol, Magnelli, Kiefer, Dalì e Siqueiros ? Forse proprio la negazione di una unidirezionalità del progresso artistico!
Vabbè, diciamo che tu tendenzialmente accetti che le nuove proposte siano in buona fede e per la maggior parte valide. Ma c'è un piccolo particolare che in me incrina tale ottimismo, sino ad inficiare la possibile fede in una forma di progresso qualechesia. Si tratta della presenza strabordante, dell'influenza decisiva che ha oggi l'aspetto mercantile. Per cui la buona fede è meglio non concederla a priori. E nell'aspetto mercantile non ci metto solo i soldi, pur tanti. Ci metto anche il fatto che lo status di artista è socialmente considerato in modo positivo, è desiderabile, è prestigioso. Essere artista non è un viaggio ma una meta, occorre arrivarci in qualsivogliamodo, pur anco truffaldino
Per questo motivo preferisco gli artisti umili, che ricercano in silenzio, a quelli che proclamano molto e mostrano impegno sociale. Magari molti di questi umili sono in realtà dei falliti in partenza, ma quasi sicuramente non cercano di speculare sul mio sbigottimento.
E' del poeta il fin la meraviglia, diceva Marino (chi si è mai letto un libro di sue poesie?
). Così dicendo invertiva l'ordine delle cose, per cui la poesia nasce dalla meraviglia, ma questa non ne è certo lo scopo centrale.
Glenn Gould ebbe a dire che
lo scopo dell’arte non è quello di farci produrre una scarica di adrenalina, ma la costruzione graduale, protratta nel corso della vita intera di uno stato di serenità mista a meraviglia.
Io sottoscrivo al 100%, sia come autore che come spettatore.