Differenza tra guardare un figurativo o un astratto

Il pippone qui sopra era indispensabile per rispondere in modo comprensibile alle molte osservazioni fatte.

Io non la vedo così. Questo discorso vale per un paesaggio naturale, o anche per un'opera aperta, che richieda l'intervento dello spettatore. Si tratta di effetti diretti di forme e colori, proprio come l'udire una cascata fatalmente ci spinge ad andare al bagno: ma l'azione umana (dell'io) è indispensabile in arte, l'autore decide e io devo percepire le sue scelte. Magari questo significa che i neuroni specchio agiscono ancora, non più nel riconoscere il modello ma nel riconoscere l'impulso dell'autore, non lo so. Ma l'effetto riflesso va necessariamente gestito dall'artista.
Quella tela certamente agirà in maniera quasi uguale in due persone diverse solo a livello, appunto, di riflesso, di influenza subconscia biologica. Invece, avendo due personalità distinte, essi risponderanno diversamente alla proposta artistica (mi piace o no, mi si confà o meno), tenendo presente che comunque devono poter leggere il senso e la qualità di questa proposta, cioè cosa voleva trasmettere l'artista (poi possono anche rifiutarla e pure considerarla di basso livello).
resta il problema del giudizio di valore.




...e qui ti fermo.Il giudizio di valore.Perchè mai? A che serve un giudizio di valore se non a dire bello o brutto? I parametri sono altri e comunque sempre decisi dall'artista.Mi spiego.
Quando un pittore dipinge un figurativo, vuole farti vedere come per lui quel paesaggio, quella natura morta, quel volto, quell'oggetto da lui viene rappresentato sperando che tu ti possa immedesimare in lui, nella sua arte.Questo avviene ovviamente se il dipinto proviene da un vero artista e non uno che vuol solo venderti le sue cose e compiacersi con qualunque critica purchè efficace alla vendita.
La volontà artistica di chi dipinge e la fantasia creativa dell'osservatore sono e resteranno sempre su due piani diversi ma se io, artista (in senso lato:)) decido che quel paesaggio debba essere un tetro paesaggio con cupe sonorità visive, se tu, osservatore non la vedi così, stai vedendo non quello che voglio farti vedere io ma quello che vuoi tu.Quindi io autore, in quel caso, ho fallito inesorabilmente, senza se e senza ma.Questo è quello che penso.Un opera d'arte non avviene per caso, e non perchè qualcuno la scopre tale, ma perchè è frutto di volontà artistica creativa di chi la esegue che può anche accadere per volontà divina, ma anche qui il discorso devierebbe dalla sua logica e dunque lasciamo stare la mano divina, la provvidenza e il caso fortuito :D, un opera d'arte è immensa perchè artisticamente immenso è il suo autore.

Nella pittura astratta è la stessa identica cosa però, proprio perchè astratta, l'artista cerca appunto l'astrazione ossia l'assenza di un giudizio di valore da lui deciso a priori, l'assenza di una guida precisa cui guardare il dipinto.Questa assenza è la chiave di volta per leggere un dipinto astratto e in questo caso l'ottica dell'osservatore, essendo volutamente astratta da parte dell'artista che l'ha creata, è solo di genere diverso da quella figurativa ma il senso è il medesimo ossia quell'opera è volutamente non indirizzata verso un qualcosa di ben preciso e dunque l'osservatore spazia con la sua fantasia e ci vede quel che vuole, ma questo è il senso dell'arte astratta altrimenti astratta non sarebbe.E' astratta perchè è l'artista che vuole l'astrazione, non l'osservatore il quale può giustamente vederci tutto o niente proprio perchè astratta.

Concludo dicendo che è sempre l'artista che ti dice cosa e come guardare una sua opera (compresi gli sbagli, se hai l'occhio allenato e capace di vedere l'arte,non solo di guardarla, ma qui il discorso si complica e si riconnette ad un topic che avevo aperto su come si guarda/vede un opera d'arte, per cui rimando) a prescindere dal figurativo o dall'astratto.Nel primo caso ti da, diciamo così, un indirizzo abbastanza chiaro, nel secondo non ti da nessun indirizzo perchè volutamente non ne ha, o a volte anche si, se è un astrazione con carattere emotivo, dove prevale un emozione e dove l'artista vuole che tu entri in quell'emozione.In quel caso è molto simile ad un opera figurativa.
 
....Un'altro modo di "non rappresentare più" consiste nel valorizzare la materia stessa dell'opera (Burri, per esempio, o Fautrier); o nel regredire volontariamente a livello infantile (Dubuffet, da cui discende Basquiat)......

Qui però è necessaria una precisazione fondamentale. Burri lavorava perlopiù con la materia bruta dei sacchi di iuta, dei legni etc. . Fautrier solo con la materia "nobile" dei colori per belle arti, oli, pastelli etc. E ancora, mentre Burri è totalmente astratto; Fautrier ha sempre una traccia di realtà nei suoi lavori, anche se flebile, ma c'è sempre. Direi che sostanzialmente il messaggio e il modo di agire sui neuroni-specchio è molto diverso anche se tutti e due lavoravano sulla materia.:D
 
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Qui però è necessaria una precisazione fondamentale. Burri lavorava perlopiù con la materia bruta dei sacchi di iuta, dei legni etc. . Fautrier solo con la materia "nobile" dei colori per belle arti, oli, pastelli etc. E ancora, mentre Burri è totalmente astratto; Fautrier ha sempre una traccia di realtà nei suoi lavori, anche se flebile, ma c'è sempre. Direi che sostanzialmente il messaggio e il modo di agire sui neuroni-specchio è molto diverso anche se tutti e due lavoravano sulla materia.:D

La precisazione ci sta, ma era solo un veloce esempio ;)
 
Caro Gino, ho letto, stampato, e riletto per tre volte le tue considerazioni così ricche di spunti e pur non essendo del tutto d’accordo, le trovo quanto mai stimolanti e intelligenti. Molto meglio discutere di questo tipo di argomenti piuttosto che delle “solite” televendite o di alcuni “formidabili” artisti da baraccone. Quindi ti ringrazio per l’occasione.

Vorrei ribattere che i valori di certa pittura figurativa classica in realtà dipendevano eccome in grande parte da criteri di fedeltà e piacevolezza. Questo almeno fino all’impressionismo, una pittura più libera, che ha avuto il grandissimo merito storico di scardinare il disegno, di rompere le pennellate e di creare in buona parte i presupposti che avrebbe portato poi le naturali conseguenze dell’espressionismo e della grande rivoluzione astratta.
Ripercorrendo molto brevemente una storia di pittura così carica di gloria, penso di poter dire (con molta approssimazione ma rapidamente) che la pittura imperante fino all’avvento degli impressionisti era parecchio stagnante, tecnicamente di qualità ma stagnante. Nei cento anni precedenti non si sono viste grossissime variazioni: la pittura ha conosciuto un lungo periodo di stabile compiacimento. Tra il 1860 e il 1900 si è creata la civiltà artistica moderna. Proprio a partire da questi decenni fondamentali hanno avuto origine tutti i movimenti più significativi e veramente innovatori: Espressionismo e Secessione hanno dato nuovo alimento ad una figurazione molto diversa da prima, il Cubismo rompe la figura, il Futurismo introduce il culto del movimento e della velocità: in definitiva propone i temi e i ritmi della modernità. Non ho dimenticato altri movimenti altrettanto importanti, ma mi bastano questi per delineare la nuova figurazione. Qui i “modelli” ci sono eccome, solo che nessuno vuole più usarli per “copiarli”. La “veri-somiglianza” non è più il valore primario. E’ semmai la somiglianza quella che conta, il riferimento percepibile che fa pensare proprio a quel qualcosa che interessa al pittore. Da qui in poi la “raffigurazione” prende più strade diverse che in tutti i secoli precedenti. Stili anche diversissimi sono “personali” e fortemente identificativi non solo del movimento, ma addirittura di ogni singolo pittore.
Fino a qui il tuo discorso dei neuroni specchio mi trova assolutamente d’accordo. (:))
Ma da qui in avanti, la strabordante personalità degli artisti prende il sopravvento. Kandinsky inventa un nuovo rivoluzionario linguaggio. Molti altri lo seguono e lo sviluppano da subito. Nell’arco dei primi quarant’anni del Novecento, un periodo incredibilmente breve, grazie all’apertura mentale che l’astrattismo ha reso possibile, si assiste all’incredibile tripudio di nuove idee e di nuove continue sperimentazioni (tutte ancora con gli strumenti più classici del pittore: supporti, colori e pennelli).
I “modelli” non servono più. L’artista crea un suo stile e produce un suo linguaggio. Chi riesce a capire, può fruire dell’opera d’arte. Chi non affina lo strumento principale, la conoscenza, resta escluso. Chi resta escluso, molto spesso non dice “non capisco”. Per reazione dice “non mi piace, non vale niente, non è arte”. Eppure questi artisti dicono molto, forse molto di più di quegli altri di prima che avevano dalla loro parte se non altro le armi semplici della maggior chiarezza e della più facile leggibilità.
Il problema vero non è l’artista, ma proprio lo spettatore che prima poteva guardare l’opera anche un po’ passivamente. D’ora in avanti lo spettatore deve “impegnarsi” di più. Deve superare gli schemi dell’immediatezza e rinunciare a far lavorare i neuroni specchio. Deve rincorrere un’arte nuova che corre veloce e che non gli dà fiato. Idee sempre più innovative spostano continuamente il confine della ricerca. I neuroni specchio non servono più a niente. (:rolleyes:)
Nella seconda metà del Novecento, artisti straordinari operano un ulteriore balzo in avanti: non usano più nemmeno gli strumenti tradizionali della pittura (supporti, colori e pennelli), ma fanno arte con concetti, idee, materiali. Lo spettatore è spiazzato. Una memoria collettiva millenaria di classica pittura viene cancellata.
Movimenti nuovi nascono a ripetizione, nuovi concetti riempiono ogni decennio, quasi a impedire che i precedenti possano consolidarsi nella mente di chi si limita a guardare. Tutto diventa un linguaggio più complesso e impedisce la sedimentazione che si ottiene solo con il tempo. Lo studio diventa la sola via. L’arte segue il progresso e corre veloce. I neuroni specchio diventano una palla al piede. (:D)
A volte l’artista si compiace della propria complicatezza e questo non va bene, ma certamente non spetta a lui trascinare con forza tutti gli spettatori. I livelli di comprensione sono diversi. Una certa quota si perde per strada. Pazienza, del resto io non so suonare e men che meno so ballare, ma non accuso musicisti e ballerini di essere troppo avanti. Non si può capire proprio tutto!

Mamma mia, che pippone! Ho scritto con voglia e sono andato lungo. Se qualcuno è arrivato fino a qui, mi perdoni! :eek:
 
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Ho letto tutto senza problemi, accipicchia ;)
E mi sembra che più che contraddirmi tu abbia ben illustrato storicamente le situazioni cui mi riferivo.
Con alcuni distinguo. La prima e più significativa "critica" che porti è questa
Vorrei ribattere che i valori di certa pittura figurativa classica in realtà dipendevano eccome in grande parte da criteri di fedeltà e piacevolezza. Questo almeno fino all’impressionismo, una pittura più libera, che ha avuto il grandissimo merito storico di scardinare il disegno, di rompere le pennellate e di creare in buona parte i presupposti che avrebbe portato poi le naturali conseguenze dell’espressionismo e della grande rivoluzione astratta.
Il discorso non è inesatto, in effetti i criteri di fedeltà e piacevolezza contavano. Però c'è stato un percorso. Sino a Leonardo e Raffaello si cercò una forma di imitazione esatta, ma comunque piena di idealismo, una realtà idealizzata, come nelle madonne del Bellini, nei volti giotteschi, in Masaccio e Piero. La "scoperta" della prospettiva portò il dipinto ad essere una statua (una realtà) illusoria in massimo grado. Ma già con Michelangelo da una parte, Tintoretto dall'altra, si rinuncia coscientemente a questa ricerca, diciamo in sintesi che volutamente "si esagera". Corpi allungati, pennellate "sintetiche" ecc.: la pittura ha certamente piena coscienza di non essere solo imitazione. Le basta che dentro l'osservatore si formino delle conoscenze su cui appoggiare l'espressione artistica: riconosco che questo è un paesaggio, indi vedo che è un bel paesaggio. Ma non è "identico" al paesaggio visto nella realtà (questo resta solo un progetto dei pittori alla Baschenis, con le loro nature morte un po' trompe-l'oeil).
Tant'è vero che l'Impressionismo, contrariamente alla vulgata, voleva proprio rendere il reale così com'è, altro che libere pennellate: solo che si trattava della realtà nella luce, ancora più concreta di quella ricreata negli studi dei pittori, di una "realtà.2", non ricreata nella tela, ma nell'occhio da essa stimolato. Però la gente vide le ombre viola e le pennellate grasse, cioè l'oggetto-quadro, non il soggetto-occhio. Ed anche gli altri pittori videro questo, acquisendo nuovi strumenti per raggiungere nuovi e diversi obiettivi, e questo era il secondo punto che volevo notare.

Da qui in poi il tuo caratteristico parteggiare per il nuovo e l'attuale (lo dico senza criticare, anzi) trova nuovi argomenti: è il pubblico che deve imparare. Che cosa deve imparare? Poiché i linguaggi nuovi presuppongono regole e mete nuove, lo spettatore deve imparare a cercare e capire quali siano queste "leggi", questi percorsi.
Per capire i quadri futuristi deve concepire il movimento nel quadro stesso; e il movimento fa già parte della sua esperienza.
Per capire i simbolisti deve accettare che il quadro possa evocare qualcosa di non visibile, ma anche questo è qualcosa che ha già sperimentato. Per capire gli espressionisti deve rendersi conto che un quadro non guarda solo verso l'esterno, ma anche verso l'interno, dove vigono leggi diverse da quelle spaziali, e ciò pure trova appoggio sul suo vissuto.
Certamente per tutti questi movimenti rimane come viatico il riconoscimento di persone cose e animali, sia pure deformati, sia pure sintetizzati o ambigui. Mi pare che sin qui tu sia d'accordo.

Però già con l'astrattismo è arduo definire a quale tipo di esperienza personale precedente ci si debba riferire. Astrattismo significa, come ho già detto, che non si deve riconoscere più nulla. Una definizione in negativo. Ma, in positivo, qual è la proposta? Quale il riferimento al vissuto? Perché, se vuoi che lo spettatore ti venga dietro, un po' devi pur riferirti a lui, al suo vissuto.
Kandinskij fa esplicito riferimento all'esperienza musicale, ai ritmi, alle altezze dei suoni, alle durate, ma la cosa, questo parallelismo tra percezioni di sensi diversi, era all'epoca abbondantemente nell'aria.
Kandinskij, ma non Malevitch, che fa riferimento ad una "sensibilità plastica" che dovremmo immaginare vicina all'esperienza del tatto spiritualizzata ed organizzata. Certo, finché riconosco forme geometriche, non sono tutto fuori dall'attività, appunto, del riconoscere. Ma è anche vero che lo spettatore che dice: questo lo potrei fare anch'io, non ha tutti i torti. Insomma, siamo ancora nel campo dell'arte?
l problema vero non è l’artista, ma proprio lo spettatore che prima poteva guardare l’opera anche un po’ passivamente. D’ora in avanti lo spettatore deve “impegnarsi” di più.
Confermo che qui si complica anche la questione del giudizio, senza il quale qualunque "cosa" nuova o anche meno nuova può pretendersi artistica. Tu dici che purtroppo molti spettatori si perderanno per strada, non capiranno. Ciò sottintende un giudizio di questo tipo: l'arte ha una storia unilineare, c'è un progresso e chi è fuori da questo sviluppo esce dall'arte stessa. Per me è una visione troppo collegata con l'attualità, visto che invece a suo tempo sia le stampe giapponesi che l'arte negra hanno pesantemente influito sullo sviluppo dell'arte, ma non su tutta l'arte. Vuol dire collegare arte e società, ma negando la libertà dell'arte, non affermandola! Che cosa unisce in una stessa strada Dubuffet, Warhol, Magnelli, Kiefer, Dalì e Siqueiros ? Forse proprio la negazione di una unidirezionalità del progresso artistico!

Vabbè, diciamo che tu tendenzialmente accetti che le nuove proposte siano in buona fede e per la maggior parte valide. Ma c'è un piccolo particolare che in me incrina tale ottimismo, sino ad inficiare la possibile fede in una forma di progresso qualechesia. Si tratta della presenza strabordante, dell'influenza decisiva che ha oggi l'aspetto mercantile. Per cui la buona fede è meglio non concederla a priori. E nell'aspetto mercantile non ci metto solo i soldi, pur tanti. Ci metto anche il fatto che lo status di artista è socialmente considerato in modo positivo, è desiderabile, è prestigioso. Essere artista non è un viaggio ma una meta, occorre arrivarci in qualsivogliamodo, pur anco truffaldino :yes:

Per questo motivo preferisco gli artisti umili, che ricercano in silenzio, a quelli che proclamano molto e mostrano impegno sociale. Magari molti di questi umili sono in realtà dei falliti in partenza, ma quasi sicuramente non cercano di speculare sul mio sbigottimento.

E' del poeta il fin la meraviglia, diceva Marino (chi si è mai letto un libro di sue poesie? :p ). Così dicendo invertiva l'ordine delle cose, per cui la poesia nasce dalla meraviglia, ma questa non ne è certo lo scopo centrale.

Glenn Gould ebbe a dire che
lo scopo dell’arte non è quello di farci produrre una scarica di adrenalina, ma la costruzione graduale, protratta nel corso della vita intera di uno stato di serenità mista a meraviglia.
Io sottoscrivo al 100%, sia come autore che come spettatore.
 
E' bellissima, semplice e profonda allo stesso tempo questa citazione del grande Glenn Gould che io sottoscrivo al 1000 per 1000;)
Lo sapevi che Glenn Gould è uno degli autori preferiti di Gerhard Richter? Ricordava in una sua intervista che ha ascoltato forse per anni la stessa composizione di Gould (che non ricordo, dovrei andare a controllare qualche testo) perché era ossessionato dalla sua perfezione.:yes:
 
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E tornando ai neuroni specchio, per chi ha voglia di leggere ...
Da wikipedia

I neuroni specchio sono una classe di neuroni che si attivano quando un animale compie un'azione e quando l'animale osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto.

Attraverso studi di risonanza magnetica, si è potuto constatare che i medesimi neuroni attivati dall'esecutore durante l'azione, vengono attivati anche nell'osservatore della medesima azione. Ulteriori indagini estese agli esseri umani non solo hanno confermato le attività neuronali sulla base di studi di neuroimmagine, ma hanno anche condotto a concludere che tali neuroni vengono attivati anche nei portatori di amputazioni o plegie degli arti, nel caso di movimenti degli arti, nonché in soggetti ipovedenti o ciechi: per esempio basta il rumore dell'acqua versata da una brocca in un bicchiere per l'attivazione, nell'individuo cieco, dei medesimi neuroni che sono attivati in chi esegue l'azione del versare l'acqua nel bicchiere o comunque sia in qualsiasi altro tipo di contenitore inventato per contenere un liquido.
...
Ramachandran ha scritto un saggio sulla loro importanza potenziale nello studio dell'imitazione e del linguaggio.
...
Alcuni ricercatori ritengono che il sistema specchio possa simulare le azioni osservate e perciò contribuire a una teoria della conoscenza o, come qualcuno la chiama, teoria della mente. Altri pongono i neuroni specchio in relazione con le caratteristiche del linguaggio. È stato anche proposto il collegamento tra il sistema specchio con le patologie della conoscenza e della comunicazione, in particolare l'autismo
...
Ormai è certo che tale sistema ha tutto il potenziale necessario per fornire un meccanismo di comprensione delle azioni e per l'apprendimento attraverso l'imitazione e la simulazione del comportamento altrui. In questo senso è opportuno ribadire che il riconoscimento non avviene soltanto a livello motorio ma con il riconoscimento vero e proprio dell'azione, intesa come evento biofisico.
...
La capacità di parti del cervello umano di attivarsi alla percezione delle emozioni altrui, espresse con moti del volto, gesti e suoni; la capacità di codificare istantaneamente questa percezione in termini "viscero-motori", rende ogni individuo in grado di agire in base a un meccanismo neurale per ottenere quella che gli scopritori chiamano "partecipazione empatica".
...
Ancora oggi si tengono corsi di formazione nei quali si "impone" di sorridere sempre. ... se prima non si è intrapreso un accurato percorso di motivazione, il risultato potrebbe essere il famigerato sorriso falso, il quale ha una caratteristica eccezionale: si coglie, si individua, si cataloga pressoché immediatamente, sempre in virtù delle capacità dei neuroni specchio.
...
Altro aspetto interessante, che ci fa notare ancora una volta la nostra responsabilità sociale a livello biologico, sulla base dei neuroni specchio, è che quando esprimiamo uno stato d'animo negativo modifichiamo anche l'umore e le percezioni di tutti coloro che vengono in contatto con noi e si predispongono ad imitarci in modo automatico.

Non sono materialista, dunque questa importante scoperta non la nego, anzi, ma va capita. Ritengo che la funzione preceda l'organo, e che anche i neuroni specchio non siano che la parte materiale che un processo avente origine, e qui semplifico troppo, nella mente, si crea per potersi materializzare, cioè per "appoggiarvisi". Di per sé il neurone non determina nulla, così come la bicicletta non "decide" dove io devo andare, pur avendo un'importanza condizionante - se si rompe non posso proprio andare da nessuna parte.

Credo allora di dover chiarire perché i neuroni specchio sarebbero coinvolti nell'osservare un quadro come riferito ad una realtà esterna ad esso. Ma lo faccio in un altro post :p
 
Nel test di Rorschach il soggetto viene valutato a seconda di come interpreta delle macchie ambigue. Nel far ciò egli proietterà nell'interpretazione scelta le proprie stesse caratteristiche, stante appunto l'ambiguità del disegno che lo lascia libero. Facendo il percorso inverso, cioè dall'interpretazione alle caratteristiche che hanno agito nell'atto di interpretare, lo psicologo ottiene delle informazioni sul testato.

Uno degli aspetti più importanti è il riconoscere, da parte del soggetto, forme dotate di individualità, di unità. E' come se le ricostruisse lui stesso, con modalità cui il suo stesso modo di essere dà l'impronta. Per riconoscere l'individualità di un'altra persona occorre che sia attiva anche la mia individualità. Ciò vale anche limitatamente a solo alcuni degli aspetti di questa.

Nel riconoscere che un nudo di modella rappresenta una unità esterna al quadro devo da una parte rifarmi alla percezione della mia individualità, dall'altra operare un processo di conoscenza fuori, nel mondo, sentendomi parte di quel mondo, spazialmente e non solo. Poiché la mia presenza nello spazio è legata al mio corpo, ecco che il riconoscimento di questa realtà esterna al quadro avviene tenendo come termine di paragone proprio quel mio corpo fisico. (magari il paesaggio è più rilassante in quanto lascia maggiore spazio al mio movimento immaginato, senza presenze umane che lo condizionino).

A farla breve: mi sembra probabile che in tutto ciò agiscano i neuroni specchio, ed agiscano non solo se vi è il dipinto di un corpo, ma anche per un semplice paesaggio. Perché io in quel paesaggio mi ci potrei muovere. Per il neurone specchio il solo immaginare l'azione è lo stesso che farla (e lo sapeva bene quel tale il quale sosteneva che commettere adulterio in cuor proprio è esattamente come commetterlo nei fatti :D).

L'ASTRAZIONE

Per capire un quadro astratto devo rinunciare all'uso dei neuroni specchio?
E prima ancora: nel creare un quadro astratto l'artista fa la stessa rinuncia?
Un quadro astratto dovrebbe essere un dipinto che si può (o: si deve) capire, apprezzare e valutare senza far riferimento a nulla di quanto esiste all'infuori di esso. Due linee leggermente convergenti non dovranno richiamare esplicitamente l'immagine di un palo o di una gamba, ma solo esprimere una situazione di rapporti all'interno del quadro-recinto. E' vero che inconsciamente certi frammenti di immagine possono continuare ad agire, e una specie di luna messa orizzontale potrà richiamare alla mia anima il segno o simbolo del sorriso. Questo ha a che fare con l'inconscio, con fattori subliminali, ma non naturali (per es. se un segno più volte ripetuto richiama una corona, ciò influenzerà il tono della mia lettura dell'opera in modo un po' magico..)

Il pittore astratto dunque normalmente ci chiede proprio di sospendere l'azione di quegli speciali neuroni. Però, attenzione, una simile cessazione avviene anche nello schizofrenico: occorrerà trovare una differenza.
 
siete più bravi e preparati di me in arte e storia dell'arte ... non ho dubbi su questo ... non vi intrattengo dunque con disquisizioni approfondite che peraltro non saprei articolare e con le quali non riuscirei ad interessarvi

vorrei dire però una cosa ... non riesco a distinguere tra un'opera figurativa ed una astratta (come una foto, un video o un'installazione) se entrambe trasmettessero, in modo esplicito od implicito, un'immagine, bella o brutta che sia .... non riuscirei ad esserne attratto ....

io sono attratto solo dall'universo concettuale, storico e sociale, preferibilmente rivoluzionario ed auspicabilmente di rottura (rispetto all'omologazione del contesto in cui vive l'artista) che ha prodotto quell'opera e che quell'opera vuole rappresentare ... l'opera mi deve provocare una riflessione profonda, deve produrre un'indagine critica su come ragiono o ragionavo prima di vederla, su un argomento che interessa l'artista ...

un'opera, figurativa e/o astratta, deve produrre - in me - una reazione a catena, di cui non conosco l'esito finale .... non importa che lo condivida, ma deve indurmi, deve obbligarmi, a cercarlo ...

deve farmi entrare in un labirinto di neuroni .... a specchio ... sperando di trovare la via d'uscita .... e quando la trovo, se mi è piaciuto il viaggio, cerco di nuovo la porta ... ma per far entrare in casa un lavoro .....
 
siete più bravi e preparati di me in arte e storia dell'arte ... non ho dubbi su questo ... non vi intrattengo dunque con disquisizioni approfondite che peraltro non saprei articolare e con le quali non riuscirei ad interessarvi

vorrei dire però una cosa ... non riesco a distinguere tra un'opera figurativa ed una astratta (come una foto, un video o un'installazione) se entrambe trasmettessero, in modo esplicito od implicito, un'immagine, bella o brutta che sia .... non riuscirei ad esserne attratto ....

io sono attratto solo dall'universo concettuale, storico e sociale, preferibilmente rivoluzionario ed auspicabilmente di rottura (rispetto all'omologazione del contesto in cui vive l'artista) che ha prodotto quell'opera e che quell'opera vuole rappresentare ... l'opera mi deve provocare una riflessione profonda, deve produrre un'indagine critica su come ragiono o ragionavo prima di vederla, su un argomento che interessa l'artista ...

un'opera, figurativa e/o astratta, deve produrre - in me - una reazione a catena, di cui non conosco l'esito finale .... non importa che lo condivida, ma deve indurmi, deve obbligarmi, a cercarlo ...

deve farmi entrare in un labirinto di neuroni .... a specchio ... sperando di trovare la via d'uscita .... e quando la trovo, se mi è piaciuto il viaggio, cerco di nuovo la porta ... ma per far entrare in casa un lavoro .....

PROMETTO ORA SOLO INTERVENTI BREVI!​

Ti ringrazio perché espliciti con chiarezza un modo di guardare all'arte che mi è profondamente estraneo e mi aiuti a capirlo. Tornando alla metafora della "danza con il quadro", la storia dell'arte ci mostra un primo lunghissimo periodo in cui la raffigurazione aveva soprattutto un senso magico-religioso. In tal caso, il riconoscimento (con l'attivazione dei neuroni specchio :D) dell'oggetto era alla base di tutto: se il dio ha fattezze di toro, devo riconoscere nella raffigurazione un toro.

L'atteggiamento estetico è una conquista più recente: prima agito per il tramite del riconoscimento stesso (a partire dai Greci, poi abbiamo gli affreschi pompeiani, poi le madonne ...). Però in seguito agito per sé stesso: l'arte si separa dalla religione (e si avvicina alla scienza, ma non più vissuta quale informazione - per es. sulla storia, sul soggetto - ma in rapporto alla comunicazione, al vedere). L'arte diviene autonoma.

Probabilmente l'attuale sovraccarico di informazioni ha contribuito a far nascere un atteggiamento quale il tuo. Tu dici: le cose le so già, mostratemi un altro modo di interpretarle. Per saperle, i famosi neuroncini devi averli attivati prima :p, e ora chiedi ti sia offerta una variante.
Non so come rapportare all'arte tutto ciò, ma magari è un mio limite strutturale. Intanto ne prendo atto. E credo anche che la novità dell'esistenza di immagini in movimento abbia influito su tutto questo.
 
PROMETTO ORA SOLO INTERVENTI BREVI!​

Ti ringrazio perché espliciti con chiarezza un modo di guardare all'arte che mi è profondamente estraneo e mi aiuti a capirlo. Tornando alla metafora della "danza con il quadro", la storia dell'arte ci mostra un primo lunghissimo periodo in cui la raffigurazione aveva soprattutto un senso magico-religioso. In tal caso, il riconoscimento (con l'attivazione dei neuroni specchio :D) dell'oggetto era alla base di tutto: se il dio ha fattezze di toro, devo riconoscere nella raffigurazione un toro.

L'atteggiamento estetico è una conquista più recente: prima agito per il tramite del riconoscimento stesso (a partire dai Greci, poi abbiamo gli affreschi pompeiani, poi le madonne ...). Però in seguito agito per sé stesso: l'arte si separa dalla religione (e si avvicina alla scienza, ma non più vissuta quale informazione - per es. sulla storia, sul soggetto - ma in rapporto alla comunicazione, al vedere). L'arte diviene autonoma.

Probabilmente l'attuale sovraccarico di informazioni ha contribuito a far nascere un atteggiamento quale il tuo. Tu dici: le cose le so già, mostratemi un altro modo di interpretarle. Per saperle, i famosi neuroncini devi averli attivati prima :p, e ora chiedi ti sia offerta una variante.
Non so come rapportare all'arte tutto ciò, ma magari è un mio limite strutturale. Intanto ne prendo atto. E credo anche che la novità dell'esistenza di immagini in movimento abbia influito su tutto questo.

in un certo senso .... forse preferirei semplificare così ....

"le cose le sappiamo già ... mostratemi il vs modo di interpretarle"

io resto colpito, quando colpito, da come hanno rappresentato il tema che sta loro a cuore ... naturalmente mi deve attrarre il tema, ma soprattutto la creatività, la profondità, la coscienza, la diversa prospettiva con le quali lo interpretano e traducono ...
 
Oso ribattere: ecco i vecchi schemi che saltano fuori!
Però già con l'astrattismo è arduo definire a quale tipo di esperienza personale precedente ci si debba riferire. Astrattismo significa, come ho già detto, che non si deve riconoscere più nulla. Una definizione in negativo. Ma, in positivo, qual è la proposta? Quale il riferimento al vissuto? Perché, se vuoi che lo spettatore ti venga dietro, un po' devi pur riferirti a lui, al suo vissuto.
L’Astrattismo prevede proprio che non ci sia una forma “riconoscibile” e non è affatto una definizione in negativo. Persino nell’Astrattismo geometrico, che pur prevede forme geometriche ovviamente “riconoscibili”, non c’è nessun richiamo alle forme. Non interessa “descrivere” cerchi, quadrati o rettangoli, ma interessano solo i rapporti di queste “forme” tra loro, e con spazio e colore.
L’Astrattismo è stato una vera rivoluzione, un diverso modo di approcciare l’arte di sempre, una creazione di stimoli nuovi per chi fa e per chi guarda. Non mi soffermerei soltanto al vissuto (anche se ovviamente proporre qualcosa, significa per forza tirar fuori qualcosa che si ha dentro), ma piuttosto sull’atteggiamento estetico che vale almeno altrettanto se non di più del vissuto. E’ l’invenzione pura di un nuovo linguaggio. Un linguaggio personale, elaborato, a volte complesso, che l’artista riesce a proporre con intelligenza e coerenza (per questo escludo che abbiano un qualsiasi valore artistico le innumerevoli “trovate” ad effetto, fatte solo per creare stupore ma del tutto prive senso) e che il fruitore deve “imparare” a capire.
In fin dei conti questo lavoro di decodifica di un linguaggio per iniziati non è una novità.
Anticamente, la pittura serviva a divulgare messaggi relativamente semplici come quelli religiosi ma anche complessi come quelli teologici. Serviva anche a divulgare messaggi politici affermando per esempio la grandezza di regnanti o di casati nobili. O serviva a trasmettere informazioni su nazioni lontane, su altri continenti o su culture diverse (non esistevano certo le comunicazioni audiovisive di oggi). Queste “narrazioni” secondo me potevano all’epoca risultare in buona parte incomprensibili a un popolano di bassa cultura che non sapeva granchè di religione, quasi nulla di politica, praticamente niente di altre culture.
Oggi il mondo è del tutto diverso: i mezzi di comunicazione sono straordinari e straordinariamente veloci: non c’è da descrivere niente che non sia già noto e già stato visto. Ma l’arte per definizione non può essere una retroguardia. L’arte infatti ha più che mai un ruolo trainante di “scoperta”, di crescita di idee e valori. Il suo ruolo nelle società evolute è semmai sempre più amplificato e deve avere capacità sempre nuove di colpire intelligenze e coscienze di livello sempre più alto. L'arte è più difficile da capire. Ma oggi tutto è più difficile: vita sociale, progresso, scoperte scientifiche
Vabbè, diciamo che tu tendenzialmente accetti che le nuove proposte siano in buona fede e per la maggior parte valide. Ma c'è un piccolo particolare che in me incrina tale ottimismo, sino ad inficiare la possibile fede in una forma di progresso qualechesia. Si tratta della presenza strabordante, dell'influenza decisiva che ha oggi l'aspetto mercantile.
L’aspetto mercantile è certamente una devianza rispetto alla purezza delle idee. Ma viviamo in un mondo puro? Ha senso negare l’aspetto commerciale di qualsiasi cosa? L’arte può non tenerne conto? Lasciamo perdere le battaglie contro i mulini a vento, e cerchiamo piuttosto di non farci fregare. Ma non mi sembra che l’aspetto commerciale sia negativo. Da quando è nato il “mercato”, direi al metà del 1800, l’arte ha smesso di essere alla portata solo di papi, di re e di nobili. Quando nacque (per fortuna!!) una borghesia agiata e allargata, l’opera dei pittori è stata svincolata dalla “committenza”. Gli artisti hanno potuto “produrre” non su indicazione di potenti mecenati ma liberamente, per un pubblico molto più vasto di compratori e collezionisti. E così via via fino ad oggi. Non è un male, il mercato, anzi. Se poi gli artisti producono troppo e male, se i mercanti approfittano e speculano, se i collezionisti si fanno abbagliare, questi sono solo tutti aspetti da tenere sotto osservazione. Fenomeni normali di un mondo moderno.
:cincin:
 
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L'ASTRAZIONE

Per capire un quadro astratto devo rinunciare all'uso dei neuroni specchio?
E prima ancora: nel creare un quadro astratto l'artista fa la stessa rinuncia?
Un quadro astratto dovrebbe essere un dipinto che si può (o: si deve) capire, apprezzare e valutare senza far riferimento a nulla di quanto esiste all'infuori di esso. Due linee leggermente convergenti non dovranno richiamare esplicitamente l'immagine di un palo o di una gamba, ma solo esprimere una situazione di rapporti all'interno del quadro-recinto. E' vero che inconsciamente certi frammenti di immagine possono continuare ad agire, e una specie di luna messa orizzontale potrà richiamare alla mia anima il segno o simbolo del sorriso. Questo ha a che fare con l'inconscio, con fattori subliminali, ma non naturali (per es. se un segno più volte ripetuto richiama una corona, ciò influenzerà il tono della mia lettura dell'opera in modo un po' magico..)

Il pittore astratto dunque normalmente ci chiede proprio di sospendere l'azione di quegli speciali neuroni. Però, attenzione, una simile cessazione avviene anche nello schizofrenico: occorrerà trovare una differenza.

Bhe sì, probabilmente bisognerebbe proprio essere del tutto liberi da condizionamenti figurativi.
Mi permetto di sorridere al tuo esempio di voler individuare in una mezzaluna distesa un abbozzo di sorriso. Ti dirò che allo stesso modo mi fanno molto ridere certe argomentazioni di alcuni teleimbonitori (riferite a pittura figurativa) del tipo: "se guardiamo questo particolare del cielo in modo ravvicinato escludendo tutto il resto, possiamo vedere un'astrazione...".
Spesso si tratta di tentativi di spiegarsi in modo semplice qualcosa che non è facile comprendere, di dare peso e misure all'indicibile.
Il figurativo è figurativo. L'astratto è astratto. Sono due mondi. La qualità può esserci o non esserci in entrambi. Riconoscerla è una capacità notevole, da affinare. L'astratto, disciplina più nuova, ci trova spesso ancora dubbiosi semplicemente perchè mediamente più impreparati.
 
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Sempre nell'ambito di un sereno scambio di vedute e senza intenzioni polemiche, posto qui un altro mio pensiero in proposito.
Astrattismo e figurativo, per me sono solo categorie che ci viene comodo in qualche modo incasellare, giusto per dare un nome alle cose.

Premetto che quando parlo di realtà intendo figurativo o se preferite tutto quello che ci circonda e anche quello che possiamo vedere attraverso gli strumenti tecnologici es. il microscopio e non la realtà mediata della tv, internet, foto etc. Perché la prima è il vero, la seconda è appunto, mediata (ma anche da questa si può astrarre o estrarre).
Penso che noi tutti -artisti e fruitori compresi ovviamente- siamo immersi nella realtà perché in questa viviamo e da questa traiamo spunto per il nostro operare. Tutti gli artisti si rifanno alla realtà perché in essa vivono, da essa vengono ispirati e da essa sperano di trovare soddisfazione alle loro frustrazioni o ai loro desideri. Chiamala realtà fenomenica, microscopica, sociale, naturale, urbana, etc. etc. sempre realtà è. Ci siamo dentro, e per me non esiste astrattismo senza realtà. Una linea retta cos’è? Non la ritrovi nella realtà, si, certo che la ritrovi… può essere il palo della palizzata o quello dell’antenna. Una linea curva può essere il richiamo alle forme anatomiche femminili e cosi una ellisse e tutto quello che può in qualche modo richiamare l’armonia, perché non c'è niente di più armonico di quelle forme. Mondrian si rifaceva alla realtà ad esempio in Broadway Boogie-Woogie dove richiama le luci di New York, in modo più razionale e meno lirico di De Kooning di cui mi viene in mente una sua opera come Lo scavo. Sono agli antipodi, ma tutti e due si rifanno alla realtà. Quindi non sono d’accordo con accipicchia quando afferma che … L’Astrattismo prevede proprio che non ci sia una forma “riconoscibile” e non è affatto una definizione in negativo. Persino nell’Astrattismo geometrico, che pur prevede forme geometriche ovviamente “riconoscibili”, non c’è nessun richiamo alle forme. Non interessa “descrivere” cerchi, quadrati o rettangoli, ma interessano solo i rapporti di queste “forme” tra loro, e con spazio e colore…

Riconoscibile forse no, evocativo della realtà sicuramente si!!!

Ti faccio due esempi: Magnelli in un quadro come “Ore del Mattino” del 1948 che palesemente si rifà o evoca nelle forme e nell’atmosfera una annunciazione. Oppure un lavoro di Rothko come “Untitled (Black on Gray) 1969/70 che a me ricorda un orizzonte notturno. Se trovo le immagini su internet le posto.

In conclusione il figurativo può esistere senza l’astrazione, l’astrazione senza il figurativo no!

Riporto quello che dice wikipedia in proposito:

Astrazione nell'arte
Il procedimento indicato è in particolare attribuito alla creazione di un segno astratto. In questo caso, per "astrazione" si suole intendere un processo mentale mediante il quale si allontana, si estrae, una parte da un tutto visivamente percepito. La percezione visiva dell'angolo tra il ramo e il tronco di una pianta, può diventare la rappresentazione grafica dell'albero.

Dopo quanto detto, mi ritiro a dipingere un quadro… astratto!!!:D:D
 
Il pittore astratto dunque normalmente ci chiede proprio di sospendere l'azione di quegli speciali neuroni. Però, attenzione, una simile cessazione avviene anche nello schizofrenico: occorrerà trovare una differenza.
Quanto alla differenza tra chi sospende - o limita - volontariamente l'azione dei neuroni specchio e lo schizofrenico, evidentemente essa sta appunto nella volontarietà.
Lo schizofrenico è in balia di tali non-scelte, non riesce, o riesce con enorme difficoltà, a riconoscersi "uguale all'altro", non controlla le sue identificazioni. Alla persona sana è richiesto invece di avere una certa dose di controllo su una lunga serie di comportamenti. Se rinuncia a certi comportamenti "naturali" entra in una dimensione "alterata", da cui deve comunque essere in grado di uscire quando lo desideri e scelga.

Ciò non toglie che talune opere figurative ci propongano immagini che usano procedimenti "malati" (alla Biennale di Venezia vi era una intera sezione su ciò: ma riguardava forse più personaggi malati che artisti autonomi). Uno di questi procedimenti è, per esempio, quando una linea fa da contorno esterno comune a due figure appiccicate
Alchimie-dell%27arte_outsider-art.JPG
. Un uso da "sano" di questo ritrovato è spesso presente in Escher.

In generale, molta arte del 900 ha fatto ricorso a procedimenti riferibili a disegni di malati mentali, Dubuffet su tutti. Raramente, però, si trattò di pittori astrattisti (magari tra questi emerge proprio Dubuffet ). Comunque, da qui vennero le accuse di arte degenerata, di arte folle ecc.
Oggi, un artista che lavora con forza su questo crinale a metà tra sano e folle, crinale che di conseguenza ci appare magico, è Simone Pellegrini
84462.jpg

Diciamo che ad impegnare i propri neuroni specchio con quadri come questo si rischia un po' di disagio mentale, perché l'artista tiene tutto sotto controllo, ma ... lo spettatore?
 
Rothko “Untitled (Black on Gray) 1969/70 che a me ricorda un orizzonte notturno.

"Ore del mattino" non l'ho trovato, ho questo "Conciliaboli distratti "del '35 che nell'impianto compositivo somiglia al primo grosso modo con due "figure" che si contrappongono una davanti all'altra.:yes::) Bellissimo parlare di questo cose... ma se continuo cosi non dipingo più:wall::wall:
 

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  • 1970, New York Biography. Untitled (Black on Gray), 1969-70..jpg
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In generale, molta arte del 900 ha fatto ricorso a procedimenti riferibili a disegni di malati mentali, Dubuffet su tutti. Raramente, però, si trattò di pittori astrattisti (magari tra questi emerge proprio Dubuffet ). Comunque, da qui vennero le accuse di arte degenerata, di arte folle ecc.

A mio parere non dobbiamo confondere l'"espressione artistica" con la "manifestazione di un disagio (mentale)". Come dici tu nel 900 sono diversi i casi di pittori "malati", per l'appunto quasi mai astrattisti, semmai espressionisti o simbolisti.
L'astrattista di norma è un artista rigoroso, che elabora il suo canone espressivo direi scientificamente, non è mai un disadattato e se lo è non vuole darlo a vedere. Le sue scelte sono processi mentali studiati. Anche quando prevale il gesto c'è comunque metodo e organizzazione in termine di spazio e di colore.
Magnelli è ricerca di equilibri compositivi, non raffigura niente.
Rothko è la ricerca di una dimensione differente di luce.
Hartung si esprime con i suoi "graffi" e coi suoi colori tipici. E' un linguaggio studiato e inconfondibile.
Vedova è gesto e diventa grande quando si libera di tutto e entra nel quadro per dipingerlo. Sembra istinto ma sa bene come ottenere il risultato che ha in mente.
Se ne possono citare a decine e decine, ma il sunto è sempre lo stesso: ha senso cercare quasi a forza qualcosa che non avevano nessuna intenzione di dire? Anzi: che non volevano dire proprio.
Nessun neurone specchio. Guardiamo le loro opere per quello che sono: invenzioni di stili personalissimi. In questi artisti c'è sicuramente un moto proprio che esprime una ribellione, o una denuncia, o una tensione. Cerchiamo di capire queste spinte, cercare altro sarebbe solo una nostra contaminazione.
Poi i vari linguaggi posso piacere o non piacere, possono convincere o meno, ma dobbiamo interpretarli con la loro chiave di lettura, non con la nostra fantasia.
Se guardo in cielo una rondine non penso "però l'elefante è più forte". Così come se guardo un elefante non mi metto a pensare "però la rondine è più leggera". Altrimenti il malato sono io!
 
A mio parere non dobbiamo confondere l'"espressione artistica" con la "manifestazione di un disagio (mentale)". Come dici tu nel 900 sono diversi i casi di pittori "malati", per l'appunto quasi mai astrattisti, semmai espressionisti o simbolisti.
L'astrattista di norma è un artista rigoroso, che elabora il suo canone espressivo direi scientificamente, non è mai un disadattato e se lo è non vuole darlo a vedere. Le sue scelte sono processi mentali studiati. Anche quando prevale il gesto c'è comunque metodo e organizzazione in termine di spazio e di colore.
Magnelli è ricerca di equilibri compositivi, non raffigura niente.
Rothko è la ricerca di una dimensione differente di luce.
Hartung si esprime con i suoi "graffi" e coi suoi colori tipici. E' un linguaggio studiato e inconfondibile.
Vedova è gesto e diventa grande quando si libera di tutto e entra nel quadro per dipingerlo. Sembra istinto ma sa bene come ottenere il risultato che ha in mente.
Se ne possono citare a decine e decine, ma il sunto è sempre lo stesso: ha senso cercare quasi a forza qualcosa che non avevano nessuna intenzione di dire? Anzi: che non volevano dire proprio.
Nessun neurone specchio. Guardiamo le loro opere per quello che sono: invenzioni di stili personalissimi. In questi artisti c'è sicuramente un moto proprio che esprime una ribellione, o una denuncia, o una tensione. Cerchiamo di capire queste spinte, cercare altro sarebbe solo una nostra contaminazione.
Poi i vari linguaggi posso piacere o non piacere, possono convincere o meno, ma dobbiamo interpretarli con la loro chiave di lettura, non con la nostra fantasia.
Se guardo in cielo una rondine non penso "però l'elefante è più forte". Così come se guardo un elefante non mi metto a pensare "però la rondine è più leggera". Altrimenti il malato sono io!
Non so se volevi contestarmi ... ma dici quello che dicevo io, cioè che il buon pittore non è un "malato", anzi, il suo io controlla bene l'espressione. :)

Quanto a 'sti benedetti neuroni specchio: semplicemente, ci si può educare a non attivarli, proprio perché i pittori "astratti" han fatto lo stesso, e non va cercato in loro quello che non ci hanno messo. Ma sia i surrealisti che Klee o Mirò usano dei procedimenti di allontanamento dalla figura che li possono portare in ambito che sembra astratto, ma non lo è: è un figurativo rarefatto, che usa di segni e simboli i quali agiscono comunque sul nostro inconscio per via di analogie formali le quali vengono comunque riconosciute e si rifanno ad oggetti, o magari a simboli esterni al quadro.
Ciò paradossalmente non toglie che certuni possano leggerli come astratti, non riuscendo a ripercorrere tutto il percorso che li ha portati al risultato finale visibile.

Infine, poiché il pittore astratto, chiamiamolo così, crea comunque forme, alla fine del processo queste possono ricreare un nuovo mondo, sia casualmente semifigurativo, sia totalmente risolto all'interno, sia, infine, rapportato alla realtà non più per la via della rappresentazione ma per quella, diciamo, muscolare, dove ogni artista ha la sua scrittura, la sua grafia, che nasce nelle profondità del corpo fisico - come sapeva e ricercava già il Cavalcaselle (o, nel campo dell'analisi calligrafica, il Moretti).
Chiaramente, non si tratta più di un rappresentare, semmai di un presentarsi. :rolleyes:
 
...Magnelli è ricerca di equilibri compositivi, non raffigura niente.
Rothko è la ricerca di una dimensione differente di luce.
Hartung si esprime con i suoi "graffi" e coi suoi colori tipici. E' un linguaggio studiato e inconfondibile.
Vedova è gesto e diventa grande quando si libera di tutto e entra nel quadro per dipingerlo. Sembra istinto ma sa bene come ottenere il risultato che ha in mente....

Questi come tanti altri artisti (che poi sono quelli degli esempi postati da me), non raffigurano la realtà, ma comunque in modo o nell'altro tutti dico tutti la evocano... partono tutti da un dato reale sempre!!!:D
 
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