Differenza tra guardare un figurativo o un astratto

baleng ginogost

Io non dimentico. Pagheranno.
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Lo spunto mi viene da una peraltro pregevole osservazione di ppf: Matisse sarebbe un punto di equilibrio perfetto tra gli amanti del figurativo e quelli dell'astratto.
Io sostengo invece che al massimo si tratta di ambivalenza. Mi spiego. Ritengo che nel guardare un'opera come quadro astratto l'osservatore abbia un atteggiamento ben diverso da quello che ha chi la vede come figurativa.
Si ammetterà che i famosi lavori di Rotko danno una risposta ben diversa se li si guarda come opera astratta pura o come finestre.
Ritengo che la differenza possa consistere nell'attivazione o meno dei neuroni-specchio che sono, uscendo dall'anatomia pura, le parti del cervello che sembrano preposte al "riconoscimento" e all'empatia.
A molti di noi sarà capitato quell'episodio sconcertante, che consiste nel mostrare una tela astratta a qualcuno che subito inizia a dire: qui c'è il cielo, questo sembra un animale, ecc. :wall:
Dove lui cerca una risposta a qualcosa che potremmo provvisoriamente definire come un'attivazione da parte sua dei propri neuroni-specchio, noi vedevamo un puro gioco di forme ... e anche molti pittori, che pure lasciano capire nei loro lavori astratti di essere partiti da un qualcosa di figurativo, non chiedono poi che il quadro venga vissuto se non come puro gioco di forme e colori.
La famosa scoperta di Kandinskij del quadro rovescio che era bello lo stesso (se andò davvero così) NON va intesa come un giudizio riferito all'opera, BENSì nello stesso senso dell'esempio iniziale su Matisse: l'opera permette che io la goda, ne usufruisca SIA attivando il riconoscimento (per il momento indichiamolo solo così) CHE non attivandolo, limitandomi a forme+colori (il che da un lato porta la visione ad avere analogie con quella dell'architetto, dall'altra, opposta, a somigliare a quella del musicista).
Insomma, Kandinskij non scopre\inventa il quadro astratto, ma l'atteggiamento di non-riconoscimento dell'osservatore.

Storicamente molti artisti si trovarono ad oscillare tra i due poli, creando, come ho scritto sopra, immagini astratte chiaramente derivate da una o più figure. L'evoluzione di Mondrian, in questo senso, resta esemplare. Oppure, abbiamo l'astrattismo lirico di un Singier dove fin dal titolo la figura viene richiamata ("Bagnante mattutina" ...). Ma durante il XX secolo gli artisti hanno pian piano fatto chiarezza, chi tornando a rielaborare la figura anche in modi estremi (Appel, Jorn) chi invece oltrepassando le angoscianti colonne d'Ercole dell'aggancio al reale (Burri, Max Bill, ovvero Vasarely, dove però l'aggancio al reale diviene comunque aggancio alla reazione materiale, fisica, dell'occhio).
Da questo punto di vista Warhol, Koons, Liechtenstein, Hirst rappresentano una retroguardia stordita, gutai un'avanguardia nostalgica (del gesto), e forse solo autori come Dorazio o Hartung hanno gettato il cuore oltre l'ostacolo (peraltro con risultati abbastanza relativi, talora scarsi).

Naturalmente i "neuroni specchio" continuano ad essere stimolati da opere di artisti quali Picasso, Bonnard, Licini, Morandi, che però ne ampliano il campo di attività. E non è nemmeno detto che la strada "giusta" consista nell'abbandono del "riconoscimento". Ciò che in realtà è avvenuto sinora è stata un'acrobatica abilità di vari geniacci di saltare da qui a là e viceversa. Impegno folle ed angoscioso, che pure ha fatto le proprie vittime (De Stael). Unita all'opera perlopiù inconsapevole di astrattisti che credevano di creare il quadro astratto, ma dimenticavano che stavano creando l'"atteggiamento astratto". (Salvo eccezioni, che altri posteranno :D )
 
Ultima modifica di un moderatore:
Gino sentivo la tua mancanza.

Grazie per i tuoi preziosi interventi che trovo davvero interessantissimi e indispensabili.


un abbraccio

ARTPOP/GIUSEPPE
 
Lo spunto mi viene da una peraltro pregevole osservazione di ppf: Matisse sarebbe un punto di equilibrio perfetto tra gli amanti del figurativo e quelli dell'astratto.
Io sostengo invece che al massimo si tratta di ambivalenza. Mi spiego. Ritengo che nel guardare un'opera come quadro astratto l'osservatore abbia un atteggiamento ben diverso da quello che ha chi la vede come figurativa.
Si ammetterà che i famosi lavori di Rotko danno una risposta ben diversa se li si guarda come opera astratta pura o come finestre.
Ritengo che la differenza possa consistere nell'attivazione o meno dei neuroni-specchio che sono, uscendo dall'anatomia pura, le parti del cervello che semebrano preposte al "riconoscimento" e all'empatia.
A molti di noi sarà capitato quell'episodio sconcertante, che consiste nel mostrare una tela astratta a qualcuno che subito inizia a dire: qui c'è il cielo, questo sembra un animale, ecc. :wall:
Dove lui cerca una risposta a qualcosa che potremmo provvisoriamente definire come un'attivazione da parte sua dei propri neuroni-specchio, noi vedevamo un puro gioco di forme ... e anche molti pittori, che pure lasciano capire nei loro lavori astratti di essere partiti da un qualcosa di figurativo, non chiedono poi che il quadro venga vissuto se non come puro gioco di forme e colori.
La famosa scoperta di Kandinskij del quadro rovescio che era bello lo stesso (se andò davvero così) NON va intesa come un giudizio riferito all'opera, BENSì nello stesso senso dell'esempio iniziale su Matisse: l'opera permette che io la goda, ne usufruisca SIA attivando il riconoscimento (per il momento indichiamolo solo così) CHE non attivandolo, limitandomi a forme+colori (il che da un lato porta la visione ad avere analogie con quella dell'architetto, dall'altra, opposta, a somigliare a quella del musicista).
Insomma, Kandinskij non scopre\inventa il quadro astratto, ma l'atteggiamento di non-riconoscimento dell'osservatore.

Storicamente molti artisti si trovarono ad oscillare tra i due poli, creando, come ho scritto sopra, immagini astratte chiaramente derivate da una o più figure. L'evoluzione di Mondrian, in questo senso, resta esemplare. Oppure, abbiamo l'astrattismo lirico di un Singier dove fin dal titolo la figura viene richiamata ("Bagnante mattutina" ...). Ma durante il XX secolo gli artisti hanno pian piano fatto chiarezza, chi tornando a rielaborare la figura anche in modi estremi (Appel, Jorn) chi invece oltrepassando le angoscianti colonne d'Ercole dell'aggancio al reale (Burri, Max Bill, ovvero Vasarely, dove però l'aggancio al reale diviene comunque aggancio alla reazione materiale).
Da questo punto di vista Warhol, Koons, Liechtenstein, Hirst rappresentano una retroguardia stordita, gutai un'avanguardia nostalgica (del gesto), e forse solo autori come Dorazio o Hartung hanno gettato il cuore oltre l'ostacolo (peraltro con risultati abbastanza relativi, talora scarsi).

Naturalmente i "neuroni specchio" continuano ad essere stimolati da opere di artisti quali Picasso, Bonnard, Licini, Morandi, che però ne ampliano il campo di attività. E non è nemmeno detto che la strada "giusta" consista nell'abbandono del "riconoscimento". Ciò che in realtà è avvenuto sinora è stata un'acrobatica abilità di vari geniacci di saltare da qui a là e viceversa. Impegno folle ed angoscioso, che pure ha fatto le proprie vittime (De Stael). Unita all'opera perlopiù inconsapevole di astrattisti che credevano di creare il quadro astratto, ma dimenticavano che stavano creando l'"atteggiamento astratto". (Salvo eccezioni, che altri posteranno :D )



Non mi metto nemmeno a paragonarmi o anche solo a trovare similitudini con l'immenso kandinsky ma ti do quasi ragione e ti dico cosa ho fatto una ventina di anni fa.Forse sta volta la mia idea ti piacerà:)Ho dipinto un a tela di nero e in rilievo, alla bonalumi (che all'epoca non sapevo neppure chi fosse), ho fatto fuoriuscire dalla tela (estroflettendola)una sfera e sotto (o sopra) un parallelepipedo (estroflesso).Il senso del quadro è proprio quello diretto all'osservatore e non all'autore.Ossia non sono io che decreto che atteggiamento avere guarando il quadro ma è l'ossevatore stesso. infatti chi guarda il quadro con il parallelepipedo sopra e la sfera sotto ha un senso di pesantezza, di irrequetudine, di ansia, se lo guarda rovesciato, ossia con la sfera sopra e il parallelepipedo sotto ha un senso di pace, di tanquillità, di leggerezza.Orbene lo utilizzavo in casa per indicare i miei stati d'animo a chi conviveva all'epoca con me per metterla in guardia sul mio umore:D.Ho ancora quel quadro...ed è ancora di attualità e si ricollega al tuo discorso ossia è l'ossevatore che decide come e cosa vederci, non l'autore che è un puro mezzo dato all'osservatore per esprimersi.;)
Però, il tutto, secondo me deve essere voluto dall'artista, non dall'osservatore.Se l'artista vuole fati vedere la pace e basta tu devi vederci quella e se non la vedi significa che l'autore ha fallito inseorabilmente, senza se e senza ma.
 
Posto questa citazione di Gerhard Richter che mi sembra possa dare una risposta a chi guarda un'opera astratta a differenza di chi guarda un'opera figurativa:

..."" Dipingendo in astratto abbiamo trovato il modo migliore di guadagnare accesso all'indefinibile, all'incomprensibile, a quell'ignoto che ci allarma e allo stesso tempo ci riempie di speranza. L'opera astratta lo rende accettabile, guardabile. Per questo è necessaria."":bow::bow::bow:

Da un'intervista a G. Richter di Hans Ulrich Obrist in (La pratica quotidiana della pittura, Postemedia 2003) ripreso in un articolo di Cara Ronza da Arte marzo 2009 pag. 189
 
Bel thread.

Ottimi spunti come sempre da Gino.

Personalmente credo che nell'astrattismo se l'artista riesce a trasmettere qulcosa ha già colto nel segno. Voglio dire, deve per forza voler trasmettere una sensazione precisa, oppure gli basta che il suo quadro sprigioni emozioni?

Perchè una tela non può rappresentare per due persone due sensazioni differenti? Era veramente importante cosa voleva trasmettere l'artista?

Sul discorso ambivalenza o punto di incontro non saprei dire. Forse possono essere buone entrambe, dipende sempre dall'occhio di chi guarda e non da cosa è impresso.

Scusate posto qui l'opera di Matisse perchè per me è entrambe. E' ambivalenza, ma è anche punto di incontro. Da questo punto di vista la trovo senza eguali.

Secondo me è l'osservatore a decidere

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Questa sera mi sono deciso a rispondere all'arguta (come sempre) provocazione del grandissimo Gino.
L'argomento è complesso, ma volendo rimanere in un contenuto numero di righe, vorrei obiettare che:
1) l'osservatore che "interpreta" un quadro astratto secondo schemi logici-figurativi a me sembra un osservatore impreparato. Inutile dire di un quadro astratto: sembra un cielo, ci vedo un tramonto o mi ricorda un gatto. Inutile perchè l'autore non aveva nessuna di queste intenzioni e sarà partito da presupposti ben diversi (augurandoci di parlare di un autore significativo che abbia qualcosa di importante da dire, perchè se uno fa un quadro astratto senza avere le idee chiare magari davvero si ispira alla coda del gatto).
2) Il fattore "riconoscimento" a me pare essenzialmente dovuto al fatto che a distanza di 100 anni dalla nascita dell'astrattismo, l'occhio medio del fruitore medio non particolarmente abituato ad un'arte indubbiamente più difficile da capire, cerca una scorciatoia per intuire un significato rassicurante in quanto familiare.
3) In realtà una bruciatura di Burri potrebbe sembrare un cratere, ma cosa c'entra il cratere? Così come un monocromo bianco mica potrà suggerire a qualcuno un paesaggio della Groenlandia! Se uno guarda un certo tipo di arte a mio parere dovrebbe prima allenare l'occhio e studiare l'evoluzione della pittura, perchè se si guarda un'opera del 1950 con lo stesso occhio con cui si guarda la pala dell'altar maggiore si perde tempo e basta.
Concludendo piuttosto che riferirsi ad un pressochè casuale incontro tra autore astratto e fruitore, mi pare che rimanga sempre valido il famoso assioma percui "un tempo l'arte era difficile da fare e facile da capire, mentre da un certo momento in poi l'arte è diventata facile da fare ma difficile da capire". La svolta dell'astrattismo effettivamente rappresenta anche la svolta percui l'arte si è inoltrata lungo un sentiero sempre più impervio e irto di difficoltà. Credo sia abbastanza realistico affermare che per secoli e secoli l'arte è stata "semplicemente" racconto e imitazione, e che poi quasi all'improvviso si è complicata in linguaggi e simboli sempre più complicati, decodificabili solo da fruitori iniziati e competenti. E il suo percorso dall'astrattismo storico, al concettuale, dalla land art all'art now, è stato così veloce nelle sue evoluzioni quanto mai prima. Probabilmente tale velocità è stata condizionata anche dagli sviluppi della tecnologia e delle scoperte scientifiche, che guarda caso altrettanto velocemente hanno segnato il secolo breve.
Per concludere, al di là dei neuroni specchio, chi guarda un'opera astratta limitandosi a cercare di riconoscere qualcosa è fuori gioco punto e basta. Bisogna saper guardare meglio e, dirò di più, nemmeno "interpretare" (questo è un aspetto soggettivo) ma piuttosto saper "capire" i nuovi linguaggi riconoscendoli come nuovi appunto, e non cercando di ricondurli con la forza entro vecchi schemi.
 
E' molto interessante questo post e provo anch'io a dire la mia, senza ovviamente nessuna polemica a priori ma solo nell'ambito di uno scambio di vedute con amici del forum di cui apprezzo gli interventi. Ovviamente cercherò di non dilungarmi troppo per non annoiare nessuno:)

Questa sera mi sono deciso a rispondere all'arguta (come sempre) provocazione del grandissimo Gino.
L'argomento è complesso, ma volendo rimanere in un contenuto numero di righe, vorrei obiettare che:
1) l'osservatore che "interpreta" un quadro astratto secondo schemi logici-figurativi a me sembra un osservatore impreparato. Inutile dire di un quadro astratto: sembra un cielo, ci vedo un tramonto o mi ricorda un gatto. Inutile perchè l'autore non aveva nessuna di queste intenzioni e sarà partito da presupposti ben diversi (augurandoci di parlare di un autore significativo che abbia qualcosa di importante da dire, perchè se uno fa un quadro astratto senza avere le idee chiare magari davvero si ispira alla coda del gatto).

Sono d'accordo in parte e cerco di spiegarmi...Se prendiamo ad esempio Kandinsky, nelle sue opere dal '10 in avanti si rifaceva alla realtà che "astraeva" in forme semplificate e colori puri cercandoli di mettere in armonia secondo schemi anche musicali. Un esempio potrebbero essere le sue "Improvvisazioni" che non erano altro che forme astratte delle montagne di Murnau e zone limitrofe. Mi vengono in mente anche dei "rematori" , in queste opere puoi distinguere anche se solo in modo evocativo delle forme astratte o se si preferisce "estratte" da quello che lo circondava. Altro esempio puo' essere quello delle "Mucche" sempre di questo autore. Quindi ne deduco che anche se si fosse ispirato alla coda del gatto, è sempre una forma che mi può ritornare utile nell'armonia del quadro. Va da se che lo spettatore impreparato avrà difficoltà comunque a decodificare il quadro


2) Il fattore "riconoscimento" a me pare essenzialmente dovuto al fatto che a distanza di 100 anni dalla nascita dell'astrattismo, l'occhio medio del fruitore medio non particolarmente abituato ad un'arte indubbiamente più difficile da capire, cerca una scorciatoia per intuire un significato rassicurante in quanto familiare.

Sul discorso del "riconoscimento" , molte volte sono gli artisti stessi che dichiarano di ispirarsi alla realtà per le loro composizioni. Hartung si ispiravano ai fulmini, Kandinsky prima alle montagne e ai paesaggi di Murnau e successivamente a iniziato a guardare la realtà attraverso il microscopio ed altri artisti etc. Questi artisti secondo me hanno cercato di "semplificare" la comprensione della pittura e non di renderla più difficile. Uno spettatore medio non saprebbe spiegarsi un'opera di Kandinsky come nello stesso tempo non saprebbe spiegarsi un'opera di Raffaello come "lo sposalizio della vergine"con tutti i suoi rimandi simbolici.

3) In realtà una bruciatura di Burri potrebbe sembrare un cratere, ma cosa c'entra il cratere? Così come un monocromo bianco mica potrà suggerire a qualcuno un paesaggio della Groenlandia! Se uno guarda un certo tipo di arte a mio parere dovrebbe prima allenare l'occhio e studiare l'evoluzione della pittura, perchè se si guarda un'opera del 1950 con lo stesso occhio con cui si guarda la pala dell'altar maggiore si perde tempo e basta.

Burri è armonia ed equilibrio e la stessa cosa la puoi trovare in una pala d'altare se parliamo sempre di artisti grandi. Sono d'accordo con te che uno prima di comprendere le opere da te citate deve allenare prima l'occhio e studiare la pitturaOK!

Concludendo piuttosto che riferirsi ad un pressochè casuale incontro tra autore astratto e fruitore, mi pare che rimanga sempre valido il famoso assioma percui "un tempo l'arte era difficile da fare e facile da capire, mentre da un certo momento in poi l'arte è diventata facile da fare ma difficile da capire". La svolta dell'astrattismo effettivamente rappresenta anche la svolta percui l'arte si è inoltrata lungo un sentiero sempre più impervio e irto di difficoltà. Credo sia abbastanza realistico affermare che per secoli e secoli l'arte è stata "semplicemente" racconto e imitazione, e che poi quasi all'improvviso si è complicata in linguaggi e simboli sempre più complicati, decodificabili solo da fruitori iniziati e competenti. E il suo percorso dall'astrattismo storico, al concettuale, dalla land art all'art now, è stato così veloce nelle sue evoluzioni quanto mai prima. Probabilmente tale velocità è stata condizionata anche dagli sviluppi della tecnologia e delle scoperte scientifiche, che guarda caso altrettanto velocemente hanno segnato il secolo breve.

Per me qui vale il discorso di prima anche se l'arte è imitazione come quella del passato il fruitore non preparato non la capirebbe lo stesso e non potrebbe andare al di là di un semplice "ma com'è bravo questo pittore etc.etc" non riuscendo comunque a carpirne i significati più profondi.

Per concludere, al di là dei neuroni specchio, chi guarda un'opera astratta limitandosi a cercare di riconoscere qualcosa è fuori gioco punto e basta. Bisogna saper guardare meglio e, dirò di più, nemmeno "interpretare" (questo è un aspetto soggettivo) ma piuttosto saper "capire" i nuovi linguaggi riconoscendoli come nuovi appunto, e non cercando di ricondurli con la forza entro vecchi schemi.
Il nuovo per essere di "peso" devo comunque fare i conti col passato e con i vecchi schemi, perché se il nuovo non ha un passato rischia solo di essere uno sterile esercizio di stile.

Mi auguro di non aver ingarbugliato il ragionamento di accipicchia cercando di rispondere punto per punto alle sue disquisizioni:D:D:D
 
Caro amico Adart ti ringrazio per l'attenzione davvero speciale che hai riservato al mio post. Naturalmente è impensabile esaurire un argomento di tale portata in poche righe. Solo qualche precisazione:

Sono d'accordo in parte e cerco di spiegarmi...Se prendiamo ad esempio Kandinsky, nelle sue opere dal '10 in avanti si rifaceva alla realtà che "astraeva" in forme semplificate e colori puri cercandoli di mettere in armonia secondo schemi anche musicali. Un esempio potrebbero essere le sue "Improvvisazioni" che non erano altro che forme astratte delle montagne di Murnau e zone limitrofe. Mi vengono in mente anche dei "rematori" , in queste opere puoi distinguere anche se solo in modo evocativo delle forme astratte o se si preferisce "estratte" da quello che lo circondava. Altro esempio puo' essere quello delle "Mucche" sempre di questo autore. Quindi ne deduco che anche se si fosse ispirato alla coda del gatto, è sempre una forma che mi può ritornare utile nell'armonia del quadro. Va da se che lo spettatore impreparato avrà difficoltà comunque a decodificare il quadro

In realtà Kandinsky parte da esperienze figurative, poi nel 1911 prima teorizza (Lo spirituale nell'arte) e subito realizza il famosissimo primo acquerello astratto. Da allora in poi si rende conto della forza intrinseca di ogni singolo "segno" indipendente da qualsiasi "disegno". Tanto è vero che nel 1926 viene pubblicato "Punto, linea e superficie" un testo fondamentale che raccoglie e approfondisce gli spunti delle sue lezioni al Bauhaus dal 1922. Qui analizza le proprietà degli elementi propri della forma e fonda così una "scienza dell'arte". Sintetizzando: nessun interesse per le forme, ma solo "composizioni" di elementi grafici. All'epoca tali teorie risultarono tanto fredde quanto incomprensibili, poi la storia gli ha dato ragione.

Il nuovo per essere di "peso" devo comunque fare i conti col passato e con i vecchi schemi, perché se il nuovo non ha un passato rischia solo di essere uno sterile esercizio di stile.

E' certamente così. Ma quando io ho scritto:
Bisogna saper guardare meglio e, dirò di più, nemmeno "interpretare" (questo è un aspetto soggettivo) ma piuttosto saper "capire" i nuovi linguaggi riconoscendoli come nuovi appunto, e non cercando di ricondurli con la forza entro vecchi schemi.
volevo parlare dell'atteggiamento "intellettualmente libero e consapevole" dell'osservatore preparato che non deve cercare di "interpretare" l'opera secondo suoi schemi mentali, ma deve "capire" l'opera per come è stata concepita. In altre parole, non sono per niente convinto che l'opera astratta si presti all'interpretazione "fantasiosa" di chi la guarda. Non è vero che l'opera astratta può essere vista da ognuno come gli pare. Esiste una sola lettura che è quella per cui è stata fatta. O abbiamo la giusta chiave di lettura o ci limitiamo alla nostra "sensibilità". La sensibilità essendo individuale non può essere un metro di giudizio: è "solo", e ripeto "solo", un'emozione. Ma la nostra emozione è del tutto ininfluente sulla storia.
 
Ultima modifica:
... non sono per niente convinto che l'opera astratta si presti all'interpretazione "fantasiosa" di chi la guarda. Non è vero che l'opera astratta può essere vista da ognuno come gli pare. Esiste una sola lettura che è quella per cui è stata fatta. O abbiamo la giusta chiave di lettura o ci limitiamo alla nostra "sensibilità". La sensibilità essendo individuale non può essere un metro di giudizio: è "solo", e ripeto "solo", un'emozione. Ma la nostra emozione è del tutto ininfluente sulla storia.

Penso anch'io fortemente che esista solo una ed una sola lettura di un'opera astratta; ...o perlomeno, esiste solo una ed una sola lettura "autentica" di un'opera astratta, riconducendo tutte le altre, come dici giustamente tu, caro accipicchia, alla sfera dell'emozionalità.
Diciamo, però, che il "godimento" di un'opera può avvenire anche solo a livello emozionale e che questo, non dimentichiamolo mai, essendo modificabile nel tempo, e dopo magari una crescita intellettuale del fruitore, può pian piano portarlo alla comprensione "autentica" e, dunque, al godimento "pieno".

P.S.) ...grazie gino per il thread! Molto molto interessante disquisirne! OK!
 
...devo aggiungere, comunque, e non ci si scandalizzi su questo, che risulta molto molto difficoltoso riuscire a raggiungerla veramente, l'interpretazione unica "autentica"! :yes:

Mi riservo di approfondire in seguito questo concetto. Ne avrei tante da raccontare... :yes: ;)
...ed esempi da fare! ;)
 
Non è vero che l'opera astratta può essere vista da ognuno come gli pare. Esiste una sola lettura che è quella per cui è stata fatta.
O abbiamo la giusta chiave di lettura o ci limitiamo alla nostra "sensibilità".
La sensibilità essendo individuale non può essere un metro di giudizio: è "solo", e ripeto "solo", un'emozione.
Ma la nostra emozione è del tutto ininfluente sulla storia.

Intervento che merita i miei applausi:clap::clap:
alla faccia di tanti critici
di cui non capisco una beata mazza di ciò che spesso scrivono.
 
Intervento che merita i miei applausi:clap::clap:
alla faccia di tanti critici
di cui non capisco una beata mazza di ciò che spesso scrivono.

OK!

P.S.) ...per accipicchia, invece, bollino verde sul post(o), °
visto che non mi permettono di votarti ancora! :D OK!
 
Questa sera mi sono deciso a rispondere all'arguta (come sempre) provocazione del grandissimo Gino.
L'argomento è complesso, ma volendo rimanere in un contenuto numero di righe, vorrei obiettare che:
1) l'osservatore che "interpreta" un quadro astratto secondo schemi logici-figurativi a me sembra un osservatore impreparato. Inutile dire di un quadro astratto: sembra un cielo, ci vedo un tramonto o mi ricorda un gatto. Inutile perchè l'autore non aveva nessuna di queste intenzioni e sarà partito da presupposti ben diversi (augurandoci di parlare di un autore significativo che abbia qualcosa di importante da dire, perchè se uno fa un quadro astratto senza avere le idee chiare magari davvero si ispira alla coda del gatto).
2) Il fattore "riconoscimento" a me pare essenzialmente dovuto al fatto che a distanza di 100 anni dalla nascita dell'astrattismo, l'occhio medio del fruitore medio non particolarmente abituato ad un'arte indubbiamente più difficile da capire, cerca una scorciatoia per intuire un significato rassicurante in quanto familiare.
3) In realtà una bruciatura di Burri potrebbe sembrare un cratere, ma cosa c'entra il cratere? Così come un monocromo bianco mica potrà suggerire a qualcuno un paesaggio della Groenlandia! Se uno guarda un certo tipo di arte a mio parere dovrebbe prima allenare l'occhio e studiare l'evoluzione della pittura, perchè se si guarda un'opera del 1950 con lo stesso occhio con cui si guarda la pala dell'altar maggiore si perde tempo e basta.
Concludendo piuttosto che riferirsi ad un pressochè casuale incontro tra autore astratto e fruitore, mi pare che rimanga sempre valido il famoso assioma percui "un tempo l'arte era difficile da fare e facile da capire, mentre da un certo momento in poi l'arte è diventata facile da fare ma difficile da capire". La svolta dell'astrattismo effettivamente rappresenta anche la svolta percui l'arte si è inoltrata lungo un sentiero sempre più impervio e irto di difficoltà. Credo sia abbastanza realistico affermare che per secoli e secoli l'arte è stata "semplicemente" racconto e imitazione, e che poi quasi all'improvviso si è complicata in linguaggi e simboli sempre più complicati, decodificabili solo da fruitori iniziati e competenti. E il suo percorso dall'astrattismo storico, al concettuale, dalla land art all'art now, è stato così veloce nelle sue evoluzioni quanto mai prima. Probabilmente tale velocità è stata condizionata anche dagli sviluppi della tecnologia e delle scoperte scientifiche, che guarda caso altrettanto velocemente hanno segnato il secolo breve.
Per concludere, al di là dei neuroni specchio, chi guarda un'opera astratta limitandosi a cercare di riconoscere qualcosa è fuori gioco punto e basta. Bisogna saper guardare meglio e, dirò di più, nemmeno "interpretare" (questo è un aspetto soggettivo) ma piuttosto saper "capire" i nuovi linguaggi riconoscendoli come nuovi appunto, e non cercando di ricondurli con la forza entro vecchi schemi.

Intervento da scolpire sulla porta del FOL!
:bow:
 
Penso anch'io fortemente che esista solo una ed una sola lettura di un'opera astratta; ...o perlomeno, esiste solo una ed una sola lettura "autentica" di un'opera astratta, riconducendo tutte le altre, come dici giustamente tu, caro accipicchia, alla sfera dell'emozionalità.
Diciamo, però, che il "godimento" di un'opera può avvenire anche solo a livello emozionale e che questo, non dimentichiamolo mai, essendo modificabile nel tempo, e dopo magari una crescita intellettuale del fruitore, può pian piano portarlo alla comprensione "autentica" e, dunque, al godimento "pieno".

P.S.) ...grazie gino per il thread! Molto molto interessante disquisirne! OK!

Il "godimento" però è poca cosa. Un'opera può essere veramente riuscita ma poco "godibile". E in ogni caso una visione superficiale (nel senso di non critica e non consapevole) non porta ad una vera comprensione. Un'opera figurativa lascia relativamente poco spazio all'interpretazione (non è così in effetti perchè anche un'opera figurativa va letta, capita e collocata per quello che è nel suo contesto storico). Ma per un'opera astratta c'è poco da fare: deve essere letta "esattamente". Che piaccia e dia godimento non basta. Secondo questi criteri, un capolavoro può essere confuso con un lavoro mediocre. Anzi magari induce a preferire il lavoro mediocre solo perchè è più colorato! Se non cogliamo l'equilibrio, la composizione, lo studio, le armonie o le dissonanze dei segni, cosa capiamo? Se risulta piacevole a un livello "elementare" c'è la forte probabilità che sia "decorazione". Viceversa, l'osservazione preparata e consapevole, fa giudicare l'opera nel suo insieme, per la sua costruzione, per la sua originalità. Il più grande rischio per un'opera astratta è proprio quello di venire apprezzata da chi non la capisce. Guai se "ricorda" ai più un tramonto, delle montagne o un pappagallo. Allora è sicuro che non funziona.
 
Il "godimento" però è poca cosa. Un'opera può essere veramente riuscita ma poco "godibile". E in ogni caso una visione superficiale (nel senso di non critica e non consapevole) non porta ad una vera comprensione. Un'opera figurativa lascia relativamente poco spazio all'interpretazione (non è così in effetti perchè anche un'opera figurativa va letta, capita e collocata per quello che è nel suo contesto storico). Ma per un'opera astratta c'è poco da fare: deve essere letta "esattamente". Che piaccia e dia godimento non basta. Secondo questi criteri, un capolavoro può essere confuso con un lavoro mediocre. Anzi magari induce a preferire il lavoro mediocre solo perchè è più colorato! Se non cogliamo l'equilibrio, la composizione, lo studio, le armonie o le dissonanze dei segni, cosa capiamo? Se risulta piacevole a un livello "elementare" c'è la forte probabilità che sia "decorazione". Viceversa, l'osservazione preparata e consapevole, fa giudicare l'opera nel suo insieme, per la sua costruzione, per la sua originalità. Il più grande rischio per un'opera astratta è proprio quello di venire apprezzata da chi non la capisce. Guai se "ricorda" ai più un tramonto, delle montagne o un pappagallo. Allora è sicuro che non funziona.

Beh, accipicchia, allora non mi sono spiegato bene. Sono d'accordo in toto con il tuo ragionamento. Assolutamente concorde in tutto. Stavo solo affinando e dando una speranza all'inizialmente parzialmente impreparato fruitore dell'opera astratta che, può partire da una comprensione legata all'emozionalità (non legata alla libera interpretazione di forme inesistenti se non nella sua mente) e giungere, dopo del tempo (e studio e passione e amore per l'arte e magari per l'opera in particolare) a coglierne il "ver" ed "autentico" senso!

P.S.) ...non vorrei toglierti quel bel bollino verde che, novità assoluta, ho creato apposta per te! :D OK!
 
Riagganciandomi allo spettacolare commento di accipicchia cerco di dare una mia risposta.

Innanzitutto in tutta l'arte per capire il ''messaggio'' dell'opera bisogna arrivare all'essenza e non fermarsi alla superficialità.
Questo concetto non deve essere applicato solo nell'arte moderna o contemporanea ma, come dicevo prima, in tutta l'arte.
Porto un esempio per spiegare questa mia affermazione: se vado a Roma a visitare l'arco di Costantino, personalmente, non mi limito a guardare l'insieme ma cerco di esaminare ogni singolo elemento compositivo dell'opera.
Se davanti ad un quadro astratto un ''impreparato'' cerca di costruire con la propria mente delle immagini figurate a lui familiari, davanti all'arco di Costantino, l'impreparato vedrà soltanto ''un arco antico con varie scene scolpite'' ma non si accorgerà che gli elementi di quell'arco vogliono rappresentare, attraverso le immagini, il messaggio che Costantino voleva lanciare all'impero.
L'occhio inesperto è propenso a dare una ''visione generale'', infatti, non si accorgerà proprio che l'arco è formato da vari elementi di epoche diverse: Costantino decise di accostare i bassorilievi della sua epoca a quelli scolpiti sotto Adriano, Traiano e Marco Aurelio, con questo gesto, Costantino voleva spiegare, attraverso l'immagine , un senso di continuità storica, voleva imporre la sua figura come erede dei più grandi imperatori di Roma.
Con questo esempio, ho voluto mettere a chiare lettere che il concetto di un opera viene percepito solo da quelli che decidono di non rimanere a guardare la superficie.
L'impreparato, davanti ad un'opera figurativa ti dice: ''Che bello'' e si ferma solo al dato soggettivo e superficiale, davanti ad una opera astratta ti dice ''So farlo pure io'', quindi, anche in questo caso, la sua rimane una visione distaccata e frivola dell'opera.
 
Bellissima serie di interventi, complimenti ... al FOL.
Però
io non sono mica soddisfatto.
Perché ... aspetta, ricominciamo.
L'autore, l'artista una volta poteva solo vedere il suo lavoro in funzione di una realtà esterna cui riferirsi.
Poi creava l'opera.
In quest'opera lo spettatore ritrovava, certo, la realtà esterna iniziale
ma era BEN conscio che i valori della pittura NON dipendendevano né dalla fedeltà a questa realtà né dalla semplice piacevolezza, ecc.
Allora i critici del tempo andavano cercando dove cavolo si nascondessero questi valori, ma ricadevano in osservazioni come "nobile portamento", "smaglianti colori" "dolcissimo sorriso" ecc. In pratica, ridescrivevano la realtà esterna riportata dall'artista, magari aggiungendovi qualche qualità aggettivale da questi evidentemente aggiunta.
Ma si trattava sempre di discutere di un oggetto di cui erano chiari (macché, lo sembravano) i rapporti con il modello, oscuri quelli con l'intimo dello spettatore.

Il problema sta nel fatto di credere che le cose stiano là, oppure qua. Invece il sugo sta nell'azione, nell'operazione dell'artista, che poi viene ripercorsa dall'operazione dello spettatore (e qui si pone il problema della preparazione di quest'ultimo).

In effetti il problema è: quali operazioni mi stimola, o mi permette di fare il quadro che ho di fronte (quadro, o scultura, ecc) ? L'arte astratta comincia a capire che le stesse operazioni le posso fare anche senza dovermi riferire ad un modello, proprio come non serve un modello per godere (=operare su) della musica di un buon autore. Ma sono le stesse? Certo. Sono le stesse, c'erano anche prima, mentre vengono a mancare quelle per cui mi riferisco ad un modello reale, o anche immaginario.
Come conseguenza, tra l'altro, non c'è più bisogno di "fingere" la gravità entro il quadro, e pure la terza dimensione se ne può andare. Restano forme e colori. Ma per dipingere queste nuove forme e questi colori quali operazioni farà ora l'artista? Non è facile sganciare tutte le forme dal richiamo del reale. Subito, poi, le forme elementari della geometria mostrano la loro potenza, tendono ad imporsi come nuovi modelli: il quadrato di Albers, i triangoli di Licini, o di Magnelli, i cerchi dei Delaunay ... fino ai cerchi di Kenneth Noland o alle bandiere di J. Johns, che sono varianti minimali di forme elementari. O ai "rettangoli" di Rothko.

Qualcuno fugge dall'angoscia del nulla che ne deriva valorizzando il proprio gesto stesso. Pollock, Mathieu: il quadro non può più riferirsi ad un modello? E allora esso sarà una traccia del mio stesso "muovermi" nel mondo. Su questa linea si arriva alle impronte di Manzoni (poi riproposte in vari modi dagli epigoni :p ). E a Tapiès.
Un'altro modo di "non rappresentare più" consiste nel valorizzare la materia stessa dell'opera (Burri, per esempio, o Fautrier); o nel regredire volontariamente a livello infantile (Dubuffet, da cui discende Basquiat).

Ricapitolando: il pittore che non voglia più riferirsi al modello, anzi, che senta questo riferimento come un peso, un intralcio, è costretto a "ripartire da zero", inventarsi un nuovo percorso operativo. Ovviamente lo spettatore dovrebbe anch'egli passare, più o meno, per lo stesso sentiero. Ma nessuno gli ha chiesto il suo parere. Potrebbe non esserne capace, per carattere o per impreparazione. In fin dei conti, prima tutta la pittura era figurativa. Ora, astratto è una non-definizione, vuol dire solo NO, non ci si riconosce più, potete "rinunciare all'uso dei neuroni specchio" :p

Pittura materica, pittura surreale, pittura geometrica, classicismo, sono definizioni in positivo, affermano qualcosa, cioè un altro cammino da fare, che l'artista ha prima percorso per noi. Capiamo bene che nella pittura di Sironi non possiamo cercare le trasparenze del colore, si tratta di masse. Se cerchiamo i crateri in Burri (Turcato è moooolto più ambiguo, ehm) o le sfumature in Castellani, semplicemente non troveremo nulla. Ma questo è abbastanza chiaro.

Lì, Duchamp dice: cerchiamo solo forme, rapporti di forme e/o colore? Allora qualunque oggetto ne ha, anche il più umile. Ed anche questo è un modo per sfuggire alla rappresentazione. L'orinatoio di Duchamp, proprio come il paesaggio - o quel che era - di Kandinskij, diventa "astratto" rovesciandolo.
Il messaggio è: non conta l'oggetto, rappresentato o proprio visto concretamente: contano i rapporti, cioè le operazioni, le "danze" che l'occhio dello spettatore opererà sulle forme, con le forme. Pura musica, in certo senso, e questo viene pure più volte ribadito da molti altri. O pura architettura, se la geometria si impone.

[Duchamp mostra la luna e Warhol guarda al dito: gli oggetti vengono riproposti nella loro banalità senza neanche più scomodarsi a rovesciarli: come dire che quell'atteggiamento, quelle operazioni, quel percorso che prima l'artista preparava per noi, ora ce lo dovremmo costruire da soli, grazie: ma senza più averne la forza, il denaro e la merce hanno già vinto].

La conclusione è che la nascita dell'astrattismo ha solo, logicamente, permesso di capire che il "riconoscimento" non è sostanza nell'arte, ma solo accidente, occasione. L'operazione artistica vera è un'altra (quel "danzare" di cui dicevo), e può farsi sia sulla scena di genere che sul geometrico puro, su Renoir o su Mondrian. Se non ci riesci, rovescia il quadro, o almeno guardalo allo specchio - saltan fuori cose che non si riusciva a vedere - così ti liberi dai condizionamenti dei tuoi neuroni-specchio, che non riguardano i valori artistici, bensì quelli umani.

E da questo punto di vista, Kandinskij fu il Machiavelli dell'arte. Quello separa morale e politica, questi separa arte da umanità (nel senso di comprensione, fratellanza, riconoscimento).
 
Il pippone qui sopra era indispensabile per rispondere in modo comprensibile alle molte osservazioni fatte.
non sono io che decreto che atteggiamento avere guardando il quadro, ma è l'osservatore stesso. infatti chi guarda il quadro con il parallelepipedo sopra e la sfera sotto ha un senso di pesantezza, di irrequetudine, di ansia, se lo guarda rovesciato, ossia con la sfera sopra e il parallelepipedo sotto ha un senso di pace, di tanquillità, di leggerezza...è l'ossevatore che decide come e cosa vederci, non l'autore che è un puro mezzo dato all'osservatore per esprimersi.
Io non la vedo così. Questo discorso vale per un paesaggio naturale, o anche per un'opera aperta, che richieda l'intervento dello spettatore. Si tratta di effetti diretti di forme e colori, proprio come l'udire una cascata fatalmente ci spinge ad andare al bagno: ma l'azione umana (dell'io) è indispensabile in arte, l'autore decide e io devo percepire le sue scelte. Magari questo significa che i neuroni specchio agiscono ancora, non più nel riconoscere il modello ma nel riconoscere l'impulso dell'autore, non lo so. Ma l'effetto riflesso va necessariamente gestito dall'artista.
Perchè una tela non può rappresentare per due persone due sensazioni differenti? Era veramente importante cosa voleva trasmettere l'artista?
Quella tela certamente agirà in maniera quasi uguale in due persone diverse solo a livello, appunto, di riflesso, di influenza subconscia biologica. Invece, avendo due personalità distinte, essi risponderanno diversamente alla proposta artistica (mi piace o no, mi si confà o meno), tenendo presente che comunque devono poter leggere il senso e la qualità di questa proposta, cioè cosa voleva trasmettere l'artista (poi possono anche rifiutarla e pure considerarla di basso livello).
chi guarda un'opera astratta limitandosi a cercare di riconoscere qualcosa è fuori gioco punto e basta. Bisogna saper guardare meglio e, dirò di più, nemmeno "interpretare" (questo è un aspetto soggettivo) ma piuttosto saper "capire" i nuovi linguaggi riconoscendoli come nuovi appunto, e non cercando di ricondurli con la forza entro vecchi schemi.
resta il problema del giudizio di valore. Perché, se prevale la spiegazione logica, entriamo in un campo dove il giudizio non è possibile. Sappiamo che a parole siamo tutti bravi, il giudizio riguarda l'azione, (se poi non è chiara neanche l'idea, si ricade nel caso dell'autore che non ha nulla da dire): dunque, se togliamo importanza alla realizzazione dell'unicum, andiamo verso la visione propria dell'architettura; se invece ogni dettaglio della realizzazione conta, siamo in un campo quasi musicale (e infatti, in questo caso il collezionista è sconvolto anche da un minimo difetto dell'opera, che rompe un'armonia ... superiore).
"ma com'è bravo questo pittore etc.etc" non riuscendo comunque a carpirne i significati più profondi.
vi sono vari livelli di comprensione, in effetti, ed è proprio del buon artista dare adeguata risposta a tutti questi livelli.
Non è vero che l'opera astratta può essere vista da ognuno come gli pare.
Diciamo che il valzer ognuno lo balla come può, ma certo non si può ballare un tango ascoltando un valer. Questo, poi, è lo stesso "errore" di chi cerca di vedere un cielo nel fondo azzurro di un quadro astratto.
Se non cogliamo l'equilibrio, la composizione, lo studio, le armonie o le dissonanze dei segni, cosa capiamo? Se risulta piacevole a un livello "elementare" c'è la forte probabilità che sia "decorazione".
Ancora al grande Accipicchia devo "rimproverare" qualche incertezza nel momento dell'affondo del pugnale :p
Improvvisamente riappaiono valori vecchio stile, tendenzialmente fuorvianti e spesso imprecisi. Dove sono equilibrio, composizione ecc? Nel quadro? Solo lì? Non erano anche prima nella mente del creatore? Non rivivono ad ogni volta nell'operare dello spettatore, che segue l'artista come un cagnolino a guinzaglio segue il padrone, ora precedendolo, ora divagando, ora cercando di fermarsi a pisc:censored:
Dunque bisognerà che l'artista sappia riportare i propri progetti sul supporto dell'opera, e che lo spettatore sappia farsene trasportare in modo adeguato.
Ma come il comune ascoltatore percepisce della sinfonia di Beethoven qualcosa o molto, ma sempre meno del musicista che sappia seguire lo svilupparsi dei temi e delle forme ecc.
così l'opera dovrebbe essere come uno stivale che si adatta e permette di camminare bene ad ogni tipo di spettatore.
Quanto alla distinzione tra arte e decorazione, può essere che l'arte miri anche al sentimento mobile dello spettatore, e attraverso questo al suo io, mentre la decorazione si limita a rendere piacevole l'ambiente in cui si vive, e i suoi problemi sono tutti per "fuori". Essa dialoga con l'umore dell'uomo e cerca di evitare i problemi che invece l'artista vuole affrontare, per "vincere".

Un vero uomo si riconosce da come affronta i problemi, una vera donna da come li evita :D:D. Basta sostituire artista a uomo e decoratore a donna, ed ecco chiarito l'inghippo. :rolleyes:
 
Il pippone qui sopra era indispensabile per rispondere in modo comprensibile alle molte osservazioni fatte.
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Ma come il comune ascoltatore percepisce della sinfonia di Beethoven qualcosa o molto, ma sempre meno del musicista che sappia seguire lo svilupparsi dei temi e delle forme ecc.
così l'opera dovrebbe essere come uno stivale che si adatta e permette di camminare bene ad ogni tipo di spettatore.
Quanto alla distinzione tra arte e decorazione, può essere che l'arte miri anche al sentimento mobile dello spettatore, e attraverso questo al suo io, mentre la decorazione si limita a rendere piacevole l'ambiente in cui si vive, e i suoi problemi sono tutti per "fuori". Essa dialoga con l'umore dell'uomo e cerca di evitare i problemi che invece l'artista vuole affrontare, per "vincere".

Un vero uomo si riconosce da come affronta i problemi, una vera donna da come li evita :D:D. Basta sostituire artista a uomo e decoratore a donna, ed ecco chiarito l'inghippo. :rolleyes:[/QUOT



..:bow::bow::bow::bow:

certo che se dovessi farmi scrivere qualcosa sui miei lavori, sceglierei il grande Gino, Artebrixia o Accipicchia e non il vittorio il bonito o philippe....


:bow::bow::bow:
 
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