Il cibo è passione, è amore.

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La tradizione dell’interpretazione dei fondi del caffè anima la protagonista de “Il caffè delle donne”, libro di Widad Tamimi.

Il caffè è un punto fermo nella vita di Qamar: espresso e vigoroso come lo beve la madre, ingentilito da un goccio di latte come piace al suo compagno, oppure fatto bollire tre volte, amaro e profumato di cardamomo, come ha imparato a berlo in Giordania. Da sempre Qamar è in equilibrio tra due mondi, ma lo ha scoperto solo il giorno del suo quattordicesimo compleanno, quando è diventata ufficialmente donna.

"Presi coraggio e avvicinai la tazzina calda alle labbra. Il caffè era amaro.
Feci una smorfia e le donne mascherarono una risatina con la mano.
“Il caffè della lettura deve essere severo, puro e veritiero. Come la vita”,
Khalto Sherin scandì le parole con solennità.
“Non può essere nascosto con lo zucchero, ma solo insaporito con cardamomo”.

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Di niente :), ciao Maf, belli questi post, il caffé del deserto :clap:

Zucchero niente, grazie, il cardamomo invece ha un suo because. Spezia molto gradevole, provenienete dall'India, ha un profumo balsamico e aromatico ed un gusto di miele, lime, rosa, legno di sandalo ed eucalipto. Laggiù in Medio Oriente lo usano soprattutto per insaporire il riso.

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Ma trattandosi di Paesi dove il sole martella forte per buona parte dell'anno, il cardamomo macinato nella miscela di caffè arabo conferisce alla bevanda una nota di freschezza che persiste nel palato. Talvolta vi aggiungono anche un pizzico di zafferano e/o di cannella.


"L’aroma dei chicchi si spande e ci investe, mentre ognuno attende il suo turno per lavare con il caffè mattutino i nostri umori dai fili scompigliati dei sogni della notte. I nostri caratteri si formano e si consolidano sotto una cascata di storie, tra caffè amaro e datteri dolci. [.....] Il deserto apre il cuore ai suoi figli, in fuga dalla morsa delle città, li saluta e li accoglie come una sposa, splendente di mille colori. Cielo blu, nuvole bianche circonfuse dalla luce del sole, sabbia di porpora, fantasmi di alberi verdi che protendono i rami come dita nelle chiome di altri alberi. ....."

(Badriyah al-Bishr, n. Ryad, "Hind wa al-ʿaskar", Beirut, 2006)

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Accompagniamo con un dolcetto: il Knafeh.

Ma tu che sei fattucchiera :D, li leggi i fondi di caffé? Lo fanno anche in Grecia
 
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La lettura dei fondi di caffè? Io sono oltre ...uno sguardo e leggo negli occhi!:fiufiu::D

In molti romanzi celebri è descritto il rapporto intenso tra i protagonisti e il caffè.
Nei gialli d’autore, ad esempio, tra indagini faticose, nottate in bianco e risvegli improvvisi, il rito del caffè diventa una costante.
Come per il commissario Montalbano di Andrea Camilleri, che prepara il solito “cicarone” di caffè (ossia un tazzone pieno) e se
lo scola sulla verandina.
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O come per l’ispettore Petra Delicado di Alicia Gimènez Bartlett, per la quale il caffè è necessario nelle nottate di lavoro con
l’inseparabile vice Garzon.
Anche in letteratura, dunque, il caffè ha il suo posto, ci fa sentire il suo aroma.
Inoltre in tanti celebri caffè letterari, tra una chiacchiera e un sorso sono nati capolavori.
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"Mentre Dona Rozilada metteva a punto i suoi piani, Flor si faceva una buona fama come maestra d’arte culinaria, specializzata in cucina baiana. Aveva avuto da madre natura il dono di saper scegliere gli ingredienti, occupata fin da bambina fra ricette e sughi, imparando a fare piatti fini nel campo del dolce come in quello salato. […] era regolarmente chiamata ad aiutare nella preparazione di vatapa ed efó di moquecas e xinxin, per non parlare del famoso caruru di San Cosma e Damiano.”

(J. Amado)

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Successivamente Dona Flor rivela che la moqueca di granchi molli era il piatto preferito di Vadinho:

Era il piatto prediletto di Vadinho, mai più lo servirò sulla mia mensa. I suoi denti mordevano il granchio molle, le sue labbra colorite di dendê. Ahi mai più la sua bocca, le sue labbra, la sua lingua, mai più la bocca ardente di cipolla cruda!”

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"Di tutto resta un poco", dicono alcuni.
Nel barattolo un po’ di caffè,
nella cassetta un po’ di pane,
in ognuno un po’ di dolore.

Turgut Uyar

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"Nel corso di alcune conversazioni con scrittori o giornalisti occupati a raccontare la mia vita,
più volte mi sono trovata a parlare di una mia vecchia quanto innocua mania: quella di dare
alle persone cui voglio bene, o che m’interessano, il soprannome di un cibo. Da tanto tempo,
per esempio, chiamo Carlo Ponti, mio marito, «involtino» (e nelle pagine del mio libro troverete
quanto questo piatto mi piaccia!) (p. 262).
Non ho mai cambiato abitudini da quando ero bambina. Mio nonno mi svegliava, io andavo
in cucina e cominciavo a studiare per la scuola. Lui mi portava l' orzo e un pochino di pane e
mi diceva: "Lelletta, come hai passato la nottata?". E io: "Bene". Ed ero contenta».

Sophia Loren


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Lui ha messo
Il caffè nella tazza
Lui ha messo
Il latte nel caffè
Lui ha messo
Lo zucchero nel caffellatte
Ha girato
Il cucchiaino
Ha bevuto il caffellatte
Ha posato la tazza
Senza parlarmi
S'è acceso
Una sigaretta
Ha fatto
Dei cerchi di fumo
Ha messo la cenere
Nel portacenere
Senza parlarmi
Senza guardarmi
S'è alzato
S'è messo
Sulla testa il cappello
S'è messo
L'impermeabile
Perché pioveva
E se n'è andato
Sotto la pioggia
Senza parlare
Senza guardarmi,
E io mi son presa
La testa fra le mani
E ho pianto.

Jacques Prévert

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ciao Maf :), buona settimana nuova


Oggi un gustoso piatto della cucina inglese: filetto alla Wellington.

Un ottimo taglio di carne di manzo, prima rosolato in pentola, poi avvolto in uno strato di senape, crema di funghi, prosciutto crudo, infine sigillato con un guscio di pasta sfoglia e cotto al forno, dove si trasforma in una crosta croccante che racchiude una carne tenera e rosata arricchita da più strati golosi! 😋

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La leggenda lo vorrebbe attribuito ad Arthur Wellesley, vincitore a Waterloo su Napoleone (il Duca di Wellington), uomo dai gusti difficili che spesso licenziava i suoi cuochi perché non riuscivano mai ad accontentarlo. Fino a quando non gli proposero questo filetto in crosta, che prese il nome ‘alla Wellington‘ perché forma e colore ricordava gli stivali militari del Duca, e per questo fu da lui particolarmente apprezzato.
 
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Grazie Diago...contraccambio. Speriamo in una settimana "imbandita" di cose positive:)


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Il Filetto alla Wellington è da sempre un piatto raffinato e saporito, perfetto per tutte le tavole,
anche quelle più altolocate.
Fu infatti il piatto preferito di Jackie Kennedy, che lo portò alla Casa Bianca come piatto del periodo natalizio.


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Brava! Effettivamente non è agevole rintracciare la ricetta nei libri dell'800 e nemmeno sino alla metà del secolo scorso, a dirla tutta il Wellington deve la sua notorietà a 2 personaggi televisivi :eek:

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La prima è la cuoca statunitense Julia Child, di cui abbiamo parlato quasi un anno fa, star del programma “The French Chef” che presentò il filetto di manzo in crosta. L'altro è Gordon Ramsey :D, che tutti conosciamo.

Tuttavia si tratta certamente di un piatto inglese, perché riprende la tradizione dei Pasty ben sviluppata soprattutto in Cornovaglia.

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Si tratta appunto di preparazioni con la pasta sfoglia (il nome si può tradurre come “fagottino”, o “pasticcio”) che racchiudono ripieni golosi e molto conditi. In questa terra splendida e selvaggia, il confezionamento dei Cornish Pasty attraversa tutti gli strati della popolazione, anzi sono diventati più famosi grazie ai minatori, pescatori e contadini, tutti i lavoratori più affaticati che potevano trovare conforto in un fagottino famigliare e sostanzioso in grado di conservarsi a lungo.

Le mogli li preparavano con il bordo più spesso e arricciato per permettere agli uomini di mangiare in maniera sicura, evitando contaminazioni. Questi, infatti, riscaldavano i pasticci con una candela accesa sotto un secchio di latta e li mangiavano con le mani, gettando infine la crosta laterale che avevano maneggiato.

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Ma I fagottini di sfoglia erano cucinati già dal Duecento, quando erano diffusi fra le classi più abbienti e i nobili, che li gustavano con diversi ripieni: selvaggina, carne di cervo, manzo, agnello e anche pesce, in particolare le anguille. Tutto arricchito con la gravy, tipica salsa anglosassone fatta con il fondo di cottura della carne, condita con erbe aromatiche e spezie, brodo e un po' di farina per addensare.

La prima testimonianza scritta di questo piatto è la lettera di un fornaio indirizzata a Jane Seymour, terza moglie di Henry VIII, in cui si legge, “spero che la pasty ti arrivi in condizioni migliori dell'ultima volta...”.

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Ciao Diago...bei post ben "farciti":clap:

La Capannina di Capri, ristorante simbolo dell'isola

La Capannina di Capri non è un semplice ristorante, bensì un pezzo di storia dell’isola stessa. Sicuramente La Capannina è l’immagine di Capri nel mondo per la sua capacità di accogliere turisti internazionali e personaggi del jet set.
Il piatto simbolo della Capannina sono i Ravioli Capresi, diventato nel corso del tempo un piatto conosciuto ed eseguito in tutto il mondo. Apprezzati in modo particolare da Jacqueline Kennedy,

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Realizzati rigorosamente a mano, i ravioli sono tratti da una pasta a base di acqua e farina. Ripieni di caciottina fresca, parmigiano, uova e maggiorana, vengono poi serviti con una salsa di pomodoro freschissimo e basilico.

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Nella foto sotto, più famosa del locale, c’è Jackie radiosa accanto ad Aristotele Onassis, entrambi sorridenti davanti alla chitarra di Scarola, chansonnier caprese doc. In piedi accanto a loro Antonio De Angelis, anima e cuore del ristorante “La Capannina”. Ormai sono passati più di novant’anni dall’apertura e sembra un giorno, un pezzo di storia caprese ”since 1931”, come recita il logo del locale.

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Alla Capannina ci passava anche Reza Pahlavi, scià di Persia con la moglie Soraya. L’”imperatrice triste”, così la chiamavano, si animava molto davanti al raviolo caprese. Tant’è vero che anche dopo il ripudio da parte dello Scià, quando l’Iran non fu più sinonimo di lusso, Soraya continuò a frequentare Capri e a cenare con la madre al suo ristorante prediletto.

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Ancora oggi i piatti restano gli stessi, oltre al raviolo sono
celebri la scarola ’mbuttunata con uvetta e pinoli, il purè di ceci e gamberi, il calamaro ripieno, la caprese al limone, e il mitico pollo alla caprese che Aurelio De Laurentiis e Fiona Swarovski ordinano puntualmente ancor prima di arrivare a cena.
Ma che c’è di tanto speciale in questo pollo? E' una specie di cacciatora eseguita secondo una vecchia ricetta


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Tripudio di pesce e finale al limone: meglio di così :clap:

Nella stessa Isola, il conte Emilio Errico Vismara è stato fulminato dalla bellezza della vista sui faraglioni da via Tragara. E qui costruisce la sua residenza su progetto di Le Corbusier: "“una fioritura architettonica, un’emanazione della roccia, una filiazione dell’isola, un fenomeno vegetale, quasi un lichene cresciuto sul fianco di Capri”.

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Villa Vismara, la “Stracasa”, che diventa sede del comando americano e ospita Winston Churchill. Quindi la villa viene acquistata dal conte Goffredo Manfredi nel 1968 per poi trasformarla, nel 1973, nell’Hotel Punta Tragara, che vanta il ristorante stellato Monzù. Il nome viene dai grandi cuochi che, quando nel 1815 la corte francese lasciò Napoli, scelsero di rimanere: dal francese monsieur, indica i padri dell’attuale cucina gourmet.

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Diretto da uno chef caprese, Lionetti, di classe 1984, punta a valorizzare le materie prime di Capri, in una location superlativa. :love:

Così dal Bon bon di gamberi, zuppetta di olive di Nocellara, mandorla e limone candito

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ai cappelletti ripieni :D di astice, fondue di parmigiano vacche rosse e lamelle di tartufo

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o alla puttanesca di tonno pistacchi e pomodoro.

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Per chiudere, oltre ad un altro delizioso dolce al limoncello con cuore di babà (il Lemon Zù) , troviamo anche il dolce "Nido" dove il guscio è ricreato con cioccolato bianco, l’albume con crema di formaggio e il tuorlo è un frutto della passione.

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«La prima volta che ho messo piede a Capri sono rimasta folgorata e non sapevo che proprio qui,

in quest’isola magica avrei trovato ancora una volta l’amore…"

( Fiona Winter Swarovski)

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Erede dell’omonima dinastia (cristalli), Fiona era già sposata quando ha conosciuto a Capri John Balzarini che le ha fatto una corte serrata e decisamente romantica.

«Mi disse: resto qui finché non mi concedi un aperitivo insieme».

A Balzarini lei aveva detto più o meno era solo un sogno, nulla più. Ma il tenace John non aveva nessuna intenzione di mollare, anzi.

«Rimase sull’isola più di una settimana e una sera io mi decisi ad accettare l’invito per un drink al Quisisana. Fu una scoperta, un uomo attento, gentile, molto disposto a mettersi in gioco», commenta Fiona.

Fatale per la coppia fu l’atmosfera del Quisi Bar – tavolini all’aperto, tovaglie color pesca -, un set che aveva fatto innamorare negli anni tante celebrità.

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Fiona e John cominciarono a chiacchierare e smisero solo a mezzanotte quando era tempo per i saluti, non per l’addio... Furono mesi di riflessione sempre vissuti con un piede sull’isola, il rito degli aperitivi, le passeggiate per i percorsi meno mondani, un accenno di shopping, un maglione, un paio di orecchini by Chantecler, i giornali in Piazzetta con il caffè da Tiberio.

«Capri ha assistito alla nascita del nostro amore – sospira Fiona – e qui ci siamo decisi, tempo dopo, a dirci sì in maniera definitiva, totale».

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Dicono i bene informati che la Swarovski sia habitué della pizzeria Gemma dove ha un tavolo eternamente prenotato. La pizza napoletana, il gelato in via Camerelle, le cene sotto il pergolato dal mitico Paolino, tutte rigorosamente concluse con una pastiera doc che Fiona ha provato a rifare nella sua cucina – per i suoi bambini – seguendo alla lettera l’antica ricetta di “nonna Zietta”, una caprese che modificò le proporzioni tra ricotta, cioccolato e canditi inserendo nella lista degli ingredienti anche una goccia di… limoncello.

E se dovesse rinascere, Fiona confida che verrebbe a vivere per sempre a Capri, perché in quest’isola lei ha trovato la strada del cuore.

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Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da zucchero,
ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia, estraiamola da dove
vogliamo, perché è dappertutto.

(Gustave Flaubert)

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«La prima volta che ho messo piede a Capri sono rimasta folgorata e non sapevo che proprio qui,

in quest’isola magica avrei trovato ancora una volta l’amore…"

( Fiona Winter Swarovski)

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Erede dell’omonima dinastia (cristalli), Fiona era già sposata quando ha conosciuto a Capri John Balzarini che le ha fatto una corte serrata e decisamente romantica.

«Mi disse: resto qui finché non mi concedi un aperitivo insieme».

A Balzarini lei aveva detto più o meno era solo un sogno, nulla più. Ma il tenace John non aveva nessuna intenzione di mollare, anzi.

«Rimase sull’isola più di una settimana e una sera io mi decisi ad accettare l’invito per un drink al Quisisana. Fu una scoperta, un uomo attento, gentile, molto disposto a mettersi in gioco», commenta Fiona.

Fatale per la coppia fu l’atmosfera del Quisi Bar – tavolini all’aperto, tovaglie color pesca -, un set che aveva fatto innamorare negli anni tante celebrità.

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Fiona e John cominciarono a chiacchierare e smisero solo a mezzanotte quando era tempo per i saluti, non per l’addio... Furono mesi di riflessione sempre vissuti con un piede sull’isola, il rito degli aperitivi, le passeggiate per i percorsi meno mondani, un accenno di shopping, un maglione, un paio di orecchini by Chantecler, i giornali in Piazzetta con il caffè da Tiberio.

«Capri ha assistito alla nascita del nostro amore – sospira Fiona – e qui ci siamo decisi, tempo dopo, a dirci sì in maniera definitiva, totale».

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Dicono i bene informati che la Swarovski sia habitué della pizzeria Gemma dove ha un tavolo eternamente prenotato. La pizza napoletana, il gelato in via Camerelle, le cene sotto il pergolato dal mitico Paolino, tutte rigorosamente concluse con una pastiera doc che Fiona ha provato a rifare nella sua cucina – per i suoi bambini – seguendo alla lettera l’antica ricetta di “nonna Zietta”, una caprese che modificò le proporzioni tra ricotta, cioccolato e canditi inserendo nella lista degli ingredienti anche una goccia di… limoncello.

E se dovesse rinascere, Fiona confida che verrebbe a vivere per sempre a Capri, perché in quest’isola lei ha trovato la strada del cuore.

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Da Capri alla Costiera, dove incontriamo una coppia fantastica. Lui è Bruce Springsteen (uno dei miei cantanti preferitissimi), lei è una rossa esplosiva, Patty Scialfa, sua moglie da 30 anni, uno degli amori più longevi fra le Star

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Cinque anni fa sono sbarcati dal lussuoso yacht Rising Sun e hanno pranzato insieme al ristorante "Lo Scoglio" nella meravigliosa cala di Nerano. Questa insenatura è una delizia per gli amanti delle immersioni e le sue acque cristalline sono una tentazione troppo forte.

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il Boss è legato visceralmente a questi luoghi, infatti sua madre era originaria proprio di Vico Equense. Un buon pranzo a base di specialità locali, in particolare assaporano gli spaghetti alla Nerano, un gustosissimo primo della tradizione culinaria campana, e in specie sorrentina. La pasta viene associata alle zucchine e al provolone “bebè” di Sorrento, formaggio a pasta filata, cruda, simile al caciocavallo. Dall’unione di questi tre elementi nasce un piatto semplice ma dal gusto unico.

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Un dolce di cioccolata

Nella primavera del 1942, i genitori di Rachelle Goldstein decisero di nascondere i loro figli
. Vivevano in Belgio e il costante aumento di deportazioni di ebrei dal Belgio faceva loro temere per i propri bambini.
Organizzarono di nasconderli in un orfanotrofio nei dintorni di Bruxelles. Si trattava di un istituto protestante, cosa rara in Belgio, un Paese a maggioranza cattolica. Rachelle, che non aveva ancora tre anni, si ritrovò in orfanotrofio con i fratelli e i cugini. L’anormale le appariva normale: tutti i bambini erano senza genitori, quindi non c’era ragione di credere che la vita dovesse essere diversa. Tuttavia, il giorno del suo terzo compleanno si sentì sola:

“Avevo qualcosa, non ricordo cosa, forse gli orecchioni. Mia zia venne a trovare i suoi figli e mi portò la torta di cioccolato da parte della mamma, davvero uno squisitezza. Me lo ricordo. Ero in isolamento – mi misero in una stanza a parte perché ero malata – così non riuscii neppure a vedere mia zia. Qualcuno entrò, mi diede la torta di cioccolato e disse: “questo è da parte di tua madre”. E mi ricordo che mi sedetti, mangiando la mia torta di cioccolato, con le lacrime che mi rigavano le guance”.

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A Rachelle mancavano il calore e l’affetto delle normali relazioni umane più che le comodità, un letto o un buon pasto, come possiamo capire da questo passaggio:

“Non sapevo cosa fossero le persone normali. Per me le persone erano preti, suore o laici. Non ero molto sicura di cosa fossero gli adulti o le famiglie – molte di queste cose per me non avevano senso. Non capivo cosa fossero le relazioni anche se avevo un ricordo molto molto vivido di mia madre. Mi ricordavo che mia madre mi aveva abbracciata, e questo era ciò che mi faceva andare avanti. Di solito sognavo di essere di nuovo tra le braccia di mia madre. Una volta arrivata lì, mi avevano tolto i miei vestiti e indossavo lo stesso grembiule che avevano tutti i bambini. L’unica cosa che avevo ancora di mio era un cappotto blu e il mio cappotto blu divenne una coperta che mi dava sicurezza. Lo chiamavo il mio amico, mon ami. Era tutto ciò che avevo di mio, questo e le mie scarpe, che indossai per un anno e mezzo. Non riuscivo più a vedere il volto dei miei genitori. Provavo a dipingermeli ma non ci riuscivo. Tutto ciò che ricordavo era la sensazione di loro, il contatto. Mi trovavo in un istituto dove le persone non toccano i bambini. (…) Le suore erano molto distanti, erano occupate a pregare tutto il giorno. Non avevano molto a che fare con noi”.

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Ciao Maf :)

A proposito, direttamente da Salamanca stamattina i churros da inzuppare in una bella tazzona di cioccolata densa 😋

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Si tratta naturalmente di un impasto (uova farina e acqua) da inserire nel sac à poche con la bocca a stella :D, e tagliare in lunghezza quando si friggono. Quindi asciugare e rollare i churros nello zucchero e cannella. Bon apetit ;)

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Le piccole cose
che amo di te
quel tuo sorriso
un po’ lontano
il gesto lento della mano
con cui mi accarezzi i capelli
e dici: vorrei
averli anch’io così belli
e io dico: caro
sei un po’ matto
e a letto svegliarsi
col tuo respiro vicino
e sul comodino
il giornale della sera
la tua caffettiera
che canta, in cucina
l’odore di pipa
che fumi la mattina
il tuo profumo
un po’ balsé
il tuo buffo gilet
le piccole cose
che amo di te

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Quel tuo sorriso
strano
il gesto continuo della mano
con cui mi tocchi i capelli
e ripeti: vorrei
averli anch’io così belli
e io dico: caro
me l’hai già detto
e a letto sveglia
sentendo il tuo respiro
un po’ affannato
e sul comodino
il bicarbonato
la tua caffettiera
che sibila in cucina
l’odore di pipa
anche la mattina
il tuo profumo
un po’ demodé
le piccole cose
che amo di te
Quel tuo sorriso beota
la mania ******
di tirarmi i capelli
e dici: vorrei
averli anch’io così belli
e ti dico: *******,
comprati un parrucchino!

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E a letto stare sveglia
e sentirti russare
e sul comodino
un tuo calzino
e la tua caffettiera
che é esplosa
finalmente, in cucina!
La pipa che impesta
fin dalla mattina
il tuo profumo
di scimpanzé
quell’orrendo gilet
le piccole cose
che amo di te.


Stefano Benni

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