tu hai la fobia per i listini
allora ti consiglio qualche lettura:
"Se i galleristi risultano essere in contrasto con le case d’asta per il diverso livello di prezzi praticato,
ciò non significa invece che essi che lo siano invece internamente tra di loro. Le opere d’arte sono beni molto eterogenei, difficilmente sostituibili l’uno con l’altro, soprattutto quando sono il prodotto di artisti che hanno conquistato un certo grado di notorietà nel sistema, e quindi comparabili in termini di prezzi.
Costruendo rapporti di rappresentanza in esclusiva con gli artisti, i galleristi riescono così a garantirsi che la competizione interna al sistema non si basi tanto sul livello praticato dei prezzi (
difficilmente confrontabile), quanto semmai sulla capacità di rassicurare il collezionista sul valore economico e soprattutto simbolico delle opere d’arte messe in vendita. Ciò non significa che il prezzo delle opere non assuma importanza: anzi esso, come si vedrà, diviene a costituire il punto nevralgico su cui le gallerie basano le loro strategie di marketing. In questo frangente infatti il prezzo delle opere non assume più il significato di valore di riferimento dell’equilibrio del mercato ma diviene invece indice del valore simbolico della produzione artistica: esso viene quindi determinato in una maniera assolutamente peculiare rispetto agli altri mercati di investimento.
Il meccanismo di formazione dei prezzi di vendita delle opere d’arte da parte delle gallerie assomiglia molto a quello dei beni immobiliari, poiché è anch’esso basato sulla contrattazione in base ad un prezzo di partenza. Con una grande differenza però: mentre il mercato immobiliare è molto consistente come volumi di vendita e il livello dei prezzi delle contrattazioni è sotto gli occhi di tutti,
i prezzi effettivi delle transazioni delle opere d’arte sul mercato primario non vengono esposti e sono in genere riservati. Ciò comporta che il possibile compratore ha difficoltà a trovare un parametro oggettivo di giudizio su cui basare la sua stima sul valore reale dell’opera, ed ha come
base di partenza per la contrattazione il prezzo ufficioso che gli viene comunicato dal venditore.
Vedendo la questione più da vicino, il meccanismo di determinazione dei prezzi segue da una parte un valore di riferimento, che
dipende direttamente dal brand, ovvero dalla galleria che vende l’artista, e dall’altra si forma attraverso i pricing script, cioè un sistema tacito di regole cognitive per la determinazione dei prezzi condiviso dalla comunità.
Questo modello ben spiega come si aggiustano i prezzi delle gallerie.
Queste ultime, come si è visto, investono in self-reputation, attraverso segnali che danno al mercato (come la fama dei propri artisti, il prestigio della sede, lo status economico dei propri collezionisti, la partecipazione a fiere importanti, ecc..) che
servono a giustificare al pubblico un proprio valore di riferimento, utilizzato per fissare tetti minimi e massimi ai prezzi: sulla base di questo parametro le gallerie poi applicano i pricing script, basati sulla reputazione e le quotazioni pregresse dell’artista, sulla tecnica utilizzata e sulla dimensione delle opere, nonché dipendenti dalle cosiddette sell-out situations, cioè degli eventi nella carriera dell’artista che ne fanno aumentare il valore delle opere.
Questo meccanismo è un’altra ragione
dell’inefficienza del mercato, in quanto inibisce un meccanismo flessibile di aggiustamento dei prezzi verso il loro valore di equilibrio rispondente alle leggi della domanda e dell’offerta. Infatti gli script hanno come ulteriore regola che i prezzi, per favorire una lunga e duratura carriera dell’artista, non debbano mai scendere, ma invece progredire progressivamente.
Nel caso vi fosse un forte calo della domanda il gallerista ha dalla sua parte la possibilità di nascondere una discesa temporanea dei prezzi, secondo sempre ben collaudate regole. Nel caso in cui la domanda risulti temporaneamente superiore all’offerta invece molte gallerie evitano una veloce lievitazione del livello dei prezzi, ma preferiscono, oltre a incentivare l’attività produttiva dell’artista (cercando di renderla seriale), istituire vere e proprie liste d’attesa, in cui i primi posti sono a beneficio dei clienti più fedeli ed appetibili.
Ai giorni d’oggi si preferisce utilizzare la strategia del time driven strategy, cui fanno riferimento le gallerie definite “strategiche” ovvero quelle il cui obiettivo di è la
conquista di una posizione dominante nel sistema, che cerca di coniugare i punti di forza: da una parte si cerca di non forzare troppo la domanda nel breve periodo, secondo un obiettivo di una crescita sul medio-lungo, dall’altra, per supportare la carriera degli artisti, si fa massiccio utilizzo delle sell-out situation (e di altre operazioni di marketing in grado di aumentarne la visibilità), in modo da convincere i collezionisti che trattasi di investimenti sicuri e non speculativi."
Tratto da :
Velthuis O. (2005), Talking Prices: Symbolic Meanings of Prices on the Market for Contemporary Art, Princeton University Press, Princeton.
Lewis B. (2009),The Great Contemporary Art Bubble,
Guenzi M. (2014), “L’efficienza dell’investimento in arte contemporanea”, Economia e Diritto, n.8
poi ci sono altri elementi dietro i cosiddetti "listini" che pubblicamente QUI non si possono certo scrivere, ma se uno ha avuto occasione di parlare "liberamente" con qualche artista si renderebbe ben conto di come funziona questo sistema tanto ma tanto
poco trasparente ....