Vedi po' tu... Oggi sul quotidiano:
Alberto Nagel
Mediobanca, il piano industriale al vaglio di Milleri (Delfin) e Caltagirone. Che aspettano Nagel al varco del rinnovo del board
di Manuel Follis e Fabrizio Massaro
Il nuovo piano industriale al 2026 di Mediobanca sarà passato al setaccio da Delfin e Caltagirone a partire dal wealth management. Sembra ormai archiviata la fase che aveva portato al duro scontro su Generali. Tra gli scenari possibili spunta quello di una grande intesa, a cominciare dalla lista per il rinnovo del board della banca. Ma il faro è ancora puntato sulla governance di Generali
Come azionisti, gli eredi di
Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano
Caltagirone dovrebbero essere ben contenti degli impegni presi dal ceo di
Mediobanca, Alberto Nagel con il mercato: 3,7 miliardi di remunerazione complessiva nei prossimi tre anni tra dividendi e buyback come cardine del piano industriale presentato mercoledì 24 maggio.
Per la holding Delfin, la cassaforte del fondatore di Luxottica che di
Mediobanca ha il 19,9%, equivale a 740 milioni di euro, che si sommano ai circa 400 milioni già incassati da quando Del Vecchio nell’autunno 2019 è entrato nel capitale della banca, per poi scalarla fino alla quota attuale.
Analogamente ha fatto l’imprenditore romano, che dal 5% è passato silenziosamente a un soffio dal 10%. Per lui la promessa è di 370 milioni di cedole in tre anni. Quanto basta per continuare a comprare, di fatto gratis, altre azioni della banca se volessero rafforzare ancora la presa sull’istituto. Vigilanza Bce e norme Consob sulle opa permettendo.
Archiviata la partita del cda Generali
Ma perché dovrebbero continuare a comprare? Fino a qualche mese fa i rapporti di Del Vecchio e
Caltagirone con Nagel non sono stati idilliaci, per usare un eufemismo. Saranno in grado questa volta di raggiungere un accordo sulla strategia futura della banca? E soprattutto, troveranno una linea condivisa sul rinnovo del board di Piazzetta Cuccia che scade a ottobre?
Per capire perché non è scontato che i primi due azionisti siano convergenti con le scelte dell’amministratore delegato della «loro» banca, è necessario fare un passo indietro: quantomeno a un anno e mezzo fa, quando tra Roma, Milano e Trieste si è combattuta a colpi di voti e di norme del Tuf la battaglia per il board di
Generali. Della compagnia assicurativa
Mediobancaha il 13% ma soci importanti sono anche
Caltagirone, arrivato vicino al 10% (ora a circa il 7%), e la holding dei Del Vecchio con circa il 6%.
Caltagirone allora contrastò in tutti i modi la lista proposta dal cda uscente che ricandidava il ceo Philippe Donnet, sostenuta invece da
Mediobanca. Ma nonostante il sostegno di Del Vecchio e dei Benetton, si è dovuto accontentare dei tre posti riservati alle minoranze.
Ora, il prossimo ottobre si vota per il nuovo consiglio di
Mediobanca, anche qui con la lista del cda. Tre anni fa Del Vecchio non la votò, preferendo appoggiare quella di Assogestioni. Ma allora aveva una quota più ridotta e
Caltagirone non era così forte nella banca. Questa volta lo scenario appare diverso.
I tre possibili scenari
Ci sono tre evoluzioni possibili di questo quadro. Il primo è quello in cui il consiglio uscente si accorda con i grandi soci per una lista condivisa. È uno scenario che non dispiacerebbe a Del Vecchio e a
Caltagirone, come riferiscono a
Milano Finanza più fonti a conoscenza del dossier. Si eviterebbero i contrasti di un anno fa, che di recente hanno spinto il governo Meloni a inizio maggio dapprima ad approvare in consiglio dei ministri per decreto una norma proprio sulle liste del cda, per poi ritirarla senza spiegazioni prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Stavolta segnali di apertura alla trattativa si intercettano sui vari fronti. «Nel preparare questo piano abbiamo fatto una sintesi anche di quanto è emerso dal confronto con gli azionisti, trovando una risposta nel miglior interesse di tutti», ha detto Nagel ai microfoni di
Class Cnbc. «Dopo la presentazione faremo un engagement specifico con tutti gli azionisti sul piano», ha aggiunto. A cominciare proprio da
Caltagirone e Delfin, con i quali i contatti sono stati in realtà ristabiliti da qualche tempo.
Sotto questo aspetto, lo scontro dell’anno scorso per
Generali sembra un capitolo archiviato. Ma non per tutti.
Il confronto con i grandi soci
Caltagirone e Francesco Milleri, già braccio destro di Del Vecchio, ora numero uno di Delfin e collante degli otto eredi del patron di
EssilorLuxottica, sono pronti a sedersi al tavolo con Nagel. Ma porranno condizioni sulla crescita del gruppo bancario e sulla strategia del colosso assicurativo, in quest’ultimo caso con un obiettivo ben preciso: cacciare Donnet. Bisognerà vedere se stavolta riusciranno a spuntarla. Il ceo francese (ma di recente nazionalità italiana) ha ancora due anni di mandato ma - se questi scenari si avverassero - non è detto che arrivi alla scadenza naturale.
Le strade parallele di Caltagirone e Delfin
Su questi aspetti le strade di
Caltagirone e Del Vecchio sono separate ma parallele: il primo, più interessato alla compagnia; il secondo, più interessato alla banca. Il giudizio di Milleri sul piano triennale di Nagel sarà decisivo. Il banker si ricandida alla guida della banca, di cui è al vertice dal 2003 prima come dg e dal 2008 come ceo, forte anche della buona accoglienza di mercato (il titolo ha sovraperformato del 10% il listino) e analisti: «Strategia potente e credibile», la loda Barclays; «Metamorfosi completata, ora si vola», titola Citi il suo report.
«Leggeremo il piano, lo faremo analizzare: se ce li chiederanno daremo dei suggerimenti», si è limitato a dire Milleri prima della presentazione della strategia. «Siamo solo degli azionisti di lungo periodo e anche contenti: il titolo sta andando abbastanza bene, poi se cresce un po' di più siamo ancora più contenti».
Ora che il piano di Nagel è arrivato, il fronte tace ma l’impressione è che venga considerato come difensivo e proteso a dare soddisfazione agli azionisti solo aumentando il payout dall’80% a quasi il 100%, per ridurre il divario di total return per esempio con colossi come
Intesa Sanpaolo o
Unicredit, che per di più in vent’anni si sono trasformati grazie alle acquisizioni. Che invece - è il sottotesto -
Mediobanca non ha fatto.
La rincorsa nel wealth menagement
Un altro punto sotto osservazione da parte di entrambi i soci è il focus sul wealth management, che Nagel ha posto al centro della strategia al 2026. La raccolta dovrebbe crescere organicamente di 10 miliardi l’anno fino a 85 miliardi, a meno che non arrivi l’occasione di una grande acquisizione, per la quale
Mediobanca potrebbe anche sacrificare la redditizia quota in
Generali. Tuttavia non sarà facile. Oggi in Italia il mercato è dominato da big come Banca
Generali,
Fineco e
Mediolanum, poi ci sono i concorrenti esteri e le boutique più piccole. Insomma la piazza dell’asset gathering è molto affollata e la concorrenza accesa, e per questo Nagel vuole accelerare nella raccolta esponendo al pubblico per la prima volta il brand «
Mediobanca Premier» al posto di «CheBanca!». E punta a reclutare 300 promotori sul territorio. Ma a quale prezzo?
Una grande acquisizione, poi, è resa difficile dalle alte valutazioni di mercato, di ameno 2 volte il patrimonio netto. Insomma, è la chiave di lettura raccolta presso i critici della linea del ceo,
Mediobanca è in ritardo sul ricco mercato del risparmio. Senza considerare che il piano non approfondirebbe l’aspetto dell’asset management: le acquisizioni di Cairn (ora ribattezzata Polus) e Gam appaiono come orfane, non inserite in una strategia più ampia. Anche su questi aspetti Delfin si confronterà con Nagel.
I dubbi sulla strategia
In generale, l’impianto di
Mediobanca «One brand one culture», dal nome del piano industriale, non convincerebbe appieno Milleri, al quale appare invece piuttosto in continuità con l’attuale assetto della banca, una realtà che tiene assieme business diversi come risparmio gestito, investment banking, holding di partecipazioni e credito al consumo di Compass, con cui realizza il 40% degli utili.
I soci potrebbero quindi voler ridisegnare con Nagel una strategia ancora più definita per la banca, per esempio anche mettendo eventualmente sul mercato il credito al consumo per acquisire munizioni per crescere massicciamente nel wealth management.
La spinta di Nagel
C’è da dire che Nagel ha tracciato la rotta dal punto di vista industriale puntando proprio sul wealth management ma anche sull’investment banking con la crescita su transizione energetica e midcap all’estero grazie anche alla neoacquisita Arna Partners, le operazioni in qualità di specialist dei Btp o di swap dealer, la creazione di una piattaforma di certificati. C’è poi l’operatività nel credito al consumo, dove Compass è entrata nel segmento tecnologico del buy-now-pay-later.
La partita del nuovo board
Intanto c’è la partita del rinnovo dei vertici, da eleggere all’assemblea di fine ottobre: «Sul board, vedremo se ci chiederanno qualcosa o meno - ha detto ancora Milleri -. Noi siamo interessati che il nostro investimento cresca e continui a essere “profitable”. A queste due condizioni manteniamo la nostra posizione».
Se non si arrivasse all’accordo, ci sono altri due scenari possibili. Il primo, quello estremo di una nuova proxy fight come in
Generali, viene dato per improbabile. Il secondo, invece praticamente certo, è invece che Del Vecchio entrerà in ogni caso nel consiglio di
Mediobanca. Se non attraverso la lista di maggioranza - per la quale potrebbero esserci vincoli imposti dalla Bce, che ha autorizzato Delfin a salire al 20% ma solo come investitore finanziario - sicuramente con una lista di minoranza.
In quest’ultimo caso Delfin prenderebbe tre posti su 15 e
Caltagirone potrebbe concorrere per il collegio sindacale. Un’opposizione interna avrebbe l’effetto di frenare l’attività del board, mentre dall’esterno il 30% dei due soci equivale a un diritto di veto nelle assemblee straordinarie.
Bisognerà quindi che una quadra venga trovata, dicono in molti. E un ruolo da pontiere potrebbe giocarlo Fabrizio Palenzona, neopresidente della Fondazione Crt e uomo dalle mille relazioni nella finanza italiana.
Se a
Caltagirone Nagel può offrire una nuova governance in
Generali, a Delfin dovrebbe mettere sul piatto un’operazione che cambi davvero il volto della banca. Quale sia la sua visione industriale, Milleri l’ha ricordato alla recente assemblea di
EssilorLuxottica: «In cinque anni con la fusione i ricavi sono cresciuti del 51%, il monte dividendi del 55% a 1,4 miliardi e i dipendenti nel mondo del 36% a 190 mila. E la capitalizzazione di Borsa è attorno agli 80 miliardi, salita da 74%». La nuova serie sul futuro di
Mediobanca è appena cominciata; la prossima puntata va in onda il 28 ottobre.
Milano Finanza - Numero 103 pag. 17 del 27/05/2023