Il problema del rientro non è il pregio di Milano, ma l'offerta di lavoro fuori.
Se è vero che gli stipendi non sono granché più bassi è anche vero che il tessuto produttivo è molto diverso.
Milano permette di cambiare lavoro ogni 2 anni e volendo di piazzarsi in una corporate con elevata solidità, fuori come sono le prospettive?
Perché l'Italia ha il problema di cianciare di laureati che mancano, ma poi sti laureati non hanno reali sbocchi. Tutte quelle sfumature di impiegato, dall'ing gestionale al project manager (a cui aggiungere i vari consulenti) avrebbero lavoro fuori? Con che prospettive?
Non è che sti ragazzi siano stupidi, a tutti piace stare a casa propria o quasi. Però per molti la prospettiva è la PMI dove non cresci oppure mansioni poco stimolanti. Quelli laureati in roba industriale sono pochi e si collocano ugualmente, ma per molti altri la scelta è poca.
Poni dei punti senz’altro concreti.
Però noto sempre questa tendenza a dipingere l’offerta lavorativa fuori Milano come “povera”, limitata, di serie b, non dico come se fuori ci fosse il deserto dei tartari, ma quasi.
E ci sono ancora alcuni stereotipi che, non dico che non abbiano un fondo di verità, ma che andrebbero rivisti, parlo in particolare del tessuto produttivo fatto solo di “PMI ingabbianti e soffocanti”.
Sicuramente è vero, parlo almeno per il Triveneto, che una grossa fetta dell’offerta di lavoro viene dalle PMI. Ma molte PMI negli ultimi 20/30 anni hanno saputo anche evolversi, modernizzarsi sotto tutti i punti di vista, si sono ingrandite, alcune sono diventate (o già lo erano, ma comunque hanno fatto ulteriore upscaling) delle multinazionali e leader del settore, dove anche un giovane laureato rampante può trovare spazio in termini di mansioni ricoprendo quelle figure da te citate. Ci sono delle eccellenze e dei gioiellini industriali sparsi nel territorio nel Nord, dove anche un laureato può sentirsi appagato e che hanno saputo tenere il passo in termini di riorganizzazione e welfare aziendale.
Ma non mancano servizi, studi professionali, professionisti….sedi delle Big4 esistono anche qui in ogni città…Non dico che sia immediato come a Milano, ma un cambio lavorativo appagante “di rientro” non è cosi improbabile per me se uno si mette.
Parlo sempre per le “mie” realtà, qui in Veneto, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, sono province da 900mila abitanti l’una. Insomma, il tessuto esiste, è forte, traina, lavorano tutti, giovani, meno giovani. E pare sempre stiano tutti benone…Idem in Friuli, in Trentino, insomma il lavoro non manca ecco. E per quelle (sicuramente numerose) PMI che sono rimaste “ruspanti” e po’ retrò a livello organizzativo e dove sono richiesti profili più tecnici, c’è comunque un grossissimoo bacino di “non laureati” che si trovano assai bene in ogni caso
Certo, sicuramente Milano sarà imbattibile come offerta di “corporate di livello alto/multinazionale”, però fuori non c’è il deserto. Le prospettive ci sono.
Poi c’è il discorso “qualità della vita” che spesso anche qui salta giustamente fuori.
La “qualità della vita” data dal vivere in una città stimolante, viva, ecc ecc. Anche qui non metto minimamente in dubbio che Milano sia over the top a livello nazionale. Non si discute.
Ma, a parte che come scrivevo anche altre città offrono comunque molto a livello culturale e sociale, la qualità della vita è data anche dal non vivere strozzati da mutui e finanziamenti, dal farsi un giretto fuori porta in montagna o al mare un weekend, da qualche vizietto, da non avere una spada di damocle sopra la testa che per forza ci sarà sempre per noi “giovani laureati” se si compra casa a sti prezzi, ed è data anche da dove si vive, dalle mura domestiche dove si torna a casa la sera dopo il lavoro.
Penso che io e te siamo più o meno coetanei. Dieci anni fa quando da neolaureti si cominciava a guardarci intorno, la priorità assoluta era il lavoro. Ogni discorso ruotava attorno al lavoro. Come sempre, c’era una sana “gara” a realizzarsi in campo lavorativo e comunque tutto era incentrato su questo, il benessere personale sembrava ruotare solo attorno a questo. Ora dopo 10 anni, se mi guardo intorno, ovviamente il lavoro ha un peso fondamentale, ma nei discorsi tra amici ora cosa c’è? Solo il lavoro? No, ora compare il comprare casa, il matrimonio, i discorsi sui figli per chi già ce li ha, l’arredamento del nuovo appartamento, le vacanze coi parenti….ecc ecc…
Magari sbaglio, magari sono ancora il solito pischello di 10 anni fa, ma il concetto di benessere man mano che andiamo avanti si sposta su altre leve, si accostano altre priorità.
Tutti noi, anche direttamente, abbiamo vissuto la fase del “cambio lavoro” e del turn over lavorativo. Anzi, a un certo punto era quasi una gara, un fattore di “prestigio” il turn over, è un classicone della fase 25-35.
E su questo Milano è imbattibile. Ma secondo te, quando si comincia ad accasarsi, figliare, ci sarà la stessa priorità del turn over o quantomeno di essere in un ambiente che volendo consente un rapido turn over? Certo, meglio se c’è, ma almeno parlo per me, ma l’obiettivo è arrivare prima dei 40 a rivestire una posizione appagante e quanto piu definitiva, perché onestamente dopo un certo punto non è che vivo per cambiare lavoro ogni tot per fare il finto yuppie…
Io non posso quindi credere che le più forti possibilità di turn over lavorativo possano garantire o compensare un livello di benessere personale a cui possono contribuire enne altri fattori. Ogni tanto mi pare che questa cosa per te rivesta un ruolo davvero preponderante.
Leggo poi questa necessità/dipendenza da metrò e mezzi pubblici. Per me ad esempio, parere personale, è agghiacciante dover dipendere nella vita quotidiana dai mezzi.
Leggo che a Milano “può essere normale non avere la macchina”. Non avere la macchina e doversi muovere coi mezzi ed essere schiavi della vicinanza della metro anche solo per andare a cena dagli amici, come leggevo, anche questo lo trovo agghiacciante. Parlare di teatri, vita sociale, culturale, e poi non disporre della macchina e fare la conta del mezzo pubblico per una cena a 20km da un amico….boh.
Insomma, per dire che alla fine il concetto di qualità della vita è relativo per carità. per me obbligarmi a vivere in 60/70mq, con mutui tombali, schiavo dei mezzi, con lo stipendio ciucciato da interessi e debiti....boh. può sembrare che generalizzi lo so, però se guardo le conoscenze spostate a milano, non ne vedo nessuna che prende stipendi vertiginosi...insomma, si lavora per vivere, per mangiare, per star bene e togliersi gli sfizi, ma se a parità di lavoro e guadagno devo pagarmi il 300% in piu la casa....e siccome prima o poi la casa tutti la compriamo....tutto qui, non capisco!
Comunque non son qui per dire contro a Milano, è che sono davvero basito da questi prezzi e che, sulla base delle mie esperienze di conoscenti, se è vero che più di qualcuno sta tornando/pensando di tornare perché gli stipendi non giustificano un mattone cosi elevato, dall’altro qualcuno rimane anche se mi pare più per “status” e patina che per altro.