Mobili di ieri, di oggi e oggetti di design

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Il 1º luglio 1936 fu inaugurato il Casinò di Venezia al Lido di Venezia, attivo come sede estiva fino alla fine degli anni 1990.

Gli interni monumentali vennero particolarmente valorizzati dall’uso di marmi chiari, “..i più belli d’Italia….” specchi, vetri e maestosi lampadari, che sottolineavano la luminosità voluta con l’apertura di grandi finestre. La creazione delle grandi vetrate venne curata dalla Vetrocoke di Marghera, mentre per i vetri artistici ci si avvalse della collaborazione delle rinomate fabbriche muranesi di Venini, Ferro, Toso, Barovier. I marmi principalmente impiegati furono: il fior di pesco Carnico, il Repen del Carso, il Verde Châtillon di Lecco, il Breccia aurora di Valstagno, il Giallo di Siena, il Travertino imperiale, quello delle Querciolaie, di Ascoli, il Nero dell’Agordino, il Verde delle Alpi, la Monzonite del Piemonte, il Rosa di Lasa, la Breccia medicea, il Biancone, la Pietra d’Istria, la Portasanta di Toscana.

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Si dotò il salone delle feste oltre che di uno speciale impianto luce anche di un palcoscenico meccanico, il quale “…installato al centro della sala…costituiva una particolare novità tecnica essendo il primo in tale genere costruito in Italia…”.
L’avvento della guerra bloccò il sorgere del progettato terzo palazzo che doveva risultare simmetrico al palazzo del cinema in un piazzale scenografico di grande impatto visivo “

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«Il vetraio sta davanti all'arte fiammeggiante e il suo soffio fa del vetro
una forma leggera ed espressiva come la parola giusta»

Così Gabriele d'Annunzio, nel Libro Segreto (1935), conia una similitudine tra la perfezione della parola e la leggerezza e la perfetta compiutezza di un vetro soffiato.

Il rapporto con la bellezza fascinatrice e misteriosa del vetro muranese è già presente in Il Fuoco (1900), ma trova conferma e diretta sperimentazione negli anni del Vittoriale (1921-1938) e nella declinazione prettamente déco degli arredi della Prioria, la residenza privata del Poeta, dove rifulgono, pur immersi in un grandioso, quanto inimitabile eclettismo collezionistico, i vetri ideati e prodotti da Napoleone Martinuzzi, scultore e "maestro d'arte vetraria", sodale di Gabriele d'Annunzio e direttore artistico della Venini tra il 1925 e il 1931

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Al 1933 risale, probabilmente, l'ultimo incontro tra i due: egli reca all'antico maestro due doni, forse i due elefanti blu che assistono, nella Zambracca, alla morte del Poeta nella notte del 1° marzo 1938.
Gli animali, i frutti, i lampadari, le zucche luminose avevano avvolto per anni con la loro magica lucentezza, con le loro opalescenti atmosfere colui che di sé aveva scritto:
«Vivo in una solitudine selvaggia e raffinata, misera e opulenta, dove le passioni ardono s'inceneriscono riardono incessantemente».


Il vetraio di d'Annunzio

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Quelle due porte ....
"Una sala solenne e resa armoniosa da un camino, collocato tra le due finestre che si affacciano sul giardino. Il disegno ha forte senso architettonico, le colonne sono dimarmo africano e alcune parti in marmo di Verona, a figure allegoriche. Questo splendido esemplare di camino va collegato con le migliorie apportate all’edificio nella prima metà del Seicento, forse vi intervenne l’architetto Vincenzo Scamozzi, che fu chiamato dai Grimani. Le pareti sono anchein questa sala rivestite da tappezzerie di cuoi d’oro seicentesche con fiorami dorati e argentati su fondo verde. I dipinti sono del Seicento e appartengono alla raccolta della Duchessa di Berry. Esclusive, inoltre, le tre porte: ciascuna a doppio battente, lavoratea d intarsio, con legni preziosi e avorio con eleganti disegni di ispirazione orientale.
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Il 1º luglio 1936 fu inaugurato il Casinò di Venezia al Lido di Venezia, attivo come sede estiva fino alla fine degli anni 1990.

Gli interni monumentali vennero particolarmente valorizzati dall’uso di marmi chiari, “..i più belli d’Italia….” specchi, vetri e maestosi lampadari, che sottolineavano la luminosità voluta con l’apertura di grandi finestre. La creazione delle grandi vetrate venne curata dalla Vetrocoke di Marghera, mentre per i vetri artistici ci si avvalse della collaborazione delle rinomate fabbriche muranesi di Venini, Ferro, Toso, Barovier. I marmi principalmente impiegati furono: il fior di pesco Carnico, il Repen del Carso, il Verde Châtillon di Lecco, il Breccia aurora di Valstagno, il Giallo di Siena, il Travertino imperiale, quello delle Querciolaie, di Ascoli, il Nero dell’Agordino, il Verde delle Alpi, la Monzonite del Piemonte, il Rosa di Lasa, la Breccia medicea, il Biancone, la Pietra d’Istria, la Portasanta di Toscana.

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Si dotò il salone delle feste oltre che di uno speciale impianto luce anche di un palcoscenico meccanico, il quale “…installato al centro della sala…costituiva una particolare novità tecnica essendo il primo in tale genere costruito in Italia…”.
L’avvento della guerra bloccò il sorgere del progettato terzo palazzo che doveva risultare simmetrico al palazzo del cinema in un piazzale scenografico di grande impatto visivo “

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Il Casinò di Lido di cui hai postato una documentazione stupenda,era collegato da tunnel sotterraneo per accedere al palazzo della Mostra del Cinema,l'Hotel Excelsior e spiaggia.! (Poveri clienti che nel periodo bellico facevano la vita da pantegane!)
 
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Nel XIII sec. il viaggio di Marco Polo, da Venezia al regno di Kublai Khan, segnò un forte cambiamento nell’arte orafa poiché ebbe modo di raccogliere immagini e stili provenienti dall’Estremo Oriente, in particolare dall’India, terra di provenienza dei diamanti.
L’arte orafa veneziana si è sempre distinta per la qualità e l’originalità della manifattura. Indubbiamente il gioiello più rappresentativo dell’artigianato e della gioielleria della Serenissima Repubblica sono i Moretti veneziani: questo gioiello affonda le sue radici nel ‘500 e con il tempo è diventato il simbolo della tradizione orafa veneziana; sono tutti dei piccoli pezzi d’arte in quanto sono rigorosamente realizzati a mano e, a seconda della fantasia dell’orefice, sia nel busto sia nel turbante può sbizzarrirsi nella creazione di castoni per pietre preziose come brillanti, rubini e smeraldi o “semi preziose” come il corallo rosso e la turchese, così da ottenere Moretti sempre diversi e unici nel loro genere.



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Fin dal '500 "Il Moretto" è un gioiello della tradizione orafa Veneziana, il gioiello più rappresentativo per eccellenza dell’artigianato lagunare.
Ma che cos'è "il moretto"?
I veneziani, chiamavano "mori" i pirati saraceni che a quei tempi compivano razzie lungo le coste della Dalmazia, seminando il terrore. Da allora, per esorcizzare ed allontanare questi pirati, in Istria, venivano indossati orecchini d’oro smaltati di bianco e nero, con funzione di potente talismano.
Le popolazioni del litorale li donavano alle chiese in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo. Questi gioielli arrivarono anche a Venezia, rimanendo per secoli un gioiello irrinunciabile per i nobili veneziani, nasceva così il lussuoso moro dell'arte veneziana del '700, come simbolo locale di buon auspicio.

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Allegati

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La parola veneta “Schei” , che indica i soldi, trova origine nel tempo in cui il lombardo-veneto tra fine ‘700 e metà ‘800 era sotto il dominio austriaco: allora, circolavano ovviamente monete emesse in lingua tedesca, le “kronen”. I centesimi di questa valuta si chiamavano “pfenning”, e sulle monete degli pfenning si trovava scritto “Schei-de münze”, ovvero “moneta divisionale” che con una lettura e traduzione maccheronica diventarono “schei de mona”!

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Il detto “tien sempre in scarsela sinque schei da mona” (si pronuncia anche “zinque”), risale a. quel periodo, quando era obbligatorio avere in tasca un po’ di soldi per non essere accusati di vagabondaggio dalla polizia austriaca,: la moneta minima erano i Fünf Kreuzer

Da ciò nacque un detto augurale e portafortuna che recitava: “Sinque schei de mona ghe fa ben a tuti”.

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“Mona” è una parola di origine incerta che in veneto indica anche una persona particolarmente stupida o ingenua e credulona.


Questa moneta è il portafortuna veneto d'eccellenza.

Aver 5 schei de mona in tasca a Venezia descrive che quando è necessario bisogna sembrare un poco stupidi, in veneziano: Mona, per non avere problemi. Fingere di non capire, come espediente tattico durante una trattativa o discussione può essere un ottimo metodo.


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Vedi l'allegato 2962349Statua in Campo dei mori..............pende ma non cade!!
l'immagine Campo dei Mori -

Brava Mafalda,3d stupendo!!! :clap: :clap: :clap: :clap:

Grazie! :flower: :giggle: 🥰

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LA “TOREUTICA VENEZIANA” era l'arte di lavorare il metallo in incavo e a rilievo.

I veneziani portavano pietre preziose e oro dall’Oriente per poi lavorarli ed esportarli in tutta Europa dov’erano molto ricercati.
Molti dei capolavori prodotti venivano donati alle Chiese e alle Confraternite e l’esempio più splendido di tale attività è la Pala d’Oro della Basilica di San Marco.

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La corporazione degli orafi
stabiliva regolamenti interni nelle Mariegole, diritti e doveri degli aggregati e la suddivisione dei vari lavoratori a seconda che lavorassero “a la Vinitiana” o “ligar zogie a la francese”: esistevano gli specialisti per i “manini”, per i calici, per i “pironi” forchette e per i “cuciari” cucchiai.

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L’oreficeria veneta decadde a partire dal XVII secolo e la decadenza si accentuó nel ‘700
in particolare per le restrizioni ordinate dalle autorità sui consumi di beni di lusso. Anche la fusione di metalli come il rame e il bronzo diede oggetti molto ricercati come le “secie” secchie, i vassoi, le campane e…i cannoni.
L’antica attività della lavorazione del peltro era molto redditizia e con i provvedimenti d’industria beneficiarono anche le forme artistiche ad essa applicate .

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Opere d’alto livello raggiunsero nel XV secolo i fonditori padovani alla testa dei quali il Bellano che creó una scuola di artisti come A. Briosco detto il Riccio e il Veneziano Alessandro Leopardi che completó la statua del Colleoni in Campo SS Giovanni e Paolo a Venezia e che produsse i tre pili porta gonfalone di Piazza San Marco.

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Oltrepassare i confini del beauty e sconfinare in quelli del design.
Succede con certi profumi, i quali - senza nulla togliere alla loro composizione olfattiva - conquistano a una prima occhiata grazie alle eleganti boccette gioiello, frutto di un attentissimo studio.


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Mugler Angel Eau de Parfum: la potenza del patchouli alla sensualità delle note di pralina, frutti rossi e assoluta vaniglia
Il sensuale profumo orientale gourmand è custodino da un flacone azzurro scolpito a forma di stella con sfaccettature che catturano e irradiano la luce.

Diamante celeste forgiato in un blocco di ghiaccio, scultura a cinque punte, l'Etoile ANGEL è stata concepita come un gioiello. Un design unico, con elementi a contrasto, eco stessa della fragranza.

Un flacone splendente, una stella emblematica diventata un simbolo che non cessa di brillare in tutto il mondo.
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Chanel numero 5 è un'icona indelebile da oltre un secolo.
Fin dalla sua creazione nel 1921 da parte della stilista Gabrielle "Coco" Chanel e del profumiere Ernest Beaux, è stato uno dei prodotti più ambiti del marchio, tanto che la sua formula "astratta" aldeidica è stata il segreto meglio custodito di Chanel fino ad oggi. Tuttavia, la sua fulminea ascesa al successo è dovuta anche a molti altri fattori, uno dei quali è la bottiglia.
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Nel progettare la bottiglia originale, Chanel voleva qualcosa di semplice e trasparente per mostrare il profumo nella sua limpida bellezza. Mentre le bottiglie di profumo più appariscenti degli anni '20 traevano ispirazione dalla natura, Chanel guardava alle fiaschette di whisky per la loro semplicità.
Il tappo, tagliato come un diamante, è stato progettato per evocare la geometria di Place Vendôme, uno spazio vicino al cuore di Chanel. La bottiglia presentava anche per la prima volta il logo iconico, le C intrecciate.
Il fatto che così poco del suo design sia cambiato nel corso del secolo è una testimonianza della visione di Chanel e dell'atemporalità della bottiglia, che è stata catapultata verso la celebrità del XX secolo attraverso le serigrafie di Andy Warhol e da allora è diventata parte della collezione permanente del MoMA.

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Olivetti P 101

Esempio puro ed assoluto del design italiano degli anni 60.
Primo esempio di calcolatore da tavolo programmabile con dimensioni contenute. Da molti storiografi dell'informatica ritenuto l'antesignano del primo personal computer.

Il progetto della scocca fu affidato inizialmente a Marco Zanuso e in seguito a Mario Bellini, all'epoca giovane architetto, in quanto l'ingegnere Pier Giorgio Perotto si era accorto che la soluzione iniziale progettata da Zanuso prevedeva un grande ingombro, incompatibile con le esigenze di uno strumento da scrivania. Bellini ideò una struttura in alluminio profilato, al fine di evitare interferenze con altre apparecchiature elettriche, e il peso finale di tutto l'apparato fu di circa 35 chilogrammi. Alcuni esemplari di P101 sono tuttora esposti in musei come esempi di design innovativo (ad esempio, il MoMA di New York)

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Molti genovesi lo ricorderanno come il "pirone".

Questo recipiente di vetro ha origini spagnole,lo dimostra anche il modo di dire "bere alla catalana".
Sostanzialmente si tratta di una bottiglia un pò particolare, da cui si poteva bere senza appoggiare il vetro alle labbra.
Nelle osterie sotto i portici di Sampierdarena, quando ancora c'era il porto pieno di marinai e camalli, non esistevano i bicchieri o meglio erano usati raramente solo con i "furesti" (stranieri). Si usava esclusivamente il pirone.

Un pezzo di arte vetraria che anticipa il grande estro dei designer odierni. Forma e funzione essenziale per un oggetto senza tempo.


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Sono nati nel 1953, i mocassini diventati un simbolo della tradizione e del savoir-faire di una delle maison di moda più importanti.
Negli anni Cinquanta, infatti, Gucci ha iniziato a utilizzare il doppio anello con barretta, diventato noto come morsetto, quale elemento decorativo nelle proprie collezioni per evocare lo stile di vita associato all'equitazione, sport popolare tra la clientela dell'epoca.

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È nato così il mocassino Horsebit 1953, modello intramontabile e codice storico del brand, punto di riferimento della tradizione equestre della maison e, al contempo, fonte di ispirazione per ogni suo direttore creativo, che ne propone la propria, sottile, interpretazione. Un esempio dell'eccellenza e dell'eleganza dello stile italiano.

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Ci sono film nei quali la narrazione estetica dell’interior design non è solo lo sfondo del set, ma è posta in prima fila nella trama, tanto da assumere il ruolo di protagonista principale.

Un esempio è il film Chiamami con il tuo nome, un piccolo gioiello d’autore. Una villa lombarda è lo sfondo principale in cui si muovono i protagonisti e la villa stessa può essere considerata protagonista insieme agli attori. Un’ode all’interior design italiano in un’antologia del fascino scolorito della “buona famiglia” in una calda estate del ’83.

Tra modernismo e minimalismo, colori tenui e romanticismo, è ambientata la bellissima storia di amore e perdita tra due uomini. Il regista Luca Guadagnino ha deciso di servirsi dell’amica Violante Visconti di Modrone per l’interior design che ha trasformato la tenuta in rovina nello sfondo perfetto per il film.


Grazie ad una minuziosa ricerca ha dato alla proprietà una qualità vissuta; è riuscita a caratterizzare con oggetti e stampe d’epoca ogni angolo della villa per parlare così di ogni singolo personaggio in modo personale e coerente e dare vita ad un set che vacilla tra sogno e nostalgia. Gli oggetti di scena includono dipinti e libri, oltre a bicchieri e stoviglie che un tempo appartenevano ai genitori di Violante Di Modrone.

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Ci sono film nei quali la narrazione estetica dell’interior design non è solo lo sfondo del set, ma è posta in prima fila nella trama, tanto da assumere il ruolo di protagonista principale.

Un esempio è il film Chiamami con il tuo nome, un piccolo gioiello d’autore. Una villa lombarda è lo sfondo principale in cui si muovono i protagonisti e la villa stessa può essere considerata protagonista insieme agli attori. Un’ode all’interior design italiano in un’antologia del fascino scolorito della “buona famiglia” in una calda estate del ’83.

Tra modernismo e minimalismo, colori tenui e romanticismo, è ambientata la bellissima storia di amore e perdita tra due uomini. Il regista Luca Guadagnino ha deciso di servirsi dell’amica Violante Visconti di Modrone per l’interior design che ha trasformato la tenuta in rovina nello sfondo perfetto per il film.


Grazie ad una minuziosa ricerca ha dato alla proprietà una qualità vissuta; è riuscita a caratterizzare con oggetti e stampe d’epoca ogni angolo della villa per parlare così di ogni singolo personaggio in modo personale e coerente e dare vita ad un set che vacilla tra sogno e nostalgia. Gli oggetti di scena includono dipinti e libri, oltre a bicchieri e stoviglie che un tempo appartenevano ai genitori di Violante Di Modrone.

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Ci sono film nei quali la narrazione estetica dell’interior design non è solo lo sfondo del set, ma è posta in prima fila nella trama, tanto da assumere il ruolo di protagonista principale.

Un esempio è il film Chiamami con il tuo nome, un piccolo gioiello d’autore. Una villa lombarda è lo sfondo principale in cui si muovono i protagonisti e la villa stessa può essere considerata protagonista insieme agli attori. Un’ode all’interior design italiano in un’antologia del fascino scolorito della “buona famiglia” in una calda estate del ’83.

Tra modernismo e minimalismo, colori tenui e romanticismo, è ambientata la bellissima storia di amore e perdita tra due uomini. Il regista Luca Guadagnino ha deciso di servirsi dell’amica Violante Visconti di Modrone per l’interior design che ha trasformato la tenuta in rovina nello sfondo perfetto per il film.


Grazie ad una minuziosa ricerca ha dato alla proprietà una qualità vissuta; è riuscita a caratterizzare con oggetti e stampe d’epoca ogni angolo della villa per parlare così di ogni singolo personaggio in modo personale e coerente e dare vita ad un set che vacilla tra sogno e nostalgia. Gli oggetti di scena includono dipinti e libri, oltre a bicchieri e stoviglie che un tempo appartenevano ai genitori di Violante Di Modrone.

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Chissà se è originale quel poster Roland Garros!!.....bellissimi immagini!!:clap:OK!
 
Chissà se è originale quel poster Roland Garros!!.....bellissimi immagini!!:clap:OK!

Wow... grazie 2001-2010:bow:...soprattutto per avermi fatto notare e conoscere Eduardo Arroyo, illustratore del manifesto sportivo del Torneo Roland Garros. Non capivo il soggetto...ma certo che è lui: Björn Borg. :clap:

La parete della cameretta di Elio fotografata sul set da Giulio Ghirardi, mostra una serie di manifesti.
I poster alle pareti sono i primi indizi per conoscere il personaggio di Timothée Chalamet, e anche per testare la conoscenza dei nerd di grafica nell'identificazione del periodo storico.

Da sinistra, il primo è un'illustrazione del grafico pubblicitario Jupp Wiertz, in occasione del festival wagneriano a Bayeruth, per l'edizione (parebbe) del 1930.
Elio ama la musica classica, ma anche il pop-rock, come segnalato dalla locandina di un tour di Peter Gabriel. Intellettuale poliglotta (il manifesto rosso in occasione di una mostra di Mario Merz alla White Chapel Gallery di Londra), appassionato di cinema e arti visive (una cartolina da L'uomo ferito di Patrice Chéreau e un souvenir dalla Biennale di Venezia del 1980), e soprattutto sport.

Non solo la 24 ore di le Mans, una gara di macchine da corsa qui nell'edizione del 1982, ma anche il glorioso poster degli Open di Francia di uno anno prima.
Nel 1981 il torneo Roland Garros affidò l'illustrazione dei manifesti al disegnatore spagnolo Eduardo Arroyo, che scelse come soggetto il vincitore delle tre edizioni precedenti (e che sarà lì nuovamente vincitore), Björn Borg. Sembra strano ritrarre uno dei gareggianti su cartelloni di una competizione ancora in corso, ma in effetti Borg—con la sua zazzera di capelli e la fascia tricolore—aveva una presenza così iconica che per Arroyo dev'essere stato difficile resistere.


Eduardo Arroyo, Roland Garros 1981

Eduardo Arroyo, Roland Garros 1981

Dalla sua Arroyo arrivava con due qualità perfette per la mansione: la propensione per le caricature e la passione per lo sport – nello specifico, la boxe. Nato nel '37 a Madrid, trascorse gli anni formativi e di affermazione artistica a Parigi, poiché antifranchista e in conflitto con il regime. Strinse amicizia con Aillaud e Mirò, anche se rimarrà in antagonismo critico con l'arte d'avanguardia – soprattutto con quella di Duchamp, all'epoca re della scena locale. Topoi della cultura iberica e temi della Guerra Civile vengono manipolati negli Sessanta in forme surrealiste e satiriche, con toreri queer e omaggi dal titolo
España te miro el ****.

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Wow... grazie 2001-2010:bow:...soprattutto per avermi fatto notare e conoscere Eduardo Arroyo, illustratore del manifesto sportivo del Torneo Roland Garros. Non capivo il soggetto...ma certo che è lui: Björn Borg. :clap:

La parete della cameretta di Elio fotografata sul set da Giulio Ghirardi, mostra una serie di manifesti.
I poster alle pareti sono i primi indizi per conoscere il personaggio di Timothée Chalamet, e anche per testare la conoscenza dei nerd di grafica nell'identificazione del periodo storico.


Da sinistra, il primo è un'illustrazione del grafico pubblicitario Jupp Wiertz, in occasione del festival wagneriano a Bayeruth, per l'edizione (parebbe) del 1930.
Elio ama la musica classica, ma anche il pop-rock, come segnalato dalla locandina di un tour di Peter Gabriel. Intellettuale poliglotta (il manifesto rosso in occasione di una mostra di Mario Merz alla White Chapel Gallery di Londra), appassionato di cinema e arti visive (una cartolina da L'uomo ferito di Patrice Chéreau e un souvenir dalla Biennale di Venezia del 1980), e soprattutto sport.

Non solo la 24 ore di le Mans, una gara di macchine da corsa qui nell'edizione del 1982, ma anche il glorioso poster degli Open di Francia di uno anno prima.
Nel 1981 il torneo Roland Garros affidò l'illustrazione dei manifesti al disegnatore spagnolo Eduardo Arroyo, che scelse come soggetto il vincitore delle tre edizioni precedenti (e che sarà lì nuovamente vincitore), Björn Borg. Sembra strano ritrarre uno dei gareggianti su cartelloni di una competizione ancora in corso, ma in effetti Borg—con la sua zazzera di capelli e la fascia tricolore—aveva una presenza così iconica che per Arroyo dev'essere stato difficile resistere.



Eduardo Arroyo, Roland Garros 1981

Eduardo Arroyo, Roland Garros 1981

Dalla sua Arroyo arrivava con due qualità perfette per la mansione: la propensione per le caricature e la passione per lo sport – nello specifico, la boxe. Nato nel '37 a Madrid, trascorse gli anni formativi e di affermazione artistica a Parigi, poiché antifranchista e in conflitto con il regime. Strinse amicizia con Aillaud e Mirò, anche se rimarrà in antagonismo critico con l'arte d'avanguardia – soprattutto con quella di Duchamp, all'epoca re della scena locale. Topoi della cultura iberica e temi della Guerra Civile vengono manipolati negli Sessanta in forme surrealiste e satiriche, con toreri queer e omaggi dal titolo
España te miro el ****.

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