n 10
Avete mai sentito parlare del maglio di Terni? Era una macchina spaventosa che si trovava nelle acciaierie, verso la fine dell’Ottocento, con un blocco di 108 tonnellate che cadeva a piombo dall’altezza di 30 metri. Quando veniva utilizzato, il suolo vibrava nel giro di qualche chilometro, almeno così si dice. Beh, stasera a Wall Street sembrava che fosse in azione il maglio di Terni…certe schicchere! Troppo forti, però, per durare a lungo… forse… forse…
E comunque si tratterebbe solo di una sosta, perché considerando un particolare P/E “cyclically-adjusted” calcolato dal professor Schiller (il celeberrimo autore di “Esuberanza Irrazionale” in cui si prevedeva lo scoppio della bolla del 2000) il calo non dovrebbe arrestarsi prima che quel suo P/E raggiunga quota 8x. Con l’S&P500 a 700 il P/E si trova a 12x, quindi stiamo freschi!
Prima che qualcuno si butti dalla finestra, è bene sapere che ci sono due modi per scendere a un P/E di 8x. Nel primo caso potremmo essere vicini al bottom, perché ci aspetterebbe un laterale di 5-10 anni con una lenta crescita degli utili che man mano porterebbe il P/E a 8x in maniera virtuosa, diciamo così. L’altra ipotesi invece è che si continui a scendere a piombo fino a raggiungere presto questo famoso P/E 8x, cosa che avverrebbe fra i 300 e i 460 di S&P500, quindi a -35% o -55% rispetto a stasera. Può darsi che Schiller si sbagli, ma è una persona serissima e piuttosto affidabile, non è uno dei tanti ciarlatani in circolazione.
Il mese scorso è stato davvero un febbraietto corto e maledetto. Ha cancellato il laterale e ora siamo ripiombati nel ripido canale discendente iniziato nel dicembre 2007. Comunque il canale è abbastanza ampio, e quindi dà spazio a possibili movimenti di una certa importanza in qualsiasi direzione. Stasera sia sul Dax che sull’S&P500 la volatilità implicita ha fatto un balzo di quasi il 15%, però rimane su livelli relativamente contenuti, almeno rispetto agli eccessi dei mesi scorsi. Anche la volatilità storica per ora rimane lontanissima da quei picchi.
Nonostante i tremendi scrolloni di questi giorni, le mie posizioni si stanno comportando piuttosto bene. Il livello di guardia delle posizioni sull’Eurostoxx50 l’ho portato a 1650, mentre ho aperto roba nuova sul Dax con livello inferiore a 3300/3350 (forse lo abbasserò già domani) e sull’ S&P500 con liv inf a 630 (era a 660). Naturalmente sono pronto a ulteriori aggiustamenti, perché come sempre vado a rimorchio del mercato, in maniera totalmente passiva.
(“Il grande crollo” di JK Galbraith, 10a puntata)
All’inizio dell’autunno 1929, l’economia già mostrava parecchie crepe. L’indice della Fed per la produzione industriale passò dai 126 di giugno ai 117 di ottobre. L’edilizia era da tempo in sensibile declino. In ottobre diminuì anche il volume dei materiali trasportati sui carri merci, e questo è un segnale importante: basti pensare all’attenzione che oggi viene destinata al Baltic Index o al peso che aveva in AT il confronto fra l’indice dei titoli industriali e quello della aziende di trasporto.
“Infine” scrive Galbraith “scese anche il mercato azionario. Un acuto studioso della situazione economica di quel periodo ha scritto che il crollo del mercato rifletté, in ultima analisi, il mutamento già evidente nella situazione industriale”.
Secondo quel punto di vista “il mercato azionario non è altro che uno specchio che, forse -come in questo caso- un po’ in ritardo, fornisce un’immagine della situazione economica sottostante o fondamentale. Il rapporto di causa ed effetto si svolge sempre dall’economia al mercato azionario, e mai in senso inverso”.
E’ un punto di vista che Galbraith non abbraccia. Secondo lui “nel 1929 c’erano a favore di questo modo di vedere buone ragioni, se non altro ragioni strategiche, ed è facile capire perché esso sia diventato alta dottrina”. Sia in quegli anni, sia soprattutto negli anni della depressione “fu opportuno continuare a insistere sull’irrilevanza del mercato azionario”. Ed ecco il motivo: “Wall Street non è sempre stata uno dei simboli preferiti della nostra vita nazionale. Per certi settori devoti della nazione, coloro che speculano in titoli (che sono anche chiamati con il termine più obbrobrioso di giocatori) non sono i migliori esempi morali della nostra società. Ogni spiegazione della depressione che avesse attribuito importanza al crollo della borsa avrebbe avuto serie ripercussioni e suscitato gravi guai per Wall Street. Questa senza dubbio sarebbe sopravvissuta, ma con più di uno sfregio. E’ bene chiarire che non ci fu assolutamente una deliberata congiura diretta a minimizzare le conseguenze per l’economia del crollo in borsa. Invece ogni persona mossa dall’istinto di conservazione si rese semplicemente conto che era meglio tener fuori dalla scena Wall Street: era vulnerabile.
In realtà, ogni spiegazione soddisfacente degli avvenimenti dell’autunno 1929 e del periodo successivo deve riconoscere una funzione rilevante al boom speculativo e al tracollo seguito.”
Come già nel caso della marginazione -che si tendeva a spacciare come strumento per incrementare la liquidità, anziché come scorciatoia per gli speculatori- qualcuno si potrà meravigliare dell’insistenza di Galbraith sulla “vulnerabilità” di Wall Street e sull’esigenza di coprire il più possibile il ruolo della speculazione.
In realtà bisogna tener conto dello spirito puritano e moralistico dell’America profonda, oltretutto in quegli anni all’apice del successo con la vittoria sul fronte del Proibizionismo (1919-1933). Non è difficile credere che in paese dominato dall’etica protestante -che vede la ricchezza come un valore positivo e un segno della grazia di Dio, purché ottenuta con la laboriosità e il talento- fosse abbastanza opaco il prestigio di Wall Street. Infatti allora (allora, eh!) la borsa pullulava di avventurieri senza scrupoli ed era dominata dal pompaggio dei pool e dalle mosse degli insider, all’epoca sostanzialmente legali. Solo nel 1933/34 arrivarono le leggi contro l’insider e i pool furono vietati. In Italia la normativa contro l’insider trading risale al…-provate a indovinare…- nientemeno che al 1991. Prima del ’91 in Italia l’unico reato borsistico era l’aggiotaggio, ma guarda caso non c’era mai stata una sola condanna per quel reato. Eh sì, intorno a Piazza Affari si stendevano le sconfinate, libere praterie del Far West…
Torniamo a bomba. Supporre che le prime avvisaglie della crisi economica abbiano causato il crollo del ’29 -come fanno gli studiosi che più o meno inconsciamente tendono a “proteggere” Wall Street- è un’ipotesi che secondo il nostro autore assolutamente non regge perché fino a settembre/ottobre il declino dell’economia era trascurabile. Nessuno avrebbe potuto prevedere la catastrofe futura. “Soltanto dopo il tracollo della borsa era plausibile supporre che le cose per un periodo prolungato sarebbero andate infinitamente peggio”. Insomma, “non era possibile prevedere una depressione, grave o non grave, quando il mercato crollò”.
Naturalmente non si può escludere che “la diminuzione degli indici abbia spaventato gli speculatori, li abbia spinti a liberarsi dei propri titoli, e così abbia forato un pallone che in ogni caso prima o poi si sarebbe sgonfiato.”
Due sono gli episodi che tradizionalmente vengono considerati i catalizzatori “di superficie”, diciamo così, per lo scoppio della bolla, insieme al calo degli indici industriali.
Il primo è il clamoroso “crash” di Clarence Hatry, un nome che oggi ci dice ben poco. Era un inglese che aveva creato un vero impero partendo da -udite udite- una serie di distributori a monetina e di macchine fotografiche automatiche. In preda a manie di grandezza, aveva tentato la scalata alla United Steel, che da sola rappresentava il 10% della produzione industriale del Regno Unito. Pur di procurarsi il denaro, “fece il Tanzi”: falsificò montagne di bilanci e certificati azionari. Il 20 settembre 1929 la truffa venne scoperta. Lo scandalo fu enorme. Come ho letto da altre parti, la Banca d’Inghilterra fu costretta ad aumentare i tassi di un punto, e questo fatto -insieme alla voglia di prendere profitto e al timore di altre truffe- spinse molti ricchi inglesi a riportare a casa i capitali investiti a Wall Street, indebolendola. Inoltre l’enormità delle falsificazioni fu un trauma per i fiduciosi investitori americani, instillando i primi dubbi sulla solidità del rialzo.
L’altro episodio a cui si riferisce Galbraith è apparentemente ancor meno importante. Le autorità del Massachusetts si rifiutarono di autorizzare il frazionamento delle azioni della Boston Edison, e lo fecero con parole molto dure, affermando che il rialzo dei prezzi era dovuto solo alla speculazione e che ormai le quotazioni erano su livelli “ai quali nessuno, sulla base degli utili realizzati, troverebbe vantaggioso acquistarli”.
Questi “fattori scatenanti” sembrano e sono minuzie., La loro scarsa rilevanza dimostra che il crollo era già nell’aria, e bastava solo una piccola spinta per spingere la borsa nell’abisso. A riprova del nervosismo di quei giorni, il nostro autore riporta un annuncio pubblicitario apparso in quei giorni sui quotidiani di New York. Si intitolava “sopravvivere al rialzo”e diceva testualmente “la maggioranza degli investitori fa denaro in un mercato tendente al rialzo, ma solo per perdere tutti i guadagni fatti, e a volte di più, nell’inevitabile riassestamento successivo”.
Se l’atmosfera cominciava a essere questa, con dubbi e timori che ormai ronzavano nella mente di migliaia di persone, espandendosi a macchia d’olio, è chiaro che bastava un nonnulla per far partire la valanga di vendite. Questione di giorni…”
(fine della 10a puntata: non perdetevi le foto invernali della New York di quegli anni! V. sotto)
x Flashfield
Flash!! Mitico! Ma allora esisti ancora… come va? Sempre in forma vedo, mi piace da morire quel tuo termine “biscone”… - me lo rigioco, ci puoi scommettere.
Coma al solito hai ragione: da anni la gente se ne infischia della borsa, solo qui nel fol c’è un minimo di rinnovamento… Visto che non ci sente nessuno, possiamo anche dire che i nuovi ci fanno rimpiangere quelli che urlavano “Seat sarà la mia pensione!”… Almeno, quando si rendevano conto della sconfitta piangevano in silenzio, con una certa dignità. Invece ora chi ha punta su titoli che da decenni non fanno un centesimo di utile, se perde rivuole i soldi dallo Stato, cioè dai taxpayers, cioè da chi zitto e buono s’è accontentato dei rendimenti di Bot e Btp!! Prima la gente mugugnava contro la Consob, ora se il tuo titolo scende, denunciano la Consob perché ha permesso una sconcezza simile. E indovina perché la borsa crollando in questo modo? Perché per lo short non c’è bisogno dei soldi, per il long sì, e quindi tutti shortano. Testuale, ti giuro! Cerca di non scomparire… c’è bisogno di interventi tosti come i tuoi!
x stevesteve
chi si rivede! come va? Ti ricordo gentilissimo ed educatissimo… sei ancora così oppure quest’ambientaccio ti ha cambiato?
x colpo
Accidenti! veramente ben fatto… grazie per la segnalazione:
http://video.google.com/videoplay?d...&ei=UqOhSanaOI6cqAKxlryHCg&q=crisis+of+credit
x amgone
ciao! Classe 2001, classe di ferro
x apuleio2006
In diversi punti sono scoppiato a ridere come un matto! Bisogna riconoscere che il senso dell’umorismo degli inglesi è veramente unico:
http://www.timesonline.co.uk/tol/news/uk/article5775397.ece
x gasfin
verrà il tuo grande giorno! E non sarà un focherello, sarà un incendio memorabile!
Un grazie sincero a mke777, primipassi, skicross, cyclical…
Un po’ di foto invernali della New York di quegli anni. Alcune sono esempi notevoli del tipico stile pittorico della fotografia del primo ‘900 (usate il fermo immagine!).
http://www.youtube.com/watch?gl=IT&hl=it&v=SaSZHBCU_FY
Rudy Valee -il grande “crooner”- in “Lover, come back to me” (1929)
http://www.youtube.com/watch?v=4bzbHwDAq5Y