Unicredit: solo news n. 4

Senza il Mes le banche saranno meno protette nelle crisi. Ecco cosa cambia dopo lo stop al paracadute di emergenza
Senza il Mes le banche saranno meno protette nelle crisi. Ecco cosa cambia dopo lo stop al paracadute di emergenza
Giorgia Meloni

Senza il Mes le banche saranno meno protette nelle crisi. Ecco cosa cambia dopo lo stop al paracadute di emergenza​

di Francesco Ninfole

Con la riforma il Meccanismo avrebbe fatto da backstop per il Single Resolution Fund. Così il Mes avrebbe fornito liquidità in caso di necessità nei dissesti evitando la fuga dei depositi e il contagio a istituti sani. La lezione Credit Suisse non è servita. Ora l’Italia rischia di essere penalizzata più della Germania


Senza il Mes le banche europee, e quindi anche quelle italiane, avranno una protezione in meno nelle crisi. In una situazione di emergenza, tale da causare una fuga di depositi, non ci sarà uno strumento di ultima istanza per salvaguardare la stabilità finanziaria, che peraltro non avrebbe richiesto denaro da parte dei contribuenti. La riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità prevedeva la possibilità di usare circa 70 miliardi disponibili nel Fondo come paracadute ulteriore nelle crisi, nel caso si rivelassero insufficienti le risorse del Single Resolution Fund (circa 70 miliardi alimentati con il denaro delle banche).

L’utilità del backstop nelle crisi

Il Srf interviene dopo la svalutazione da parte della banca in crisi dell’8% del passivo: è il meccanismo del bail-in che comporta perdite per azionisti e creditori e ha l’obiettivo di ricapitalizzare l’istituto in crisi. Ma non è detto che queste risorse siano sufficienti nel dissesto di una grande banca. Basti pensare a quello che è accaduto nella vicenda Credit Suisse: in pochi giorni ci sono stati deflussi per decine di miliardi a causa della sfiducia dei depositanti sul futuro della banca. Perciò lo Stato svizzero è stato obbligato a intervenire con garanzie e liquidità. Il Mes avrebbe avuto proprio questo ruolo: prestare, in caso di necessità, le risorse per far fronte ai deflussi e alla sfiducia.

Se il mercato non viene rassicurato in modo molto veloce e deciso (come hanno fatto anche gli Usa per la crisi delle banche regionali come Svb), allora i timori possono trasferirsi anche a istituti sani. Perciò la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità avrebbe aiutato tutti i Paesi, anche quelli con banche solide. In un’audizione sul Mes alla Camera Ignazio Visco, allora governatore della Banca d’Italia, ha osservato che la riforma «riduce il rischio che la gestione della crisi di un grande intermediario avvenga in maniera disordinata, con potenziali impatti sulla stabilità finanziaria complessiva».

Lo strumento avrebbe consentito di proteggere tutte le banche europee, aiutando soprattutto i Paesi con i conti pubblici più deboli. Quelli meno indebitati, come per esempio la Germania, potranno comunque intervenire con fondi nazionali per gli istituti domestici. Ora invece rischia di aumentare la frammentazione nell’area euro. Non a caso dopo l’avvio delle risoluzioni bancarie Ue l’Italia è stata tra gli Stati più attivi nel sostenere la necessità di un backstop coinvolgendo il Mes. A lungo l’Italia ha anche chiesto di anticipare la protezione al 2022, prima di cambiare linea. L’uso del Mes come backstop nelle crisi inoltre sarebbe stato neutrale per le finanze pubbliche: le risorse utilizzate devono essere restituite dalla banca dopo l’emergenza oppure dal Single Resolution Fund, quindi da tutti gli istituti di credito europei.

Le ricadute per le negoziazioni in Europa

Si vedrà se ci saranno margini per ripristinare il backstop del Mes. Intanto l’Italia rischia di essere penalizzata anche su un altro fronte, quello delle nuove regole sulle crisi bancarie in discussione in Europa (Cmdi o Crisis Management Deposit Insurance): dopo aver respinto l’utilizzo di uno strumento europeo come

MF - Numero 251 pag. 4 del 22/12/2023
 
Unicredit vince la gara per la rigenerazione di Scalo Farini a Milano
Unicredit vince la gara per la rigenerazione di Scalo Farini a Milano
Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit

Unicredit vince la gara per la rigenerazione di Scalo Farini a Milano​

di Sara Bichicchi

La banca sarà l'unico investitore nel progetto, mentre Prelios agirà come fund manager e Hines come sviluppatore. I lavori dovrebbero occupare un arco temporale di 7 anni


Sarà Unicredit a occuparsi della rigenerazione dello Scalo Farini e dello Scalo San Cristoforo a Milano. La banca guidata da Andrea Orcel, supportata da Prelios e Hines, ha vinto la gara indetta da Fs Sistemi Urbani per l'acquisizione delle due aree ferroviarie dismesse nel capoluogo lombardo. In totale si tratta di una superficie di circa 620 mila metri quadrati.



Unicredit sarà l'unico investitore nel progetto, mentre Prelios agirà come fund manager e Hines come sviluppatore. La cordata UniCredit-Prelios-Hines si è aggiudicata Scalo Farini, come rivelato da MF-Milano Finanza, con un’offerta da circa 500 milioni di euro superando la concorrenza di Coima e Generali.

Il progetto Scalo Farini

Il piano per lo Scalo Farini prevede la creazione di un nuovo quartiere sostenibile, con ampi spazi verdi, che integri uffici, abitazioni, negozi e servizi. Ma anche l'Accademia di Brera, alcune scuole, un hotel e il nuovo Campus Unicredit.

L'operazione sarà portata avanti attraverso un fondo immobiliare gestito da Prelios Sgr, in cui Unicredit è l'unico investitore, mentre Hines sarà responsabile del Campus Unicredit. Il periodo temporale previsto per i lavori è di 7 anni. Lo sviluppo seguirà piani di urbanizzazione concordati con il Comune di Milano e gli stakeholder.

«Questa iniziativa metterà Unicredit in prima linea nella più importante opera di rigenerazione urbana degli ultimi anni, lasciando un segno nello sviluppo della comunità», ha commentato il ceo, Andrea Orcel. «È una testimonianza di impegno per il futuro dell'Italia e per le potenzialità di Milano ed è un esempio tangibile di come viviamo il nostro obiettivo di far progredire le comunità. Questa opportunità ci permette di fornire alla città simbolo della nostra sede lo spazio per realizzare alloggi a prezzi accessibili, residenze per studenti, investimenti rigenerativi sociali e sostenibili di cui il nuovo Campus Unicredit costituirà una parte importante, rendendo questo un investimento non solo per l'oggi, ma per il futuro a lungo termine».

Orario di pubblicazione: 22/12/2023 12:44
Ultimo aggiornamento: 22/12/2023 13:00
 

Banche, il 2023 anno nero per i posti di lavori: tagliate oltre 60 mila persone. E nel 2024 la crisi continuerà​

di Alberto Mapelli

Da Credit Suisse, salvata da Ubs, alle banche americane: ecco chi ha ridotto di più il personale. Ma i picchi della crisi del 2008 sono ancora lontani


Le banche hanno cancellato oltre 60 mila posti di lavoro nel 2023. Il dato lo riassume il Financial Times in un’indagine condotta negli ultimi giorni dell’anno che tratteggia una delle annate più pesanti dalla crisi finanziaria del 2008, seppur con cifre lontane dai picchi di allora, quando tra il 2007 e il 2008 vennero cancellati 140 mila posti di lavoro. Ma le prospettive, secondo il quotidiano britannico, non sono destinate a migliorare nel corso del 2024.
Wall Street pesa la metà
Dai numeri elaborati dall’Ft, emerge che 61.905 posti di lavoro sono stati tagliati dalle 20 banche più grandi del mondo. Il quotidiano evidenzia come i dati siano stati elaborati da indiscrezioni di stampa e documenti ufficiali degli istituti e non comprendano le banche più piccole. Questo, spiega l’Ft, significa che i numeri del fenomeno sono ancora più elevati.

I grandi sforbiciatori sono stati gli istituti di Wall Street. Oltre 30 mila licenziamenti, ossia la metà della forza lavoro ridotta, infatti, sarebbe stato licenziato dalle big americane, le cui attività di investment banking hanno faticato a far fronte alla velocità degli aumenti dei tassi di interesse. Per il secondo anno consecutivo, infatti, le commissioni sono crollate a causa della riduzione delle transazioni e delle quotazioni. Wall Street, quindi, ha deciso di provare a proteggere i margini riducendo i costi, e quindi il personale.

Wells Fargo e le altre big Usa

Il caso emblematico in questo senso è Wells Fargo, che nel corso di dicembre ha spiegato di aver ridotto il suo personale globale di 12 mila unità. La banca ha dichiarato di aver speso 186 milioni di dollari in costi di licenziamento solo nel terzo trimestre, con 7 mila posti di lavoro eliminati. Ma il ceo Charlie Scharf ha annunciato che la banca ha accantonato fino a 1 miliardo di dollari per ulteriori costi di buonuscita, lasciando intendere che altre migliaia di posti di lavoro potrebbero essere a rischio.
L’Ft entra nel dettaglio anche delle altre big di Wall Street: Citigroup ha tagliato 5 mila posti di lavoro, seguita da Morgan Stanley (4.800) e Bank of America (4 mila). Più conservative Goldman Sachs (3.200) e JpMorgan Chase (mille).

Il caso Ubs-Credit Suisse

Se complessivamente Wall Street la fa da padrona, il singolo istituto che ha tagliato maggiormente è stato il colosso svizzero Ubs, vista la sua acquisizione del Credit Suisse. L’operazione, per il momento, ha comportato tagli per almeno 13 mila posti di lavoro. Tuttavia, come ricorda il quotidiano britannico, l'amministratore delegato di Ubs, Sergio Ermotti, ha segnalato che il 2024 sarà «l'anno cruciale» per l'acquisizione e gli analisti si aspettano che altre migliaia di posti di lavoro vengano soppressi nei prossimi mesi.

Una prospettiva che non è dissimile da quella del resto del panorama bancario internazionale. Anzi, allargando lo sguardo, la banca britannica Metro Bank ha annunciato di voler ridurre di un quinto la sua forza lavoro dopo essere stato salvato a ottobre con un accordo di rifinanziamento da 925 milioni di sterline.

L’obiettivo dell’istituto è di arrivare a un risparmio annuo di 50 milioni di sterline – rispetto al precedente obiettivo di 30 milioni di sterline – che comporterà la chiusura di filiali e la partenza di un massimo di 800 dipendenti. «Non c'è stabilità, né investimenti, né crescita nella maggior parte delle banche e probabilmente ci saranno altri tagli di posti di lavoro", ha dichiarato all’Ft Lee Thacker, titolare della società di headhunting di servizi finanziari Silvermine Partners. Insomma, l’inverno della forza lavoro nelle banche mondiali non sembra essere al termine.

MF - Numero 253 pag. 3 del 27/12/2023
 
Le banche italiane puntano sulla dematerializzazione dei titoli. Si fa sentire l’effetto Brexit nelle emissioni
Le banche italiane puntano sulla dematerializzazione dei titoli. Si fa sentire l’effetto Brexit nelle emissioni
Giuseppe Castagna

Le banche italiane puntano sulla dematerializzazione dei titoli. Si fa sentire l’effetto Brexit nelle emissioni​

di Francesco Ninfole

Lo strumento è stato usato nelle recenti operazioni di Bper, Banco Bpm, Unicredit e Banca Ifis. I benefici sono legati a minori costi, semplificazione delle procedure e utilizzo del diritto italiano dopo l’uscita del Regno Unito dall’Ue


Le banche italiane stanno utilizzando sempre di più il diritto italiano e la dematerializzazione dei titoli per le emissioni, anche come conseguenza della Brexit. La prima a muoversi è stata Bper nel 2022, con un titolo senior non preferred. Poi anche Banco Bpm, Unicredit e Banca Ifis sono andate nella stessa direzione. In tal senso è significativa la recente operazione di Banco Bpm che ha utilizzato per la prima volta la struttura italiana per un’emissione di Additional Tier 1, quindi di un titolo subordinato: un segnale di sempre maggiore fiducia del settore.

L’analisi di Morelli (Cappelli Rccd)

«Questa nuova struttura di emissione riduce sensibilmente i costi per gli emittenti e semplifica di molto la documentazione e la procedura», spiega Federico Morelli, partner dello studio legale Cappelli Rccd che ha seguito le prime operazioni fatte in Italia. «Sarà importante per gli operatori di mercato superare una iniziale fisiologica ritrosia ad abbandonare quei processi collaudati di diritto inglese, che hanno sempre dato ottimi risultati, e sapersi rinnovare perseguendo obiettivi di semplicità ed economicità».

Il peso della Brexit

L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ha spinto gli operatori a domandarsi se utilizzare ancora l’architettura inglese, quindi fuori dal perimento del diritto Ue, per i bond Emtn (Euro Medium Term Notes). Nel tempo i giudici inglesi saranno sempre meno formati sulle leggi europee e questo può creare un rischio legale. Inoltre non c’è nessun pericolo per l’uso della struttura italiana: «La dematerializzazione in Italia costituisce già un ambiente giuridico protetto, nel quale i processi di emissione e circolazione degli strumenti è ben collaudato e non soggetto a sorprese», osserva Morelli.

I vantaggi della dematerializzazione

La dematerializzazione esiste dal 1998 ed è impiegata soprattutto per azioni quotate e strumenti finanziari domestici che hanno un Isin IT invece che XS (quello per le emissioni internazionali). L’Isin è l’International Securities Identification Number, cioè il codice riconosciuto a livello globale per l’identificazione degli strumenti finanziari sui mercati e nelle transazioni.

Le banche negli anni scorsi non hanno avuto molto interesse nella dematerializzazione: può aver inciso la preferenza di alcuni intermediari internazionali per la prassi inglese. Ma l’orientamento sta cambiando. Anche perché ci sono vantaggi di costo. L’emissione italiana per esempio permette di risparmiare sui corposi documenti delle global note, sui costi degli agenti di pagamento e sul parere di diritto inglese. Nulla cambia per il rischio dei bond che dipende dall’emittente, non dal luogo di emissione. Si sta poi abbandonando la percezione, non motivata da fattori oggettivi, secondo cui gli Isin XS siano preferibili rispetto a quelli IT. Le banche di Germania, Francia e Spagna stanno usando sempre più il diritto nazionale per l’emissione di titoli.

L’evoluzione normativa

La dematerializzazione appare a molti un passaggio necessario nel contesto di mercato. Anche secondo la Bce occorre facilitare l’emissione di strumenti finanziari in forma dematerializzata. Del resto ormai la legislazione sui mercati sta facendo ulteriori passi avanti, per esempio con l’uso di token. «La dematerializzazione dei bond costituisce la necessaria base per i successivi futuri processi di digitalizzazione degli strumenti finanziari, ai quali gli emittenti italiani non dovranno farsi trovare impreparati», rileva Morelli.«Questo è stato reso possibile soprattutto dall’impegno profuso dal Mef, in primis con il Libro Verde, che ha creato le basi concettuali e lo stimolo operativo per introdurre sul mercato in maniera efficiente una tale innovazione».

MF - Numero 253 pag. 3 del 27/12/2023
 

RISANAMENTO: UNICREDIT SCENDE AL 14,99% DAL 19,9% (CONSOB)​

(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - Milano, 27 dic - UniCredit ha ridotto la partecipazione nel capitale di Risanamento al 14,999% dal precedente 19,915%. E' quanto emerge dalle comunicazioni alla Consob sulle partecipazioni rilevanti, che segnalano un'operazione in data 18 dicembre. La quota e' detenuta in parte direttamente e in parte in modo indiretto come prestatario.
Com-Ppa-
(RADIOCOR) 27-12-23 14:51:15
 
Banche europee, 2023 anno d’oro: oltre 220 miliardi di utili. Ecco dove gli investitori possono trovare ancora valore
Banche europee, 2023 anno d’oro: oltre 220 miliardi di utili. Ecco dove gli investitori possono trovare ancora valore


Banche europee, 2023 anno d’oro: oltre 220 miliardi di utili. Ecco dove gli investitori possono trovare ancora valore​

di Francesca Gerosa

Le azioni delle banche europee sono sulla buona strada per sovraperformare il mercato per il terzo anno consecutivo. Merito di sette titoli (due italiani). Morningstar stima che nei prossimi 2-5 anni le banche europee possano generare un rendimento del capitale proprio (Roe) dell'11%, ben oltre la media degli ultimi 10 anni. Ecco quelle con un rating Morningstar di 5 e 4 stelle


Le azioni delle banche europee sono sulla buona strada per sovraperformare il mercato europeo per il terzo anno consecutivo, una situazione che si è verificata l'ultima volta all'inizio degli anni 2000. Questo risultato si sta profilando nonostante le cattive notizie di quest'anno: il fallimento del Credit Suisse, la crisi bancaria regionale, le preoccupazioni sul credito e il rallentamento dell’economia. Le motivazioni posso essere cercate nel fatto che il comparto è scambiato vicino alle sue valutazioni minime, presenta generosi rendimenti del capitale e utili in miglioramento.


Settore bancario ancora sottopesato nei fondi europei a grande capitalizzazione

In effetti, le banche europee hanno reso da inizio anno oltre il 20%, sovraperformando il mercato più ampio che nello stesso periodo è cresciuto solo del 13,6%. Delle 45 banche incluse nell'indice Stoxx Europe 600 Banks, solo dodici hanno sovraperformato il benchmark di settore. I principali titoli che hanno sostenuto i guadagni del comparto sono stati Unicredit, Hsbc, Bbva, Santander, Intesa Sanpaolo, Bnp Paribas e Credit Agricole. Nonostante questa ripresa, il macrosettore dei servizi finanziari – che oltre alle banche comprende anche le assicurazioni e gli asset manager – è ancora leggermente sottopesato nei 2.580 fondi europei a grande capitalizzazione disponibili per la vendita in Europa, secondo i dati Morningstar di fine ottobre. In media questi titoli rappresentano il 16,2% del patrimonio gestito contro il 17,7% dell'indice di riferimento.

Roe all'11%, oltre la media dell'8% degli ultimi 10 anni

La speranza di una miglior crescita degli utili in un contesto di tassi più elevati e la prospettiva di un miglior rendimento del capitale per gli azionisti potrebbero migliorare le prospettive delle banche europee nel 2024. Nel loro rapporto, gli analisti di Morningstar stimano che nei prossimi 2-5 anni le banche europee possano generare un rendimento del capitale proprio, il cosiddetto Roe, dell'11%, oltre la media dell'8% generata negli ultimi 10 anni. «Le banche europee non sono titoli growth», sottolineano gli analisti. «I guadagni di redditività aumenteranno il valore per gli azionisti e il cambiamento strutturale nei margini di interesse netti, in seguito al ritorno alla normale politica monetaria da parte della Bce, è il principale motore di questo miglioramento della redditività. Inoltre, le banche europee hanno un elevato grado di leva operativa, il che amplifica questo salto di qualità nei margini di interesse netti».

Secondo le stime del consenso, il settore bancario europeo potrebbe realizzare quest'anno un utile netto di 223 miliardi di euro rispetto ai 172 miliardi di euro dell'anno scorso. Anche se i multipli di valutazione sono bassi, gli analisti di Morningstar ritengono che le banche europee potrebbero continuare a sovraperformare nel 2024, a condizione che i loro utili continuino a crescere. «Il miglioramento della redditività rappresenterebbe il principale driver per la crescita del valore degli azionisti», scrivono nel loro Banking Landscape. E dietro la maggior redditività delle banche ci sono i miglioramenti nell’efficienza operativa e l’assenza di ulteriori pressioni normative. «La digitalizzazione ha portato a una sostanziale riduzione del numero di filiali e di dipendenti delle banche europee. Il marcato aumento dei costi legati alla regolamentazione è già stato scontato dal mercato, mentre i guadagni di efficienza raggiunti saranno più visibili in futuro», oss

Il divario di valutazione con il mercato europeo è lontano dall’essere colmato

Il fatto più sorprendente è che, nonostante la recente ripresa, il divario di valutazione con il mercato europeo è ancora lontano dall’essere colmato. Dal 2000, quando il settore veniva scambiato a multipli in linea con quelli del resto del mercato, le banche europee hanno subito un forte deprezzamento che non sono mai riuscite a recuperare. Ciò significa che gli investitori possono ancora trovare valore nel settore bancario europeo nel lungo termine. In particolare, secondo gli analisti di Morningstar, tra le dieci banche con un Economic moat (si riferisce a un vantaggio competitivo duraturo che consente alle società di sopravvivere e prosperare per un lungo periodo di tempo) pari a medio, due hanno un rating Morningstar di 5 stelle: Abn Amro e Lloyds Banking Group. Mentre quattro sono valutate con un rating di 4 stelle: Santander, Ing Group, Svenska Handelsbanken e Kbc.

Orario di pubblicazione: 28/12/2023 13:05
Ultimo aggiornamento: 28/12/2023 13:54
 
Dedicato soprattutto agli investitori

Azioni, dopo il +28% del 2023 dove può arrivare il Ftse Mib? Ecco valutazioni e dividendi attesi delle principali società
Azioni, dopo il +28% del 2023 dove può arrivare il Ftse Mib? Ecco valutazioni e dividendi attesi delle principali società
Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana

Azioni, dopo il +28% del 2023 dove può arrivare il Ftse Mib? Ecco valutazioni e dividendi attesi delle principali società​

di Massimo Brambilla e Marco Capponi

Con una performance del 28% il Ftse Mib è tra i migliori indici al mondo nel 2023, secondo solo a Nasdaq e Tokyo. Ma le azioni di Milano sono ancora a forte sconto e hanno un buon dividendo. Ecco i titoli che possono fare meglio nei prossimi 12 mesi

Chi lo avrebbe detto, un anno fa, che a fine 2023 Piazza Affari sarebbe arrivata all’ultimo miglio della maratona dei mercati nel ristretto gruppo delle lepri? Tolto l’irraggiungibile Nasdaq – nell’anno del boom dell’Intelligenza Artificiale - e qualche indice minore che fa più aneddoto che storia (Argentina, Grecia, Turchia), ecco il Ftse Mib correre il rettilineo finale appaiato al Nikkei di Tokyo: +28% il primo, +28,5% il secondo. Nel frattempo in un’altra corsa parallela il Btp decennale si apprezzava del 26%, con un minimo di 84,5 di gennaio a un massimo sopra 106 di fine dicembre. Male per il rendimento (inversamente proporzionale al prezzo) ma ottimo per chi avesse comprato ai minimi e volesse ora monetizzare, incassando la plusvalenza.

Molte luci, qualche ombra

Insomma, il 2023 è stato un anno di luna di miele tra investitori e mercato. Un dato su tutti: il ritorno del Ftse Mib sopra 30 mila punti, mai più riconquistati dopo giugno 2008, all’inizio della grande crisi finanziaria. E ancora, la capitalizzazione di Borsa Italiana, salita a 761 miliardi da 626 di fine 2022. Che tradotto in termini di pil significa un balzo di 5,5 punti percentuali, dal 33,8% al 39,4%.
Certo, non tutto è così roseo. Su 36 ipo registrate nel corso dell’anno solo quattro hanno riguardato il listino principale (di cui una è il dual listing di Ferretti) mentre l’Egm, un successo per il numero di matricole, rimane un segmento poco liquido e povero di scambi. Basta un confronto tra le performance: a fronte del +28% del Ftse Mib, lo Star è cresciuto solo del 3,3%, il Ftse Italia Growth ha addirittura perso il 10,8%, risultando peggiore soltanto ai listini di Shanghai (-11,8%) e Hong Kong (-13,8%).

Quasi tutto bene, e ora?

Insomma, Piazza Affari esce dal 2023 spaccata in due: da una parte i titoli a grande capitalizzazione, banche in primis, che proiettano il mercato ai vertici internazionali; dall’altra l’oceano di società industriali che fanno fatica a carburare. Il 2024 riparte da questo divario, con una lista di nodi da scogliere. Primo, la crescita del pil e le decisioni di politica monetaria della Bce, due temi interdipendenti che continueranno a essere la variabile chiave dei mercati. Secondo, più nello specifico dell’Italia, la ripartenza – o meno - dei Pir, strumenti pensati per dare linfa alle pmi che si sono arenati, al termine del beneficio fiscale, in favore dei ricchi (e meno tassati) titoli di Stato. Terzo, le valutazioni: l’ufficio studi di Intesa Sanpaolo fa notare che «il valore del rapporto prezzo/utili(p/e, ndr) del Ftse Mib atteso nel 2023 è di 7,9, inferiore a quello dell’Eurostoxx, pari a 12,6, e alla media storica». Insomma, Piazza Affari è ancora a forte sconto. A ciò si aggiunge «la dinamica degli utili, che offre buona visibilità sulla remunerazione futura degli azionisti attraverso dividendi e buyback». Proprio i dividendi sono l’ultimo fattore da tenere d’occhio: sempre l’ufficio studi di Intesastima per il Ftse Mib un dividend yield 2023 del 5,23% (dal 4,54% del 2022), con banche, assicurazioni e risparmio gestito in cui «in media il dividendo sul prezzo del titolo oscilla tra il 6% e il 7% per il 2023».

Chi trae forza dalla Bce

A questo punto, quali società sono meglio intonate per affrontare un 2024 da protagoniste? Un primo caso è quello delle banche. Gli alti livelli dei tassi raggiunti nel 2023 hanno risollevato la redditività delle banche commerciali: le quattro più grandi ( Intesa, Unicredit, Banco Bpm e Bper) occupano il primo terzo della classifica dei migliori rendimenti azionari del 2023 tra le blue chip. In vetta c’è Unicredit, con un total return (apprezzamento più dividendi) superiore all’80%. Ora che la redditività minaccia di rallentare sotto il peso di tassi record e rallentamento economico (minore domanda di credito), minacciando anche la qualità del credito (sofferenze più alte), il prossimo ritorno della Bce a una politica di riduzione del costo del denaro è in grado di prolungare i benefici di bilancio delle banche. Le relative quotazioni sono tutt’altro che care: Bper sfoggia infatti un p/e 2023 nell’ordine di 3,4, che si confronta con un 5,5 di Unicredit e 6,4 di Intesa. Nel mezzo il 5,9 di Banco Bpm; in tutto ciò la quotazione dei principali competitor europei è compresa tra 6 e 7,5 volte gli utili per azione.

Utility, come i bond

Anche le utility beneficeranno delle attese su cambiamento di rotta della Bce: essendo aziende con livelli d’indebitamento fisiologicamente elevati, registrano le migliori performance quando le attese sul costo del denaro (quindi sugli oneri finanziari a bilancio) sono orientate al ribasso. Per questo, assieme alla politica dei dividendi tradizionalmente generosa, vengono definite bond proxy, tendendo a seguire lo stesso trend delle quotazioni del reddito fisso. Enel e A2a già non hanno deluso nel 2023, avendo tenuto il passo delle banche: nonostante ciò il loro p/e 2023, rispettivamente di 10,5 e 10,8, rimane competitivo sia in ambito europeo (sopra 12) che americano (sopra 15).

Energia ok, beni di consumo no

La discesa dell’inflazione è stata aiutata dal ribasso dei prezzi di gas naturale e petrolio: Citi stima che ogni 15% di discesa del greggio si riflette in una riduzione dello 0,2 punti percentuali dell’inflazione armonizzata dell’Eurozona, mentre ogni riduzione del 20% del gas naturale vale lo 0,1-0,2% in meno. Per questo Citi vede il carovita della zona euro scendere sotto il 2% nell’estate 2024, fino all’1,7% medio del 2025, anche a causa dell’indebolimento del potere d’acquisto dei consumatori, che si rifletterà in una compressione dei margini dei titoli ciclici legati al consumo. Tuttavia, gli effetti dell’ulteriore rallentamento economico non incideranno più di tanto sui prodotti energetici: dopo i minimi storici segnati a inizio pandemia, i prezzi del gas naturale e del petrolio si sono portati a un livello strutturalmente più alto a causa dell’offerta che fatica a soddisfare la domanda, anche nel contesto più green delle rinnovabili e dei motori elettrici, precluso al trasporto pesante (navi, aerei e camion, che rappresentano metà della domanda). Questo nuovo livello di prezzo è tale da sostenere la marginalità dei titoli petroliferi e lo sarà anche nei prossimi anni. Dunque, è opportuno non trascurare Eni, anche in un’ottica di un dividend yield nell’ordine del 6,5%, nonché la più aggressiva Tenaris e la ben capitalizzata Saras; a Saipem ed Erg, che sono più a rischio di scossoni in termini di quotazioni, è preferibile invece la mid cap Maire Tecnimont.

Assicurazioni, perché sì

Essendo così nette le attese di ribasso dell’inflazione, Unipol e soprattutto Generali (meno volatile) beneficeranno di una rivalutazione del portafoglio obbligazionario, assieme a un progresso dei margini sul ramo danni grazie ai rincari praticati negli ultimi mesi e alla domanda in crescita. Le quotazioni, raffreddate dal caso Eurovita, sono rimaste indietro rispetto alle banche, e il rapporto prezzo/utili 2023 (8,1 per Generali e 9,2 per Unipol) si presenta a sconto rispetto ai big player europei e americani, nonostante un dividend yield nell’ordine del 6% per Generali e 7% per Unipol.

La partita Tim

E da ultimo c’è Telecom: uno dei titoli più caldi, anche in ottica di portafoglio, nei prossimi mesi. Dopo gli eventi di fine 2023, sempre meno operatori dubitano che Vivendi scelga di sfidare il governo in una battaglia legale, preferendo le strade che valorizzino al massimo il suo (attuale) 23,75% di maggioranza relativa in Telecom. Con la separazione strategica tra ServiceCo e Netco (rete fissa), e la vendita di quest’ultima alla cordata Kkr-Mef con conseguente abbattimento del debito di 14 miliardi (più eventuali earn out), il target price più verosimile è quello di 0,42 euro di Intermonte: quasi il 50% in più rispetto alla quotazione corrente.

Milano Finanza - Numero 256 pag. 6 del 30/12/2023
 

Le banche guidano i rialzi in borsa grazie alla corsa dei tassi. Ma la festa per gli azionisti rischia di finire: ecco perché​

di Luca Gualtieri

L’incremento dei tassi ha spinto il margine da interesse delle banche, che ne hanno beneficiato in borsa. Le incognite però non mancano: nel 2024 il costo della raccolta di mercato aumenterà la pressione sui margini e crescerà la probabilità di un deterioramento della qualità degli attivi


Nel 2023 l’indice dei titoli bancari italiani è salito di oltre il 42%, quasi 14 punti in più rispetto al listino principale. Performance simili si sono registrate anche negli altri paesi dell’Eurozona, a riprova del fatto che il mercato ha assistito a un trend internazionale. A Milano gli incrementi più significativi sono stati registrati da Unicredit (+84,4%), Montepaschi (+60,1%) e Bper (+58%), anche se per tutte le banche commerciali e le merchant come Mediobanca le variazioni percentuali sono state a doppia cifra nel corso dell’anno.


Quali sono state le ragioni del rally? La principale va ricercata nella brusca stretta monetaria attuata dalla Bce. Per domare l’inflazione la banca centrale guidata da di Christine Lagarde ha portato i tassi al 4,5%, il livello più alto mai registrato nell’Eurozona. Se alla fine di ottobre Francoforte ha deciso di tirare il freno e di evitare nuovi rialzi, il bilancio per gli istituti di credito è stato molto positivo.

Il balzo dei margini d’interesse

L’incremento dei tassi ha portato combustibile prezioso al margine da interesse, la principale voce dei ricavi per molte banche, soprattutto per quelle commerciali. Un trend che si è tradotto in una forte crescita dei profitti. Nei primi nove mesi del 2023 i cinque maggiori gruppi italiani hanno aumentato gli utili del 77% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. I profitti sono saliti così da 8,9 a 15,8 miliardi. Al contempo il capitale Cet1 fully loaded medio è salito al 15,3% dal 14,5% di fine 2022. Unicredit (17,2%) e Mps(16%) hanno mostrato valori sopra la media, mentre sono rimaste sotto Bper (14,9%), Banco Bpm (14,3%) e Intesa (13,6%).
Oggi complessivamente le grandi e medie banche italiane sono sedute su una montagna di capitale in eccesso: oltre 20 miliardi di euro se si considera solo il buffer al di sopra del 13% di Cet1. Nel corso dell’anno la marginalità è stata sostenuta anche dalla buona qualità del credito che finora ha risentito solo minimamente del deterioramento del quadro economico; il Npe ratio lordo per esempio si attesta al 2,4% contro il 16,8% del 2015.

Prova superata con successo

«Il 2023 del sistema bancario Italiano aveva il difficile compito di confrontarsi con un 2022 caratterizzato da risultati record e di reggere alle prolungate pressioni derivanti dal contesto macroeconomico e geopolitico. Nel complesso, la prova è stata superatapositivamente: i ricavi hanno continuato a crescere sulla spinta dell’aumento dei tassi di interesse del primo semestre e le ricadute sul costo della raccolta si sono manifestate con gradualità», spiega Lorenzo Macchi, coordinatore del settore bancario per Kpmg in Italia. Di questi risultati hanno beneficiato in primo luogo i titoli delle banche, che partivano da valutazioni più penalizzate rispetto agli altri settori.
Dopo la crisi del 2008 la mediana del multiplo prezzo/patrimonio netto è scesa da 1,85 volte a 0,5 volte stabilizzandosi per oltre un decennio in quest’area. Non si tratta di un fenomeno limitato all’Italia. Nell’intera Eurozona le valutazioni delle banche sono state zavorrate dai tassi bassi o negativi che per anni hanno compresso il margine di interesse, principale fonte di reddito per gli intermediari tradizionali. Un ulteriore elemento di debolezza è stato la stretta regolatoria che, con l’entrata in vigore del meccanismo di vigilanza unico, ha imposto alle banche di detenere capitale in eccesso rispetto ai requisiti minimi fissati dal cosiddetto Primo Pilastro, penalizzando così la redditività.

Banche commerciali italiane ancora a sconto

Se l’aumento della marginalità ha migliorato le valutazioni, le banche commerciali italiane quotano ancora oggi a sconto sul patrimonio visto che il costo del capitale supera in media il roe di 2-3 punti percentuali. C’è ancora spazio per crescere? Questa è la scommessa di molti ceo che per il 2024 hanno messo in palio generosi piani di remunerazione tra dividendi e buyback.
Le incognite però non mancano. Secondo quanto osservato dall’Eba nell’analisi annuale dei rischi, dopo aver raggiunto il picco della redditività le banche europee sono ormai arrivate a un punto di svolta. Da un lato l’aumento del costo della raccolta di mercato aumenterà la pressione sui margini, dall’altro lato la probabilità di un deterioramento della qualità degli attivi è in aumento. Avvertimenti simili sono arrivati anche da Bce. Non è insomma scontato che nel 2024 il settore bancario faccia il bis per gli azionisti.

Milano Finanza - Numero 256 pag. 6 del 30/12/2023
 

Banche, dieci cose da tenere a mente per capire come cambia il sistema bancario​

di Isidoro Lucciola*

La tecnologia trasforma il sistema creditizio così rapidamente che è complicato districarsi sia per chi ne detiene la governance sia per le autorità di vigilanza. Ma lo tsunami si può inquadrare in 10 punti


L’innovazione tecnologica nel settore bancario e finanziario ha da sempre caratterizzato nuovi trend e modelli di business ma mai con la rapidità e la forza dirompente di quella che sta emergendo in questi ultimi anni o addirittura mesi. Il primo bonifico di Hamilton nel 1799 negli Stati Uniti ha cambiato il modo di concludere transazioni finanziarie; la prima carta di credito Diners nel 1950 ha ridotto l’uso del contante; il primo bancomat della Barclays nel 1960 ha modificato la gestione del contante; il primo servizio bancario elettronico di Bank of Scotland nel 1983 ha avviato la trasformazione digitale; l’introduzione dell’iPhone nel 2007 con le prime app nel 2008 e poi con ApplePay nel 2014 ha segnato l’evoluzione dei sistemi di pagamento contactless; il bitcoin nel 2009 con la tecnologia blockchain ha fatto nascere sistemi di pagamento decentralizzati e nuovi ecosistemi protetti da contraffazione e modificabilità dei dati.


Quanto corre il progresso del sistema bancario

Elencando invece che cosa sta avvenendo in tempi più recenti grazie all’innovazione tecnologica rimarremmo sommersi da una lunga lista con tante espressioni anglosassoni e sigle familiari solo agli addetti ai lavori. Armen Sarkissian, professore di Fisica a Cambridge che ha studiato gli effetti dei social network utilizzando la fisica quantistica, distingue la revolution (rivoluzione, discontinuità di un sistema) dalla odierna r-evolution (rapida evoluzione, rivoluzione attraverso lo stravolgimento continuo di un sistema). Il sistema bancario e finanziario è oggi indubbiamente in una fase di r-evolution, promossa ma anche dettata dall’innovazione tecnologica. Gli operatori che non riescono a cavalcarla e si ancorano a vecchi schemi ricordano il nolo acerbam sumere di Fedro.

Il decalogo digitale

È anche vero che sta avvenendo tutto così rapidamente che è complicato districarsi sia per chi detiene la governance del sistema bancario e finanziario sia per le autorità di vigilanza. Si può provare però a inquadrare questo tsunami di innovazione tecnologica e competitiva e gli effetti sulla trasformazione digitale del sistema bancario semplificandolo e schematizzandolo in 10 punti.

Punto 1. Gli investimenti sulle infrastrutture tecnologiche sono fuori scala rispetto al passato, stimati in oltre 60 miliardi di euro per le principali banche europee nel 2024 - di cui un decimo in Italia - dopo che negli ultimi due anni erano già raddoppiati rispetto al triennio precedente. Ciò esprime l’importanza della partita che si sta giocando oggi sulla trasformazione digitale.

Punto 2. Gli investimenti in tecnologia possono essere sinteticamente raggruppati su: processi (automazione e digital & mobile banking), gestione dei dati (cybersecurity, data governance e data valorization) e infrastrutture IT (cloud e core banking).

Punto 3. Gli investimenti in innovazione attengono alla trasformazione digitale del modello di business e dei processi bancari attraverso applicativi e sistemi basati su algoritmi intelligenti (gestione ed elaborazione dei dati da fonti diverse e machine learning) e assistenza digitale intelligente (AI conversazionale, come per i chatbot).

Punto 4. C’è grande e inconsapevole abuso del concetto di evoluzione del modello bancario attraverso l’AI. Fino a quella «conversazionale» siamo infatti nel campo del digitale gestibile anche da banche, ma quando si parla di AI generativa (sistemi dotati di autoconsapevolezza e in futuro anche di coscienza) siamo in un’altra categoria, in cui giocano colossi tecnologici oggi prevalentemente americani e cinesi (come Microsoft, Google, Alibaba, Tencent e altri) con capacità di sviluppo non alla portata del sistema bancario. Le banche e gli operatori finanziari possono invece sviluppare propri sistemi, anche brevettabili, per inserire e gestire elementi dell’AI generativa acquisibili dall’esterno nelle loro piattaforme digitali, ma oggettivamente non è un passo semplice e richiede grandi investimenti (12 miliardi di dollari solo da parte di Jp Morgan Chase).

Punto 5. Bisogna prendere atto che sta cambiando l’attitudine dei clienti. Nel retail banking ormai quasi la metà dei clienti è digitale (self service) e circa il 90% si aspetta dalla sua banca servizi personalizzati di alta qualità. Oggi per l’acquisizione e la retention ha più valore l’esperienza (user experience) che la prossimità, la quale può offrire un piccolo vantaggio competitivo. E comunque anche i servizi offerti nelle filiali (a livello sistemico in forte diminuzione) dovrebbero basarsi su prodotti di qualità sartoriale, generati per gli addetti in tempo reale dal sistema IT, facilmente comprensibili, rapidamente accessibili e gestibili digitalmente.

Punto 6. Le piattaforme digitali specialistiche di matrice bancaria o di altri operatori finanziari sono elementi distintivi e trovano un sempre maggior gradimento dalle imprese, che sanno dove indirizzarsi per soddisfare le loro esigenze.

Punto 7. L’entrata in vigore nel 2016 della direttiva europea sui servizi di pagamento (Psd2 e a breve Psd3) ha fatto cadere il muro della proprietà esclusiva dei dati della clientela e spostato gli elementi competitivi verso la proattività, la qualità del prodotto e dei servizi e la velocità di esecuzione. Il sistema di open banking introdotto permette infatti a operatori terzi (Tpp) di condividere informazioni tramite programmi di interfaccia che ogni operatore bancario deve avere (Api). Questa innovazione regolamentare ha spinto l’innovazione tecnologica risultante in una pluralità di nuovi prodotti e servizi istantanei e affidabili che hanno impattato significativamente nell’evoluzione dei sistemi di pagamento digitali (mobile payment), da Paypal a ApplePay fino a tante altre soluzioni.

Punto 8. Oggi non ha più senso parlare di contrapposizione tra fintech e digital banking in quanto c’è promiscuità e convergenza tra banche e nuovi operatori finanziari (fintegration). Gli accordi tra Amazon, Google e grandi banche oppure quella in Italia tra Banco Bpm e TeamSystem, sono un esempio.

Punto 9. La trasformazione digitale sta interessando anche le relazioni e le comunicazioni con la clientela, acquisita o acquisibile, che si aspetta contatti utili, tempestivi e personalizzati per soddisfare le proprie esigenze. Da un punto di vista tecnologico i sistemi di gestione della clientela (Crm e Cxm) dovranno essere integrati nelle piattaforme digitali di offerta per comprendere e anticipare i bisogni dei clienti. In questo le banche possono essere avvantaggiate perché strutturalmente in grado di offrire più punti di contatto tramite la multicanalità.

Punto 10. Per essere vincenti è necessaria anche una trasformazione della cultura bancaria attraverso una compartecipazione sinergica (cross fertilization) tra esperti di processi ed esperti di informatica, non necessariamente all’interno della stessa struttura organizzativa. Le soluzioni organizzative possono essere diverse e tutte valide, da nuove banche digitali a divisioni digitali, ma l’importante e che ci siano canali di interscambio di competenze continuo e costruttivo tra due mondi con cultura nativa diversa.

La governance stia al passo

Un ultimo concetto da tenere a mente riguarda il sistema di governance strategica. Al premio Nobel del 1977 Philip Anderson si deve il famoso motto «more is different», teoria dalla quale è partito anche il premio Nobel Giorgio Parisi. In sostanza, nei sistemi complessi che emergono dall’unione di diverse componenti, ognuna delle quali ha caratteristiche proprie, il risultato finale è diverso da quanto ci si potrebbe aspettare considerando le caratteristiche delle singole componenti. Traslato al sistema bancario e finanziario e alla sua trasformazione digitale, spinta da molteplici fattori e applicativi che si sviluppano in modo parallelo su diverse attività (r-evolution), è difficile capire dove si sta andando e con quali effetti. Come avvenuto per il tema Esg, in cui il mercato si è orientato a richiedere il rafforzamento di competenze specifiche anche nei consigli di amministrazione, sarebbe utile promuovere analogamente la presenza di competenze strategiche aggiornate e specifiche per governare al meglio la trasformazione digitale e il prossimo utilizzo dell’AI generativa. (riproduzione riservata)
*presidente L&P Investimenti

Milano Finanza - Numero 256 pag. 26 del 30/12/2023
 

AZIONARIO EUROPA, LE PREVISIONI PER IL 2024 SU ENERGIA E BANCHE​

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(Teleborsa) - Ci sono le prospettive per una rivalutazione delle azioni europee nel 2024. È quanto sostiene Niall Gallagher, Investment Director di GAM, commentando l'Outlook 2024 su Azionario Europa della società di gestione patrimoniale. "Il mercato azionario europeo (rappresentato dall'indice MSCI Europe) presenta valutazioni ancora interessanti, con PE a termine di 12,5, inferiore ai valori medi a lungo termine, mentre la crescita degli utili prevista per i prossimi due anni è del 6% nel 2024 e del 9% nel 20251 – sottolinea Gallagher –. Anche il rendimento da dividendi previsto è assai interessante al 3,7%2 (ben oltre i valori medi), mentre i riacquisti di azioni proprie stanno diventando una componente sempre più importante del mercato europeo, in particolare grazie alle banche e all'energia, con un incremento del rendimento da dividendi del 2% circa che comporta un rendimento da distribuzioni complessivo del 5,7%".

"Nonostante il sentiment negativo che circonda l'economia europea, è importante ricordare che solamente il 42% dei ricavi dell'indice MSCI Europe deriva dall'Europa occidentale. La maggior parte dei ricavi proviene oggi dalle regioni del mondo in più rapida crescita – ha sottolineato Investment Director di GAM –. In ultima analisi, la diversa esposizione porta a un aumento del tasso di crescita strutturale di quest'asset class. Il multiplo PE a termine della nostra strategia (la media ponderata del multiplo del rapporto tra prezzo e utile a termine delle posizioni della strategia) è in linea con l'indice MSCI. In questo momento ciò indica la mancanza di una preferenza in termini di stile, che riflette il nostro processo di investimento flessibile e non vincolato a uno stile specifico".

In previsione del 2024 le prospettive di GAM restano positive per il settore bancario europeo. In particolare secondo la società di gestione patrimoniale i prezzi delle azioni sul mercato non riflettono la sostenibilità dell'aumento degli utili/ROE a fronte del ritorno a tassi di interesse positivi. "A nostro giudizio – ha commentato Gallagher –, il ritorno ai tassi di interesse estremi del periodo 2008-2021, il minimo in diversi secoli secondo la Bank of England, appare altamente improbabile, eppure è quanto viene scontato nei prezzi azionari. Finché i tassi di interesse resteranno oltre il 2%, le banche potranno continuare a registrare un ROE interessante, ben oltre le stime conservative sul costo del capitale. Eppure, la maggior parte del settore scambia ancora a un valore inferiore a quello contabile, nonostante il rendimento del patrimonio netto tangibile sia tra il 12% e il 20% per la maggior parte dei titoli. Non ha senso".

Il settore dell'energia condivide alcune "caratteristiche di mercato" tipiche del settore bancario, con valutazioni molto basse rispetto ai dati storici e rendimenti di cassa elevati grazie ai dividendi e ai riacquisti di azioni proprie. Probabilmente ciò dipende dal fatto che molti investitori si rifiutano di investire in questo settore, perché il loro mandato lo preclude oppure perché si sono dimenticati o non sanno come analizzare il settore, come per le banche.

"Abbiamo già spiegato molte volte negli ultimi tre anni che prevediamo che il prezzo del petrolio resti intorno a un range più alto nei prossimi dieci anni per via della notevole riduzione degli investimenti fissi su scala globale nell'estrazione di idrocarburi a fronte di una domanda (ancora) in aumento, tenendo conto che i Paesi in via di sviluppo nonOCSE desiderano lo stesso standard di vita delle classi medie nei Paesi OCSE – ha aggiunto l'Investment Director di GAM –. Inoltre, nel settore dell'energia probabilmente emergeranno carenze e inefficienze di prezzo a causa degli investimenti di capitale insufficienti. Ciò offrirà opportunità di guadagno in un'ampia gamma di segmenti, tra cui raffinazione, trading, gas naturale liquefatto (GNL), marketing e rivendita al dettaglio. È praticamente impossibile congegnare politiche così sbagliate come quelle dell'energia in Europa che però offrono opportunità di guadagno per le società del settore dell'energia, oltre a ROE interessanti"

(TELEBORSA) 03-01-2024 10:08
 
Banche, alert Bce sul greenwashing: nonostante gli annunci gli istituti continuano a fare credito alle aziende inquinanti
Banche, alert Bce sul greenwashing: nonostante gli annunci gli istituti continuano a fare credito alle aziende inquinanti

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Banche, alert Bce sul greenwashing: nonostante gli annunci gli istituti continuano a fare credito alle aziende inquinanti​

di Luca Gualtieri

Le banche europee che si presentano come più attente all’ambiente fanno anche più prestiti alle aziende inquinanti. Per paura di perdere i clienti e di deteriorare la qualità dell’attivo. Lo spiega un paper di Francoforte


Gli annunci in ambito green sono sempre più frequenti nelle informative delle banche europee. Sia perché il pressing della Vigilanza va nella direzione di una graduale transizione ecologica del settore, sia perché gli investitori istituzionali chiedono standard sempre più elevati in questo ambito.

Spesso però gli annunci sono decorrelati dalle strategie creditizie degli istituti che continuano a finanziare aziende inquinanti, senza favorire piani di riduzione delle emissioni. Lo spiega un recente working paper pubblicato da Bce a firma delle economiste Martina Jasova, Maria Loumioti, Mariassunta Giannetti?????? e Caterina Mendicino.

Le pratiche di greenwashing

La domanda che si pone la ricerca è se l’informativa delle banche in ambito green sia associata a politiche di finanziamento più ecologiche. La risposta è: no, gli istituti che sinora hanno posto maggiormente l’accento sulle proprie strategie ambientali e sui piani di decarbonizzazione hanno anche prestato di più alle aziende inquinanti senza imporre tassi di interesse più elevati o accorciare la scadenza del debito. Nel settore bancario europeo insomma il greenwashing è piuttosto diffuso.

«Le politiche di prestito delle banche con informative ambientali più articolate non sarebbero classificabili come greenwashing se gli istituti finanziassero la transizione ecologica dei mutuatari inquinanti. I nostri risultati, tuttavia, non supportano questa ipotesi. I debitori inquinanti che ottengono più prestiti non riducono le emissioni e non svolgono più attività di ricerca e sviluppo rispetto ai loro competitor», spiega il paper di Bce, che prosegue: «le banche ad alta trasparenza sul fronte ambientale sono meno propense a fornire prestiti alle imprese di recente costituzione che potrebbero essere più propense a investire in tecnologie innovative. Inoltre, non troviamo alcuna evidenza del fatto che questa tipologia di intermediari offra più finanziamenti alle aziende che si impegnano a raggiungere obiettivi di emissione aderendo a iniziative come la Science Based Target Initiative».

La spiegazione delle politiche delle banche

Questo comportamento, secondo il paper, si spiega con la riluttanza delle banche a interrompere rapporti di credito esclusivi e ormai consolidati. In casi del genere il rifiuto a concedere nuovi prestiti a fronte di standard ambientali più severi potrebbe avere conseguenze negative per l’istituto stesso, poiché il debitore rischierebbe di finire in stress finanziario.

Un approccio simile, secondo il paper, è quello che le banche hanno verso le aziende più fragili che, per la bassa redditività, non hanno la capacità operativa e finanziaria necessaria per sostenere la transizione ecologica. Anche in questi casi l’incentivo per l’intermediario va nella direzione di una conservazione del rapporto di credito senza inasprimenti.

«I nostri risultati suggeriscono chiaramente che il cosiddetto zombie lending (cioé il finanziamento di imprese in difficoltà, ndr) aiuta a spiegare il greenwashing. In definitiva, non ci sono incentivi sufficienti affinché le banche modifichino le loro politiche di prestito, soprattutto per quanto riguarda i rapporti esistenti. Questo – conclude l’analisi della Bce – evidenzia i limiti e le discrepanze tra gli annunci green delle banche e le loro effettive pratiche di prestito».

Considerazioni che fanno il paio con il pressing crescente della vigilanza sulle materie ambientali. Francoforte ha recentemente comunicato che le aspettative di supervisione sul clima dovranno essere rispettate dalle banche entro fine 2024, altrimenti ci sarà una «escalation» di misure, con ogni probabilità sanzioni.

MF - Numero 004 pag. 5 del 05/01/2024
 
In questo report è presente anche Unicredit. OK!:clap:

Investimenti 2024, quattro strategie da seguire e 21 azioni da acquistare. L’analisi di Berenberg​

di Francesca Gerosa

Sono quattro le strategie sistematiche individuate da Berenberg sul mercato azionario da seguire nel 2024: il momentum a livello di utile per azione e a livello di dividendi, i buyback e il punteggio Dyg. Tutti i buy del broker per quest’anno




Sono quattro le strategie sistematiche individuate da Berenberg sul mercato azionario da seguire nel 2024. La prima il momentum a livello di utili per azione (eps), la seconda il momentum a livello di dividendi, la terza il punteggio Dyg (combina rendimento da dividendo e la crescita dei dividendi per classificare i titoli) e la quarta i buyback. Il broker ha applicato queste strategie per gli Stati Uniti, l'Europa e il Regno Unitoam

Le quattro strategie nel dettaglio


? Momentum a livello di eps. Questa strategia si basa su azioni selezionate alla fine di ogni trimestre, in base alla variazione semestrale del loro utile per azione a 12 mesi, per un periodo di detenzione di sei mesi. «La nostra strategia sistematica di momentum a livello di eps in Europa ha ottenuto risultati positivi dal 1994. Il quintile superiore di azioni ha registrato rendimenti trimestrali assoluti e relativi costanti, con una media del +5,3% e +3,1% rispettivamente nel corso di questo periodo», osserva Berenberg.
? Momentum a livello di dividendi. Questa strategia si basa su azioni selezionate alla fine di ogni trimestre, in base alla variazione semestrale del loro dividendo a 12 mesi, per un periodo di detenzione di sei mesi. «I rendimenti della strategia momentum dps sono stati sono stati impressionanti negli ultimi 30 anni in Europa», continua Berenberg. Complessivamente, infatti, la strategia Stoxx 600 long/short Dps momentum ha ottenuto un rendimento annualizzato del +13% dal 1994.
? Il punteggio Dyg. Questa strategia si basa su azioni selezionate alla fine di ogni trimestre, in base ai rispettivi punteggi Dyg, per un periodo di detenzione di tre mesi. «Questo approccio non ha funzionato negli Stati Uniti negli ultimi 20 anni, ma ha funzionato in alcuni periodi nel Regno Unito e in Europa», indica Berenberg, precisando che negli ultimi 30 anni gli investitori hanno avuto maggior successo con una strategia Dyg nel Regno Unito.
? Buyback. Questa strategia si basa su azioni selezionate alla fine di ogni trimestre, in base ai punteggi dei buyback a 12 mesi, per un periodo di detenzione di tre mesi. «Le strategie di buyback sistematico hanno funzionato meglio nel Regno Unito e in Europa rispetto agli Stati Uniti, nonostante i livelli più alti di buyback in Usa», afferma il broker. «La relativa scarsità di buyback e di crescita nel Regno Unito e in Europa hanno favorito rendimenti migliori. Inoltre, i buyback forniscono una liquidità utile».

21 azioni da acquistare nel 2024

Alla fine Berenberg ha evidenziato le azioni che emergono dalle rispettive strategie sistematiche che sono anche valutate con un rating buy dai suoi analisti:
? Momentum a livello di eps: Freenet, Hill & Smith, Informa, NN, Stellantis e Subsea 7.
? Momentum a livello di dividendi: Bank of Ireland, Beazley, Safran, Storebrand e Whitbread.
? Il punteggio Dyg: Beazley, Renault, Unicredit e Veolia Environnement.
? Buybacks: Balfour Beatty, Heidelberg Materials, Hsbc, Informa, Thales e
Unicredit.

Orario di pubblicazione: 08/01/2024 13:17
Ultimo aggiornamento: 08/01/2024 13:57
 

Unicredit: operativa nuova Garanzia Futuro di Sace​

MILANO (MF-NW)--E' disponibile per le imprese clienti la nuova forma di garanzia di Sace dedicata agli investimenti delle imprese italiane e in particolare delle pmi. Unicredit e il gruppo finanziario-assicurativo controllato dal ministero dell'Economia e delle Finanze hanno rafforzato la partnership esistente siglando un ulteriore accordo che consente alla banca di mettere immediatamente la nuova misura a disposizione delle imprese. L'accordo, finalizzato a sostenere lo sviluppo delle imprese del nostro Paese sui mercati globali, l'innovazione tecnologica e i processi di digitalizzazione, prevede anche il supporto agli investimenti nelle infrastrutture, nelle filiere strategiche e nelle aree economicamente svantaggiate, oltre ai progetti di investimento per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, con un focus particolare sulle iniziative collegate al Pnrr. E' quanto si legge in una nota. La nuova Garanzia Futuro di Sace e' uno strumento di garanzia digitale e potra' coprire, nella misura del 70%, i finanziamenti erogati da UniCredit alle imprese italiane, incluse le pmi, di importi in linea capitale compresi tra un minimo di 50 mila e un massimo di 50 milioni di euro e aventi una durata non superiore ai 20 anni. I prestiti potranno essere destinati a finanziare sia le spese da sostenere che i costi gia' sostenuti non oltre i 18 mesi antecedenti alla data della richiesta di finanziamento. Piu' nel dettaglio saranno ammissibili investimenti all'estero in immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie e sostegno al circolante per l'approntamento di forniture estere, progetti realizzati In Italia nell'ambito sociale, energetico, idrico e digitale. Rientreranno anche investimenti realizzati in Aree Economicamente Svantaggiate o destinati a filiere strategiche, oltre a progetti volti alla riduzione del rischio sismico o Idrogeologico, all'innovazione tecnologica e digitale e allo sviluppo dell'imprenditoria femminile. "L'accordo rappresenta un'ulteriore prova della fruttuosa collaborazione con Sace, che ci ha portati negli ultimi due anni all'erogazione di circa 6 miliardi di euro di finanziamenti a favore di 1.200 realta' del sistema produttivo nazionale", spiega Remo Taricani, Deputy Head per l'Italia di UniCredit. "Con questa nuova iniziativa consolidiamo ulteriormente il nostro supporto alle imprese italiane nei loro percorsi di sviluppo sui mercati globali, con l'obiettivo di innescare virtuosi processi di crescita anche sui territori in cui operano". "Con Garanzia Futuro, che completa la nostra offerta di garanzie green e la nuova Archimede, diventa strutturale il nostro supporto agli investimenti delle aziende e all'economia italiana", aggiunge Valerio Perinelli, Chief Business Officer di Sace. La nuova Garanzia Futuro e' infatti un altro strumento capital light che si aggiunge all'offerta di soluzioni finanziarie proposte da UniCredit a supporto del sistema economico italiano e che si affianca a Sace Green, intervento destinato a coprire specifici investimenti volti a ridurre l'impatto ambientale dei processi produttivi e quindi a contrastare gli effetti del cambiamento climatico. com/bem (fine) MF NEWSWIRES (redazione@mfnewswires.it)

08/01/2024 11:40
 

Unicredit vuole riportare anche le assicurazioni in casa per spingere i ricavi. Discussioni in corso con i francesi di Cnp

Unicredit vuole riportare anche le assicurazioni in casa per spingere i ricavi. Discussioni in corso con i francesi di Cnp


Unicredit vuole riportare anche le assicurazioni in casa per spingere i ricavi. Discussioni in corso con i francesi di Cnp​

di di Luca Gualtieri

Piazza Gae Aulenti al lavoro per internalizzare le attività assicurative. L’alleanza con Cnp Assurances scade a fine anno. Anche la partnership con Allianz sotto la lente di Orcel. No comment dalla banca



Riportare in casa le fabbriche prodotto è diventato uno dei pilastri della strategia di Unicredit. Attività in questa direzione sono già in corso nell’asset management, nei pagamenti e nella gestione del credito deteriorato e potrebbero essere presto avviate anche nella bancassurance.

La strategia sulle polizze

Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza l’istituto di piazza Gae Aulenti avrebbe già avviato discussioni con alcuni partner sul ramo vita. L’obiettivo? Valutare l’acquisto delle quote che gli alleati hanno nella rispettive joint venture e internalizzare in questo modo il business, anche in forza dei 10 miliardi di eccesso di capitale attualmente detenuti dal gruppo.

Colloqui in tal senso sarebbero in corso con i francesi di Cnp Assurances con cui la banca guidata da Andrea Orcel è alleata nel veicolo Cnp Unicredit Vita. La partnership scadrà alla fine di quest’anno. Nei prossimi mesi l’istituto potrebbe avviare discussioni anche con Allianz, il cui contratto scadrà però solo nel 2027. Contattata da MF-Milano Finanza su queste opzioni Unicredit ha risposto con un no comment.

A fine 2023 lo stesso Orcel aveva accennato agli investitori di un possibile riassetto nel settore delle polizze. «Per quanto riguarda le assicurazioni, la nostra ambizione è renderle un prodotto core pienamente integrato nella nostra offerta, fornendo ai clienti il giusto livello di protezione. Siamo già leader nella vita. Abbiamo una quota di mercato complessiva del 14% fortemente orientata al segmento unit-linked, dove dominiamo con una quota del 38%. Nel ramo danni, la nostra attenzione e i nostri investimenti hanno dato rapidamente i loro frutti, assicurandoci una quota del 15% dei nuovi business. Vediamo più potenziale di crescita in futuro. Abbiamo fatto investimenti significativi nelle persone, nella formazione, nella tecnologia e nella razionalizzazione e rafforzamento della nostra partnership per arrivare al livello in cui siamo oggi», ha concluso il banchiere durante la presentazione dei risultati del terzo trimestre 2023.

A ulteriore conferma di questa strategia Unicredit ha stretto nei mesi scorsi un’alleanza con la banca greca Alpha Bank che prevede proprio una partnership commerciale nella distribuzione di polizze.

L’internalizzazione delle fabbriche prodotto è una strategia che la banca di piazza Gae Aulenti sta portando avanti anche in altri settori. Nel risparmio gestito per esempio l’istituto è in manovra per rivisitare o sciogliere del tutto l’alleanza con i francesi di Amundi. Unicredit ha del resto già iniziato a ridurre la quota delle proprie masse di risparmio gestito riconducibile all’asset manager controllato al Credit Agricole.

Nell’ambito dei crediti deteriorati la banca ha inviato ai principali operatori del settore una request for proposal (Rfp) per raccogliere proposte e ipotesi di alleanza. Il cantiere è stato aperto in vista di una scadenza specifica: nel 2025 terminerà l’accordo tra Unicredit e Dovalue. Sul fronte degli investimenti infine, è stata lanciata la piattaforma Onemarkets Fund, una nuova serie di fondi che ha ampliato la gamma delle soluzioni di investimento offerte ai clienti delle banche del gruppo.

MF - Numero 008 pag. 6 del 11/01/2024
 

UNICREDIT, GOLDMAN SACHS E JPMORGAN LIMANO TARGET PRICE​

News Image
(Teleborsa) - Nuovi target price sul titolo Unicredit da parte degli analisti. In particolare, Goldman Sachs ha limato il prezzo obiettivo a 33,3 euro per azione (dai precedenti 34,4 euro), mentre JPMorgan ha abbassato a 36 euro per azione (dai precedenti 39 euro).

In apertura di seduta peggiora la performance di Unicredit, con un ribasso dello 0,35%, portandosi a 25,53 euro. Attesa per il resto della seduta un'estensione della fase ribassista con area di supporto vista a 25,4 e successiva a quota 25,28. Resistenza a 25,75.

(TELEBORSA) 12-01-2024 09:16
 
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