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Azioni, dopo il +28% del 2023 dove può arrivare il Ftse Mib? Ecco valutazioni e dividendi attesi delle principali società
Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana
Azioni, dopo il +28% del 2023 dove può arrivare il Ftse Mib? Ecco valutazioni e dividendi attesi delle principali società
di Massimo Brambilla e Marco Capponi
Con una performance del 28% il Ftse Mib è tra i migliori indici al mondo nel 2023, secondo solo a Nasdaq e Tokyo. Ma le azioni di Milano sono ancora a forte sconto e hanno un buon dividendo. Ecco i titoli che possono fare meglio nei prossimi 12 mesi
Chi lo avrebbe detto, un anno fa, che a fine 2023 Piazza Affari sarebbe arrivata all’ultimo miglio della maratona dei mercati nel ristretto gruppo delle lepri?
Tolto l’irraggiungibile Nasdaq – nell’anno del boom dell’
Intelligenza Artificiale - e qualche indice minore che fa più aneddoto che storia (Argentina, Grecia, Turchia), ecco il Ftse Mib correre il rettilineo finale appaiato al Nikkei di Tokyo:
+28% il primo, +28,5% il secondo. Nel frattempo in un’altra corsa parallela
il Btp decennale si apprezzava del 26%, con un minimo di 84,5 di gennaio a un massimo sopra 106 di fine dicembre. Male per il rendimento (inversamente proporzionale al prezzo) ma ottimo per chi avesse comprato ai minimi e volesse ora monetizzare, incassando la plusvalenza.
Molte luci, qualche ombra
Insomma, il 2023 è stato un anno di luna di miele tra investitori e mercato. Un dato su tutti:
il ritorno del Ftse Mib sopra 30 mila punti, mai più riconquistati dopo giugno 2008, all’inizio della grande crisi finanziaria. E ancora, la capitalizzazione di Borsa Italiana, salita a 761 miliardi da 626 di fine 2022. Che tradotto in termini di pil significa un balzo di 5,5 punti percentuali,
dal 33,8% al 39,4%.
Certo, non tutto è così roseo. Su
36 ipo registrate nel corso dell’anno solo quattro hanno riguardato il listino principale (di cui una è il dual listing di
Ferretti) mentre l’Egm, un successo per il numero di matricole, rimane un
segmento poco liquido e povero di scambi. Basta un confronto tra le performance: a fronte del +28% del Ftse Mib, lo Star è cresciuto solo del 3,3%, il Ftse Italia Growth ha addirittura perso il 10,8%, risultando peggiore soltanto ai listini di Shanghai (-11,8%) e Hong Kong (-13,8%).
Quasi tutto bene, e ora?
Insomma, Piazza Affari esce dal 2023 spaccata in due: da una parte i
titoli a grande capitalizzazione,
banche in primis, che proiettano il mercato ai vertici internazionali; dall’altra l’oceano di società industriali che fanno fatica a carburare. Il 2024 riparte da questo divario, con una lista di nodi da scogliere. Primo, la
crescita del pil e le decisioni di politica monetaria della Bce, due temi interdipendenti che continueranno a essere la variabile chiave dei mercati. Secondo, più nello specifico dell’Italia, la ripartenza – o meno - dei Pir, strumenti pensati per dare linfa alle pmi che si sono arenati, al termine del beneficio fiscale, in favore dei ricchi (e meno tassati) titoli di Stato. Terzo, le valutazioni: l’
ufficio studi di Intesa Sanpaolo fa notare che «il valore del
rapporto prezzo/utili(p/e,
ndr) del Ftse Mib atteso nel 2023 è di 7,9, inferiore a quello dell’Eurostoxx, pari a 12,6, e alla media storica». Insomma, Piazza Affari è ancora a forte sconto. A ciò si aggiunge «la dinamica degli utili, che offre buona visibilità sulla remunerazione futura degli azionisti attraverso dividendi e buyback». Proprio i dividendi sono l’ultimo fattore da tenere d’occhio: sempre l’ufficio studi di
Intesastima per il Ftse Mib un
dividend yield 2023 del 5,23% (dal 4,54% del 2022), con banche, assicurazioni e risparmio gestito in cui «in media il dividendo sul prezzo del titolo oscilla tra il 6% e il 7% per il 2023».
Chi trae forza dalla Bce
A questo punto, quali società sono meglio intonate per affrontare un 2024 da protagoniste? Un primo caso è quello delle
banche. Gli alti livelli dei tassi raggiunti nel 2023 hanno risollevato la redditività delle banche commerciali: le quattro più grandi (
Intesa,
Unicredit,
Banco Bpm e
Bper) occupano il primo terzo della classifica dei migliori rendimenti azionari del 2023 tra le blue chip. In vetta c’è
Unicredit, con un
total return (apprezzamento più dividendi) superiore all’80%. Ora che la redditività minaccia di rallentare sotto il peso di tassi record e rallentamento economico (minore domanda di credito), minacciando anche la qualità del credito (sofferenze più alte), il prossimo ritorno della Bce a una politica di riduzione del costo del denaro è in grado di prolungare i benefici di bilancio delle banche. Le relative quotazioni sono tutt’altro che care:
Bper sfoggia infatti un p/e 2023 nell’ordine di 3,4, che si confronta con un 5,5 di
Unicredit e 6,4 di
Intesa. Nel mezzo il 5,9 di
Banco Bpm; in tutto ciò la quotazione dei principali competitor europei è compresa
tra 6 e 7,5 volte gli utili per azione.
Utility, come i bond
Anche le utility beneficeranno delle attese su cambiamento di rotta della Bce: essendo aziende con livelli d’indebitamento fisiologicamente elevati, registrano le migliori performance quando le attese sul costo del denaro (quindi sugli oneri finanziari a bilancio) sono orientate al ribasso. Per questo, assieme alla politica dei dividendi tradizionalmente generosa, vengono definite
bond proxy, tendendo a seguire lo stesso trend delle quotazioni del reddito fisso.
Enel e
A2a già non hanno deluso nel 2023, avendo tenuto il passo delle banche: nonostante ciò il loro p/e 2023, rispettivamente
di 10,5 e 10,8, rimane competitivo sia in ambito europeo (sopra 12) che americano (sopra 15).
Energia ok, beni di consumo no
La discesa dell’inflazione è stata aiutata dal ribasso dei prezzi di gas naturale e petrolio: Citi stima che ogni 15% di discesa del greggio si riflette in una
riduzione dello 0,2 punti percentuali dell’inflazione armonizzata dell’Eurozona, mentre ogni riduzione del 20% del gas naturale vale lo 0,1-0,2% in meno. Per questo Citi vede il carovita della zona euro scendere sotto il 2% nell’estate 2024, fino all’1,7% medio del 2025, anche a causa dell’
indebolimento del potere d’acquisto dei consumatori, che si rifletterà in una compressione dei margini dei titoli ciclici legati al consumo. Tuttavia, gli effetti dell’ulteriore rallentamento economico non incideranno più di tanto sui prodotti energetici: dopo i minimi storici segnati a inizio pandemia, i prezzi del gas naturale e del petrolio si sono portati a un livello strutturalmente più alto a causa dell’offerta che fatica a soddisfare la domanda, anche nel contesto più
green delle rinnovabili e dei motori elettrici, precluso al trasporto pesante (navi, aerei e camion, che rappresentano metà della domanda). Questo nuovo livello di prezzo è tale da sostenere la marginalità dei titoli petroliferi e lo sarà anche nei prossimi anni. Dunque, è opportuno non trascurare
Eni, anche
in un’ottica di un dividend yield nell’ordine del 6,5%, nonché la più aggressiva
Tenaris e la ben capitalizzata
Saras; a
Saipem ed
Erg, che sono più a rischio di scossoni in termini di quotazioni, è preferibile invece la mid cap
Maire Tecnimont.
Assicurazioni, perché sì
Essendo così nette le attese di ribasso dell’inflazione,
Unipol e soprattutto Generali (meno volatile) beneficeranno di una rivalutazione del portafoglio obbligazionario, assieme a un progresso dei margini sul ramo danni grazie ai rincari praticati negli ultimi mesi e alla domanda in crescita. Le quotazioni,
raffreddate dal caso Eurovita, sono rimaste indietro rispetto alle banche, e il rapporto prezzo/utili 2023 (8,1 per
Generali e 9,2 per
Unipol) si presenta a sconto rispetto ai big player europei e americani, nonostante un dividend yield nell’ordine del 6% per
Generali e 7% per
Unipol.
La partita Tim
E da ultimo c’è Telecom: uno dei titoli più caldi, anche in ottica di portafoglio, nei prossimi mesi. Dopo gli eventi di fine 2023, sempre meno operatori dubitano che
Vivendi scelga di sfidare il governo in una battaglia legale, preferendo le strade che valorizzino al massimo il suo (attuale) 23,75% di maggioranza relativa in Telecom. Con la separazione strategica tra ServiceCo e Netco (rete fissa), e la vendita di quest’ultima alla
cordata Kkr-Mef con conseguente abbattimento del debito di 14 miliardi (più eventuali earn out), il target price più verosimile è quello di 0,42 euro di
Intermonte: quasi il 50% in più rispetto alla quotazione corrente.
Milano Finanza - Numero 256 pag. 6 del 30/12/2023