Ora come alternativa ad airbnb cosa usi?
Ho fatto il percorso inverso. Quando tre anni fa il Turismo si è inceppato per uscire dal mio Covid blues, ho ritarghettizzato le mie campagne pubblicitarie, afferrando al volo la ciambella di salvataggio della locazione transitoria, e l’ho fatta mia con l’urgenza che ti prende quando cerchi una rivincita.
Trovare l’inquilino è l’ultimo dei miei pensieri. Basta un po’ di promozione online (bacheche virtuali, mailing list di amici o gruppi su WhatsApp ecc.) e offline (banche, ospedali, università, scuole, teatri, agenzie per modelle, responsabili dei servizi fieristici ecc.). Il problema semmai è selezionare quello “giusto”.
Da allora la locazione transitoria, su cui avevo all’inizio qualche riserva critica, ha preso velocità e, piano piano, è diventata la mia acqua e il mio pane quotidiano.
Perché a Milano la domanda per un alloggio temporaneo diverso da quello dell’albergo è sentita anche da chi sposta per motivi non turistici, e si dà il caso che la domanda, in questi tempi, sia eccedente rispetto all’offerta perchè sono ancora pochi i locatori pronti scommettere su questa tipologia contrattuale, giacchè reputano questo segmento d’affitto rischioso e a basso profitto, e io spero che continuino a sposare questa visione ancora per un po’.
Nel mio caso (zona centrale, subfascia alta, stanze grandi) è un business che ha un senso perché accumulando, come una formichina, locazioni transitorie brevi, a canone libero, e locazioni transitorie lunghe, a canone concordato, cadenzate e regolari, frazionando su alcuni immobili la locazione a camere, ovviamente senza offrire i servigi di guest care di un “Affittacamere”, i margini di profitto, cioè quello che alla fine dell’anno mi metto in tasca, al netto delle spese e delle tasse - perché è questo quello che poi conta alla fine, non il bugiardo incasso iniziale – sono soddisfacenti.
Non ho alcuna intenzione di darmi delle arie da gran dama, ma di una cosa sono sicura mentre scrivo. I numeri non mentono.
Confrontando i numeri del mio storico, vendo più “notti”, ma ad un prezzo meno aggressivo (CONTRO), coprendo, però, tutti i “buchi” di calendario nelle date migliori e peggiori (PRO), portandomi a casa un discreto coefficiente di revenue.
Senza contare che - cessando la fattispecie “Locazioni turistiche” (in Lombardia: durata max 30 giorni) - mi sono sganciata dalla Regione e dai suoi adempimenti amministrativi, CIR compreso.
Come un antinfiammatorio, il transitorio lungo è un contratto a lento rilascio: quando lo assumi, il guadagno non è consistente come può esserlo un ”turistico” ad azione rapida. Ma se gli dai tempo e se non ti fossilizzi sui “prezzi” (che non sono il tuo guadagno), ti accorgerai di alcune “metamorfosi” interiori, libera dal “perfezionismo” dei portali, dall’idea del profitto ad ogni costo, dalla convinzione che la Vita sia prendere un pochino più degli altri.
Il punto di non ritorno, secondo me, che ho avuto molto dal dio del Transitorio, benché qualcosa mi sia stato tolto, è quando ti accorgi che esci di casa al mattino e sai che non hai nulla fare per i prossimi 60 giorni.
Nel senso che non devo più farmi carico delle continue pulizie e dei costi del lavaggio della biancheria. Basta ingombranti soci in affari. Basta estenuanti richieste di rimborso. Basta cambi di verso, come la clessidra e la sua sabbia. Non devo più preoccuparmi delle lenzuola sporche di vomito, delle cancellazioni last minute, dei ritardi dei voli di Malpensa, dei check-in di mezzanotte.
Seduta ai tavolini del “Cafè Parigi”, il mio luogo del cuore, tutta la faccenda assume altri connotati: inizio la giornata sorseggiando un thè e so che beneficerò di un’aliquota cedolare agevolata al 10% e non al 21%, e di una riduzione IMU del 25%.
Se poi penso che il mio tasso di occupazione aumenterà e riempirò alcuni “buchi” invernali, la cosa mi procura una scossa di sottile piacere.
Rimango lì, inzuppando il mio toast con uno strato spesso di burro e marmellata nel thè fumante, felice quanto basta.