Diciamo anche che i miei amici non è che facciano venire la voglia eh.
All'ultima cena di quelli del mio anno, la cosa che ho sentito più frequentemente è "dio bono che stress, il pargolo qui, il pargolo là, mi rompo il c...., mi fa dannare, non ho più una vita mia....oh però ti completa eh!".
Questo è un altro punto almeno per me importante.
Descrivo brevemente la mia esperienza.
Purtroppo sono celiaco da ben 25 anni, ossia fin da quando esserlo significava una vera e propria reclusione sociale (chi vuoi che stia dietro ai problemi alimentari - e alle rogne che comportano - di una persona su diecimila, quante eravamo allora ? : ti ritrovi come dimenticato da Dio e dal mondo).
Quindi ho vissuto almeno 10-15 anni quasi privo di socialità, per giunta proprio quel periodo (i 30-40 anni) in cui una persona normale ce l'ha massimi livelli e getta le basi del suo "stato civile" e dei suoi progetti esistenziali (conoscere persone, farsi una famiglia, avere dei figli).
Dopo diversi anni, quando le diagnosi hanno cominciato a farsi molto più frequenti- e complici anche quei "pervertiti" che hanno adottato la dieta gluten free per moda, senza averne affatto bisogno - finalmente i celiaci hanno potuto (letteralmente) uscire di casa senza dover stare spalle al muro, sul chi va là, col timore di ingurgitare veleno ad ogni boccone o persino briciola, o sorso.
Ma nel frattempo la mia finestra temporale era già bell'e passata: avevo ormai 45 anni suonati.
E cominciava a "bussare" da dentro, sordo ma sempre più insistente, il rimpianto per tutto ciò che la celiachia mi aveva precluso...famiglia compresa.
Insomma, mi stavo convincendo che senza di essa nonsarei stato affatto single, ma anzi un ottimo marito e padre...
Del resto, ricevo adesso, a 55 anni, apprezzamenti femminili che avrei potuto ricevere vent'anni fa...se solo fossi stato nella situazione di oggi.
Eabbene, l'unica cosa che a a quel punto mi "scacciava" tale convinzione (o presunzione) era proprio l'osservazione degli altri, in generale: tale e quale a quella tua. Tanto da portarmi alla convinzione opposta: non già "cosa mi sono perso", bensì "cosa ho scampato "
.
Tra l'altro mi ritrovavo un esempio pessimo proprio in casa: mio fratello ha cominciato la separazione di ritorno dal viaggio di nozze
E praticamente mia nipote è interamente cresciuta sballottata tra due genitori separati (peraltro venendo su magnificamente: quando si dice i miracoli).
Poi è accaduto che un mio carissimo amico, forse il più intimo, 11 anni più giovane di me, nel giro di pochi anni si sia prima sposato, poi abbia avuto due bambine, con le quali in certe occasioni ho fatto quasi da "zio" (giocandoci, portandole in montagna in spalla o nel marsupio, ecc.), e vedendo quanto andavano d'amore e d'accordo tipo famiglia del.Mulino Bianco mi è tornato nuovamente il rimpianto ....
Tutto questo per dire, appunto, quanto - almeno per me - giochi l'osservazione degli altri.
Alla fine ti rendi conto che non è tanto la famiglia si/famiglia no la questione, quanto il fare scelte coerenti con sé stessi, con ciò che si vuole realmente, e con la portata delle proprie capacità.
È da questo che dipende la felicità delle persone: e ciò che spesso si invidia degli altri non sono tanto i singoli aspetti della vita (figli, o tantomeno cose materiali), bensi qualcosa di più profondo e complessivo, quella "pienezza" ed armonia esistenziale che deriva solo dall'essersela costruita - e dal viverla - su misura di ciò che si è. Che sia con figli, o senza.
Quella qualità che viene definita "agentivita' " (italianizzazione di "agency"), ovvero "
la capacità che ha un individuo di agire, di costruire la propria identità, dar corpo al desiderio, plasmare la propria esistenza, tenendo conto di tutti quei vincoli istituzionali ineliminabili che determinano di volta in volta il nostro margine di azione".