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Puoi prenderti i post contigui che ti servono (per i soli link ne basta uno, se vuoi inserire testi estesi meglio 2 o 3) e poi modificarli a tuo piacimento come farò io con i miei all'inizio SENZA AGGIUNGERNE DI NUOVI, ma riempendo e modificando quelli che già ti sei preso

Lo scopo dei primi miei post è coordinare il tutto, aggiungendo anche indici alle vostre sezioni e, tempo permettendo, inserire i vostri materiali nelle prime pagine riunendo i link/materiali omogenei

Ho provato a contattarti con green, mp e profilo pubblico, ma vedo che è tutto bloccato.

Ti ringrazio......va bene.
Si, e' tutto bloccato perche' qualche utente e' troppo villano e cosi' evito....
Bella iniziativa, davvero.:yes:
 
Ucraina . La guerra e la storia

Non per i talebani dell'una o dell'altra parte.


https://youtu.be/LYBQN7Spk70


Con la partecipazione del


Gen. C.A. FABIO MINI, già comandante Nato Sud
 
Ultima modifica:
Bellissimo thread, ingiustamente passato in secondo piano. bravo torre OK!
 
Segnalo che per qualche tempo questa discussione era finita in arena politica. È stata da pochissimo riportata nella sua sezione naturale

La piattaforma non consente, per quanto ne so, di rilevare modifiche ai post. Quindi ogni aggiunta di materiale a post creati in precedenza non sono automaticamente rilevabili, se non andando a ricontrollare di tanto in tanto per eventuali aggiunte

Segnalo che ho creato nel primo post una sezione di link da riorganizzare in parte proposti da me in parte proposti da altri utenti, quando possibile ho riportato la data e, nel caso di video, la durata. Ho aggiunto soprattutto interventi di una certa lunghezza dando la priorità ai più recenti ed attuali

EDIT: Aggiunta sezione sul significato e sugli scopi della Geopolitica
 
Ultima modifica:
Da dove è tutto iniziato

Quasi tutti hanno dimenticato da dove tutto è iniziato.

E allora mi permetto,di rispolverarvi la memoria.

Io non ho dubbi che Putin sia stato provocato dagli Usa e Nato.

Che poi possa essere passato dalla parte del torto iniziando la guerra lo concedo.

Ma tutti i principali attori lo sapevano che queste sarebbero state le conseguenze di quanto riassunto ai p. ti
di seguito


1.Estensione Nato a Est contro accordi 1991.Ispiratore Bill Clinton

Una volta caduto il muro di Berlino, alcuni consiglieri del presidente Clinton gli hanno chiesto di conservare la Nato e allargarla ai paesi ex nato.
Fu uno scoop del settimanale tedesco Der Spiegel , destinato a lasciare il segno,a svelare gli accordi tenuti segreti per poter fare il quazzo che volevano .
L’inchiesta, intitolata «Vladimir Putin ha ragione?» e ripresa integralmente negli Usa da Zerohedge, si basa su un’ampia ricostruzione storica dei negoziati tra Nato e Mosca che hanno accompagnato la fine della guerra fredda.
Impegno Nato di non espandersi a Est, ecco il documento -
Impegno Nato di non espandersi a Est, ecco il documento

Tra i documenti citati, spicca per importanza quello scovato nei British National Archives di Londra dal politolo americano Joshua Shifrinson, che ha collaborato all’inchiesta del settimanale tedesco e se ne dichiara «onorato» in un tweet. Si tratta di un verbale desecretato nel 2017, in cui si dà conto in modo dettagliato dei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania sull’unificazione delle due Germanie, dopo il crollo di quella dell’Est. Il colloquio decisivo, riporta Der Spiegel, si è svolto il 6 marzo 1991 ed era centrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia.
Il diplomatico tedesco occidentale Juergen Hrobog, stando alla minuta della riunione, disse: “Abbiamo chiarito durante il negoziato 2+4 che non intendiamo fare avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. Pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale di aderirvi». Tale posizione, precisò, era stata concordata con il cancelliere tedesco Helmuth Khol e con il ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher.
Si tratta del verbale – rinvenuto nei British National Archives dal politologo americano Joshua Shifrinson – della riunione dei Direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, tenutasi a Bonn, il 6 marzo 1991. (InsideOver)

-https://it.insideover.com/guerra/quel-verbale-nato-del-1991-che-imbarazza-biden.html

Trovato il documento che dà ragione a Putin sull’impegno Nato di non espandersi a Est - ItaliaOggi.it​

Trovato il documento che dà ragione a Putin sull’impegno Nato di non espandersi a Est - ItaliaOggi.it

Naturalmente questo impegno fu totalmente disatteso.

2.Donbass.Ispiratore Obama.

In sintesi
il governo ucraino di Viktor Yanukovich, abbattuto nel 2014 con la regia Usa, non era affatto un governo fantoccio russo, come i media mainstream anche italiani cercano di far intendere. Per risollevare le sorti dell’Ucraina prima Yanukovich cerca l’appoggio della Ue e poi del Fondo Monetario Internazionale ma si ritrova proposte capestro stile Grecia della crisi del 2008. Come ultima spiaggia non gli resta che la Russia e i suoi mercati.

Per non parlare della rivolta in piazza Maidan a Kiev nell’inverno tra il 2013 e il 2014 che ha fatto poi esplodere la successiva crisi del Donbass,con il capo dell’amministrazione presidenziale, Sergej Levochkin,che col pretesto dell’albero di Natale da collocare sulla piazza, aveva dato l’ordine di disperdere con la forza i manifestanti. La piazza si era trasformata in un campo di guerra con relativo assalto agli edifici del governo. Stranameente in quel momento cruciale comparvero, insieme alla polizia, dei militanti dell’estrema destra che cominciarono a lanciare pietre e ad accendere fuochi. “Una prodigiosa coincidenza, ma il signor Levochkin era un intimo amico di molti politici americani.

Tutto questo ben raccontato da Oliver Stone (regista di Platoon,Nato il 4 luglio, film premiati con l’Oscar e contro la guerra in Vietnam in cui combatt) nel documentario del 2016 ,visibile su Youtube.

Ancora Obama,Mc Cain e Nuland .Di Diego Fabbri Limes aprile 2014

FOMENTA E DOMINA - Limes

Dietro la crisi ucraina c’è un preciso progetto statunitense: prendere Kiev per ridimensionare le ambizioni regionali e globali di Mosca. Storia di una rivolta pianificata e delle armi utilizzate da Obama per ribadire al mondo chi comanda davvero.
di Dario FABBRI APRILE 2014



1. L’equilibrio di potenza è la cifra della dottrina Obama. A dispetto della vulgata giornalistica che lo vuole restio a intervenire sulla scena internazionale, se non addirittura fautore di un isolazionismo mascherato, in realtà il presidente americano persegue i classici dettami della politica dell’equilibrio. Frenato dai postumi della crisi economica e dall’avversione dell’opinione pubblica per ogni avventurismo militare, Barack ha preferito accantonare l’eccezionalismo dei padri fondatori per adottare la strategia che fu per secoli della corona britannica: impedire l’emergere di una nazione in grado di dominare la propria regione di appartenenza e potenzialmente di insidiare il primato della superpotenza.
In quest’ottica la tattica più efficace, e meno dispendiosa, è acuire le tensioni tra i principali attori regionali, obbligandoli a concentrarsi sulle questioni continentali e ad abbandonare le ambizioni globali. Perfino nell’Asia-Pacifico, quadrante cruciale per le sorti del pianeta, dove Washington pratica il containment della Cina sostenendo la corsa agli armamenti di giapponesi, sudcoreani e australiani. In Europa è la Russia ad aver raggiunto una pericolosa posizione di forza. Grazie alla sua scaltrezza, unita alla compiacenza della Germania e alla distrazione degli Stati Uniti, nell’ultimo decennio Putin ha pressoché neutralizzato il cosiddetto «estero vicino» e legato al proprio benessere il Vecchio Continente dipendente dal gas siberiano. Libero di scrutare l’orizzonte, il capo del Cremlino ha potuto dedicarsi a questioni di planetaria rilevanza, provocando alla Casa Bianca più di un imbarazzo, in Siria come in Egitto, quanto con la concessione dell’asilo al fuggitivo Edward Snowden.
Matura così la necessità di scalfirne le certezze e provocare al contempo una spaccatura tra Mosca e Berlino. A metà 2013 gli analisti statunitensi individuano nell’embrionale crisi ucraina l’occasione per colpire Putin e costringere la Merkel a scegliere tra la fedeltà atlantica e la sua audace Ostpolitik. L’optimum si raggiungerebbe se l’Unione Europea cadesse nella trappola di integrare l’Ucraina – un fardello economico capace di sferrare il colpo di grazia alla già traballante architettura comunitaria – ma Obama si accontenta di sottrarre il paese all’influenza russa. Ne scaturisce uno scontro combattuto a colpi di operazioni coperte, propaganda mediatica e ritorsioni finanziarie che in poche settimane fa scendere sull’Europa un clima da guerra fredda e pone Russia e Germania sulla difensiva.
2. La scelta americana di passare al contrattacco in Ucraina è dettata da ragioni di carattere simbolico, strategico e congiunturale. Nell’immaginario russo «la nazione di confine» ricopre un ruolo eccezionale: è a Kiev che nel IX secolo nasce la Rus’, antesignana della Russia attuale, ed è con il battesimo nelle acque del fiume Dnepr che un secolo più tardi Vladimir il Grande impone il cristianesimo ai suoi sudditi. Sul piano strategico il controllo dell’Ucraina consente a Mosca di allontanare la prima linea di difesa dall’heartland nazionale, per conformazione orografica da sempre esposto alle invasioni straniere, e di mettere nel mirino l’Europa centrale. Inoltre, eredità della rivoluzione arancione del 2004, specie nelle regioni occidentali del paese Washington controlla un folto numero di organizzazioni non governative che, in caso di rivolta popolare, possono fungere da avanguardia per un’azione tesa a destabilizzare l’esecutivo ucraino.
Infine nel 2010 è stato eletto presidente Viktor Janukovyč, despota corrotto e maldestro che gioca su più tavoli nel tentativo di lucrare sulle scelte di politica estera e sul cui conto l’amministrazione Usa possiede informazioni esclusive. Nello specifico, a curare i suoi interessi americani è la società di lobbying di John Podesta1, attuale consigliere straordinario di Obama. E dal 2005 fino all’improvvida fuga dello scorso febbraio, il principale consulente politico di Janukovyč è stato lo statunitense Paul Manafort2, titolare di un’azienda di consulenza elettorale che gestisce assieme a Rick Davis, già spin doctor di John McCain, a sua volta destinato nella commedia ucraina al ruolo di novello Charlie Wilson.
L’antefatto risale all’estate del 2013. Il progetto obamiano di minare dall’interno la tenuta della Federazione Russa è naufragato: troppo risicate le risorse a disposizione della Cia e troppo complicato eludere il sofisticatissimo servizio di intelligence del Cremlino (Fsb). Snervato dalle continue intimidazioni, per la prima volta l’ambasciatore Michael McFaul comunica ai superiori l’intenzione di lasciare Mosca per far rientro in patria. Al contrario Putin, rincuorato dal consolidamento del fronte domestico, da alcune settimane è tornato a viaggiare all’estero. A fine luglio vola a Kiev per ribadire che non permetterà all’Ucraina di uscire dall’orbita russa e ai primi di settembre si serve dell’accordo relativo allo smaltimento delle armi chimiche per impedire il rovesciamento di al-Asad.
È in quei giorni che la Casa Bianca medita la svolta. Presto Janukovyč dovrà decidere se aderire all’Unione doganale oppure firmare un accordo di associazione con l’Unione Europea e Barack è sicuro di poter beneficiare di un eventuale stallo.
Con una scelta assai rilevante, il 18 settembre nomina assistente segretario di Stato per gli Affari eurasiatici Victoria Nuland, diplomatico di professione influenzata dal pensiero neoconservatore, la cui carriera è segnata da frequenti avventure oltrecortina. Nei primi anni Ottanta trascorre otto mesi su un peschereccio sovietico al largo dell’Oceano Pacifico, sul quale sviluppa una passione per la storia e la lingua russa, oltre che per la vodka Stoličnaja. Nell’agosto del 1991 si mischia tra la folla moscovita durante le ore più concitate del golpe organizzato per deporre Gorbačëv e negli anni Novanta, nelle vesti di capo di gabinetto del vicesegretario di Stato Strobe Talbott, sovrintende all’allargamento della Nato verso est.
A lei Obama affida il compito di coordinare il lavoro delle numerose ong operanti in Ucraina, quinta colonna in grado di intercettare e indirizzare gli umori della popolazione filoccidentale. Anche le ong tedesche sono molto attive – in particolare la fondazione Konrad Adenauer che formando Vitalij Klyčko ha creato in laboratorio il suo candidato di riferimento – ma gli americani non si fidano di Berlino e preferiscono muoversi autonomamente. Come rivelato lo scorso dicembre dalla stessa Nuland, dalla fine della guerra fredda gli Stati Uniti hanno speso oltre 5 miliardi di dollari per «rendere l’Ucraina una nazione sicura e democratica»3 e secondo quanto riferito alla commissione Esteri del Senato dal vicesegretario di Stato per i Diritti umani, Tom Melia, di questi quasi un miliardo4 è finito nelle casse delle organizzazioni non governative. Soltanto nel 2012 il National Endowment for Democracy, l’ente collegato al Dipartimento di Stato incaricato di promuovere la democrazia a livello globale, ha finanziato in Ucraina ben 65 progetti5.
Tra le ong maggiormente presenti nell’ex paese sovietico figurano: Open Society Foundations del magnate George Soros, che nel 2012 ha speso da queste parti oltre 10 milioni di dollari6; Freedom House, qui collegata all’Institute for Mass Information; il National Democratic Institute for International Affairs; la Millennium Challenge Corporation; l’International Center for Journalists, parzialmente sovvenzionato da Bill Gates e curatore del progetto YanukovichLeaks.
Allo stesso tempo l’amministrazione Usa mantiene contatti con gli oligarchi più influenti, soprattutto quelli che si oppongono all’orientamento filorusso del governo di Kiev. A settembre Bill e Hillary Clinton sono gli ospiti d’onore della conferenza organizzata annualmente a Jalta dal tycoon dell’acciaio Viktor Pinčuk per rinsaldare i legami tra Ucraina e Occidente. Nello stesso periodo emissari dell’ambasciata statunitense si incontrano con il re del cioccolato Petro Porošenko, i cui prodotti sono banditi nella Federazione Russa, e con i finanzieri Ihor Kolomojs’kyj e Kostjantin Ževago. Rimangono al fianco di Janukovyč i due uomini più ricchi della nazione, Rinat Akhmetov e Dmytro Firtaš, ma col tempo entrambi si arrenderanno al misto di lusinghe e minacce somministrato da Washington.
L’offensiva entra nel vivo a fine novembre, quando centinaia di persone iniziano a radunarsi in piazza Indipendenza a Kiev per protestare contro la decisione di Janukovyč di respingere l’offerta di Bruxelles. Le ong si adoperano per coinvolgere tutti gli strati della popolazione e tra l’11 e il 14 dicembre Nuland e i senatori John McCain e Chris Murphy giungono sul posto per manifestare la propria solidarietà al movimento di Jevromajdan. Seguendo l’esempio delle cosiddette donut dollies, le volontarie incaricate di tenere alto il morale delle truppe statunitensi impegnate nella seconda guerra mondiale, in Corea e in Vietnam, Nuland scende in piazza per regalare panini e biscotti ai manifestanti antigovernativi e ai poliziotti presenti. Al Cremlino non sfugge il valore simbolico dell’evento. «È stato un gesto umiliante: degli ucraini che mangiano da mani americane!»7, commenterà sdegnato l’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite, Vitalij Čurkin.
In seguito Nuland si incontra con Akhmetov, al quale paventa l’intenzione di sanzionare gli interessi degli oligarchi collusi con il governo nel caso in cui la protesta fosse sedata nel sangue. McCain invece prima arringa la folla, annunciando che «l’America è dalla parte degli ucraini che vogliono il cambiamento»8, quindi va a cena con il fondatore della formazione ultranazionalista di Svoboda, Oleh Tjahnybok. L’inettitudine di Janukovyč, in bilico tra repressione e compromesso, favorisce il perdurare della protesta, mentre sul terreno si intensificano la presenza dell’intelligence americana e la competizione tra Stati Uniti e Germania che sostengono rispettivamente il principale esponente dell’Unione panucraina Bat’kivščyna (Patria), Arsenij Jacenjuk, e il capo del partito Udar (Colpo), Vitalij Klyčko. Obama è convinto che la Merkel non abbia intenzione di rompere con Putin, ma che piuttosto stia sfruttando gli eventi ucraini per bilanciare a suo favore l’intesa bilaterale e proporsi come leader indiscusso dell’Europa orientale.
Così ai primi di febbraio Nuland alza il telefono per recapitare un chiaro avvertimento al governo tedesco e arrogare agli Usa il ruolo di riferimento esterno della protesta. In barba a ogni precauzione tecnica, in una nazione monitorata capillarmente dallo spionaggio russo, il diplomatico utilizza una comune linea cellulare per chiamare a Kiev l’ambasciatore Geoffrey Pyatt e parlare apertamente della posizione americana. «Non credo che Klyčko debba entrare nel governo. (…) Solo l’Onu può sistemare le cose, che l’Ue si fotta»9, dice Nuland con ostentato candore, apostrofando con un nomignolo (Jac) Jacenjuk e servendosi dello slang per spiegare che il vicepresidente Biden è pronto a complimentarsi con Janukovyč se collaborerà con l’opposizione (he’s willing for an attaboy). Come ampiamente previsto, in poco tempo la conversazione finisce prima su YouTube e poi sull’account Twitter di Dmitrij Loskutov, un collaboratore del vice premier russo. Il Dipartimento di Stato accusa Mosca d’aver giocato sporco10, ma in privato si rallegra per un piano ben riuscito. Si tratta della prima operazione di false flag in una vicenda disseminata di manovre coperte.
Intanto l’entrata in scena di gruppi paramilitari collegati ai servizi occidentali, come Pravyj Sektor (Settore di destra) e l’Assemblea nazionale ucraina Samooborona (Autodifesa), pareggia la ferocia dei berkut, i reparti antiterrorismo del ministero dell’Interno, e determina il definitivo precipitare della situazione. Il 20 febbraio cecchini non identificati sparano sulla folla, mettendo in fuga le forze di polizia e provocando la morte di decine di persone. Secondo quanto riferito dal ministro degli Esteri estone, Urmas Paet, all’alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue, Catherine Ashton11, ad aprire il fuoco sarebbero stati elementi legati ai manifestanti con l’obiettivo di far ricadere la colpa sull’esecutivo.
Nelle stesse ore i canali televisivi Ukrajina e Inter, appartenenti rispettivamente ad Akhmetov e Firtaš, iniziano a trasmettere reportage favorevoli a Jevromajdan. È il segnale della fine. Il 21 febbraio Janukovyč sottoscrive con gli esponenti dell’opposizione un accordo che prevede elezioni anticipate, un esecutivo di solidarietà nazionale e il ripristino della costituzione in vigore nel 2004. La piazza però respinge il compromesso e profittando del caos e della complicità degli oligarchi il parlamento nomina Arsenij Jacenjuk primo ministro ad interim e vota all’unanimità la procedura di impeachment nei confronti di Janukovyč, che fugge in Russia.
3. A rivoluzione compiuta gli sforzi americani si concentrano sull’inevitabile risposta russa, potenzialmente in grado di annullare il vantaggio acquisito. Già il 21 febbraio la Casa Bianca si serve del New York Times per comunicare con il Cremlino. Dalle colonne del quotidiano «anonimi funzionari dell’amministrazione federale» invitano Putin ad accettare il fait accompli, in cambio della normalizzazione dei rapporti bilaterali e di un improbabile accordo commerciale12. A destare preoccupazione è la possibilità che la Russia – impegnata con oltre 150 mila uomini in un’esercitazione militare oltreconfine – invada l’Ucraina e comprometta la fiducia che le nazioni dell’Europa orientale ripongono nella deterrenza garantita dagli Stati Uniti.
Tra il 22 e il 27 febbraio rapporti riservati della Cia, della Defense Intelligence Agency (Dia), l’organo di spionaggio estero del Pentagono, e dell’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale (Odni) definiscono imminente «un’azione» realizzata da reggimenti «speciali»: citano i mercenari della Vnevedomstvennaja Okhrana e gli specnaz, ma ammettono di non sapere quali regioni ne saranno interessate. A differenza del resto d’Europa, la Russia sfugge al controllo dell’Nsa e nonostante i 300 mila dollari spesi dal leggendario Office of Net Assessment del Pentagono per studiare il linguaggio del corpo di Putin13, nessuno sa prevedere con certezza le sue mosse. Nemmeno Silvio Berlusconi, il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman o il presidente kazako Nursultan Nazarbaev, contattati nel frattempo dal Dipartimento di Stato per avere impressioni su cosa stia per accadere. In piena nebbia di guerra Obama si convince che «il bullo» stia per invadere l’Ucraina orientale e la sera del 28 febbraio si presenta davanti alle telecamere per minacciarlo «di gravi ritorsioni»14.
Tuttavia il giorno seguente l’occupazione russa della Crimea gli permette di tirare un (parziale) respiro di sollievo. Al netto delle rimostranze ufficiali, Barack considera un sacrificio tollerabile barattare la penisola abitata in maggioranza da russi con il nuovo status quo imposto al resto del paese. Peraltro la patente violazione della sovranità ucraina pone adesso tedeschi e cinesi in una posizione di notevole imbarazzo, costringendoli a scegliere tra la volontà di preservare un’alleanza strategica e la necessità di condannare un atto che almeno formalmente lede i princìpi della loro politica estera.
Il punto è impedire a Putin di inghiottire il resto dell’Ucraina. Inizialmente la Casa Bianca pensa di inibirne le intenzioni attraverso l’imposizione di sanzioni economiche concertate con l’Unione Europea. L’illusione svanisce in seguito alle telefonate avute con i leader del Vecchio Continente e agli incontri con i rappresentanti delle associazioni industriali d’America. La Germania è pronta a censurare verbalmente l’accaduto e a raffreddare la cooperazione militare, ma non vuole scatenare la rappresaglia energetica del Cremlino e perfino il fido alleato Cameron si rifiuta di privare la City londinese degli ingenti capitali russi.
Dal canto loro le multinazionali statunitensi operanti in Russia – su tutte ExxonMobil, Boeing, Ford – vogliono impedire che, in caso di misure punitive imposte unilateralmente dagli Usa, i concorrenti europei assorbano la loro fetta di mercato. Così Obama si accontenta, a cavallo del referendum per l’indipendenza della Crimea, di approvare sanzioni largamente simboliche che colpiscono alcuni membri dell’entourage presidenziale, nonché Bank Rossija, l’istituto di San Pietroburgo legato a Gazprom, ma che non hanno alcun impatto concreto.
Le armi più efficaci in possesso degli Stati Uniti si rivelano l’aggressione mediatica e la speculazione finanziaria. La diffusione planetaria e il prestigio riconosciuto ai media d’Oltreoceano consentono alla Casa Bianca di respingere agevolmente le accuse di interferenza e di bollare come barbara e anacronistica la reazione russa, sebbene questa sia stata pressoché incruenta e possa essere considerata una declinazione della responsibility to protect. Contemporaneamente le manovre speculative infliggono danni ragguardevoli alla già fragile economia russa. Rispetto ai tempi della guerra fredda, oggi l’ex superpotenza comunista aderisce (suo malgrado) al Washington Consensus e il governo federale è doppiamente esposto all’umore dei mercati perché azionista di maggioranza delle principali aziende nazionali.
Agli Usa bastano gli strumenti convenzionali della politica monetaria e finanziaria – tapering, diffusione del panico fra gli investitori, valutazione della solvibilità – per colpire l’avversario. Non a caso il lunedì successivo all’invasione della Crimea, l’indice Rtsi della Borsa di Mosca scende di ben 12 punti, bruciando quasi 60 miliardi di dollari, la stessa somma spesa per organizzare le Olimpiadi di Soči. E nelle settimane seguenti, le newyorkesi agenzie di rating Fitch e Standard & Poor’s rivedono al ribasso l’outlook della Federazione, portandolo da stabile a negativo, inserendo l’attuale congiuntura geopolitica tra le motivazioni della decisione. La Banca centrale russa prova a cautelarsi ritirando tra il 26 febbraio e il 12 marzo dalla sede della Federal Reserve di New York 118 miliardi di dollari in buoni del Tesoro15, ma si tratta di una partita palesemente impari.
Anche per questo il bilancio della crisi arride agli Stati Uniti. La Germania non sembra intenzionata a stravolgere la propria strategia e l’Europa non dispone dei mezzi finanziari e della volontà politica necessari a mantenere stabilmente l’Ucraina nel campo occidentale. Inoltre la Russia ha riconquistato la Crimea, rettificando il torto perpetrato sessant’anni fa da Khruščëv e, toccata sul vivo, proverà adesso a ostacolare gli Stati Uniti su dossier internazionali di primaria importanza: dalla trattativa per il programma nucleare iraniano alla guerra civile siriana, fino al prossimo ritiro Nato dall’Afghanistan.
Tuttavia l’iniziativa americana, realizzata magistralmente, ha colto nel segno: Putin è impegnato in una battaglia di retroguardia, costretto a difendersi piuttosto che a inseguire traguardi di grande respiro; la Merkel ne ha inevitabilmente disapprovato l’operato e tra Mosca e Pechino c’è stato un animato confronto sul tema. Con il minimo sforzo politico, economico e di intelligence la Casa Bianca ha ottenuto ciò che voleva. «La Russia è soltanto una potenza regionale e non può rappresentare una minaccia globale»16, ha spiegato Obama il 25 marzo, quasi a illustrare la sua dottrina e a dichiarare compiuta la missione ucraina. In nome dell’equilibrio di potenza.


Annessione Crimea alla Federazione Russa

ll 6 marzo 2014 le autorità della Repubblica Autonoma di Crimea, emulate l'indomani dalle autorità di Sebastopoli, hanno dichiarato l'indipendenza dall'Ucraina, formalizzando l'11 marzo una richiesta di adesione alla Federazione Russa.[4][5][6] T

Repubblica di Crimea (Federazione Russa) - Wikipedia

l 27 febbraio truppe senza insegne conquistarono la sede del Consiglio supremo della Repubblica autonoma di Crimea (il parlamento regionale) e l'edificio del Consiglio dei Ministri .
Nessun tipo di resistenza da parte ucraina.
Annessione della Crimea alla Russia - Wikipedia


Piazza Maidan


L’inchiesta di Gian Micalessin per il settimanale del TG5 “Terra” e il sito “Gli Occhi della Guerra” con l’intervista ai cecchini del Maidan rivela chi c’era dietro al “golpe” attuato a Kiev nel febbraio 2014.

Gian Micalessin svela la vera storia della “rivoluzione” ucraina del 2014 – Analisi Difesa

Intervista al gen.Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi) e della Brigata Folgore, approfondisce un altro aspetto che viene passato quasi sotto silenzio,,cioè il ruolo di forzatura psicologica che gli Stati Uniti stanno svolgendo .

DIETRO L'UCRAINA/ "Le mosse degli Usa per evitare un'alleanza tra Europa e Russia"



La strage a Odessa del 2 maggio 2014

Gli ucraini diedero fuoco ad un sindacato che era pieno di anziani, donne con bambini, quelli che scamparono all’incendio furono uccisi a colpi di fucile.
Non appena si diffuse la notizia dell’attacco da parte dei manifestanti filorussi, tramite i social network i manifestanti pro-unità stabilirono di recarsi a piazza Kulykove per distruggere il campo pro-federalismo. Intorno alle 18:50, trovandosi in netto svantaggio numerico, i manifestanti filorussi si introdussero nella Casa dei sindacati, che si affaccia sulla piazza, bloccandone gli accessi ed erigendo barricate. Nel frattempo i manifestanti pro-unità avevano preso il controllo della piazza e distrutto il campo allestito dagli oppositori.

Intorno alle 19:45 un incendio si sviluppò in più punti dell'edificio, probabilmente a partire dal secondo o dal terzo piano, per poi diffondersi rapidamente facilitato dalla struttura stessa dell'immobile. Sulle responsabilità dell'innesco e la dinamica dell'incendio sussistono divergenze significative fra le varie parti. Secondo l'indagine ufficiale del Ministero dell’Interno ucraino è probabile che l'incendio sia stato provocato accidentalmente dagli stessi occupanti mentre dal tetto sparavano e lanciavano molotov verso gli assalitori sottostanti. Viceversa, in base alla ricostruzione delle fonti russe il rogo sarebbe stato innescato dal lancio di bottiglie Molotov dall'esterno.

Benché i vigili del fuoco avessero una sede operativa poco distante e fossero in allerta già prima dello scoppio dell'incendio, la loro risposta alle richieste di intervento non fu rapida. Giunsero infatti circa 40 minuti dopo l'inizio dell'incendio. Secondo il rapporto ufficiale, i 51 soccorritori, in tredici squadre, furono impossibilitati a intervenire a causa della folla attorno all’edificio. La polizia antisommossa, pur presente, non intervenne.[

Incendio della Casa dei sindacati di Odessa - Wikipedia.

  • 05 Dicembre 2022 10:00

Odessa, la strage che l'occidente vuole censurare​

Davvero vergognosa su Wikipedia la trasformazione della voce “Strage di Odessa”(definita fino a pochi mesi fa: “un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti filo occidentali ucraini ai danni dei manifestanti sostenitori del precedente governo filo russo”) in un “Rogo di Odessa..... di seguito l'art. completo

Odessa, la strage che l'occidente vuole censurare

Limitazioni alla lingua russa del governo di Kiev

Prima di lasciare la poltrona presidenziale al neo eletto Volodymyr Zelensky, Petro Porošenko ha firmato una nuova legge sulla lingua. Che mette sotto forte pressione i diritti delle minoranze.

Solo in Donbass
a. popolazione di lingua russa:ca.4mln su 44 mln di abitanti ucraina



Ucraina: la nuova legge sulla lingua, ultimo atto di Porošenko

Ottimo articolo che sintetizza tutte le problematiche che hanno scatenato il conflitto.

Chris Hedges - Hanno mentito sull'Afghanistan. Hanno mentito sull'Iraq. E stanno mentendo sull'Ucraina

https://www.unita.it/2023/05/21/la-nato-andrebbe-sciolta-non-fa-gli-interessi-delleuropa-ma-dellamerica-parla-sergio-romano/


L'argomento prosegue al post #29g
 
Ultima modifica:
DONBASS E LE 14MILA VITTIME

https://bitterwinter.org/donbass-il-mito-dei-14-000-uccisi-dagli-ucraini/

https://www.butac.it/donbass-14000-vittime/

https://www.eastjournal.net/archives/125348


Donbass. Il mito dei 14.000 “uccisi dagli ucraini”

04/30/2022

14.000 è il numero delle vittime totali della guerra nel Donbass tra il 2014 e il 2021, uccise da entrambe le parti. 10.900 di loro erano soldati.
Ci sono diversi miti usati dalla Russia e dai suoi compagni di viaggio per giustificare l’invasione dell’Ucraina. Uno è che un “genocidio” era in corso nel Donbass, dove gli ucraini avrebbero ucciso “14.000” separatisti filorussi e civili dal 2014.:rolleyes::rolleyes:

Quanti sono morti in questa guerra? Sembra ragionevole scartare le diverse cifre offerte sia dall’Ucraina sia dalla Russia, che hanno entrambe i loro interessi propagandistici. Fortunatamente, la situazione nel Donbass è monitorata anche dalle Nazioni Unite. Il 27 gennaio 2022, l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha pubblicato la sua più recente stima delle vittime del conflitto del Donbass dal 2014 al 31 dicembre 2021. La famosa cifra di 14.000 vittime, spesso citata dai commenti filorussi, proviene da questo documento. Per la precisione, la stima delle Nazioni Unite è tra 14.200 e 14.400 morti.

In conclusione, non c’è stato alcun “genocidio” della popolazione del Donbass da parte dell’esercito ucraino.
C’è stata una guerra, combattuta dalla Russia in violazione non solo dell’integrità territoriale di uno Stato sovrano ma anche del trattato che ha firmato a Budapest nel 1994. Come in tutte le guerre, ci sono state vittime da entrambe le parti. Purtroppo, sono morti anche civili. Sono stati uccisi da entrambe le parti. Affermare che tutte le 14.000 vittime della guerra nel Donbass sono state “uccise dagli ucraini” è solo rozza propaganda. Sfortunatamente, alcuni in Occidente ci credono e la diffondono acriticamente.

In nessun modo queste vittime sono state tutte “uccise dagli ucraini”. Secondo l’ONU, 10.900 vittime erano soldati, di cui 4.400 ucraini e 6.500 combattenti filorussi che si battevano per le pseudo-repubbliche separatiste. Le vittime civili sono state tra 3.400 e 3.500. Queste ultime non erano a loro volta tutte vittime degli attacchi o di droni e razzi lanciati dall’Ucraina contro le pseudo-repubbliche. In effetti, una parte è morta nelle parti degli oblast di Lugansk e Donetsk rimaste sotto il controllo ucraino durante gli attacchi dei separatisti.
 
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Cosa sono i "confini del 1991" e cosa centra la guerra tra Ucraina e Russia

2 Novembre 2022

Dallo scoppio del conflitto in Ucraina nel febbraio scorso, Kiev ha strenuamente richiesto la cessazione delle ostilità ponendo sempre e comunque come condizione il ritorno ai “confini del 1991”. Ma quali sono esattamente questi confini? Cosa prevedevano gli accordi del 1991?

Alle origini dell’indipendenza dell’Ucraina


Nel 1991 l’Ucraina, come nuovo stato indipendente, ereditò i confini dell’ex Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina. All’epoca, il confine tra Russia e Ucraina era una mera linea amministrativa, che non era stata tracciata tantomeno realizzata materialmente. Da allora l’Ucraina ha cercato di stabilire un confine adeguato.
La fine dell’Urss venne trattata dal diritto internazionale come un caso di smembramento, con il quale lo Stato precedente si estinse per dare vita alla formazione di due o più Stati nuovi, ammessi poi all’Onu in base all’art. 4 della Carta delle Nazioni Unite. Tutti gli Stati sorti dallo smantellamento vennero ammessi ex novo, ad eccezione di Ucraina e Bielorussia, già membri fondatori delle Nazioni Unite. La Dichiarazione del 1942, infatti, aveva qualificato come “Stati” anche alcune entità che non lo erano, per l’assenza del requisito di indipendenza, come l’Ucraina e la Bielorussia, realizzando una presunzione iuris et de iure.
Il processo venne regolato dagli accordi di Minsk dell’8 dicembre del 1991 e dall’Intesa di Alma Ata del 21 dicembre 1991.

L'Accordo di Minsk (1991)


L’8 dicembre 1991 il presidente russo Boris Eltsin incontrava i leader di Ucraina e Bielorussia. Assieme finalizzarono quello che divenne noto come l’Accordo di Minsk, che sciolse formalmente l’Unione Sovietica e la sostituì con una Comunità di Stati Indipendenti (Csi). I tre contraenti si impegnarono a garantire ai propri cittadini uguali diritti e libertà, indipendentemente dalla nazionalità o da altre distinzioni. Ciascuna delle parti contraenti si impegnava poi a garantire ai cittadini delle altre parti diritti e libertà civili, politici, sociali, economici e culturali secondo le norme internazionali generalmente riconosciute in materia di diritti umani, indipendentemente da fedeltà nazionale o altre distinzioni. Gli accordi si allargavano alla protezione delle minoranze, assunta come obbligo da ognuno degli Stati contraenti.
Ma soprattutto, all’art. 5, i contraenti riconoscevano e rispettavano reciprocamente l’integrità territoriale e l’inviolabilità dei confini esistenti all’interno del Commonwealth ex sovietico.

La debolezza dei confini del 1991


Gli accordi di Minsk, pur promettendo una svolta, non furono dettagliati. Il problema del confine fu oscurato da un evento dirompente come la disintegrazione dell’Urss. Eltsin aveva sostenuto l’indipendenza dell’Ucraina al fine di sconfiggere la sua nemesi Mikhail Gorbaciov, ma gli sforzi si erano fermati lì. La dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina nell’agosto 1991 e il successivo referendum segnarono una “separazione consensuale” fra le parti, adornata da dichiarazioni di principio molto ampie come il rispetto reciproco dell’integrità territoriale e l’inviolabilità dei confini esistenti “all’interno del Commonwealth”, un impegno che significava promettere di mantenere le frontiere aperte e i controlli transfrontalieri.
Ma nulla fu detto o scritto su come delimitare i confini, fino ad allora puramente interni tra le “province” dell’Urss. Questo declassamento a questione secondaria era intimamente legato al contributo che Kiev diede alla Comunità degli Stati Indipendenti, foraggiando la convinzione-in quel di Mosca-che ciò sarebbe bastato alla neonata nazione che, in questo modo, avrebbe continuato a gravitare attorno all’impero ex-sovietico.
Ci vollero ancora tre anni affinché la Federazione russa mollasse la presa sull’Ucraina, abbandonando, almeno sulla carta, la clausola del “riconoscimento dei confini dell’Ucraina all’interno della CSI”. Servirono l’Accordo Trilaterale del 1994 – tra Russia, Ucraina e Stati Uniti – e il Memorandum di Budapest, per ottenere un impegno formale a garantire i confini e la sovranità dell’Ucraina in cambio della rinuncia al suo arsenale nucleare.
Per Mosca fu quella l’occasione giusta per esercitare un ricatto parallelo, legando indissolubilmente il riconoscimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina alla questione della Flotta del Mar Nero, di stanza nella penisola di Crimea. Il fatto che quest’ultima fosse legata a doppio filo allo status della base navale di Sebastopoli creò il primo vero garbuglio giuridico-diplomatico internazionale post-Guerra Fredda. La convinzione, poi, da parte delle élite politiche russe che la Crimea dovesse restare esclusivamente russa contribuì a creare una zona grigia che ha permesso gli eventi del 2014.

Il memorandum di Budapest (1994)


Con il Memorandum di Budapest, la vicenda dell’integrità territoriale ucraina guadagnò nuovamente il palcoscenico internazionale nonché dei garanti d’eccellenza.
Il Memorandum comprende tre accordi politici sostanzialmente identici firmati alla conferenza dell’Osce a Budapest, in Ungheria, il 5 dicembre 1994, per fornire garanzie di sicurezza dai suoi firmatari in relazione all’adesione della Bielorussia, del Kazakistan e dell’Ucraina al Trattato sulla non Proliferazione delle armi nucleari (Npt). I tre memorandum sono stati originariamente firmati da Federazione Russa, Regno Unito e gli Stati Uniti. Cina e Francia fornirono assicurazioni più labili attraverso accordi separati.
I memorandum vietavano alla Federazione Russa, al Regno Unito e agli Stati Uniti di minacciare o usare la forza militare o la coercizione economica contro Ucraina, Bielorussia e Kazakistan, “tranne per legittima difesa o altrimenti in conformità con la Carta delle Nazioni Unite”. A seguito del memorandum e dei suoi corollari, tra il 1993 e il 1996, Bielorussia, Kazakistan e Ucraina rinunciarono ai loro arsenali nucleari.

Il Trattato sull’amicizia (1997)


Negli Accordi di Sochi del 1995, la Russia confermò lo status della Crimea come parte dell’Ucraina, spingendo per i diritti esclusivi su Sebastopoli come parte di un lungo contratto di locazione. È stato solo nel maggio 1997 che Russia e Ucraina hanno finalizzato i dettagli della questione, concordando un contratto di locazione per 20 anni.
Questo accordo ha finalmente aperto la strada al “Grande Trattato” sull’amicizia, la cooperazione e il partenariato firmato a Kiev il 31 maggio 1997 dal presidente dell’Ucraina Leonid Kuchma e dal presidente russo Eltsin. Questo trattato ha assicurato il riconoscimento formale dell’Ucraina come “Stato uguale e sovrano” con i firmatari che si sono impegnati a rispettare l’integrità territoriale dell’altro e l’inviolabilità dei confini “esistenti”.
Il Trattato fissava i principi del partenariato strategico come il riconoscimento dell’inviolabilità dei confini esistenti, il rispetto dell’integrità territoriale e l’impegno reciproco a non utilizzare il proprio territorio per nuocere alla sicurezza reciproca. Il trattato impediva all’Ucraina e alla Russia di invadere rispettivamente l’altro e di dichiarargli guerra.
In base all’accordo, entrambe le parti garantivano i diritti e le libertà dei cittadini degli altri Paesi sulla stessa base e nella stessa misura in cui prevedeva per i propri cittadini, salvo quanto prescritto dalla legislazione nazionale degli Stati o dai trattati internazionali. Ogni Paese avrebbe protetto nell’ordine stabilito i diritti dei suoi cittadini residenti in un altro Paese, in conformità con gli impegni previsti dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, da altri principi e norme universalmente riconosciuti del diritto internazionale, dagli accordi all’interno del Commonwealth degli Stati indipendenti. L’accordo, tra l’altro, confermava-con una certa preveggenza- l’inviolabilità dei confini dei Paesi, indipendentemente dal fatto che Russia e Ucraina non avessero finalizzato materialmente un confine.

Gli sviluppi recenti


Sebbene il “Grande Trattato” sia passato come una vittoria politica per l’Ucraina, gli accordi hanno fornito alla Russia una capacità a lungo termine di minare l’integrità territoriale della controparte, come evidenziato dall’uso della base militare, delle truppe e della Marina in Crimea. Per fare pressione su Kiev, il Cremlino ha bloccato la ratifica del trattato del 1997 al fine di garantirsi la partecipazione dell’Ucraina all’Assemblea interparlamentare della Csi, organo di integrazione parzialmente svuotato ma dall’alta valenza simbolica.
Il Trattato sul confine di Stato Russia-Ucraina, firmato nel gennaio 2003, ha sostanzialmente definito i confini terrestri comuni, sebbene fosse solo la facciata della strategia russa di sostenere il presidente ucraino Kuchma in cambio dell’ottenimento della partecipazione di Kiev a due nuovi progetti di integrazione, la Comunità economica eurasiatica e lo Spazio economico comune nei primi anni Duemila.
Il Trattato tra la Federazione Russa e l’Ucraina sul confine di Stato russo-ucraino è stato firmato il 28 gennaio 2003 dall’allora Presidente Kuchma e da Putin. Questo afferma che il confine di Stato russo-ucraino sarebbe stato la linea e la superficie verticale che si realizza “seguendo quella linea che divide i territori statali delle parti del Trattato dal punto in cui i confini statali di Ucraina, Russia e Bielorussia si incontrano fino a un punto situato sulla costa del Golfo di Taganrog”.
Il punto in cui si incontrano i confini statali di Ucraina, Russia e Bielorussia avrebbe dovuto essere definito da un trattato separato. Il 14 maggio 2010, il governo della Federazione Russa ha emesso la risoluzione n. 720-r, ordinando al Ministero degli Affari Esteri della Federazione di iniziare a lavorare per concludere un accordo con il governo ucraino sulla demarcazione del confine.
Al dicembre 2014 nessun lavoro sulla definizione del confine era stato realizzato. Fino ad allora l’Ucraina aveva posizionato un paio di centinaia di segnali di confine a fronte di almeno una decina di migliaia necessari, essendo il confine Russia-Ucraina lungo più di 1.200 miglia.
 
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:yes:Russian Offensive Campaign Assessment, February 8, 2024
Valutazione della campagna offensiva russa, 8 febbraio 2024 Riley Bailey, Christina Harward, Angelica Evans, Nicole Wolkov, George Barros e Fredrick W. Kagan
8 febbraio 2024, 22:45
Il presidente russo Vladimir Putin ha tentato di utilizzare un’intervista con il personaggio dei media americano Tucker Carlson pubblicata l’8 febbraio per presentare a un pubblico occidentale più ampio un’operazione di informazione di lunga data del Cremlino che afferma falsamente che la Russia è interessata a una fine negoziata della sua guerra in Ucraina. Putin ha tuttavia spiegato nel corso dell’intervista che la Russia non ha alcun interesse in negoziati significativi o legittimi e che Putin cerca ancora di distruggere l’Ucraina come Stato. Putin ha anche mostrato la sua generale ostilità verso l’Occidente e ha accusato falsamente l’Occidente di costringere la Russia ad attaccare l’Ucraina. Putin ha ripetutamente sottolineato che la Russia è aperta ai negoziati al fine di inquadrare falsamente la Russia come un attore ragionevole e le “élite dominanti occidentali” come il principale ostacolo ai negoziati. Putin ha anche ripetutamente ribadito un’operazione di informazione russa secondo la quale funzionari occidentali avrebbero costretto l’Ucraina a respingere un accordo favorevole alla Russia durante i negoziati tra Ucraina e Russia a Istanbul nel marzo 2022.
I leader occidentali, infatti, si offrirono di aiutare il presidente Volodymyr Zelenskyj a fuggire da Kiev nei giorni immediatamente successivi all’invasione, e Zelenskyj rispose che aveva bisogno di “munizioni, non di un passaggio”. Il Cremlino dipinge abitualmente l'Occidente come l'unico soggetto negoziale significativo in Ucraina come parte del suo sforzo di ottenere l'accettazione da parte dell'Occidente della sua premessa secondo cui l'Ucraina non ha un'agenzia indipendente al fine di garantire concessioni dall'Occidente per conto dell'Ucraina che minano la sovranità dell'Ucraina e distruggono l'Ucraina. integrità territoriale.
Il Cremlino ha periodicamente intensificato questa operazione di informazione fingendo interesse nei negoziati per sfruttare l’effettivo interesse occidentale in una soluzione negoziata per minare il sostegno occidentale all’Ucraina e indebolire gli sforzi occidentali volti a inviare maggiore assistenza per la sicurezza all’Ucraina. Putin e il Cremlino hanno intensificato la retorica nelle ultime settimane indicando che la Russia continua a perseguire obiettivi massimalisti in Ucraina che secondo l’ISW equivarrebbero alla piena capitolazione ucraina e occidentale. L'ISW continua a ritenere che la posizione negoziale di Putin non sia cambiata: egli cerca ancora la distruzione dell'Ucraina e cerca di utilizzare un armistizio per creare condizioni favorevoli affinché l'esercito russo lanci una successiva guerra di maggior successo contro l'Ucraina. Putin ha anche tentato di utilizzare l’intervista per riformulare in modo assurdo la Russia come la parte offesa e non come l’iniziatore della guerra di conquista non provocata della Russia contro l’Ucraina. Putin ha affermato falsamente che i “neo-nazisti” ucraini hanno iniziato la guerra in Ucraina nel 2014 e che l’invasione su vasta scala della Russia è un tentativo di porre fine a quella guerra. Putin ha ripetuto la stanca retorica russa presentando l’annessione della Crimea da parte della Russia e l’intervento nel Donbass nel 2014 e la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina nel 2022 come una campagna difensiva volta a proteggere il popolo russo e la nazione russa. Questa operazione di informazione in corso ha lo scopo di offuscare il fatto ovvio che la Russia ha lanciato una guerra di aggressione contro il suo vicino nel 2022 al fine di confondere i ricordi occidentali di ciò che è realmente accaduto. Il revisionismo di Putin mira anche a rafforzare le narrazioni di lunga data del Cremlino che giustificano i suoi obiettivi massimalisti in Ucraina. Putin ha continuato a tentare di giustificare le invasioni russe dell’Ucraina nel 2014 e nel 2022 come risposta alle azioni dell’Ucraina e dell’Occidente al fine di difendere le sue richieste di lunga data per un cambio di regime a Kiev e la “smilitarizzazione”, la “denazificazione” e la “neutralità” dell’Ucraina. Putin ha affermato falsamente che un “colpo di stato” sostenuto dagli Stati Uniti in Ucraina nel 2014 ha costretto la Russia a invadere la Crimea e ad avviare operazioni militari nel Donbass nel 2014. Putin ha affermato falsamente che l’Ucraina ha avviato un’operazione militare nel Donbas a partire dal 2014 e che l’Ucraina non ha attuato gli accordi di Minsk che stabiliscono l’armistizio rotto da Putin nel febbraio 2022. Putin ha accusato la NATO di sfruttare l’Ucraina per costruire basi militari.
Putin ha anche ribadito una visione del mondo quasi realista che definisce l’indebolimento dell’Occidente e lo smantellamento della NATO come prerequisiti per il mondo multipolare a guida russa che desidera creare. Putin ha costantemente definito l’espansione e l’esistenza della NATO come una minaccia per la Russia e per qualsiasi futuro ordine globale guidato da Russia e Cina. Putin ha affermato che gli affari mondiali si sviluppano secondo “leggi intrinseche” che non sono cambiate nel corso della storia in cui un paese cresce e diventa grande e potente prima di lasciare la scena internazionale senza il prestigio che aveva una volta. Putin ha implicitamente paragonato l’attuale ordine mondiale guidato dall’Occidente con gli imperi mongolo e romano, che ha presentato come esempi di potenze egemoniche che alla fine furono conquistate da altre potenze emergenti. Putin ha affermato che, sebbene ci siano volute diverse centinaia di anni prima che l’Impero Romano crollasse, gli attuali processi di cambiamento stanno avvenendo a un ritmo più rapido. Putin invoca sempre più una concezione volutamente ampia, vaga e pseudo-realista della sovranità russa per normalizzare le guerre di conquista e giustificare gli obiettivi russi di imporre la volontà di Putin in Ucraina e oltre. Putin ha da tempo richiesto alla NATO di ricreare l’alleanza in una struttura che non possa resistere alla futura aggressione militare russa, che si tratti di campagne di conquista o di sforzi per stabilire il controllo russo sui paesi che il Cremlino ritiene siano all’interno della sfera di influenza della Russia. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha sostituito il generale Valerii Zaluzhnyi con il comandante delle forze di terra ucraine, colonnello generale Oleksandr Syrskyi, come comandante in capo dell'Ucraina l'8 febbraio, come parte di più ampi cambiamenti nella leadership militare. Tali cambiamenti sono normali per gli stati impegnati in una guerra di lunga durata. Zelenskyj ha dichiarato che sta prendendo in considerazione anche il generale di brigata ucraino Andrii Hnatov (attuale capo di stato maggiore e vice comandante del comando operativo meridionale), il generale di brigata Mykhailo Draptayi (ex comandante del gruppo di forze di Kherson), il generale di brigata Ihor Skybiuk (attuale vice comandante delle forze d'assalto aviotrasportate), il colonnello Pavlo Palisa (attuale comandante della 93a brigata meccanizzata) e il colonnello Vadym Sukharevskii (attuale comandante della 59a brigata di fanteria motorizzata) per posizioni di comando nell'esercito ucraino. Zelenskyj, Zaluzhnyi e il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov hanno tutti riconosciuto che la guerra è cambiata radicalmente tra il 2022 e il 2024 e che sono necessari nuovi approcci e strategie. Zelenskyj ha dichiarato di aver offerto a Zaluzhnyi una posizione non specificata nel "team dirigente" delle forze armate ucraine, ma non ha chiarito se Zaluzhnyi avesse accettato. Il consigliere del capo dell'ufficio del presidente ucraino Mykhaylo Podolyak ha dichiarato che Zelenskyj ha deciso di condurre un "rinnovamento sistematico della leadership" dell'esercito ucraino, compreso il comandante in capo, al fine di rivedere le azioni dell'esercito ucraino nell'ultimo anno. , prevenire la stagnazione sul fronte, trovare nuove soluzioni funzionali e tecnologiche che consentano all’Ucraina di mantenere e sviluppare l’iniziativa sul campo di battaglia e avviare il processo di riforma della gestione dell’esercito ucraino I cambiamenti di comando sono normali per uno Stato che combatte una guerra da diversi anni. Il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping hanno tenuto una telefonata di routine l'8 febbraio che ha sottolineato l'esitazione della Cina a sostenere la desiderata relazione bilaterale russo-sino-russa mentre la Russia stringe partenariati più profondi con Iran e Corea del Nord. Putin e Xi si sono scambiati opinioni sulla situazione geopolitica che circonda Ucraina, Taiwan e Medio Oriente e hanno ribadito i loro impegni per una maggiore cooperazione commerciale bilaterale e in politica estera. Putin e Xi avrebbero anche criticato l’interferenza degli Stati Uniti negli affari interni di altri paesi e le politiche statunitensi volte a contenere Russia e Cina. La copertura mediatica russa della conversazione ha continuato gli sforzi per ritrarre le relazioni russo-cinesi come salde e nel loro “periodo migliore della storia”, nonostante i recenti tentativi cinesi di evitare di impegnarsi completamente in una partnership “senza limiti” con la Russia di fronte alle sanzioni occidentali. Bloomberg ha riferito il 16 gennaio che almeno due banche cinesi di proprietà statale hanno ordinato una revisione delle loro attività con clienti russi e taglieranno i legami con entità russe sanzionate ed entità con legami con l'industria della difesa russa dopo che gli Stati Uniti hanno autorizzato sanzioni secondarie contro le istituzioni finanziarie a dicembre 2023.[ Il Cremlino ha recentemente segnalato un aumento del sostegno retorico e della cooperazione economica con l’Iran e la Corea del Nord poiché cresce la sua dipendenza da entrambi i paesi per droni, missili e munizioni. L’Iran ha costantemente fornito alle forze russe droni Shahed-136/-131 durante l’invasione russa dell’Ucraina, e la Corea del Nord ha recentemente iniziato a fornire alla Russia missili balistici e munizioni di artiglieria di produzione nazionale.
 
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Stoltenberg: la decisione di far entrare l'ucraina nella nato e' stata presa nel 2008
Pre-ministerial press conference by NATO Secretary General Jens Stoltenberg ahead of the meetings of NATO Foreign Ministers in Bucharest


Un generale Nato: "Gli Usa addestravano Kiev per la guerra già da 8 anni"
Mieczyslaw Bieniek esce allo scoperto: "Una lunga preparazione per supportare lo scontro con Mosca"

E i ns. media facevano vedere gli ucraini che si costruivano in casa le molotov,hihi

Un generale Nato: "Gli Usa addestravano Kiev per la guerra già da 8 anni"

Guerra Ucraina, la Cina si schiera. Le dichiarazioni choc: "La Nato avrebbe dovuto disintegrarsi". Ora conseguenze terribi

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Guerra Ucraina, la Cina si schiera. Le dichiarazioni choc: "La Nato avrebbe dovuto disintegrarsi". Ora conseguenze terribili
https://www.iltempo.it/esteri/2022/03/19/news/disintegrare-nato-cina-si-schiera-con-russia-guerra-ucraina-non-espandersi-est-conseg

Clamorose dichiarazioni A.Merkel del 10.12.22
Angela Merkel: "L'Accordo di Minsk era un inganno per rafforzare l'esercito ucraino" -

Per Angela Merkel gli Accordi di Minsk furono un tentativo di dare tempo all'Ucraina (A. Puccio) - FarodiRoma

“COME L’OCCIDENTE HA PROVOCATO LA GUERRA IN UCRAINA” / UN BEST SELLER LO SPIEGA​

Oggi i leader politici di Washington e delle capitali europee – assieme ai mezzi d’informazione allineati e codardi che riportano acriticamente le loro sciocchezze – cercano di tirarsi fuori dal fango ma ci sono dentro fino al collo. E’ difficile pensare come coloro che stati talmente sciocchi da infilarsi in quel fango possano trovare la saggezza per uscirne prima di affondare del tutto e portare giù con sé tutti noi”.

E’ l’amara ma lucidissima conclusione di un libro che tutti dovrebbero leggere per capire le vere ragioni dell’attuale conflitto che rischia di portarci alla catastrofe.
Si intitola “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina” (Fazi Editore) e ne è autore Benjamin Abelov, storico (si è laureato in ‘Storia dell’Europa moderna’ presso l’Università della Pennsylvania).

Bestseller proprio negli Usa, ma anche in Germania e in Svizzera, spiega con estrema chiarezza, dovizia di particolari, delucidazioni, dichiarazioni autorevoli (nonostante la brevità, appena 70 pagine) come l’intero mondo è finito nella ‘trappola ucraina’.
La cronistoria di un vero e proprio incubo, e il lettore viene condotto passo passo, come in un thriller, verso una conclusione quasi scontata – ossia il baratro – quando quell’esito poteva essere evitato, se solo i cervelli dei boss occidentali fossero stati dotati di una maggior dose di fosforo e di una minore dose di totale arroganza e brama di potere.
LE MENZOGNE E LE PROVOCAZIONI OCCIDENTALI (per continuare la lettura andare al link
La voce Delle Voci - “COME L’OCCIDENTE HA PROVOCATO LA GUERRA IN UCRAINA” / UN BEST SELLER LO SPIEGA)

Robert F. Kennedy jr presentando la sua candidatura alle elezioni presidenziali 2024 ,ha scritto:​



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Gli eserciti più potenti al mondo: la classifica del 2022 | Forze Italiane


Grazie alla diplomazia, diverse nazioni – tra cui gli Stati Uniti – stanno cercando di evitare in tutto i modi lo scoppio di un conflitto che potrebbe trasformarsi in una guerra su larga scala. Il presidente USA Biden ha avvisato la Russia che, qualora avvenisse un attacco all’Ucraina, gli Stati Uniti sarebbero “pronti a tutto”. Sperando che la diplomazia riesca a evitare una crisi drammatica, vediamo quali sono gli Stati che hanno il maggior numero di soldati e qual è il confronto tra Russia e Ucraina.

Secondo le stime ONU, la Cina è la nazione che ha ad oggi le forze permanenti (esercito, marina, aviazione ecc.) più ampie. Si parla infatti di 2 milioni e 255 mila militari permanenti e 800 mila forze di riserva. Alle spalle del colosso asiatico, troviamo gli Stati Uniti con quasi 1 milioni e mezzo di forze permanenti e altrettante forze di riserva. In terza posizione si piazza, invece, l’India con 1.414.000 forze permanenti e 1.155.000 forze di riserva.


La Russia può contare su oltre un milione di forze permanenti e 754 mila forze di riserva, mentre l’Ucraina si ferma a 148 mila forze permanenti e 1 milione di forze di riserva.

Il confronto nel dettaglio tra Russia e Ucraina
Oltre ai dati ONU è interessante analizzare anche i numeri pubblicati da Global Firepower, che analizzano ancora più nel dettaglio le due potenze.
Per quanto riguarda le forze aeree, per esempio, la sfida tra Ucraina e Russia è decisamente impari. La Russia si posiziona infatti al secondo posto a livello mondiale con 4.173 aeromobili, mentre la dotazione ucraina si limita a 318 apparecchi (differenza di 3855) e si posiziona in 31a posizione nel mondo.
Se parliamo di aerei da caccia, l’Ucraina ne ha 69 e la Russia ben 703 in più: 772. Anche su questo fronte, la Russia entra nella “top 3” a livello globale.
Pure negli attacchi da terra la Russia può contare su una strumentazione più ampia. Dai carri armati, 12.420 (prima al mondo) rispetto ai 2.596 dell’Ucraina, ai veicoli corazzati che in Russia sono oltre 30mila e in Ucraina 12 mila e 300. Una differenza che di forza che si conferma anche nella flotta navale, con 605 mezzi in Russia e solo 38 in Ucraina; 70 sottomarini russi e nessuno ucraino.

Armi convenzionali :arsenale missilistico disponibile a fine novembre 2022
3.000 missili ad alta precisione, altri 7.000 a bassa precisione ma ad alto potere distruttivo e circa 28.000 missili terra-aria che stanno venendo trasformati in missili terra-terra oltre.

Ucraina. Mosca non ha gli arsenali vuoti: altri 3.000 missili di precisione

-alcune migliaia di droni iraniani Shahed ,anche in corso di produzione russa.

Armi ultima generazione russe -anno 2018- 2022


-missili aria-terra Kh-32
-La bomba planante

https://it.wikipedia.org/wiki/Armi_e_mezzi_dell'Esercito_della_Federazione_Russa


ARMAMENTI RUSSI NUCLEARI.Nucleare tattico Ecco perché la Russia potrebbe usare armi nucleari tattiche

Secondo la Federation of American Scientists, Mosca ha un arsenale di 5.977 testate nucleari - tattiche e strategiche - a disposizione: più di qualsiasi altro Paese al mondo e di tutte le riserve Nato messe insieme. Allerta potenziale per il sommergibile K-329 Belgorod nei mari artici, in grado di sparare il missile-drone Poseidon. Il missile balistico intercontinentale Sarmat è il fiore all’occhiello di Putin

A fare una stima, che dà il senso della minaccia atomica della Russia, è la Federation of American Scientists. Si tratta, spiega, di un arsenale di 5.977 testate nucleari a disposizione, fra tattiche e strategiche: più di qualsiasi altro Paese al mondo e di tutte le riserve Nato messe insieme. Di queste, circa 1.500 sarebbero ormai pronte per essere smantellate perché vetuste. Mentre ci sarebbero almeno 1.588 bombe pronte all'uso, già montate su basi di lancio da terra, lanciamissili sottomarini e caccia

Nei giorni scorsi Putin ha evocato per il conflitto in Ucraina l'impiego di armi nucleari tattiche, cioè con un potenziale e una gittata inferiori rispetto a quelle strategiche, in modo da colpire obiettivi specifici sul campo. "Difenderemo i nuovi territori con ogni mezzo a nostra disposizione", ha detto. Questo ha fatto inevitabilmente alzare il livello di allerta in Occidente. Un attacco nucleare russo all'Ucraina, infatti, al momento è considerato improbabile dall'intelligence occidentale “ma non escluso”.

Il Sarmat

21 NOV 2022 DAILY EXPRESS: PUTIN HA LANCIATO UN DURO MONITO A TUTTI I NEMICI DELLA FEDERAZIONE RUSSA DOPO AVER TESTATO PER LA SECONSA VOLTA IL MISSILE “SARMAT”
Officially named the RS-28 Sarmat missile, the projectile can reach speeds of an intimidating 16,000 mph.
It also has a range of over 11,000 miles, and can carry at least 10 warheads at a time. Overall the missile is around 1,000 times more powerful than the bombs dropped by the US on Hiroshima and Nagasaki in Japan during the second World War.

BELGOROD

Secondo un'informativa della Nato, un potenziale pericolo sarebbe determinato dalla presenza del K-329 Belgorod nei mari artici: si tratta di un enorme sommergibile a propulsione nucleare con "compiti speciali" di ricerca, esplorazione e soccorso a grande profondità. Lungo 184 metri e largo 15, è il più grande dai tempi della flotta sovietica (nella foto, un sottomarino russo)

Il sommergibile è anche in grado di sparare il missile-drone Poseidon. Chiamato in codice "Status-6", è un siluro lungo 24 metri concepito per portare testate atomiche da due megatoni a diecimila km di distanza ed esplodere nei pressi della costa, provocando uno “tsunami radioattivo” con onde alte fino a 500 metri che, secondo le simulazioni della tv di Stato russa, spazzerebbero via il Regno Unito

Il Belgorod può navigare in immersione a circa sessanta chilometri orari e con un'autonomia virtualmente illimitata. Si ritiene che possa rimanere 120 giorni senza tornare in superficie. Nei giorni scorsi è stato citato nelle analisi sul possibile sabotaggio di Nord Stream, ma non ci sono prove a riguardo



PROPAGANDA UCRAINA E OCCIDENTE

Ucraina. Va bene la propaganda, ma qui si esagera! | Notizie Geopolitiche



Secondo Carlo Freccero a Mariupol bombardamenti finti e donne attrici

Festa nelle strade di Donetsk mentre parla Putin​


Donetsk, le testimonianze dei cittadini: "Putin ha fatto bene"


 
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Sostenibilità del conflitto

Fonte Parabellum,Mirko Campochiari


Campochiari afferma che gli ucraini consumano 180.000/mese munizioni per gli 155 mm ,mentre gli Usa ne producono 100.000/anno,e ne hanno fornite oltre 800.000 agli ucraini.
La base industriale bellica statunitense non riesce a tenere il passo con la domanda di armi di Kiev in quanto l’esercito ucraino userebbe in modo sconsiderato le armi inviate.
Il Pentagono ha calcolato che l’artiglieria ucraina ha consumato in 8 mesi oltre 806.000 proiettili da 155 mm senza infliggere importanti perdite al nemico.

Fonte

Gli USA stanno esaurendo armi e munizioni da inviare in Ucraina (Aurelio Tarquini) - FarodiRoma
Uno stralcio:
L’uso antieconomico delle armi NATO da parte dei soldati ucraini viene confermato proprio nella tipologia di armi americane che hanno raggiunto la soglia minima di stoccaggio. Munizioni di artiglieria da 155 mm, missili antiaerei Stinger, missili MIM-23 Hawk, missili superficie-superficie GMLRS e i missili anticarro portatili Javelin.

Cosa si intende per riserva strategica per la difesa nazionale? Ad esclusione di Russia e Cina, la maggioranza dei Paesi non hanno una produzione costante di armi, che viene attivata a scala industriale solo in caso di un conflitto duraturo e ad alta intesità. La maggioranza dei Paesi detiene uno stock minimo di armi per la difesa nazionale che gli permette di far fronte al primo periodo di guerra per poter avere il tempo necessario a mettere in moto la produzione industriale di armi e munizioni. A titolo di esempio, gli Stati Uniti hanno una riserva strategica che permette di affrontare una guerra ad alta intensità per circa 12 mesi, la Francia per 6 mesi, l’India per 3 mesi, il Pakistan per 1 mese.

Gli Stati Uniti dopo essersi ritirati dall’Afghanistan ed essere passati a un ruolo consultivo in Iraq, non hanno avuto necessità di produrre armi e munizioni su scala industriale per sostenere un conflitto duraturo. Ad aggravare la situazione é giunto un grossolano errore di valutazione. All’inizio del conflitto ucraino, Pentagono e Casa Bianca erano convinti che l’azione combinata di fornitura di montagne d’armamenti a Kiev e sanzioni economiche internazionali avrebbero piegato la Russia in 6 mesi. Questa convinzione ha portato a fornire armi senza risparmio attingendo dallo stock della difesa nazionale senza avviare la loro produzione industriale di massa.

Ucraina, Cnn: "Usa a corto di armi da inviare a Kiev"

Iniziano a scarseggiare armi e munizioni che gli Stati Uniti possono inviare all'Ucraina. Lo rivelano tre fonti alla Cnn, una delle quali spiega che le scorte "si stanno riducendo", dopo nove mesi di consegne a Kiev, ricordando che esiste "un numero limitato" di armamenti in eccesso che gli Stati Uniti possono inviare senza mettere a rischio i propri arsenali.

Secondo le fonti della Cnn, le scorte che preoccupano maggiormente sono quelle delle munizioni da artiglieria da 155mm e i missili lanciati a spalla Stinger. Altre fonti sollevano poi preoccupazioni sui tempi di produzione di sistemi di armi, tra i quali i missili Harm, missili Gmlrs e i missili anti-tank Javelin, per i quali gli Stati uniti hanno accelerato i tempi di produzione.

https://www.adnkronos.com/ucraina-cn...qxy?refresh_ce vecchio link che non si apre più

Ucraina, Cnn: "Usa a corto di armi da inviare a Kiev" nuovo link

Discorso dei missili russi finiti.Quando viene detto che dobbiamo sostenere l’ucraina perché i missili russi sono finiti e ogni mese ne arrivano 100 è un discorso propagandistico occidentale.Perchè non è così,le stime erano ca. 5500-6000 missili in loro possesso.(V. post precedente)
Poi è uscito il discorso dei chip occidentali contenuti in questi missili come possiile problematica.
Ma quanti milioni di chip negli ultimi 20 anni abbiamo venduto alla Russia,e se si sono preparati da 8 anni a questa guerra quanti ne hanno messi da parte ?.
E i dati sul campo dicono che non li hanno finiti,le fabbriche russe che fanno armamenti lavorano su 3 turni e anche la domenica,quindi siamo attorno ai 75-100 missili prodotti al mese che poi alternano quindicinalmente con i droni che ,a seguito degli accordi recentemente ufficializzati con l’Iran,vengono pure prodotti in Russia"
Post pubblicato su “Aspetti strategico-militari…” fonte:video Campochiari a inizio post."



La Fontaine (ndr: Lafontaine, presidente dell’SPD,candidato cancelliere e ex ministro federale delle finanze):

L’esplosione di Nord stream è una dichiarazione di guerra alla Germania.È stato un atto ostile contro la Repubblica Federale – non solo contro
di essa, ma anche – che chiarisce ancora una volta che dobbiamo liberarci dalla tutela americana.
L’obiettivo dovrebbe essere chiaro: il ritiro di tutte le strutture militari statunitensi e delle armi nucleari dalla Germania e la chiusura della base aerea di Ramstein.

L’Europa sta pagando le ambizioni di Washington di
diventare una potenza mondiale......



La Fontaine L’esplosione di Nord stream è una dichiarazione di guerra alla Germania


Il regista statunitense Oliver Stone ha ricordato in un'intervista che il conflitto in Ucraina è stato innescato da azioni deliberate di Washington che hanno portato Kiev a perdere il suo status neutrale nei confronti della Russia.


Oliver Stone e il "vero responsabile" della guerra in Ucraina
 
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Ucraina diritti civili.L’edizione 2021-2022 del Rapporto di Amnesty International .

TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI.VIOLENZA DI GENERE.LIBERTA DI STAMPA.

Ucraina: dalla libertà di stampa a rischi di censura

Ucraina: le violazioni dei diritti umani accertate nel 2021

l Fondo monetario internazionale ha confermato 5 miliardi di dollari per l'Ucraina. L'economia del paese ne ha davvero bisogno ma l'organizzazione internazionale chiede riforme che tardano ad arrivare.

Zelensky si diceva finalmente pront a intraprendere un percorso di crescita sostenibile, demolendo le strutture oligarchiche che hanno frenato lo sviluppo del paese dall'indipendenza nel 1991.

A fine di ottobre, la Corte costituzionale ha fatto deragliare gran parte dei progressi nella lotta alla corruzione degli ultimi anni, revisionando la legge anticorruzione sui funzionari pubblici e innescando così una crisi costituzionale.

E' sempre stato il FMI a finanziare con il contagocce l’Ucraina, ufficialmente membro dal 1992. Il paese da allora ha firmato diversi programmi con il Fondo ma nessuno è mai stato portato a termine in quanto Kiev non è mai riuscita a mantenere le promesse date .

FMI: l'Ucraina ne ha bisogno "come sangue nelle vene"

26/02/2021 - Claudia Bettiol

La democrazia in Ucraina

Ucraina: una democrazia che stava per cancellare i contratti di lavoro

La "democrazia ucraina". La fake dell'anno smontata in 3 minuti

Il nazismo in Ucraina (Putin ha ragione a voler denazificarla?)

Perchè non si deve parlare della HitlerJugend in auge a Kiev. La censura dei media occidentali sul neonazismo ucraino (Vladimir Volcic) - FarodiRoma

Ucraina. Kiev, capitale mondiale dell’odierno neonazismo in Europa (del nazismo)

A Lviv/Leopoli si sono svolti i funerali dell'89enne Yuri Shukhevych, leader neonazista ucraino

Cronistoria di questa guerra raccontata da M.Travaglio in un video di 22'.

 
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ho trovato questo articolo di Ernesto Galli della Loggia non sapevo dove metterlo quindi lo metto qua come reperto storico della seconda guerra mondiale

in pratica si dice che c'era un accordo segreto tra germania e russia sull inizio della seconda guerra mondiale ovvero sull invasione della polonia e su similitudini con le annessioni recenti

vabbè tanto lo leggerà solo Torre :o

L’ossessione che spinge la Russia​


L’annessionismo e la ricerca di una sfera d’influenza erano dietro il patto firmato nel 1939 da Molotov e von Ribbentrop. E sembrano animare anche le scelte di Putin​

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I ministri degli Esteri sovietico Vjačeslav Molotov e nazista Joachim von Ribbentrop nel 1939

(Ernesto Galli della Loggia – corriere.it) – La storia può essere una mirabile galleria di precedenti: il 31 ottobre 1939, in una sessione straordinaria del Soviet Supremo, Molotov, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli esteri dell’Unione sovietica, dopo aver definito la Polonia appena annientata dalle armate naziste «una mostruosa creatura generata dal Trattato di Versailles tenuta in vita a spese dell’oppressione delle nazionalità non polacche», e della quale perciò era impensabile una futura restaurazione, annunciò l’accoglimento della richiesta da parte delle locali Assemblee del popolo di far entrare l’Ucraina e la Bielorussia occidentali (fino a due mesi prima territori a tutti gli effetti polacchi) nell’Urss. Più o meno insomma — sia pure senza l’ipocrita modalità del finto referendum — si trattò della medesima tecnica di annessione messa in opera qualche mese fa da Vladimir Putin ai danni della regione ucraina del Donbass: «Sono loro che vogliono essere annessi, noi non facciamo altro che acconsentire». All’annessione dei territori polacchi fece poi seguito da parte di Mosca l’occupazione militare nonché la brutale quanto rapida sovietizzazione anche di Estonia, Lettonia e Lituania culminata nel giugno del ’40 nell’ incorporazione anche dei tre Stati baltici nell’Unione sovietica. Solo con la Finlandia l’operazione non riuscì perché Helsinki decise di resistere con le armi.
Quello appena ricordato è l’esempio più clamoroso (dirò poi perché) di due caratteri costitutivi della storia russa da cui con tutta evidenza Putin è suggestionato fin quasi all’ossessione: l’annessionismo e la ricerca di una sfera d’influenza.
Tra il XVII e il XIX secolo una particolarissima condizione geografica consentì alla Moscovia, il cuore dello Stato russo, di divenire, prima grazie alla conquista della sterminata Siberia e all’annessione di gran parte della Polonia-Lituania, dell’Ucraina e della Crimea, e poi grazie all’occupazione coloniale dei confinanti altrettanto immensi territori dell’Asia centrale, l’unico Stato transcontinentale del pianeta: da Varsavia all’Alaska (russa fino a metà ’800), dall’Artico alle vette dell’Hindu-Kush. Ciò che peraltro non impedì alla medesima Russia zarista di aspirare costantemente anche a una sfera d’influenza nei Balcani e a uscire dal Mar Nero verso il Mediterraneo. La Russia sovietica fu la degna erede di questa storia. A causa della Prima guerra mondiale e della rivoluzione essa dovette rinunciare agli Stati Baltici, alla Polonia e alla Finlandia, ma nonostante i proclami iniziali si guardò bene dal concedere l’indipendenza all’Asia islamica che anzi in pratica incorporò. Anche nei dirigenti comunisti, insomma, rimase la medesima ossessione spaziale dei loro predecessori: se possibile ancor più acuita dal perenne timore paranoico della «reazione in agguato», del nemico esterno, dal quale quindi cautelarsi allontanandolo alla maggiore distanza possibile.

Ma non è questa esattamente la medesima ossessione che si legge oggi dietro i discorsi e le azioni di Vladimir Putin, dietro la sua decisione di aggredire l’Ucraina? Non è forse anche all’odierno padrone del Cremlino che l’espansione, la ricerca di sempre maggior spazio, la bulimia di influenza territoriale, appaiono il solo modo di esorcizzare l’insicurezza profonda di cui il suo potere, così come da secoli ogni potere russo a torto o a ragione, si sente sempre minacciato? Non sembra forse anche lui convinto che qualunque venir meno di un «grande spazio» metta in discussione la stessa identità dello Stato russo (quasi, viene da pensare, che come i suoi predecessori pure lui non sia sicuro di dove inizi e dove finisca la Russia stessa)?
Ma finito il tempo degli zar dal 1917 Mosca ha un problema cruciale: cercare di nascondere o contraffare di fronte al mondo il carattere reazionario e le brutali conseguenze imperialistiche del suo drammatico e irrisolto rapporto con lo spazio.
Ed è precisamente da questo punto di vista che appare davvero esemplare, simbolicamente esemplare, il comportamento tenuto dal potere russo rispetto al documento-chiave, all’atto in un certo senso fondativo, della sua vertiginosa crescita territoriale e di potere geo-politico in coincidenza con la Seconda guerra mondiale. Comportamento sul quale oggi possiamo dire di sapere tutto grazie a un importante libro appena uscito di Antonella Salomoni (Il protocollo segreto. Il patto Molotov-Ribbentrop e la falsificazione della storia, il Mulino) che ne ha ricostruito tutte le tappe.
Si tratta del protocollo firmato dall’Urss e dalla Germania nazista contemporaneamente al Patto di non aggressione del 23 agosto ’39 — che entrambe le parti s’impegnarono a tenere segreto — con il quale non solo in pratica i due Paesi si spartirono la Polonia ma si dividevano altresì in due grandi sfere d’influenza tutta l’area dalla Finlandia alla Moldavia (dove come ho già detto, la Russia si affrettò subito a fare man bassa in attesa di completare l’opera dopo il 1945). Un protocollo segreto che cambiava completamente la vera natura e il significato del patto. Il fine sbandierato della «non aggressione», diveniva infatti la maschera di tutt’altro: della piena partecipazione dell’Urss ai frutti dell’aggressione hitleriana alla Polonia, atto d’inizio della guerra europea. Era cioè il consenso sovietico a quell’aggressione in cambio di un enorme ampliamento territoriale sul Baltico e della creazione di una potenziale sfera d’influenza nei Balcani sudorientali. Da parte russa, dunque, era non già un modo per guadagnare tempo e cercare di ritardare l’attacco della Germania considerato prima o poi inevitabile — come l’ Unione sovietica si sforzò da subito e poi sempre in seguito di presentare l’accordo — bensì si trattava di una vera e propria alleanza in cui Berlino metteva le armi e Mosca il suo placet (oltre che una vera e propria valanga di materie prime per la macchina bellica tedesca, con un’altra intesa): ovviamente comune, pertanto, la divisione degli utili. Come avrebbe ammesso il presidente della Commissione d’indagine russa nominata un anno prima del crollo del comunismo, il protocollo «inficiava lo status ufficiale dell’Urss come neutrale»: insomma ne faceva virtualmente un’alleata del Terzo Reich e perciò suo complice nello scatenamento della guerra. L’intero senso del secondo conflitto mondiale ne usciva profondamente cambiato rispetto alla versione corrente: era dunque davvero necessario che il protocollo restasse segreto.
Ciò che fu possibile perché la sola altra copia esistente, quella presso il ministero degli esteri tedesco, era andata distrutta sotto le bombe. Sicché il mondo potè venire a conoscenza dell’accordo unicamente perché subito dopo la guerra uno stretto collaboratore di Ribbentrop ne cedette una copia microfilmata agli americani in cambio della libertà. Copia che naturalmente i sovietici sostennero sempre essere un volgarissimo falso.
Per mezzo secolo Mosca negò sempre, ostinatamente, l’esistenza del protocollo e lo stesso documento cartaceo originale con il testo del medesimo e le relative firme fu trasferito dall’archivio del ministero degli esteri per venire sepolto, con la classificazione più segreta, nell’archivio del Dipartimento generale del Comitato centrale del Pcus, una specie di camera blindata degli arcana imperii del comunismo russo. Un documento circondato da un valore politico-simbolico così dirompente che — ci dice Salomoni — della sua vera esistenza furono sempre a conoscenza pochissimi e che quando nel luglio 1987 Gorbaciov chiese che gli fosse mostrato, dopo averlo studiato decise di non condividerne il contenuto nemmeno con i membri del Politburo ordinando: «Non bisogna mostrarlo a nessuno. Sarò io stesso a dire con chi occorre farlo».
L’ora della verità sarebbe così venuta solo alla vigilia del crollo dell’Unione sovietica. Alla vigilia della «più grande catastrofe geopolitica della storia», come tante volte l’ha definita con rammarico Putin: dimentico però che prima di quella geopolitica c’era stata una gigantesca catastrofe morale e che nella storia talvolta capita che tra le due cose ci sia qualche rapporto.



 
Indice dei miei contributi in chiave "Prospettiva Nevsky".

Post #13
1- Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avrebbe potuto evitare la guerra ma non l’ha fatto, rifiutando la proposta del cancelliere tedesco Olaf Scholz di rinunciare all’ingresso nella Nato.La rivelazione del Wall Street Journal pubblicato il 1.4.22.

2-“La Nato non avanzerà verso est neppure di un centimetro”. Documenti sulle promesse dell’occidente alla Russia.
“La Nato non si estenderà a est”: le promesse da marinaio che convinsero Gorbaciov .
Der Spiegel pubblica documento segreto: la Nato non avrebbe accettato paesi dell'ex blocco sovietico

3-Articolo di Giulietto Chiesa del 28 aprile 2018 ,nel quale cita la Conferenza di Monaco sulla Sicurezza, nel 2007.
4- Stoltenberg: la decisione dell'Ucraina nella Nato presa nel 2008.

Post #25
1-Estensione Nato a Est contro accordi 1991.Ispiratore Bill Clinton.
2-Donbass.Ispiratore Obama.
3-Diego Fabbri Limes aprile 2014 (Art. "Fomenta e Domina").Obama,Mc Cain e Nuland .
4-Annessione Crimea alla Federazione Russa
5-Piazza Maidan
6-Intervista al gen.Marco Bertolini.Le mosse degli Usa per evitare un'alleanza tra Europa e Russia.
7-La strage a Odessa del 2 maggio 2014
8-Limitazioni alla lingua russa del governo di Kiev

Post #29
1- Gli Usa addestravano Kiev per la guerra già da 8 anni
2-A.Merkel intervista del 10.12.22. Accordi di Minsk furono un tentativo di dare tempo all'Ucraina di prepararsi.
3- “COME L’OCCIDENTE HA PROVOCATO LA GUERRA IN UCRAINA” / UN BEST SELLER LO SPIEGA
4-Eserciti più potenti l mondo.
5-ARMAMENTI RUSSI NUCLEARI .Arsenale missilistico.Droni.Il Sarmat.Il BELGOROD
6-PROPAGANDA UCRAINA E OCCIDENTE
7-Donetsk, le testimonianze dei cittadini: "Putin ha fatto bene"

Post #30
1-Sostenibilità del conflitto
2-La Fontaine .L’esplosione di Nord stream è una dichiarazione di guerra alla Germania.
3-Intervista a Oliver Stone :conflitto in Ucraina innescato da Washington che ha portato Kiev a perdere il suo status neutrale nei confronti della Russia.

Post #31
1-La democrazia in Ucraina
2-Il nazismo in Ucraina (Putin ha ragione a voler denazificarla?)
 
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Visto che il buon Torre si è dimenticato di questo suo ottimo lavoro,e lo ha lasciato deperire nel dimenticatoio,lo rispolvero io,augurando all'autore Buon Natale:
E mi raccomando, leggetelo,sopratutto i miei post...:fiufiu:....e auguri a tutti,ai buoni e ai meno buoni :cincin:
Il buon Torre è asceso a livelli di consapevolezza superiore e ha passato il testimone della sua mission ai suoi discepoli ........ :o

Segnalo però che qualcuno di loro NON :no:ha superato l'esamino finale (e avevo fatto pure finta di distrarmi per farli copiare a mia insaputa ..... :wall::wall::wall:) ...... ergo NON :no: ha conseguito neanche il patentino di predicatore level entry ......... :o

Invito quindi tutti a NON :no: prendere per oro colato certi post scritti qui ....... soprattutto se scritti da chi si offra di vendervi copie originali della piramide di Cheope soprattutto se prodotte in Bielorussia ....... :5eek:

E pensare che una volta ci si limitava a vendere la fontana di Trevi o il colosseo ........ :(

Poi non dite che l'indizio non ve l'ho dato ...... :P

PS: ma manco uno straccio di discussione per farci gli auguri avete aperto ......... :wall:
 
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oppala'

Aumentano i dissidi politici tra la Cecenia e la Russia​

Nicolai Lilin
14 Febbraio 2023 - 14:27
 

Joe Biden e gli affari con l'Ucraina: una storia di dieci anni e con qualche punto interrogativo​

Il rapporto tra il presidente americano e Kiev ha origini lontane. Ma l'intreccio tra la famiglia Biden e gli affari su gas e petrolio hanno rischiato di fargli fallire l'arrivo alla Casa Bianca​

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Tgcom24

Joe Biden, Vladimir Putin e l'Ucraina: non è una storia solo degli ultimi giorni ma è un braccio di ferro che ha origini più lontane.​


Durante la presidenza americana di Barack Obama (dal 2009 al 2017) il braccio destro con una "delega" sulla politica internazionale era proprio Joe Biden. "Il presidente Obama mi manda nei luoghi dove lui non vuole andare", ha detto a febbraio 2014 quando arrivò a Kiev poco dopo la drammatica insurrezione popolare di piazza Maidan sedata nel sangue. Arrivò a sostegno del fragile governo ucraino subito dopo la fuga del presidente filorusso Yanukovich. Mosca decise di annettersi la Crimea con un blitz militare ma non proseguì proprio per il "muro" alzato da Biden.



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Ucraina, cosa sta succedendo: i perché della crisi tra Mosca e Kiev

Biden e l'odio verso Putin - E' stato Joe Biden in quegli anni a portare avanti la politica di avvicinamento dell'Ucraina alla Nato. Voleva togliere potere politico ed economico alla Russia. I rapporti con Putin non sono mai stati sereni. I biografi americani parlano di un odio tra i due e lo stesso Biden ama ricordare un loro incontro. Cremlino, 9 marzo 2011, cena di gala. Joe Biden si avvicina a Putin per sussurrargli: "Signor Presidente, io la sto guardando negli occhi e penso che lei non abbia un'anima". Putin sorridendogli gli rispose: "Io e lei ci capiamo". Biden volò a Kiev e di fatto bloccò l'avanzata di Putin dalla Crimea. Otto anni dopo il presidente russo nell'annunciare l'operazione militare in Ucraina ha detto: "Non rifaremo lo stesso errore una seconda volta". In parte riferendosi proprio a quell'episodio.

La famiglia Biden e i rapporti economici con l'Ucraina - Negli ultimi anni il nome di Joe Biden è stato associato anche a uno scandalo sull'Ucraina che aveva fatto vacillare anche la sua candidatura. Uno scandalo, va detto, fatto anche di fake news portate avanti dal suo antagonista, Donald Trump, che per alcune accuse fasulle è arrivato anche a subire un processo di impeachment, ancora in corso. Lo "scandalo" riguarda l'assunzione di Hunter Biden, figlio di Joe. In famiglia Hunter è sempre stato considerato la "pecora nera". Era nei riservisti della Marina dove però nel 2014 fu congedato perché trovato positivo alla cocaina. Di tutt'altra pasta rispetto al fratello Beau, promettente politico e probabilmente vero "erede" di Joe, stroncato nel 2015 da un tumore al cervello. Hunter Biden non aveva grandi prospettive in casa ma grazie alla sua laurea in legge trovò "fortuna" nella consulenza.

Il caso Burisma Holdings - Siamo ad aprile 2014 quando la Burisma Holdings, la maggiore compagnia energetica dell'Ucraina (attiva sia su gas che petrolio), assume per una consulenza proprio Hunter Biden. Avere nel proprio board un nome di "peso" avrebbe sicuramente portato giovamento al prestigio dell'azienda. Va detto che l'Ucraina, e le sue aziende, sono spesso ricordate per la scarsa trasparenza ma soprattutto l'alta corruttibilità. Hunter Biden viene assunto con uno stipendio di 50mila dollari al mese. Tutto trasparente, se non fosse che durante quei mesi Joe Biden ha proseguito la politica americana volta a far riprendere il possesso da parte dell'Ucraina di quelle zone del Donbass ora divenute Repubbliche riconosciute dalla Russia. La zona di Donespt è ritenuta ricca di giacimenti di gas non ancora esplorati finite nel mirino della Burisma Holdings. Una politica internazionale intrecciata a quella economica che ha fatto storcere il naso anche ai media americani in quegli anni.

Trump, l'elezione e le fake news - E si arriva al 2017 anno in cui diventa presidente Donald Trump. E arriva alla Casa Bianca anche grazie all'uso, un po' arrembante dei social network. Solo dopo la sua elezione si scoprono aziende come Cambridge Analytica che usava informazioni degli utenti di Facebook per pilotare informazioni spesso e volentieri fasulle che però hanno pilotato il voto alle presidenziali. E poi gli hacker russi, i quali, su ordine di Putin stando a quanto dichiarato mesi dopo dalla Cia, danneggiarono la campagna dell'altra candidata Hillary Clinton. L'elezione di Trump fece fuori "l'amico" dell'Ucraina, Joe Biden.

L'Ucrainagate su Joe Biden - Durante la campagna elettorale del 2020 scoppiò l'Ucrainagate. Donald Trump nel tentativo di screditare il suo avversario fece pressioni sul presidente Volodymyr Zelensky affinché aprisse un'inchiesta nei confronti del figlio di Biden e dei rapporti con la Burisma Holdings. Una inchiesta che avrebbe potuto mettere in cattiva luce Biden. Trump in una telefonata con Zelensky fece capire che gli aiuti all'Ucraina erano legati all'apertura di questa inchiesta. Ed effettivamente gli aiuti economici e militari all'Ucraina furono bloccato pochi minuti dopo quella telefonata. Evidentemente Zelensky non aveva dato "garanzie" sufficienti su quell'inchiesta. Ma quella telefonata (oltre a una serie di testimonianze) aprì di fatto la porta all'impeachment contro il tycoon.


Biden e Zelensky, l'ultimo atto - Arriviamo a dicembre 2020, Joe Biden è il nuovo presidente degli Stati Uniti. La situazione in Ucraina si comincia scaldare nuovamente visto che ritorna in campo il "nemico" di Putin. In una intervista al New York Times Zelensky accoglie con favore l'esito delle presidenziali Usa: "Joe Biden conosce l'Ucraina meglio del precedente presidente e aiuterà davvero a risolvere la guerra nel Donbass e a porre fine all'occupazione del nostro territorio", diceva molto fiducioso il presidente ucraino. La storia dei nostri giorni dice tutt'altro.
 
@torre1,
per quanto riguarda il cap. del primo post “04) Crimini di guerra ucraini e russi anteriori al 24-02-2022 (da completare)” riporterei il documento ufficiale OSCE (che ti ho già segnalato in altra discussione):
https://www.osce.org/files/f/documents/e/7/233896.pdf
Titolo inequivocabile: “Crimini di guerra delle forze armate e delle forze di sicurezza dell’Ucraina: torture e trattamenti disumani”.

Visto che si sono, aggiungo il documento ufficiale di Amnesty International, che ho (ri)trovato non senza fatica (chissà perché, non esiste nessuna traduzione in italiano, né ho trovato alcun media italiano che ne parli):
https://www.amnesty.org/en/wp-content/uploads/2021/06/eur500402014en.pdf
Titolo: “Ucraina: abusi e crimini di guerra da parte del battaglione di volontari Aidar nella regione settentrionale di Luhansk”
Il documento, sempre di Amnesty International, che riporta tale briefing, ha per titolo: “L'Ucraina deve porre fine agli abusi e ai crimini di guerra in corso da parte delle forze volontarie filoucraine”.
Ukraine must stop ongoing abuses and war crimes by pro-Ukrainian volunteer forces
Tra le altre cose riporta:
”il segretario generale di Amnesty International Salil Shetty ha esortato il governo ucraino a fermare gli abusi e i crimini di guerra da parte di battaglioni di volontari che operano a fianco delle normali forze armate ucraine.”
”Amnesty International ha documentato una crescente ondata di abusi, inclusi rapimenti, detenzioni illegali, maltrattamenti, rapine, estorsioni e possibili esecuzioni commesse dal battaglione Aidar. Alcuni di questi equivalgono a crimini di guerra.”
“il primo ministro ucraino ha espresso l'impegno del governo a rendere conto di tutti gli autori di abusi legati al conflitto.”

Giova ricordare che OSCE e Amnesty International sono talmente filo-russe che entrambe stanno attivamente indagando sui crimini di guerra russi, e che la sede a Mosca di AI è stata chiusa dai russi per ritorsione (La Russia chiude le sedi di Amnesty e Human Rights Watch - Mondo).

@tutmosi,
citi un paio di volte la decisione del 2008 della NATO di ammettere (o annettere) l’Ucraina, derivandola da articoli o interviste a Stoltenberg.
Perché non andare direttamente alla fonte ufficiale, ossia al sito della NATO stessa (Dichiarazioni del summit di Bucarest):
Bucharest Summit Declaration issued by NATO Heads of State and Government (2008)
Capitolo 23:
“NATO welcomes Ukraine’s and Georgia’s Euro-Atlantic aspirations for membership in NATO. We agreed today that these countries will become members of NATO.”
Qualcuno avrà ancora dubbi?
 
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Su altra carta da toilette su cui si basano i nostri "fini storici"....

12.5 Gli accordi di Budapest: aspetti giuridici​


La genesi e la sostanza del Memorandum di Budapest vengono ricostruite e delineate da un punto di vista critico dall’accademico, ex ambasciatore e rappresentante ucraino alla NATO, Volodymyr Vasylenko, che prese anch’egli parte alla stesura dei principi concettuali e delle disposizioni del Memorandum sottoscritto a Budapest. Nella sua relazione dall’emblematico titolo On Assurances Without Guarantees in a Shelved Document[31] sottolinea le lacune e i limiti che contrassegnarono gli accordi presi nel 1994 riguardo alla sicurezza del suo paese. Vasylenko, in una cronistoria relativa al disarmo nucleare di Kiev, ricorda come, in realtà, generali negoziati per garanzie di sicurezza all’Ucraina denuclearizzata e inserita nel TNP si svolsero ben prima del 1994 e quindi non esclusivamente in occasione degli accordi di Budapest. Gli incontri preparatori risalgono infatti all’aprile del 1992 e portarono ai protocolli di Lisbona, attraverso i quali Ucraina, Bielorussia e Kazakistan compirono un primo passo verso la liquidazione del loro arsenale nucleare entrando a far parte dei paesi firmatari del trattato START[32]. Vasylenko quindi riferisce come i cinque Stati nucleari non avessero in effetti stretto alcun impegno speciale rispetto all’Ucraina: si trattò più che altro di una riaffermazione di quei valori fondamentali espressi nella Carta delle Nazioni Unite e nell’atto finale della conferenza di Helsinki, ribadendo i principi pilastro dell’architettura giuridica internazionale uscita dal secondo conflitto mondiale e dalla Guerra fredda, come il diritto all’autodeterminazione, il rispetto dell’integrità e della sovranità territoriale di ogni Stato indipendente e quella dei confini.

Gli Stati nucleari firmatari del Memorandum hanno inoltre ribadito il loro impegno a cercare l’immediata azione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per fornire assistenza a Kiev nel caso dovesse essere oggetto di un atto di aggressione o di una minaccia d’aggressione attraverso armamenti atomici. Gli Stati firmatari si impegnarono altresì ad astenersi dall’uso dell’arma nucleare contro i non-nuclear states in conformità con le disposizioni del TNP. Vasylenko ricorda come, in realtà, l’unico vero obbligo raggiunto dai tre Stati firmatari fu quello delle consultazioni, su richiesta di Kiev, nel caso in cui si crei una situazione che metta a potenziale rischio uno o più principi del Memorandum.

Dalla disamina critica dell’ex diplomatico ucraino emerge come negli accordi siglati a Budapest, anche per quanto concerne le suddette consultazioni, non vi siano tuttavia clausole che stabiliscano la procedura di convocazione e di svolgimento di tali consultazioni, né come si formulino eventuali decisioni e come esse vengano possibilmente implementate. Vasylenko ricorda inoltre come i documenti con cui Cina e Francia accordarono le proprie security guarantees all’Ucraina non richiedessero neppure l’istituzione di consultazioni. La vaga dichiarazione cinese, dal canto suo, contiene un’approssimativa formula che promuove «una soluzione pacifica delle eventuali controversie ed equilibrate consultazioni»[33]. La dichiarazione francese, invece, non fa del tutto cenno a un qualsivoglia meccanismo consultivo.

In conclusione, è possibile affermare come nonostante la scarsa vincolatività complessiva e le opacità degli accordi stipulati a Budapest sinora presi in esame, il Memorandum ebbe tuttavia la facoltà di accendere i riflettori sull’Ucraina e di conferire a essa attenzione mediatica e prestigio internazionale, integrandola gradualmente verso lo spazio democratico euroatlantico. Dalle varie analisi e dibattiti odierni sul lascito del Memorandum si sono generati nei circoli politici e accademici ucraini altrettanti dibattiti relativi a quale dovrebbe essere la pietra angolare della politica estera e della strategia nazionale del paese. Alla luce di quanto descritto, che il Memorandum di Budapest possa costituire questa pietra angolare della politica estera appare evidentemente irrealistico, non tanto per via della mancanza di meccanismi adeguati di risposta in caso di determinate violazioni dei suoi principi, ma in primo luogo a causa della sua occasionalità, attivandosi esclusivamente nel caso in cui si vengano a creare serie situazioni di crisi. Difatti, dalla sua entrata in vigore nel 1994, prima della grande crisi del 2014, solo per rare occasioni gli accordi sottoscritti a Budapest sono stati evocati dalla diplomazia ucraina.

Ormai da tempo, buona parte degli accademici ucraini è dell’avviso che la sola pietra angolare sulla quale avrebbe dovuto (e debba) reggersi la strategia nazionale ucraina sia quella di una piena integrazione nello spazio euroatlantico, un’integrazione da compiersi quindi sui due binari principali di questa realtà: da un lato su quello politico-sociale ed economico comunitario, dall’altro su quello militare all’interno dell’Alleanza atlantica.

A oltre cinque anni di distanza dalle rivolte di piazza Nezaležnosti che crearono, nel bene o nel male, un netto spartiacque col passato, e alla luce delle difficili e instabili condizioni socioeconomiche in cui si è venuta a trovare l’Ucraina nel post-Euromajdan, l’opinione di alcuni osservatori riguardo alla convinta scelta filoatlantica ha talvolta vacillato ma, in ultima analisi, salvo futuri ritorni a forme di cooperazione più strette con Mosca – eventualità non da escludere ma tuttavia, quantomeno nel medio-termine, poco plausibile –, la maggioranza della comunità dei pensatori strategici e della classe politica ucraina ritiene, a oggi, l’integrazione nelle strutture euroatlantiche come la più conveniente e percorribile tra le traiettorie geopolitiche possibili per il paese.

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12.5 Gli accordi di Budapest: aspetti giuridici​


La genesi e la sostanza del Memorandum di Budapest vengono ricostruite e delineate da un punto di vista critico dall’accademico, ex ambasciatore e rappresentante ucraino alla NATO, Volodymyr Vasylenko, che prese anch’egli parte alla stesura dei principi concettuali e delle disposizioni del Memorandum sottoscritto a Budapest. Nella sua relazione dall’emblematico titolo On Assurances Without Guarantees in a Shelved Document[31] sottolinea le lacune e i limiti che contrassegnarono gli accordi presi nel 1994 riguardo alla sicurezza del suo paese. Vasylenko, in una cronistoria relativa al disarmo nucleare di Kiev, ricorda come, in realtà, generali negoziati per garanzie di sicurezza all’Ucraina denuclearizzata e inserita nel TNP si svolsero ben prima del 1994 e quindi non esclusivamente in occasione degli accordi di Budapest. Gli incontri preparatori risalgono infatti all’aprile del 1992 e portarono ai protocolli di Lisbona, attraverso i quali Ucraina, Bielorussia e Kazakistan compirono un primo passo verso la liquidazione del loro arsenale nucleare entrando a far parte dei paesi firmatari del trattato START[32]. Vasylenko quindi riferisce come i cinque Stati nucleari non avessero in effetti stretto alcun impegno speciale rispetto all’Ucraina: si trattò più che altro di una riaffermazione di quei valori fondamentali espressi nella Carta delle Nazioni Unite e nell’atto finale della conferenza di Helsinki, ribadendo i principi pilastro dell’architettura giuridica internazionale uscita dal secondo conflitto mondiale e dalla Guerra fredda, come il diritto all’autodeterminazione, il rispetto dell’integrità e della sovranità territoriale di ogni Stato indipendente e quella dei confini.

Gli Stati nucleari firmatari del Memorandum hanno inoltre ribadito il loro impegno a cercare l’immediata azione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per fornire assistenza a Kiev nel caso dovesse essere oggetto di un atto di aggressione o di una minaccia d’aggressione attraverso armamenti atomici. Gli Stati firmatari si impegnarono altresì ad astenersi dall’uso dell’arma nucleare contro i non-nuclear states in conformità con le disposizioni del TNP. Vasylenko ricorda come, in realtà, l’unico vero obbligo raggiunto dai tre Stati firmatari fu quello delle consultazioni, su richiesta di Kiev, nel caso in cui si crei una situazione che metta a potenziale rischio uno o più principi del Memorandum.

Dalla disamina critica dell’ex diplomatico ucraino emerge come negli accordi siglati a Budapest, anche per quanto concerne le suddette consultazioni, non vi siano tuttavia clausole che stabiliscano la procedura di convocazione e di svolgimento di tali consultazioni, né come si formulino eventuali decisioni e come esse vengano possibilmente implementate. Vasylenko ricorda inoltre come i documenti con cui Cina e Francia accordarono le proprie security guarantees all’Ucraina non richiedessero neppure l’istituzione di consultazioni. La vaga dichiarazione cinese, dal canto suo, contiene un’approssimativa formula che promuove «una soluzione pacifica delle eventuali controversie ed equilibrate consultazioni»[33]. La dichiarazione francese, invece, non fa del tutto cenno a un qualsivoglia meccanismo consultivo.

In conclusione, è possibile affermare come nonostante la scarsa vincolatività complessiva e le opacità degli accordi stipulati a Budapest sinora presi in esame, il Memorandum ebbe tuttavia la facoltà di accendere i riflettori sull’Ucraina e di conferire a essa attenzione mediatica e prestigio internazionale, integrandola gradualmente verso lo spazio democratico euroatlantico. Dalle varie analisi e dibattiti odierni sul lascito del Memorandum si sono generati nei circoli politici e accademici ucraini altrettanti dibattiti relativi a quale dovrebbe essere la pietra angolare della politica estera e della strategia nazionale del paese. Alla luce di quanto descritto, che il Memorandum di Budapest possa costituire questa pietra angolare della politica estera appare evidentemente irrealistico, non tanto per via della mancanza di meccanismi adeguati di risposta in caso di determinate violazioni dei suoi principi, ma in primo luogo a causa della sua occasionalità, attivandosi esclusivamente nel caso in cui si vengano a creare serie situazioni di crisi. Difatti, dalla sua entrata in vigore nel 1994, prima della grande crisi del 2014, solo per rare occasioni gli accordi sottoscritti a Budapest sono stati evocati dalla diplomazia ucraina.

Ormai da tempo, buona parte degli accademici ucraini è dell’avviso che la sola pietra angolare sulla quale avrebbe dovuto (e debba) reggersi la strategia nazionale ucraina sia quella di una piena integrazione nello spazio euroatlantico, un’integrazione da compiersi quindi sui due binari principali di questa realtà: da un lato su quello politico-sociale ed economico comunitario, dall’altro su quello militare all’interno dell’Alleanza atlantica.

A oltre cinque anni di distanza dalle rivolte di piazza Nezaležnosti che crearono, nel bene o nel male, un netto spartiacque col passato, e alla luce delle difficili e instabili condizioni socioeconomiche in cui si è venuta a trovare l’Ucraina nel post-Euromajdan, l’opinione di alcuni osservatori riguardo alla convinta scelta filoatlantica ha talvolta vacillato ma, in ultima analisi, salvo futuri ritorni a forme di cooperazione più strette con Mosca – eventualità non da escludere ma tuttavia, quantomeno nel medio-termine, poco plausibile –, la maggioranza della comunità dei pensatori strategici e della classe politica ucraina ritiene, a oggi, l’integrazione nelle strutture euroatlantiche come la più conveniente e percorribile tra le traiettorie geopolitiche possibili per il paese.

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Inserito nel primo post di questa discussione un indice iniziale con link ipertestuali alle sottosezioni del documento. Ciò consentirà di muoversi molto più rapidamente all'interno di post anche molto estesi.
Nei prossimi giorni completerò la riedizione del primo post, controllandone i link già presenti, e la estenderò al post successivo.

Sarebbe molto utile se la stessa struttura interna fosse utilizzata anche nei post di ciascuno nel caso si volessero aggiungere contributi in coda ai precedenti facendoli precedere tutti da un indice iniziale

Quotando il primo post e all'interno di ogni post e attivando la modalità "alterna solo testo/formattato" (Icona [ ] a destra") si può vedere come inserire link e target interni usando la sola modalità testuale
Volendo invece utilizzare gli strumenti di editor, cliccando sulla prima icona con i tre punti in verticale (a destra dell'icona di paragrafo vengono proposti i tag linkto e target.
Gli attributi di del target e linkto devono coincidere.

Ad esempio, nel seguito sono elencati 3 hyperlink interni e in seguito i tre target a cui fanno riferimento.
Cliccando su ognuno di questi 3 link ci si ritroverà sul target relativo
Gli ID1,ID2, ID3 non richiedono le virgolette e sembra si possano utilizzare anche caratteri diversi da lettere dell'alfabeto e numeri ( i trattini li ho usati e funzionano), non ho ancora controllato altri casi particolari (es uso di spazi, immagino siano necessarie le virgolette, e altri caratteri non alfabetici).

Una volta eseguito l'accesso al target, usando lo strumento "pagina indietro" del browser si ritorna all'indice iniziale
In futuro aggiungerò comunque dei link per ritornare direttamente al menu/indice iniziale




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