ennio1963
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GUERRA RUSSO UCRAINA E LA "PATACCA" DRAGHI. Un'altra occasione mancata per Draghi.
GUERRA RUSSO UCRAINA E LA "PATACCA" DRAGHI.
Un'altra occasione mancata per Draghi. Stavolta pesantissima. Scomparso (se mai è entrato in partita), dal tavolo delle frenetiche trattative internazionali volte ad arginare la lucida follia di Vladimir, l'ultimo degli Zar.
Draghi si è però distinto quanto a figuracce (lui li ha chiamati disguidi) : dalla prima telefonata abortita di Zelensky sotto le bombe, a cui uno zelante funzionario di Chigi ha fatto presente che "il presidente non è disponibile al momento", alla sua mancata presenza alla cena di Macron all'Eliseo, sorta non da un "disguido", bensì dal fatto che non era fra gli ospiti, mister Draghi, diversamente da Ursula Von Der Leyen (UE) e Olaf Scholz (Germania). E a nulla sono valsi i suoi tentativi di istituire un collegamento dall'esterno. Gli hanno opposto "motivi tecnici".
E non sta andando meglio in queste ore: fra gli attori del parterre europeo diplomatico del fronte russo/ucraino, ci sono sempre i soliti : Macron, Scholz, Von Der Lyen. Figure che alzano il telefono e chiamano Putin, che si stanno interfacciando con pezzi da 90 dello schacchiere internazionale come Bennett, il primo ministro d'Israele, Blinken, il segretario di Stato americano e non ultimo Erdogan, il Presidente della Turchia, quello a cui Draghi pizza e fichi ad aprile scorso diede in diretta tv del dittatore; cosa corrispondente al vero ma causa di un incidente diplomatico a cui a stento il "migliore" ha poi messo una pezza.
Di converso oggi Draghi, tengono a farci sapere i suoi sposor, ha avuto un nuovo colloquio con un Zelenski sempre meno lucido e gli ha promesso un posto nella UE per consolarlo del reiterato niet NATO alla Istituzione di una no fly zone sui cieli ucraini, mossa, in questo clima, equiparabile ad biglietto di sola andata verso la terza guerra mondiale in salsa nucleare.
In questo terribile scenario di guerra in cui siamo piombati da un giorno all'altro, la voce del Presidente del Consiglio italiano non l'abbiamo sentita ai tavoli che contano. Ovvero, l'abbiamo sentita (e non avremmo voluto), giusto 5 giorni fa nelle aule del Parlamento quando, sposando bovinamente la filosofia atlantista, ha convinto i partiti (tutti), a fornire armi all'esercito ucraino (altri morti sull'altare di una sconfitta annunciata). La prima volta della nostra storia repubblicana, tanto da cogliere di sorpresa lo stesso Putin che, tramite il suo ministro degli Esteri Lavrov è arrivato addirittura ad inviare una lettera dai toni minacciosi al nostro presidente della Commissione Difesa alla Camera, Gianluca Rizzo (M5S).
Della legittimità costituzionale o meno di questa scelta, Mario Draghi se ne è fregato. E, ciliegina sulla torta, ha occultato al Parlamento la tipologia e la quantità di armi che invierà all'Ucraina opponendo il segreto di Stato. L'opposto di quanto fatto da Gemania, Inghilterra e altri Stati europei che, in modo trasparente, hanno reso note le liste.
Draghi ha fatto carta straccia di una lunga tradizione diplomatica e di mediazione internazionale che negli ultimi decenni ha dato lustro e vanto al nostro Paese e sulla scia della quale, da posizione neutrale com'è nello spirito della nostra Carta Costituzionale, avrebbe potuto giocare una partita di primo piano.
È questa la figura vendutaci ad edicole unificate come la creme de la creme dell'establishment italiano ed europeo? Colui il quale ci avrebbe dato visibilità internazionale e compiuto il miracolo economico post pandemia?
Altro che "punta di diamante del Paese" (copyright Bonomi, Confindustria), Mario Draghi è una "patacca".
Roberta Labonia
GUERRA RUSSO UCRAINA E LA "PATACCA" DRAGHI.
Un'altra occasione mancata per Draghi. Stavolta pesantissima. Scomparso (se mai è entrato in partita), dal tavolo delle frenetiche trattative internazionali volte ad arginare la lucida follia di Vladimir, l'ultimo degli Zar.
Draghi si è però distinto quanto a figuracce (lui li ha chiamati disguidi) : dalla prima telefonata abortita di Zelensky sotto le bombe, a cui uno zelante funzionario di Chigi ha fatto presente che "il presidente non è disponibile al momento", alla sua mancata presenza alla cena di Macron all'Eliseo, sorta non da un "disguido", bensì dal fatto che non era fra gli ospiti, mister Draghi, diversamente da Ursula Von Der Leyen (UE) e Olaf Scholz (Germania). E a nulla sono valsi i suoi tentativi di istituire un collegamento dall'esterno. Gli hanno opposto "motivi tecnici".
E non sta andando meglio in queste ore: fra gli attori del parterre europeo diplomatico del fronte russo/ucraino, ci sono sempre i soliti : Macron, Scholz, Von Der Lyen. Figure che alzano il telefono e chiamano Putin, che si stanno interfacciando con pezzi da 90 dello schacchiere internazionale come Bennett, il primo ministro d'Israele, Blinken, il segretario di Stato americano e non ultimo Erdogan, il Presidente della Turchia, quello a cui Draghi pizza e fichi ad aprile scorso diede in diretta tv del dittatore; cosa corrispondente al vero ma causa di un incidente diplomatico a cui a stento il "migliore" ha poi messo una pezza.
Di converso oggi Draghi, tengono a farci sapere i suoi sposor, ha avuto un nuovo colloquio con un Zelenski sempre meno lucido e gli ha promesso un posto nella UE per consolarlo del reiterato niet NATO alla Istituzione di una no fly zone sui cieli ucraini, mossa, in questo clima, equiparabile ad biglietto di sola andata verso la terza guerra mondiale in salsa nucleare.
In questo terribile scenario di guerra in cui siamo piombati da un giorno all'altro, la voce del Presidente del Consiglio italiano non l'abbiamo sentita ai tavoli che contano. Ovvero, l'abbiamo sentita (e non avremmo voluto), giusto 5 giorni fa nelle aule del Parlamento quando, sposando bovinamente la filosofia atlantista, ha convinto i partiti (tutti), a fornire armi all'esercito ucraino (altri morti sull'altare di una sconfitta annunciata). La prima volta della nostra storia repubblicana, tanto da cogliere di sorpresa lo stesso Putin che, tramite il suo ministro degli Esteri Lavrov è arrivato addirittura ad inviare una lettera dai toni minacciosi al nostro presidente della Commissione Difesa alla Camera, Gianluca Rizzo (M5S).
Della legittimità costituzionale o meno di questa scelta, Mario Draghi se ne è fregato. E, ciliegina sulla torta, ha occultato al Parlamento la tipologia e la quantità di armi che invierà all'Ucraina opponendo il segreto di Stato. L'opposto di quanto fatto da Gemania, Inghilterra e altri Stati europei che, in modo trasparente, hanno reso note le liste.
Draghi ha fatto carta straccia di una lunga tradizione diplomatica e di mediazione internazionale che negli ultimi decenni ha dato lustro e vanto al nostro Paese e sulla scia della quale, da posizione neutrale com'è nello spirito della nostra Carta Costituzionale, avrebbe potuto giocare una partita di primo piano.
È questa la figura vendutaci ad edicole unificate come la creme de la creme dell'establishment italiano ed europeo? Colui il quale ci avrebbe dato visibilità internazionale e compiuto il miracolo economico post pandemia?
Altro che "punta di diamante del Paese" (copyright Bonomi, Confindustria), Mario Draghi è una "patacca".
Roberta Labonia