San Siro
Nuovo Utente
- Registrato
- 28/3/08
- Messaggi
- 7.103
- Punti reazioni
- 217
Non sono preparato in economia e faccio fatica a giudicare ma stavo riflettendo sui benefici che potrebbe avere porre dei limiti all'espansione di grandi aziende per evitare che queste diventino pachidermi che riescono a comprarsi tutto ciò che vgliono e ridurre la concorrenza sul mercato (difficile non pensare alle aziende americane di punta). Il fatto di porre dei limiti sulle acquisizioni , ad esempio, potrebbe agevolare lo sviluppo di altre aziende(specialmente i competitors).
Date un occhiata a quelle di Cisco e ditemi se vi sembra normale che un azienda ne incorpori centinaia:
Acquisitions - Acquisition Summary - Cisco
So che esistono organismi che regolano la concorrenza ma seguendo la mia logica (basata su conoscenze molto limitate)...mi sembra che qualcosa non stia funzionando.
Capisco che limitare l'espansione di un azienda significhi probabilmente limitarne l'evoluzione la ricerca e lo sviluppo..... ma allo stesso tempo il mercato viene distrorto dallo strapotere di queste.
Porre dei limiti a queste aziende significherebbe anche mettere a rischio posti di lavoro ma, allo stesso tempo, avere piu' aziende competitive sul mercato sul quale ricollocare quelle persone.
Forse le realtà aziedali sono troppo complesse per definire tali limitazioni? ( parlo principarlmente di anziende multinazionali).
Per fare un esempio un pò estemizzato: supponiamo che nell'ambito della ristorazione (pizzerie) le catene di pizzerie si espandano enormemente e riescano a comprarsi i caseifici che producono mozzarella di bufala. Risultato: solo alcune aziende/catena potranno offrice pizze con mozzarella di bufala a discapito dei concorrenti.
Il problema che hai sollevato esiste, e ha molteplici sfaccettature.
Ad esempio, in agricoltura i gruppi che controllano sia i mercati degli input, sia la commercializzazione finale, riescono a guadagnare quando i prezzi delle derrate sono alte, ma anche quando sono bassi, intervenendo sui prezzi degli input.
Nei coloniali, le multinazionali usano le scorte come cuscinetto strategico per evitare o limitare eventuali incrementi di prezzo (anche se il valore della materia prima è una parte trascurabile del prezzo finale; parte che viene tenuta bassa grazie anche al trucco della tariff escalation).
Le gioie dell'integrazione verticale sono numerose e notevoli, e hanno come scopo di riuscire a ottimizzare i guadagni in ogni situazione di mercato (alterando, appunto, il mercato.)
Il discorso che fai riguardo alla concorrenza e all'innovazione è sacrosanto, anche se non sempre la concorrenza è sinonimo di efficienza, vedi l'industria farmaceutica americana e il loro sistema sanitario privato.
Il fatto che la ricerca di base sia portata avanti dal settore pubblico, fa sì che le industrie che producono i farmaci hanno molti più soldi da investire in marketing e promozione, che non è certo il massimo, se pensiamo anche alle implicazioni sociali che un'eccessiva medicalizzazione comporta.
Credo che però il punto fondamentale non sia la questione dell'efficienza, ma tout court il funzionamento del capitalismo stesso, che è diventato una macchina di profitti riservati all'1% più ricco della popolazione.
Questo comporta ovviamente una contrazione della domanda effettiva che si traduce in una crescita economica come minimo anemica (ad anni di crescita apparentemente buoni, seguono gli anni di crisi conseguenti allo sgonfiamento delle bolle del credito, resesi necessarie per sostenere i consumi di ampie fasce della popolazione che in realtà vai stavano impoverendo.)
Non vedere questo nesso più che evidente (che si può riscontrare anche in America Latina confrontando il periodo di sostituzione delle importazioni con il periodo neoliberista ancora in auge) è davvero singolare, ma come diceva sempre mia madre, il peggio non è mai morto.
Ultima modifica: