L'America scopre i bamboccioni: a Washington un giovane su tre vive con i genitori - Il Sole 24 ORE
L'America scopre i bamboccioni: a Washington un giovane su tre vive con i genitori
Potato, big stuff, mummy's boy. Lo slang si sbizzarrisce, ma il concetto è chiaro: i "bamboccioni" incollati al nido domestico esistono anche negli Stati Uniti. E in numero crescente: secondo un'indagine della Pew Research Institute, il 36% dei giovani americani tra i 18 e i 31 anni vive con i genitori. Nel 2000, si superava a fatica il 10. Che fine ha fatto la nuova frontiera di ventenni rampanti, a New York e a Los Angeles, nei collegi di Yale o sulle rotte della costa ovest? A casa.
Con i libri universitari accatastati in cameretta, e non sulla scrivania dei college pubblicizzati in tutto come crocevia di self made men in fase di costruzione.
Era il 2007, e l'allora ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa aveva smosso le acque sui Peter Pan di casa nostra con una provocazione. Accolta malissimo: il «mandiamo fuori di casa i bamboccioni» era piaciuto poco, a destra e sinistra. Che l'avevano intesa come un schiaffo al precariato e alle strette sui mutui famigliari, sorvolando sulla proposta sottostante: detrazioni fino a 991 euro per gli under 30 con un reddito inferiore ai circa 15.500 euro. Sei anni dopo, Washington sfoglia il dizionario per definire i 21,6 milioni di giovani che non hanno fatto, o non hanno potuto fare, il salto fuori dalle mura domestiche. E la discesa di affitti in autonomia è scattata proprio nel 2007, quando a non uscire dall'abitazione genitoriale erano "solo" in 18,5 milioni.
L'indiziato principale resta la crisi. Ma la permanenza degli under 30 statunitensi nella città e nel nido d'origine si deve ad (almeno) due fattori aggiuntivi: calo dei matrimoni e aumento delle immatricolazioni all'università. Un saliscendi incrociato che intralcia l'addio alle mura domestiche. Da un lato, scivolano all'indietro i "wedding", il 25% in meno dal 2007 ad oggi. Dall'altro crescono i neomaggiorenni iscritti a un corso di laurea, oltre il 30% del totale analizzato dal Pew Research Institute. E non a caso, la fascia d'età generale si sbilancia al 56% su chi deve ancora compiere 24 anni, contro il 16% di chi ne ha tra i 25 e i 31. Con la conferma dello stereotipo che vuole gli uomini, anzi, i ragazzi più mammoni delle coetanee: il 40%, otto punti percentuali in più delle ragazze di età uguale (32%). Il nodo comune sono i costi: troppi alti, sia per le rette universitarie, sia per la convivenza con partner e figli eventuali in una sistemazione indipendente.
Il più delle volte, però, non si tratta di uscire di casa. Ma di restare autonomi, con un affitto a proprio carico. Un distinguo che racchiude le urgenze sociali del fenomeno, e spiega la retromarcia nel nido domestico dopo quattro, cinque o più anni di indipendenza. In tanti, intascata una laurea a suon di loans, i prestiti d'onore, si ritrovano sulle spalle il doppio ingombro di disoccupazione e debiti da saldare. Il tasso di inattività fra gli under 30 è cresciuto del 7% dal 2007 al 2012. E con prestiti da rimborsare ben oltre i 50mila dollari, un tetto diverso da quello dei genitori è un miraggio. Senza contare i deficit di contorno, come le internship non pagate: esperienze di lavoro a costo zero per l'azienda, che si sommano in curriculum senza lasciar traccia nella finanze private. E in questo, New York ci è sempre più vicina.